Om Namo Bhagavate Sri Arunachalaramanaya

sabato 2 agosto 2014

Coltivare ininterrotta auto-attenzione

Michael James

In un commento a uno dei miei recenti articoli, Self-enquiry, personal experiences and daily routine, un anonimo amico ha scritto:  
“...ininterrotta auto-attenzione ...”
Ciò non è affatto possibile nella mia vita lavorativa quotidiana. Lavoro come sviluppatore di software e devo pensare costantemente a scrivere programmi. Cerco di essere auto-attento mentre sono in ascensore, camminando nei corridoi… qualche volta anche mentre fumo, e cerco anche di essere auto-attento mentre guido. Così ti prego di dirmi come mantenermi nell’ ‘io’ mentre lavoro.
Qui le parole “… ininterrotta auto-attenzione…” si riferiscono a una frase che Sri Ramana scrisse nell’undicesimo paragrafo di Nan Yar? (Chi sono io’), che ho citato in quell’articolo, vale a dire:
…Se ci si aggrappa fermamente a un ininterrotto svarupa-smarana [ricordo di sé] fino a che si consegue svarupa [il proprio sé essenziale], questo solo [sarà] sufficiente…


Come ho spiegato in un articolo successivo,
Where to find and how to reach the real presence of our guru?, l’aggettivo che Sri Ramana ha usato effettivamente in questa frase per qualificare svarupa-smarana o il ‘ricordo di sé’ è nirantara, che significa ‘ininterrotto’ nel senso di ‘non avere intervallo’, ‘incessante’, ‘costante’, ‘continuo’ o ‘perpetuo’. Quando leggiamo questa frase, molti di noi si chiedono, come il nostro anonimo amico, come può essere possibile mantenerci continuamente nel ricordo di sé o auto-attenzione nel mezzo delle nostre abituali attività quotidiane, alcune delle quali sembrano richiedere la nostra intera attenzione.
Iniziamo quindi analizzando cosa significano effettivamente le parole ‘ininterrotta auto-attenzione’.
Prima di tutto, lo stato indicato da termini come auto-attenzione, auto-ricordo, auto-scrutinio, auto-investigazione o auto-indagine è precisamente il nostro proprio essere, ‘io sono’ – perché l’auto-consapevolezza è proprio la natura del nostro essere.
Comunque, sebbene siamo sempre auto-coscienti, in questo momento sperimentiamo l’auto-consapevolezza naturale e illimitata in una forma limitata e quindi distorta, perché invece di essere semplicemente coscienti di noi stessi come l’essere essenziale senza attributi, ‘io sono’, siamo coscienti di noi stessi come una serie di attributi o upadhis, come questo corpo, questa mente e questa persona chiamata nel tal modo, che sono tutti fenomeni transitori e quindi estranei alla nostra vera ed essenziale natura – l’essere auto-cosciente, ‘io sono’. Cioè, invece di sperimentare noi stessi semplicemente come ‘io sono’, sperimentiamo noi stessi come ‘io sono questo corpo’, ‘io sono seduto qui’, ‘io sto leggendo questo’, ‘io sto pensando al significato di queste parole’, ‘io sono questa mente pensante’, ‘io sono questa persona chiamata in tal modo’ e così via.
Così la vera natura senza attributi e quindi illimitata della nostra essenziale auto-consapevolezza è, in questo momento, apparentemente oscurata dall’immaginaria sovrapposizione di questi attributi. Quando la nostra essenziale auto-consapevolezza, 'io sono', è in questo modo confusa con attributi, la risultante consapevolezza composita - l'esperienza 'io sono questo o quello', 'io sto facendo questo o quello' e 'io sto conoscendo questo o quello' - è un mero pensiero, e di tutti i pensieri è il primo, la radice e la base. Quindi nel verso 2 di Anma Viddai e nel verso 18 di Upadesa Undyar Sri Ramana dice:
Il pensiero ‘questo corpo composto di carne è io'’ è il solo filo con cui [tutti i nostri] vari pensieri sono legati...
La [nostra] mente è solo una [moltitudine di] pensieri. Di tutti [gli innumerevoli pensieri che formiamo nella nostra mente], solo il pensiero 'io' è il mula [radice, base, fondazione, origine, sorgente o causa]. [Quindi]ciò che è chiamata 'mente' è [in essenza solo questo pensiero radice] 'io'.

La nostra mente, che è l' 'io' che pensa tutti i pensieri, sempre immagina se stessa come un corpo, perciò è una forma limitata, distorta e quindi falsa della reale auto-consapevolezza, 'io sono'. Sperimentiamo noi stessi come questa mente che è una forma limitata di consapevolezza che sperimenta cose che appaiono come altro che se stessa, solo perché ci immaginiamo come un particolare corpo fisico.
In altre parole, il nostro attuale sperimentare noi stessi come questa finita consapevolezza pensante e oggettivante che chiamiamo 'mente', è centrato attorno alla nostra immaginaria esperienza di noi stessi come un corpo.
Ogni volta che pensiamo qualche pensiero, o nella veglia o nel sogno, sempre sentiamo che noi, ovvero chi pensa quel pensiero, siamo un corpo particolare. In modo simile, ogni volta che conosciamo qualcos’altro che ‘io sono’, sentiamo sempre che noi, il conoscitore di quell’oggetto, siamo un corpo particolare.
Il corpo che in questo modo immaginiamo di essere può cambiare da stato a stato, ma la sensazione ‘io sono questo corpo’ persiste come l’unica base di tutti gli altri pensieri e tutta la conoscenza dell’alterità. Questa sensazione ‘io sono questo corpo’ è quindi il pensiero radice o immaginazione primaria – il pensiero originale che pensa tutti gli altri pensieri. Perciò, se desideriamo essere liberi da tutti i pensieri e quindi sperimentare la nostra pura auto-consapevolezza come realmente è, dobbiamo liberare noi stessi dal pensiero radice, ‘io sono questo corpo’.
Quando sperimentiamo così noi stessi come una serie di attributi limitati incentrati sul corpo, ci limitiamo e creiamo un’apparente separazione tra noi e ogni cosa che immaginiamo essere altro che noi stessi. Così ora sperimentiamo erroneamente l’infinita auto-consapevolezza ‘io sono’, come questa circoscritta consapevolezza oggettivante che chiamiamo ‘mente’. Se non sperimentassimo in questo modo noi stessi come una consapevolezza limitata e quindi separata, non potremmo pensare qualsiasi pensiero o conoscere qualsiasi cosa tranne noi stessi ‘io sono’,  e quindi tutta la dualità e l’alterità che sperimentiamo nella veglia e nel sogno appare solo perché immaginiamo noi stessi come questa mente limitata e legata a un corpo.
Perciò l’unica causa radice di tutti i nostri problemi è la nostra attuale auto-ignoranza o auto-dimenticanza    cioè, la mancanza di una chiara auto-consapevolezza o vera auto-conoscenza. Se sperimentassimo chiaramente noi stessi come siamo realmente, non potremmo immaginarci come questo corpo, mente o qualsiasi altra cosa che non siamo, e quindi non sperimenteremmo alcun pensiero o qualsiasi altra cosa tranne che noi stessi – il nostro semplice essere auto-cosciente, non-duale e senza attributi, ‘io sono’.
Di conseguenza, sebbene la nostra auto-consapevolezza essenziale non sia mai realmente interrotta, la sua chiarezza originale e naturale appare oscurata o ‘interrotta’ dal sorgere della mente e della sua costante attività del pensare o conoscere l’alterità, che è il cibo da cui essa dipende per la sua sopravvivenza. Quindi, poiché il sorgere della mente oscura la nostra naturale chiarezza di auto-consapevolezza, e poiché la mente sorge e permane solo pensando o conoscendo l’alterità, per sperimentare chiaramente la nostra auto-consapevolezza dobbiamo ritirare interamente la nostra attenzione da tutti i pensieri e dall’alterità focalizzandola totalmente ed esclusivamente sul nostro essere essenziale, ‘io sono’, permettendo quindi alla mente di affondare e fondersi nella più intima profondità del nostro essere, dove l’originaria auto-consapevolezza risplende sola, libera dall’ostruzione anche della minima traccia di pensiero o alterità.
Comunque, la nostra attività di pensare non è l’unico ostacolo che ci impedisce di sperimentare chiaramente il nostro essere auto-cosciente come realmente è, perché anche nel sonno, quando non pensiamo o conosciamo nessun’altra cosa, la nostra auto-consapevolezza è apparentemente oscurata e quindi non sperimentata chiaramente. Nonostante quest’apparente mancanza di una chiara auto-consapevolezza nel sonno esista solo nella prospettiva della mente, dal nostro attuale punto di vista come questa mente, essa è reale e ci impedisce quindi di conoscere noi stessi come siamo realmente.
Cioè, poiché sia nella veglia sia nel sogno la nostra mente non sperimenta se stessa come il puro essere senza attributi e auto-cosciente, è incapace di riconoscere l’originaria auto-consapevolezza che risplende solitaria nel sonno, e perciò dalla prospettiva di questa mente il sonno appare come uno stato di ottusità, oscurità o mancanza di chiarezza, in cui non conosciamo chiaramente noi stessi. Ciò che sperimenta l’originaria auto-consapevolezza nel sonno non è la mente ma solo il nostro sé reale – lo stesso essere originario e auto-cosciente. Il nostro sé reale non conosce affatto  questi tre stati alternanti, o qualsiasi altra cosa, ma conosce solo se stesso, la semplice auto-consapevolezza non-duale, ‘io sono’.
Questi tre stati sono conosciuti solo dalla nostra mente, e di conseguenza sono un problema solo per essa. Poiché sono conosciuti solo dalla mente e non dalla nostra reale auto-consapevolezza, sia i pensieri che sperimentiamo nella veglia e nel sogno sia l’apparente ottusità o oscurità che sperimentiamo nel sonno sono illusioni create dal potere di immaginazione della nostra mente. Tuttavia, fino a che sperimentiamo noi stessi come questa mente, sia i pensieri sia l’ottusità del sonno appaiono reali – tanto reali quanto questa stessa mente – e quindi da questa prospettiva entrambi oscurano l’originaria chiarezza di auto-consapevolezza.
Quindi lo stato naturale di auto-consapevolezza assolutamente chiara può – nell’esperienza della mente – essere apparentemente ‘interrotta’ sia dall’attività del pensare sia da un’ottusità simile al sonno, da sonnolenza o mancanza di auto-chiarezza. Così durante la pratica di atma-vichara, auto-investigazione o ‘auto-indagine’, il nostro fine dovrebbe essere semplicemente quello di essere pienamente ed esclusivamente auto-coscienti,  che possiamo essere solo prestando intensamente attenzione a nient’altro che al nostro sé essenziale ‘io sono’.
Quando cerchiamo in questo modo di essere intensamente ed esclusivamente auto-attenti, possiamo riuscire a essere auto-coscienti per un po’, ma presto o tardi la nostra vigilante auto-attenzione probabilmente si allenterà, al che permetteremo a noi stessi o di essere distratti dal sorgere di pensieri riguardo qualche altra cosa, o essere sopraffatti dalla sonnolenza o dal sonno. In ogni caso, la nostra auto-attenzione o auto-consapevolezza sarà stata interrotta. La debolezza dell’auto-attenzione che da spazio a tale interruzione a causa di pensieri o sonnolenza è chiamata pramada o ‘disattenzione’ – cioè, auto-disattenzione, che è la stessa auto-dimenticanza che in primo luogo ha fatto nascere la nostra mente.
Poiché la nostra mente è nata da pramada o auto-dimenticanza, è sostenuta solo da una persistenza di tale auto-dimenticanza, e sarà distrutta solo dal suo opposto – auto-ricordo, auto-attenzione o acuta e penetrante ‘auto-indagine’. Come antichi testi  ci ricordano (vedi Mahabharata 5.42.4 e  Vivekachudamani verso 321), “pramada è morte”, prima di tutto perché pramada fa nascere la nostra mente, ed essendo divenuti essa, siamo in effetti morti al nostro sé reale, e in secondo luogo perché come questa mente noi subiamo cicli ripetuti di nascita e morte. Quindi il nostro unico fine dovrebbe essere evitare pramada, cosa che possiamo fare solo aggrappandoci tenacemente all’auto-attenzione o auto-consapevolezza.
Sia che si manifesti come pensieri o come sonnolenza, pramada o auto-dimenticanza è il solo e unico ostacolo che ‘interrompe’ la nostra auto-attenzione. Perciò nel verso 17 di Upadesa Undiyar Sri Ramana enfatizza l’importanza di evitare pramada, dicendo:

Quando [noi] esaminiamo la forma della [nostra] mente priva di dimenticanza [cioè, senza pramada], [noi scopriremo che] non c’è una cosa come la ‘mente’ [ma solo la nostra originaria auto-consapevolezza, ‘io sono’]. Per tutti, questo è il sentiero diretto [il mezzo diretto per sperimentare la vera auto-conoscenza].

Qui il verbo ucava, che significa ‘quando [noi] esaminiamo’, descrive la pratica di auto-esame o auto-indagine,  e il precedente avverbio maravadu, che significa ‘senza dimenticanza’ o ‘indimenticabilmente’ indica che il nostro auto-esame dovrebbe essere privo anche della minima traccia di pramada o auto-dimenticanza. Cioè, piuttosto che dire che dovremmo evitare di pensare o evitare la sonnolenza, Sri Ramana ci da l’indizio più efficace dicendo che dovremmo evitare pramada o dimenticanza, poiché se cerchiamo di evitare  il pensare o la sonnolenza, c’è il pericolo che la nostra attenzione sia distratta dal pensiero di ciò che stiamo cercando di evitare, mentre se cerchiamo di evitare pramada o perdita dell’auto-attenzione, ci aggrapperemo fermamente all’auto-attenzione, su cui stiamo cercando di non allentare la presa.
Nel verso del Mahabharata a cui mi sono riferito sopra, cioè 5.42.4 (Sanatsujatiyam capitolo 2, verso 4), l’antico saggio Sanatsujata dice, “…pramadam vai mrityum, aham bravimi; sadapramadam amritatvam, bravimi”, che significa ‘…pramada davvero [è] morte, io dico; sada-apramada [è] immortalità, [io] dico’. La parola sada-apramada significa letteralmente ‘perpetua non-negligenza’ o ‘costante non-distrazione’, e – poiché pramada in questo contesto significa ‘negligenza’ o ‘distrazione’ dalla nostra auto-consapevolezza essenziale – qui essi indicano il nostro stato naturale di eterna e ininterrotta auto-consapevolezza o auto-attenzione.
Quando Sanatsujata, Sri Ramana e altri saggi ci spingono a rimanere per sempre non-auto-negligenti o a essere ininterrottamente auto-attenti, lo fanno non perché non sanno che fino a quando la nostra mente sopravvive non saremo in grado di evitare sempre e del tutto pramada, ma solo perché  sada-apramada o auto-attenzione per sempre ininterrotta è ciò che dovremmo sempre ambire  di raggiungere. Dato che la nostra mente è nata da pramada – non può evitare per sempre di pensare o di dormire, entrambi frutti di pramada – le due forme in cui pramada si manifesta.
Comunque non c’è una cosa come pramada assoluto. Sperimentiamo pramada solo perché prima di tutto sperimentiamo noi stessi – il nostro essenziale essere auto-cosciente, ‘io sono’. Se non conoscessimo ‘io sono’, non potremmo sperimentare pramada o qualcuno dei suoi frutti.  Il grado della nostra pramada è in qualsiasi momento inversamente proporzionale al grado di chiarezza con cui sperimentiamo la fondamentale auto-consapevolezza ‘io sono’. Tanto più chiaramente sperimentiamo la nostra auto-consapevolezza, tanto meno intensamente sperimenteremo pramada e i suoi effetti, e per contro, tanto più soccombiamo a pramada e ai suoi effetti – vale a dire il pensare e il dormire – tanto meno chiaramente sperimenteremo la nostra auto-consapevolezza.
Quindi, sebbene non possiamo evitare pramada completamente o per sempre fino a che la nostra mente è distrutta dall’esperienza di auto-consapevolezza assolutamente chiara,   possiamo sempre cercare di evitarla aggrappandoci tenacemente all’auto-attenzione.
Anche se, nel pieno dei nostri sforzi di essere ininterrottamente auto-attenti  continueremo a sperimentare pensieri e sonnolenza, tanto più perseveriamo nella pratica di auto-attenzione tanto più chiaramente e naturalmente continueremo a ricordare o a essere consapevoli del nostro essere auto-cosciente, ‘io sono’, anche quando stiamo pensando o siamo immersi nel sonno.
Piuttosto che preoccuparci del fatto che non siamo ancora in grado di sperimentare in ogni momento anche una tenue sotto-corrente di auto-ricordo o auto-consapevolezza , in tutti gli stati e nel mezzo di tutte le nostre attività, dovremmo concentrarci semplicemente sull’essere chiaramente auto-coscienti ora,  proprio in questo momento. Non possiamo conoscere il nostro sé reale ed eterno nel passato o nel futuro, o anche nel passare del tempo, ma solo ora, in questo preciso momento presente.
Passato e futuro sono entrambi solo pensieri che accadono nel presente, come lo è anche lo stesso passare del tempo, così ogni pensiero relativo a qualsiasi momento o periodo di tempo altro che il preciso momento presente distrarrà la nostra attenzione dall’essere auto-cosciente, sempre-presente, ‘io sono’.
Perciò ignorando tutti i pensieri del passato o del futuro, dovremmo concentrarci solo su essere ininterrottamente – senza dimenticanza o pramada – auto-attenti ora, in questo momento presente. Se facciamo diligentemente attenzione a essere senza distrazione auto-attenti ora, il nostro amore per essere chiaramente auto-coscienti in questo momento presente si riverserà in ciascun momento che accade, e così, a causa dello sforzo perseverante di essere auto-attenti in ogni momento, la forza, la profondità, la chiarezza e la persistenza della nostra auto-attenzione si stabilizzeranno e aumenteranno sicuramente.
L’esperienza di auto-conoscenza assolutamente chiara albeggerà in un singolo attimo – cioè, un singolo attimo di ininterrotta auto-attenzione – e quel singolo attimo è disponibile a tutti in ogni momento. Perciò il nostro fine non dovrebbe essere l’ininterrotta auto-attenzione per un certo periodo di tempo,  o anche per tutto il tempo a venire, ma dovrebbe solo essere l’interrotta auto-attenzione – pienamente ed esclusivamente auto-cosciente – ora, in questo preciso momento.
Ora non c’è altro momento che importa. Questo momento presente è il solo disponibile per sperimentare noi stessi come siamo realmente. Perciò dimenticando ogni altro momento,  semplicemente siamo pienamente e ininterrottamente auto-attenti ora.  Cioè, dimentichiamo qualsiasi pramada che può interrompere la nostra auto-attenzione, e invece siamo semplicemente vigili proprio in questo momento per concentrare l’intera attenzione sulla nostra  auto-consapevolezza presente,  prevenendo quindi che sia interrotta ora anche dalla minima e momentanea pramada o auto-disattenzione.
Solo se coltiviamo in questo modo l’amore e l’abitudine di essere vigilantemente auto-attenti in ogni dato momento, quindi escludendo ogni pensiero di ciò che può accadere in qualsiasi altro momento,  la nostra auto-attenzione fiorirà infine nella vera esperienza  per sempre ininterrotta – assolutamente libera da pramada - della chiara auto-consapevolezza, che è eternamente la nostra reale natura ‘io sono’.

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