Michael
James
20 Novembre
2014
Nei commenti ai miei due articoli precedenti, La
nostra memoria di ‘io’ nel sonno , Perché
dovremmo credere che ‘il Sé’ è come lo crediamo essere?, c’è stata una
certa discussione riguardo al soggetto di essere una persona ‘auto-realizzata’,
con un amico che affermava ‘io ho realizzato chi sono’ e altri che esprimevano
dubbi a riguardo, così in questo articolo esaminerò il concetto di essere una
persona ‘auto-realizzata’ e considererò se esso rappresenti con precisione
qualcosa che esiste realmente.
Innanzitutto considererò l’uso comune del termine
‘auto-realizzazione’ come una traduzione dei termini Sanscriti ātma-jñāna
o ātmānubhava, che significano rispettivamente auto-conoscenza e auto-esperienza nel senso di sperimentare o
essere chiaramente consapevoli di noi stessi come siamo realmente. Benché
‘realizzare’ può significare riconoscere, comprendere, accertarsi o divenire
chiaramente consapevoli di qualcosa, è un termine piuttosto vago e ambiguo da
usare in questo contesto, perché ha vari altri significati come compiere, raggiungere, soddisfare,
attualizzare, effettuare, determinare, acquisire o causare di accadere, così
‘auto-realizzazione’ non è il termine più appropriato da usare come una
traduzione di ātma-jñāna o ātmānubhava, particolarmente poiché in
psicologia il termine ‘auto-realizzazione’ significa auto-attualizzazione o
auto-soddisfazione nel senso di raggiungere il proprio pieno potenziale
personale.
Anche se non parlava molto Inglese, Sri Ramana lo
comprendeva abbastanza da riconoscere che ‘auto-realizzazione’ non è un termine
particolarmente appropriato da usare nel contesto dei suoi insegnamenti. Egli
quindi usava scherzare riguardo ciò dicendo che il nostro sé è sempre reale,
così non c’è bisogno che sia realizzato, e che il problema è che abbiamo
realizzato ciò che è irreale (cioè, abbiamo fatto sembrare reale l’irreale),
così ciò che ora abbiamo bisogno di fare non è realizzare il nostro sé sempre
reale ma solo non realizzare ogni cosa che è irreale, in modo particolare il
nostro ego apparentemente reale, che è la causa radice dell’apparente realtà di
ogni altra cosa.
Comunque, anche se al termine ‘auto-realizzazione’ diamo il significato
di sperimentare noi stessi come siamo realmente, cosa intendiamo quando
parliamo di una persona ‘auto-realizzata’? C’è realmente una cosa come una
persona ‘auto-realizzata’? Fino a che sperimentiamo noi stessi come una
persona, non stiamo sperimentando noi stessi come siamo realmente, così non
siamo ‘auto-realizzati’. Cioè, possiamo aver realizzato il nostro pieno
potenziale (qualsiasi cosa significa), ma non abbiamo realizzato ciò che siamo
realmente. Quindi nel contesto degli insegnamenti di Sri Ramana, il concetto di
persona ‘auto-realizzata’ è una contraddizione in termini.
Quando sperimentiamo noi stessi come siamo realmente, non ci
sperimentiamo più come una persona – un ego, un’entità separata che sperimenta
se stessa come se fosse un corpo e una mente – perché questa persona è solo
un’apparenza transitoria nell’assenza della quale noi ancora sperimentiamo la
nostra esistenza in sonno. Secondo Sri Ramana, ciò che realmente siamo è quella
realtà infinita, eterna, indivisibile e immutabile, al di fuori della quale
niente esiste. Come dice nel verso 28 di Upadēśa Undiyār:
தனாதியல் யாதெனத்
தான்றெரி கிற்பின்;
னனாதி யனந்தசத் துந்தீபற
வகண்ட சிதானந்த முந்தீபற.
வகண்ட சிதானந்த முந்தீபற.
taṉādiyal yādeṉat tāṉḏṟeri hiṯpiṉ
ṉaṉādi yaṉantasat tundīpaṟa
vakhaṇḍa cidāṉanda mundīpaṟa.
ṉaṉādi yaṉantasat tundīpaṟa
vakhaṇḍa cidāṉanda mundīpaṟa.
பதச்சேதம்: தனாது இயல் யாது என
தான் தெரிகில், பின் அனாதி அனந்த
சத்து அகண்ட சித் ஆனந்தம்.
Padacchēdam (separazione delle parole): taṉādu iyal yādu eṉa
tāṉ terihil, piṉ aṉādi aṉanta sattu akhaṇḍa cit āṉandam.
அன்வயம்: தான் தனாது இயல் யாது
என தெரிகில், பின் அனாதி அனந்த
அகண்ட சத்து சித் ஆனந்தம்.
Anvayam (parole disposte in ordine di prosa naturale): tāṉ taṉādu
iyal yādu eṉa terihil, piṉ aṉādi aṉanta akhaṇḍa sattu cit āṉandam.
Traduzione: Se se stesso conosce qual’è la natura di se stesso, allora [quello che esiste è solo] il senza
inizio, senza fine [o infinito] e ininterrotto sat-cit-ānanda [essere-consapevolezza-beatitudine].
In un tale stato di
‘auto-realizzazione’, quello che sperimenta se stesso e solo il nostro infinito
sé reale, perché il nostro limitato sé personale (l’ego) ha cessato di
esistere, poiché era solo un’illusione e quindi non avrebbe potuto mantenersi
nella brillante e divorante luce di una tale auto-consapevolezza assolutamente
chiara. In altre parole, la sola cosa che esiste in quello stato è l’unico ‘io’
infinito, così quello che sperimenta quell’infinito ‘io’ è solo se stesso,
poiché lì non esiste un ‘io’ personale per sperimentarlo (e neppure sembra
esistere).
Poiché in quello
stato di ‘auto-realizzazione’, non c’è un ‘io’ personale, e poiché l’unico ‘io’
infinito non ha bisogno di dire e non pensa o dice di aver realizzato se
stesso, non c’è nessuno lì a pensare o a dire ‘io ho realizzato chi sono’ o ‘io
conosco me stesso’. Dunque, nel verso 33 di Uḷḷadu Nāṟpadu Sri Ramana
dice:
என்னை யறியேனா னென்னை
யறிந்தேனா
னென்ன னகைப்புக் கிடனாகு — மென்னை
தனைவிடய மாக்கவிரு தானுண்டோ வொன்றா
யனைவரனு பூதியுண்மை யால்.
eṉṉai yaṟiyēṉā ṉeṉṉai yaṟindēṉā
ṉeṉṉa ṉahaippuk kiḍaṉāhu — meṉṉai
taṉaiviḍaya mākkaviru tāṉuṇḍō voṉḏṟā
yaṉaivaraṉu bhūtiyuṇmai yāl.
ṉeṉṉa ṉahaippuk kiḍaṉāhu — meṉṉai
taṉaiviḍaya mākkaviru tāṉuṇḍō voṉḏṟā
yaṉaivaraṉu bhūtiyuṇmai yāl.
பதச்சேதம்: ‘என்னை அறியேன் நான்’, ‘என்னை அறிந்தேன் நான்’ என்னல் நகைப்புக்கு இடன் ஆகும். என்னை? தனை விடயம் ஆக்க இரு தான் உண்டோ? ஒன்று ஆய் அனைவர் அனுபூதி உண்மை ஆல்.
Padacchēdam (separazione delle parole): ‘eṉṉai aṟiyēṉ nāṉ’, ‘eṉṉai
aṟindēṉ nāṉ’ eṉṉal nahaippukku iḍaṉ āhum. eṉṉai? taṉai viḍayam ākka iru tāṉ uṇḍō?
oṉḏṟu āy aṉaivar aṉubhūti uṇmai āl.
அன்வயம்: ‘நான் என்னை அறியேன்’, ‘நான் என்னை அறிந்தேன்’ என்னல் நகைப்புக்கு இடன் ஆகும். என்னை? தனை விடயம் ஆக்க இரு தான் உண்டோ? அனைவர் அனுபூதி உண்மை ஒன்று ஆய்; ஆல்.
Anvayam (parole disposte in ordine di prosa naturale): ‘nāṉ eṉṉai
aṟiyēṉ’, ‘nāṉ eṉṉai aṟindēṉ’ eṉṉal nahaippukku iḍaṉ āhum. eṉṉai? taṉai viḍayam
ākka iru tāṉ uṇḍō? aṉaivar aṉubhūti uṇmai oṉḏṟu āy āl.
Traduzione: Dire ‘io non conosco me stesso’ [o] ‘io ho conosciuto me
stesso’ è motivo di ridicolo. Perché? Per rendere se stesso un oggetto
conosciuto, ci sono due sé? Poiché essere uno è la verità dell’esperienza di tutti.
Perciò se qualche persona pensa ‘io ho realizzato chi sono’,
è ovviamente auto-illusa piuttosto che auto-realizzata, perché se avesse
realizzato ciò che realmente è, avrebbe cessato di essere una persona,
essendosi fusa completamente nella e come l’infinita realtà, e quindi non
avrebbe mente e non penserebbe alcuna cosa.
Benché possiamo credere che certe persone come Sri Ramana
sperimentano ciò che realmente sono, non possiamo comprendere il loro stato
fino a che consideriamo ciascuno di essi come una persona – un individuo con un
corpo e una mente – anche se uno che ci tratta gentilmente e ci dona guida
spirituale. Fino a che sperimentiamo noi stessi come una persona, non possiamo
concepire cos’è lo stato di vera auto-esperienza, perché in quello stato niente
altro che ‘io’ esiste (non come la persona che ora sembriamo essere ma come ciò
che siamo realmente). Come Sri Ramana dice nel verso 31 di Uḷḷadu Nāṟpadu:
தன்னை யழித்தெழுந்த
தன்மயா னந்தருக்
கென்னை யுளதொன் றியற்றுதற்குத் — தன்னையலா
தன்னிய மொன்று மறியா ரவர்நிலைமை
யின்னதென் றுன்ன லெவன்.
taṉṉai yaṙitteṙunda taṉmayā ṉandaruk
keṉṉai yuḷadoṉ ḏṟiyaṯṟudaṟkut — taṉṉaiyalā
taṉṉiya moṉḏṟu maṟiyā ravarnilaimai
yiṉṉadeṉ ḏṟuṉṉa levaṉ.
keṉṉai yuḷadoṉ ḏṟiyaṯṟudaṟkut — taṉṉaiyalā
taṉṉiya moṉḏṟu maṟiyā ravarnilaimai
yiṉṉadeṉ ḏṟuṉṉa levaṉ.
பதச்சேதம்: தன்னை அழித்து எழுந்த
தன்மயானந்தருக்கு என்னை உளது ஒன்று இயற்றுதற்கு? தன்னை அலாது அன்னியம் ஒன்றும் அறியார்; அவர் நிலைமை இன்னது என்று உன்னல் எவன்?
Padacchēdam (separazione delle parole): taṉṉai aṙittu eṙunda
taṉmaya-āṉandarukku eṉṉai uḷadu oṉḏṟu iyaṯṟudaṯku? taṉṉai alādu aṉṉiyam oṉḏṟum
aṟiyār; avar nilaimai iṉṉadu eṉḏṟu uṉṉal evaṉ?
அன்வயம்: தன்னை அழித்து எழுந்த தன்மயானந்தருக்கு
இயற்றுதற்கு என்னை ஒன்று உளது? தன்னை அலாது அன்னியம் ஒன்றும் அறியார்; அவர் நிலைமை இன்னது என்று உன்னல் எவன்?
Anvayam (parole disposte in ordine di prosa naturale): taṉṉai
aṙittu eṙunda taṉmaya-āṉandarukku iyaṯṟudaṯku eṉṉai oṉḏṟu uḷadu? taṉṉai alādu aṉṉiyam
oṉḏṟum aṟiyār; avar nilaimai iṉṉadu eṉḏṟu uṉṉal evaṉ?
Traduzione: Per coloro che godono tanmayānanda [beatitudine
composta di quello’, vale a dire il nostro sé reale], che è sorto [come ‘io
sono io’] distruggendo il sé [personale] [l’ego], quale azione esiste da fare?
Essi non conoscono [o sperimentano] qualcosa diversa da sé, [così] chi può [o
come] concepire il loro stato come ‘è tale’?
Quando il nostro sé personale è distrutto dall’esperienza
della vera auto-conoscenza (che egli descrive qui come tanmayānanda, beatitudine
composta di tat, ‘esso’ o ‘quello’, la realtà assoluta chiamata brahman,
che è il nostro sé reale), la mente, il corpo e il mondo che sembravano
esistere solo nella visione di quel sé personale (l’ego) cesseranno di
esistere, e perciò nessuno allora rimarrà per fare alcuna cosa. Ciò che rimarrà
in quello stato è solo il nostro sé reale, che è senza tempo e immutabile, e
quindi privo di tutta l’azione, così poiché allora esisterà nient’altro che noi
stessi (o anche sembrerà esistere), non sperimenteremo alcuna cosa diversa da
noi stessi.
Quindi, poiché questo stato di auto-esperienza ‘senza altro’ è completamente
privo anche della minima traccia di qualche persona, ego, mente o pensiero, non
possiamo adeguatamente concepire la reale natura di questo stato fino a che
sperimentiamo noi stessi come una persona costituita da mente e corpo.
La natura ‘senza altro’ di questo stato è anche espressa da
Sri Ramana nel verso 38 di Uḷḷadu Nāṟpadu Anubandham:
தானன்றி யாருண்டு
தன்னையா ரென்சொலினென்
றான்றன்னை வாழ்த்துகினுந் தாழ்த்துகினுந் —
தானென்ன
தான்பிறரென் றோராமற் றன்னிலையிற் பேராமற்
றானென்று நின்றிடவே தான்.
tāṉaṉḏṟi yāruṇḍu taṉṉaiyā reṉcoliṉeṉ
ḏṟāṉḏṟaṉṉai vāṙttugiṉun tāṙttugiṉun — tāṉeṉṉa
tāṉbiṟareṉ ḏṟōrāmaṯ ṟaṉṉilaiyiṯ pērāmaṯ
ṟāṉeṉḏṟu niṉḏṟiḍavē tāṉ.
ḏṟāṉḏṟaṉṉai vāṙttugiṉun tāṙttugiṉun — tāṉeṉṉa
tāṉbiṟareṉ ḏṟōrāmaṯ ṟaṉṉilaiyiṯ pērāmaṯ
ṟāṉeṉḏṟu niṉḏṟiḍavē tāṉ.
பதச்சேதம்: தான் அன்றி யார்
உண்டு? தன்னை யார் என் சொலின் என்?
தான் தன்னை வாழ்த்துகினும், தாழ்த்துகினும் தான் என்ன? ‘தான்’, ‘பிறர்’ என்று ஓராமல், தன் நிலையில் பேராமல் தான் என்றும் நின்றிடவே
தான்.
Padacchēdam (separazione delle parole): tāṉ aṉḏṟi yār uṇḍu? taṉṉai
yār eṉ soliṉ eṉ? tāṉ taṉṉai vāṙttugiṉum, tāṙttugiṉum tāṉ eṉṉa? ‘ tāṉ’, ‘piṟar’
eṉḏṟu ōrāmal, taṉ ṉilaiyil pērāmal tāṉ eṉḏṟum niṉḏṟiḍa-v-ē tāṉ.
அன்வயம்: ‘தான்’, ‘பிறர்’ என்று ஓராமல்,
தன் நிலையில் பேராமல் தான்
என்றும் நின்றிடவே தான்,
தான் அன்றி யார் உண்டு? தன்னை யார் என் சொலின் என்? தான் தன்னை வாழ்த்துகினும், தாழ்த்துகினும் தான் என்ன?
Anvayam (parole disposte in ordine di prosa naturale): ‘tāṉ’,
‘piṟar’ eṉḏṟu ōrāmal, taṉ ṉilaiyil pērāmal tāṉ eṉḏṟum niṉḏṟiḍa-v-ē tāṉ, tāṉ aṉḏṟi
yār uṇḍu? taṉṉai yār eṉ soliṉ eṉ? tāṉ taṉṉai vāṙttugiṉunm, tāṙttugiṉum tāṉ eṉṉa?
Traduzione: Quando se stesso dimora sempre inseparabilmente nello stato
del sé, senza sperimentare [alcuna differenza come] ‘me stesso’ e ‘altri’, chi
c’è oltre se stesso? Se qualcuno dice qualunque cosa di se stesso, cosa
[importa]? Cosa davvero [importa] se uno loda o denigra se stesso?
Se qualcuno afferma di essere auto-realizzato tuttavia si
offende quando altri non riconoscono o credono che sia auto-realizzato, egli
sta chiaramente ancora sperimentando differenze tra ‘me stesso’ e ‘altri’, e
quindi non ha realmente sperimentato lo stato non-duale e ‘senza altro’ della
vera auto-esperienza. Poiché la nostra mente e le altre menti, i pensieri, i
corpi, le altre persone, il mondo e ogni altra cosa diversa da ‘io’ esistono
tutte solo nella visione del nostro ego, fino a che sperimentiamo ancora
qualcuna di tali cose (ogni cosa del tutto diversa da ‘io’), stiamo ancora
sperimentando noi stessi come un ego un sé personale, e quindi non stiamo
sperimentando noi stessi come siamo realmente.
Come ho menzionato precedentemente, il termine
‘auto-realizzazione’ è spesso usato per rappresentare il termine Sanscrito ātma-jñāna, e quindi il termine ‘una persona
auto-realizzata’ è nello stesso modo usato per rappresentare il termine ātma-jñāni,
poiché ‘ātma-jñāni’ è generalmente inteso significare una persona che
sperimenta ātma-jñāna o vera auto-conoscenza. Comunque, quello che
sperimenta realmente la vera auto-conoscenza non è una qualche persona ma solo
il nostro sé reale, che solo sperimenta se stesso come è realmente. Anche questa, comunque, è una definizione
piuttosto goffa di questo termine ātma-jñāni, perché quando diciamo che solo il nostro sé
reale sperimenta se stesso come è realmente, stiamo descrivendo noi stessi (ciò
che siamo realmente) come se fossimo una terza persona, così sarebbe più
appropriato dire che il termine ātma-jñāni si riferisce solo a noi
stessi, chi solo sperimenta noi stessi come siamo realmente (benché quando lo
definiamo in questo modo, ciò che intendiamo con ‘noi stessi’ è ovviamente non
l’ego o sé personale che ora sembriamo essere, ma solo il nostro sé reale – ciò
che siamo realmente).
Poiché ātma-jñāni è quindi niente altro che il nostro
infinito sé reale, quando consideriamo qualche persona un ātma-jñāni
ovviamente non stiamo riuscendo a comprendere la reale natura dello stato di ātma-jñāna,
in cui ātma-jñāni (il sé che conosce se stesso), ātma-jñāna (la
propria conoscenza di se stesso) e se stesso che è conosciuto sono tutti un uno
indivisibile. Per comprendere adeguatamente questo stato, dobbiamo noi stessi
sperimentarlo, perché fino a che sperimentiamo noi stessi come qualsiasi cosa
diversa dall’unica realtà infinita e indivisibile non possiamo che sperimentare
una distinzione tra il conoscitore (jñāni),
la conoscenza (jñāna) e il conosciuto (jñāta) in qualsiasi cosa
possiamo conoscere o sperimentare.
Comunque, anche se comprendiamo questo concettualmente, non
ci sembrerebbe giusto negare che Sri Ramana e qualche altra persona sono ātma-jñānis.
Come allora riconciliare questa contraddizione apparente? Il solo modo è di
comprendere che un ātma-jñāni come Sri Ramana non è la persona, il corpo
o la mente che sembra essere. Fino a che sperimentiamo noi stessi come una
persona, un ātma-jñāni ci sembrerà una persona con un corpo e una mente,
proprio come noi, ma secondo Sri Ramana il corpo e la mente che sembrano essere
ātma-jñāni esistono solo nell’illusa visione di ajñāni (la
persona che è auto-ignorante e quindi sperimenta se stessa come un corpo e una
mente), perché nella chiara visione di ātma-jñāni né la mente né il
corpo esistono affatto. Come gli descrive graficamente nel verso 31 di Uḷḷadu
Nāṟpadu Anubandham:
வண்டிதுயில்
வானுக்கவ் வண்டிசெல னிற்றிலொடு
வண்டிதனி யுற்றிடுதன் மானுமே — வண்டியா
மூனவுட லுள்ளே யுறங்குமெய்ஞ் ஞானிக்கு
மானதொழி னிட்டையுறக் கம்.
vaṇḍiduyil vāṉukkav vaṇḍisela ṉiṯṟiloḍu
vaṇḍidaṉi yuṯṟiḍudaṉ māṉumē — vaṇḍiyā
mūṉavuḍa luḷḷē yuṟaṅgumeyñ ñāṉikku
māṉadoṙi ṉiṭṭaiyuṟak kam.
vaṇḍidaṉi yuṯṟiḍudaṉ māṉumē — vaṇḍiyā
mūṉavuḍa luḷḷē yuṟaṅgumeyñ ñāṉikku
māṉadoṙi ṉiṭṭaiyuṟak kam.
பதச்சேதம்: வண்டி துயில்வானுக்கு
அவ் வண்டி செலல், நிற்றல் ஒடு, வண்டி தனி உற்றிடுதல் மானுமே, வண்டி ஆம் ஊன உடல் உள்ளே உறங்கும் மெய்ஞ்ஞானிக்கும் ஆன
தொழில், நிட்டை, உறக்கம்.
Padacchēdam (separazione delle parole): vaṇḍi tuyilvāṉukku a-v-vaṇḍi
selal, ṉiṯṟil oḍu, vaṇḍi taṉi uṯṟiḍudal māṉumē, vaṇḍi ām ūṉa uḍal uḷḷē uṟaṅgum
meyññāṉikkum āṉa toṙil, ṉiṭṭai, uṟakkam.
Traduzione: L’attività [nella veglia o nel sogno], il niṣṭhā
[l’inattività, l’assorbimento o il samādhi] e il sonno che stanno
[accadendo apparentemente] al mey-jñāni [il conoscitore della realtà],
che è incurante all’interno del corpo di carne, che è [come] un carro, sono
simili al carro in movimento, al carro in sosta o al carro che rimane solo [con
i buoi non aggiogati] per una persona che dorme all’interno di quel carro.
Proprio come qualcuno che si è addormentato in un carro e
che non è quindi consapevole se il carro si sta muovendo, se è fermo con i buoi
aggiogati o se è fermo senza i buoi aggiogati, ātma-jñāni è (per così
dire) addormentato in qualsiasi corpo e mente sembra essere un ātma-jñāni
nella visione di altri, così ātma-jñāni non è consapevole di qualsiasi
cosa quel corpo e quella mente possano sembrare di star facendo, o se sono solo
inattivi o addormentati.
Metaforicamente parlando, come un ajñāni stiamo dormendo rispetto a ciò che siamo realmente ma siamo svegli rispetto all’apparenza illusoria della mente, del corpo e del mondo, mentre quando sperimenteremo noi stessi come siamo realmente, come ātma-jñāni staremo dormendo rispetto all’apparenza della mente, del corpo e del mondo ma saremo completamente svegli rispetto a ciò che siamo realmente. Cioè, ātma-jñāni non sperimenta realmente qualcosa diverso dall’unico sé infinito, poiché al di fuori di quello niente esiste realmente.
Metaforicamente parlando, come un ajñāni stiamo dormendo rispetto a ciò che siamo realmente ma siamo svegli rispetto all’apparenza illusoria della mente, del corpo e del mondo, mentre quando sperimenteremo noi stessi come siamo realmente, come ātma-jñāni staremo dormendo rispetto all’apparenza della mente, del corpo e del mondo ma saremo completamente svegli rispetto a ciò che siamo realmente. Cioè, ātma-jñāni non sperimenta realmente qualcosa diverso dall’unico sé infinito, poiché al di fuori di quello niente esiste realmente.
Anche se gli antichi testi parlano come se ci fosse più che
un ātma-jñāni, e descrivono questi ātma-jñānis come se fossero
ciascuno una persona in funzione in questo mondo come un corpo e una mente, e
sebbene sono anche distinti differenti stati di questi ātma-jñānis come jīvanmukti (che
indica la liberazione mentre si è ancora vivi nel corpo) e vidēhamukti
(che indica la liberazione senza il corpo), Sri Ramana spiegò che tutte queste
descrizioni sono date e tali distinzioni sono fatte solo per soddisfare la
visione ignorante di ajñānis, che confondono ātma-jñāni come un
corpo e una mente, e quindi tali descrizioni e distinzioni sembrano essere vere
solo nella visione confusa di ajñānis. Nella chiara visione di
ātma-jñāni c’è solo un ātma-jñāni e assolutamente nessuna
distinzione tra jīvanmukti e vidēhamukti, perché questa
distinzione è basata sull’esistenza apparente del corpo, che non è mai esistito
e neppure sembrato esistere nella visione infinita del nostro sé reale, che
solo è ātma-jñāni.
Quindi, per evitare inutile confusione, dovremmo comprendere
chiaramente la differenza tra ciò che ātma-jñāni è realmente e il
corpo-mente-persona che sembra essere nella nostra visione fino a che
sperimentiamo noi stessi come un corpo e una mente, e quindi anche la
differenza tra ciò che esso sperimenta realmente e ciò che esso sembra
sperimentare per mezzo del corpo e della mente che confondiamo con esso. Se
siamo in grado di comprendere questa differenza, dovremmo anche comprendere che
non abbiamo bisogno di interessarci a domande su chi è o non è un ātma-jñāni,
perché il solo reale ātma-jñāni è il nostro sé infinito, la cui vera
natura ora sembriamo non sperimentare. Quindi, quando non sperimentiamo noi
stessi come siamo realmente, qualsiasi cosa possiamo credere di conoscere o
possiamo ipotizzare riguardo allo stato di qualcun altro è solo un’estensione
della nostra ignoranza riguardo noi stessi.
In questo contesto un poema Tamil composto da Sri Sadhu Om
chiamato யார் ஞானி? (yār
jñāni?: ‘Chi è un Jñāni?’ che è incluso in Sādhanai Sāram
come i versi 340-50 nell’attuale edizione Tamil e come i versi 280-90 nella
versione Inglese) è particolarmente attinente, così citerò questo intero poema
e darò qui di esso una traduzione Inglese:
1.
ஞானியிவ ரென்றிவரஞ் ஞானியென்று தீர்க்குமதி ஞானமோ வன்றியஞ் ஞானமோ — ஞானியொன்றே ஆனவிரு பேரா யறியுமறி யாமைகண்ட ஞானியுமஞ் ஞானவிளை வாம்.
ஞானியிவ ரென்றிவரஞ் ஞானியென்று தீர்க்குமதி ஞானமோ வன்றியஞ் ஞானமோ — ஞானியொன்றே ஆனவிரு பேரா யறியுமறி யாமைகண்ட ஞானியுமஞ் ஞானவிளை வாம்.
ñāṉiyiva reṉḏṟivarañ ñāṉiyeṉḏṟu tīrkkumati
ñāṉamō vaṉḏṟiyañ ñāṉamō — ñāṉiyoṉḏṟē
āṉaviru pērā yaṟiyumaṟi yāmaikaṇḍa
ñāṉiyumañ ñāṉaviḷai vām.
ñāṉamō vaṉḏṟiyañ ñāṉamō — ñāṉiyoṉḏṟē
āṉaviru pērā yaṟiyumaṟi yāmaikaṇḍa
ñāṉiyumañ ñāṉaviḷai vām.
பதச்சேதம்: ‘ஞானி இவர்’ என்று, ‘இவர் அஞ்ஞானி’ என்று தீர்க்கும் மதி ஞானமோ அன்றி அஞ்ஞானமோ?
ஞானி ஒன்றே. ஆன இரு பேர் ஆய் அறியும் அறியாமை
கண்ட ஞானியும் அஞ்ஞான விளைவு ஆம்.
Padacchēdam (separazione delle parole): ‘jñāṉi ivar’ eṉḏṟu,
‘ivar ajñāṉi’ eṉḏṟu tīrkkum mati jñāṉam-ō aṉḏṟi ajñāṉam-ō? jñāṉi oṉḏṟē. āṉa iru
pēr-āy aṟiyum aṟiyāmai kaṇḍa jñāṉi-y-um ajñāṉa viḷaivu ām.
Traduzione: E’ l’intelletto che decide ‘questa
persona è un jñāni’, ‘quella persona è un ajñāni’, conoscenza (jñāna) o
ignoranza (ajñāna)? Solo il jñāni esiste [e quindi è solo uno, non molti].
Perciò anche il jñāni visto dall’ignoranza [la mente] che vede [jñānis] come
molte persone è solo un prodotto di quell’ignoranza (ajñāna).
2.
நீயேவோ ரெண்ண நினதெண்ணத் தொன்றேதான் தூயோர் மகானாச் சொலப்படுவோர் — மாயமாம் அவ்வெண்ண மெவ்வாறோர் ஆன்மபர ஞானியாம் இவ்வண்ணங் காண்பா யிதை.
நீயேவோ ரெண்ண நினதெண்ணத் தொன்றேதான் தூயோர் மகானாச் சொலப்படுவோர் — மாயமாம் அவ்வெண்ண மெவ்வாறோர் ஆன்மபர ஞானியாம் இவ்வண்ணங் காண்பா யிதை.
nīyēvō reṇṇa niṉadeṇṇat toṉḏṟēdāṉ
tūyōr mahāṉāc colappaḍuvōr — māyamām
avveṇṇa mevvāṟōr āṉmapara ñāṉiyām
ivvaṇṇaṅ gāṇbā yidai.
tūyōr mahāṉāc colappaḍuvōr — māyamām
avveṇṇa mevvāṟōr āṉmapara ñāṉiyām
ivvaṇṇaṅ gāṇbā yidai.
பதச்சேதம்: நீயே ஓர் எண்ணம்.
நினது எண்ணத்து ஒன்றே தான் தூயோர் மகானா சொலப்படுவோர். மாயம் ஆம் அவ் எண்ணம் எவ்வாறு ஓர்
ஆன்மபரஞானி ஆம்? இவ்வண்ணம் காண்பாய்
இதை.
Padacchēdam (separazione delle parole): nī-y-ē ōr eṇṇam. niṉadu eṇṇattu
oṉḏṟē tāṉ tūyōr mahāṉā solappaḍuvōr. māyam ām a-vv-eṇṇam evvāṟu ōr āṉma-para-jñāṉi
ām? ivvaṇṇam kāṇbāy idai.
Traduzione: Tu stesso [l’ego che
vede altri] sei un mero pensiero. [Quindi] la persona che è detta [da te,
questo primo pensiero] essere una persona santa o mahatma [una grande
anima] è solo uno tra i tuoi pensieri. Come può quel pensiero, che è [un
illusorio prodotto di] māyā [la
tua ingannevole auto-ignoranza], essere ātma-para-jñāni [il trascendente
conoscitore del sé]? In questo modo considera [o riconosci] questo.
3.
நல்லோ ரிவர்ஞானி நாமறிவோ மென்பதும்பொய்
எல்லோரும் ஞானிகளே யென்பதும் பொய் — பல்லோ
ரிருப்பதாய்க் காணலறி வின்மையடை யாளம்;
ஒருத்தனே யுண்டதுநீ யோர்.
nallō rivarñāṉi nāmaṟivō meṉbadumboy
ellōrum ñāṉigaḷē yeṉbadum poy — pallō
riruppadāyk kāṇalaṟi viṉmaiyaḍai yāḷam;
oruttaṉē yuṇḍadunī yōr.
ellōrum ñāṉigaḷē yeṉbadum poy — pallō
riruppadāyk kāṇalaṟi viṉmaiyaḍai yāḷam;
oruttaṉē yuṇḍadunī yōr.
பதச்சேதம்: ‘நல்லோர் இவர், ஞானி, நாம் அறிவோம்’ என்பதும் பொய்.
‘எல்லோரும் ஞானிகளே’ என்பதும் பொய். பல்லோர் இருப்பதாய் காணல் அறிவின்மை அடையாளம். ஒருத்தனே
உண்டு: அது நீ ஓர்.
Padacchēdam (separazione delle parole): ‘nallōr ivar, ñāṉi,
nām aṟivōm’ eṉbadum poy. ‘ellōrum jñāṉigaḷē’ eṉbadum poy. pallōr iruppadāy kāṇal
aṟiviṉmai aḍaiyāḷam. oruttaṉ-ē uṇḍu: adu nī ōr.
Traduzione: Anche dire ‘questa
persona è una buona anima, un jñāni, lo sappiamo’ non è vero. Dire
‘tutte le persone sono jñāni’ è anche non vero, [perché] vedere come se
molte persone esistono è un segno definitivo di ignoranza. Solo una persona
esiste realmente: sappi che quello sei tu
[tat tvam asi].
4.
ஞானிக்கஞ் ஞானியில்லை ஞானியென்றஞ் ஞானியொரு மேனிக்கே நாம மிடுகின்றான் — ஞானியையும் தேகமாய்க் காணுந் திருட்டியினா லஞ்ஞானி யாகவே கண்டோ னவன்.
ஞானிக்கஞ் ஞானியில்லை ஞானியென்றஞ் ஞானியொரு மேனிக்கே நாம மிடுகின்றான் — ஞானியையும் தேகமாய்க் காணுந் திருட்டியினா லஞ்ஞானி யாகவே கண்டோ னவன்.
ñāṉikkañ ñāṉiyillai ñāṉiyeṉḏṟañ ñāṉiyoru
mēṉikkē nāma miḍugiṉḏṟāṉ — ñāṉiyaiyum
dēhamāyk kāṇun diruṭṭiyiṉā laññāṉi
yāhavē kaṇḍō ṉavaṉ.
mēṉikkē nāma miḍugiṉḏṟāṉ — ñāṉiyaiyum
dēhamāyk kāṇun diruṭṭiyiṉā laññāṉi
yāhavē kaṇḍō ṉavaṉ.
பதச்சேதம்: ஞானிக்கு அஞ்ஞானி
இல்லை. ஞானி என்று அஞ்ஞானி ஒரு மேனிக்கே நாமம் இடுகின்றான். ஞானியையும் தேகமாய் காணும்
திருட்டியினால் அஞ்ஞானியாகவே கண்டோன் அவன்.
Padacchēdam (separazione delle parole): jñāṉikku ajñāṉi illai.
jñāṉi eṉḏṟu ajñāṉi oru mēṉikkē nāmam iḍugiṉḏṟāṉ. jñāṉiyai-y-um dēham-āy kāṇum
diruṭṭiyiṉāl ajñāṉiyāhavē kaṇḍōṉ avaṉ.
Traduzione: Per il jñāni
non c’è ajñāni [poiché nella
visione del jñāni nessuna persona o qualsiasi altra cosa diversa dal
nostro unico sé eternamente auto-consapevole esiste realmente]. L’ajñāni
applica il nome ‘jñāni’ solo a un corpo. Per questa [erronea] visione
che vede anche il jñāni come un corpo, egli [l’ajñāni] vede [il jñāni]
soltanto come un ajñāni.
5.
எத்தனைமான் மாக்களிட மேகினுநீ யாவரட்ட சித்திகளைக் காட்டினுமச் சேட்டைகளிற் — புத்திசெலா துண்முகமா கென்றா ருனைத்திருப்பு வாரவர்தா னுண்மைமகா னென்றே யுணர்.
எத்தனைமான் மாக்களிட மேகினுநீ யாவரட்ட சித்திகளைக் காட்டினுமச் சேட்டைகளிற் — புத்திசெலா துண்முகமா கென்றா ருனைத்திருப்பு வாரவர்தா னுண்மைமகா னென்றே யுணர்.
ettaṉaimāṉ mākkaḷiḍa mēgiṉunī yāvaraṭṭa
siddhigaḷaik kāṭṭiṉumac cēṭṭaigaḷiṟ — buddhiselā
duṇmukamā keṉḏṟā ruṉaittiruppu vāravartā
ṉuṇmaimahā ṉeṉḏṟē yuṇar.
siddhigaḷaik kāṭṭiṉumac cēṭṭaigaḷiṟ — buddhiselā
duṇmukamā keṉḏṟā ruṉaittiruppu vāravartā
ṉuṇmaimahā ṉeṉḏṟē yuṇar.
பதச்சேதம்: எத்தனை மான்மாக்களிடம்
ஏகினும் நீ, யாவர் அட்ட சித்திகளை காட்டினும், ‘அச் சேட்டைகளில் புத்தி செலாது உண்முகம் ஆகு’
என்று ஆர் உனை திருப்புவார், அவர் தான் உண்மை மகான் என்றே உணர்.
Padacchēdam (separazione delle parole): ettaṉai māṉmākkaḷiḍam
ēgiṉum nī, yāvar aṭṭa siddhigaḷai kāṭṭiṉum, ‘a-c-cēṭṭaigaḷil buddhi selādu uṇmukam
āku’ eṉḏṟu ār uṉai tiruppuvār, avar tāṉ uṇmai mahāṉ eṉḏṟē uṇar.
Traduzione: Anche se puoi andare da molti mahātmas, e anche se ognuno di
essi può esibire gli aṣṭa siddhis [le otto specie di poteri soprannaturali
descritti nei testi yōgici], sappi che solo chiunque ti volge
[interiormente per investigare te stesso] dicendo, ‘Invece di lasciare che la
tua mente si espanda [all’inseguimento di] tali inganni, rivolgiti all’interno’,
è un vero mahātma [grande anima].
6.
மகான்மாக் களைத்தேடி வானிமயங் கானம் புகான்மாதா னெங்கென்றுட் புக்கு — சுகான்ம சொரூபமா கட்டுமுன் தோன்றுமகா னெல்லாம் சொரூபமீ தேரமணன் சொல்.
மகான்மாக் களைத்தேடி வானிமயங் கானம் புகான்மாதா னெங்கென்றுட் புக்கு — சுகான்ம சொரூபமா கட்டுமுன் தோன்றுமகா னெல்லாம் சொரூபமீ தேரமணன் சொல்.
mahāṉmāk kaḷaittēḍi vāṉimayaṅ kāṉam
puhāṉmātā ṉeṅgeṉḏṟuḍ pukku — sukhāṉma
sorūpamā kaṭṭumuṉ tōṉḏṟumahā ṉellām
sorūpamī dēramaṇaṉ sol.
puhāṉmātā ṉeṅgeṉḏṟuḍ pukku — sukhāṉma
sorūpamā kaṭṭumuṉ tōṉḏṟumahā ṉellām
sorūpamī dēramaṇaṉ sol.
பதச்சேதம்: மகான்மாக்களை தேடி
வான் இமயம் கானம் புகு ஆன்மா ‘தான் எங்கு’ என்று உள் புக்கு
சுகான்ம சொரூபம் ஆகட்டும். முன் தோன்றும் மகான் எல்லாம் சொரூபம். ஈதே ரமணன் சொல்.
Padacchēdam (separazione delle parole): mahāṉmākkaḷai tēḍi vāṉ
imayam kāṉam puhu āṉmā ‘tāṉ eṅgu’ eṉḏṟu uḷ pukku sukhāṉma-sorūpam āhaṭṭum. muṉ
tōṉḏṟum mahāṉ ellām sorūpam. īdē ramaṇaṉ sol.
Traduzione: Possa l’ātman [la persona o jivātman] che va nel
vasto Himalaya e nelle foreste cercando i mahātmas [invece] divenire sukhātma-svarūpa
[il sé eternamente beato] andando all’interno cercando dove è se stesso. Tutti
i mahātmas che erano precedentemente apparsi di fronte [come se fossero
altre persone] allora [saranno conosciuti] come svarūpa [il nostro sé]. Questo
è ciò che disse Sri Ramana.
7.
தன்னையறி முன்னந் தவசியரைத் தானறித
லென்ன விதத்து மியலாது — தன்னை
யொருசீவ னென்ற வுணர்வை யொழிக்கும்
பெருமுயற்சி யொன்றே பிடி.
taṉṉaiyaṟi muṉṉan
tavasiyarait tāṉaṟida
leṉṉa vidhattu miyalādu — taṉṉai
yorujīva ṉeṉḏṟa vuṇarvai yoṙikkum
perumuyaṯci yoṉḏṟē piḍi.
leṉṉa vidhattu miyalādu — taṉṉai
yorujīva ṉeṉḏṟa vuṇarvai yoṙikkum
perumuyaṯci yoṉḏṟē piḍi.
பதச்சேதம்: தன்னை அறி முன்னம் தவசியரை தான் அறிதல் என்ன விதத்தும் இயலாது. தன்னை ஒரு
சீவன் என்ற உணர்வை ஒழிக்கும் பெரு முயற்சி ஒன்றே பிடி.
Padacchēdam (separazione delle parole): taṉṉai aṟi muṉṉam
tavasiyarai tāṉ aṟidal eṉṉa vidhattum iyalādu. taṉṉai oru jīvaṉ eṉḏṟa uṇarvai oṙikkum
peru muyaṯci oṉḏṟē piḍi.
Traduzione: Prima che uno conosca se stesso, che se stesso
conosca [la reale natura di] tapasvis [coloro che sono per sempre fusi
nello stato senza ego di ātma-jñāna, che solo è il vero tapas] non
è in alcun modo possibile. [Quindi abbandonando tutti i futili sforzi per
conoscere chi è un reale jñāṉi] aggrappati solo all’elevato sforzo [vale
a dire ātma-vicāra o auto-investigazione] che distruggerà [la tua
illusoria] consapevolezza di te stesso come un jiva [una persona o ego].
8.
ஞானியரஞ் ஞானியென்று நாடும் விருத்தியினித்
தானெழுந்தாற் சட்டென்று தள்ளிவிட்டு — ‘நானியார்’
என்றவ் விருத்தி யெழுந்தவிடத் துட்டிருப்பி
யொன்றுவதி லேகவன மூன்று.
ñāṉiyarañ ñāṉiyeṉḏṟu nāḍum viruttiyiṉit
tāṉeṙundāṯ caṭṭeṉḏṟu taḷḷiviṭṭu — nāṉiyār
eṉḏṟav virutti yeṙundaviḍat tuṭṭiruppi
yoṉḏṟuvadi lēgavaṉa mūṉḏṟu.
tāṉeṙundāṯ caṭṭeṉḏṟu taḷḷiviṭṭu — nāṉiyār
eṉḏṟav virutti yeṙundaviḍat tuṭṭiruppi
yoṉḏṟuvadi lēgavaṉa mūṉḏṟu.
பதச்சேதம்: ஞானியர் அஞ்ஞானி
என்று நாடும் விருத்தி இனி தான் எழுந்தால், சட் என்று தள்ளிவிட்டு நான் யார் என்று அவ் விருத்தி எழுந்த
இடத்து உள் திருப்பி ஒன்று அதிலே கவனம் ஊன்று.
Padacchēdam (separazione delle parole): jñāṉiyar ajñāṉi eṉḏṟu
nāḍum virutti iṉi tāṉ eṙundāl, saṭ eṉḏṟu taḷḷi-viṭṭu nāṉ yār eṉḏṟu av virutti eṙunda
iḍattu uḷ tiruppi oṉḏṟu adilē gavaṉam ūṉḏṟu.
Traduzione: Se qualche pensiero sorge [in te] volendo conoscere [se
qualcuno è] un jñāni o un ajñāni, rigettandolo immediatamente
[per mezzo del] rivolgerti all’interno investigando chi sono io [questo ego che
vuole determinare lo stato di altri], fissa la tua attenzione e fonditi solo
nella sorgente [tu stesso] dalla quale quel pensiero è sorto.
9.
இவர்ஞானி யஞ்ஞானி யென்றறிதல் விட்டே அவரிருப்ப தாக வறிவோர் — எவரென் றுசாவவது நானென் றுதிப்பவனை யாரென் றுசாவுகமெய்ஞ் ஞானியுதிப் பான்.
இவர்ஞானி யஞ்ஞானி யென்றறிதல் விட்டே அவரிருப்ப தாக வறிவோர் — எவரென் றுசாவவது நானென் றுதிப்பவனை யாரென் றுசாவுகமெய்ஞ் ஞானியுதிப் பான்.
ivarñāṉi yaññāṉi yeṉḏṟaṟidal viṭṭē
avariruppa dāha vaṟivōr — evareṉ
ṟucāvavadu nāṉeṉ ḏṟudippavaṉai yāreṉ
ṟucāvuhameyñ ñāṉiyudip pāṉ.
avariruppa dāha vaṟivōr — evareṉ
ṟucāvavadu nāṉeṉ ḏṟudippavaṉai yāreṉ
ṟucāvuhameyñ ñāṉiyudip pāṉ.
பதச்சேதம்: இவர் ஞானி அஞ்ஞானி
என்று அறிதல் விட்டே, அவர் இருப்பதாக அறிவோர் எவர் என்று
உசாவ, அது நான் என்று உதிப்பவனை
யார் என்று உசாவுக. மெய்ஞ்ஞானி உதிப்பான்.
Padacchēdam (separazione delle parole): ivar jñāṉi ajñāṉi eṉḏṟu
aṟidal viṭṭē, avar iruppadāha aṟivōr evar eṉḏṟu ucāva, adu nāṉ eṉḏṟu udippavaṉai
yār eṉḏṟu ucāvuha. mey-jñāṉi udippāṉ.
Traduzione: Rinunciando a cercare di determinare se queste persone sono jñānis
o ajñānis, quando uno investiga chi è quello che li percepisce come
esistenti, sarà chiaro che è ‘io’, così investiga chi è questo ‘io’ che sorge. Il
vero jñāni [allora] risplenderà [come
il tuo proprio sé, la tua pura auto-consapevolezza ‘io sono io’].
10.
யாரானால் ஞானி நமக்கென்ன நாம்நம்மைப் பாராத மட்டும் பயனில்லை — ஆராயின் ஞானமே ஞானி நரவடிவ மன்றுபர வானமே நாமவ் வடிவு.
யாரானால் ஞானி நமக்கென்ன நாம்நம்மைப் பாராத மட்டும் பயனில்லை — ஆராயின் ஞானமே ஞானி நரவடிவ மன்றுபர வானமே நாமவ் வடிவு.
yārāṉāl ñāṉi namakkeṉṉa nāmnammaip
pārāda maṭṭum payaṉillai — ārāyiṉ
ñāṉamē ñāṉi naravaḍiva maṉḏṟupara
vāṉamē nāmav vaḍivu.
pārāda maṭṭum payaṉillai — ārāyiṉ
ñāṉamē ñāṉi naravaḍiva maṉḏṟupara
vāṉamē nāmav vaḍivu.
பதச்சேதம்: யார் ஆனால் ஞானி
நமக்கு என்ன? நாம் நம்மை பாராத
மட்டும் பயன் இல்லை. ஆராயின் ஞானமே ஞானி. நர வடிவம் அன்று. பர வானமே. நாம்
அவ்வடிவு.
Padacchēdam (separazione delle parole): yār āṉāl jñāṉi namakku
eṉṉa? nām nammai pārāda maṭṭum payaṉ illai. ārāyiṉ jñāṉam-ē jñāṉi. nara vaḍivam
aṉḏṟu. para-vāṉam-ē. nām a-v-vaḍivu.
Traduzione: Chiunque può essere un jñāni, cosa significa questo per
noi? Fino a che non conosciamo noi stessi, ciò sarà di nessun beneficio. Se
investighiamo, solo jñāna è il jñāni. Esso [il jñāni] non
è una forma umana. E’ solo lo spazio trascendente [della pura
auto-consapevolezza]. Noi siamo quella forma [lo spazio trascendente di
auto-consapevolezza].
11.
ஆகவே ஞானி யவரிவரென் றாய்மதியைச் சாகவே செய்வாய்வி சாரணையால் — ஏகமாய் நானிதுவென் றுந்தியெழா ஞானமே ஞானியென மோனமதாற் காணல் முறை.
ஆகவே ஞானி யவரிவரென் றாய்மதியைச் சாகவே செய்வாய்வி சாரணையால் — ஏகமாய் நானிதுவென் றுந்தியெழா ஞானமே ஞானியென மோனமதாற் காணல் முறை.
āhavē ñāṉi yavarivareṉ ḏṟāymatiyaic
sāhavē seyvāyvi cāraṇaiyāl — ēkamāy
nāṉiduveṉ ḏṟundiyeṙā ñāṉamē ñāṉiyeṉa
mōṉamadāṟ kāṇal muṟai.
sāhavē seyvāyvi cāraṇaiyāl — ēkamāy
nāṉiduveṉ ḏṟundiyeṙā ñāṉamē ñāṉiyeṉa
mōṉamadāṟ kāṇal muṟai.
பதச்சேதம்: ஆகவே ஞானி அவர் இவர்
என்று ஆய் மதியை சாகவே செய்வாய் விசாரணையால். ஏகமாய் நான் இது என்று உந்தி எழா ஞானமே ஞானி
என மோனம் அதால் காணல் முறை.
Padacchēdam (separazione delle parole): āhavē jñāṉi avar ivar
eṉḏṟu āy matiyai sāhavē seyvāy vicāraṇaiyāl. ēkam-āy nāṉ idu eṉḏṟu undi eṙā jñāṉam-ē
jñāṉi eṉa mōṉam adāl kāṇal muṟai.
Traduzione: Quindi, per mezzo dell’auto-investigazione [ātma-vicāra]
annienta la futile mente che cerca di sapere se questa persona o quella persona
è un jñāni. Il modo corretto [di vedere il jñāni] è vedere per
mezzo del silenzio [lo stato in cui la
mente non è mai esistita] che solo jñāna, che essendo uno [la sola
realtà esistente] non sorge e non salta fuori come ‘io sono questo’, è il jñāni.
In ciascuno dei due versi finali di questo poema Sri Sadhu Om dice ‘ஞானமே ஞானி’ (jñāṉam-ē jñāṉi),
che significa ‘jñāna solo è il jñāni’. Jñāna significa conoscere o conoscenza,
e jñāni significa conoscitore o
ciò che conosce, ma generalmente nel contesto degli insegnamenti di Sri Ramana
e della filosofia advaita jñāna
significa in modo specifico conoscenza nel senso di pura auto-consapevolezza,
la nostra fondamentale conoscenza ‘io sono’, e jñāni di conseguenza
significa quello che è così consapevole di se stesso. Poiché siamo consapevoli
di noi stessi, e poiché il sé di cui siamo consapevoli non è altro che noi, il
‘noi’ (o ‘io’) che è consapevole di esso, la pura auto-consapevolezza è
un’esperienza non-duale – un’esperienza in cui non c’è assolutamente
distinzione tra lo sperimentatore (il noi stessi che sperimenta) e lo
sperimentato (il noi stessi che è sperimentato). Inoltre, poiché essere
auto-consapevoli è la nostra vera natura, la nostra consapevolezza di noi
stessi non è qualcosa diversa da noi stessi. Quindi, poiché la pura
auto-consapevolezza non-duale è ciò che la parola ‘jñāna’ indica in questo contesto, il jñāni
o conoscitore che sperimenta tale jñāna non può essere diverso da quello
stesso jñāna.
Quindi jñāna (nel senso di ātma-jñāna –
auto-conoscenza o pura auto-consapevolezza) è il nostro sé reale, e quindi
nella prima frase del verso 13 di Uḷḷadu Nāṟpadu Sri Ramana dice ‘ஞானம் ஆம் தானே மெய்’ (jñāṉam ām tāṉ-ē
mey), che significa ‘solo il sé, che è jñāna, è reale’. Per rendere
chiaro che il jñāna a cui si riferisce qui è assolutamente non-duale,
solitario e privo di qualsiasi alterità, nella frase successiva egli lo
distingue da qualsiasi conoscenza della molteplicità, diversità, varietà o
alterità dicendo ‘நானா ஆம் ஞானம் அஞ்ஞானம் ஆம்’
(nāṉā ām jñāṉam ajñāṉam ām), che significa ‘conoscenza dei molti è ajñāna’.
நானா ஆம் ஞானம் (nāṉā ām jñāṉam)
significa letteralmente ‘conoscenza che
è molteplice’ o ‘conoscenza che diviene molteplice’, ma in questo contesto è
usata con il significato di conoscenza dei molti, come è chiaro da una versione
precedente di questo verso, che è ora il verso 12 di Upadēśa Taṉippākkaḷ,
in cui la frase equivalente che usò nel secondo periodo fu ‘நானாவாய் காண்கின்ற ஞானம்’ (nāṉā-v-āy kāṇgiṉḏṟa
jñāṉam), che significa ‘conoscenza che vede i molti’.
La ‘conoscenza che vede i molti’ è il nostro ego o mente,
che è la confusa conoscenza o adulterata auto-conoscenza ‘io sono questo’ (in
cui ‘questo’ rappresenta ogni cosa diversa dalla nostra pura
auto-consapevolezza ‘io sono’). La natura di questo ego è sperimentare cose
diverse da se stesso, ed esso non può sorgere o durare come tale senza
sperimentare cose diverse da se stesso. Quindi non appena cerca di sperimentare
se stesso (‘io’) solamente, inizia a sprofondare, e se riesce a sperimentare se
stesso solamente, si fonderà per sempre nella sua sorgente, che è noi stessi,
la pura conoscenza (jñāna) non-duale ‘io sono’.
L’ego e la sua conoscenza della molteplicità sono entrambi
irreali, perché non esistono realmente ma solo sembrano esistere. Comunque, la
loro apparente esistenza dipende sull’effettiva esistenza del nostro sé reale,
poiché non potrebbero sembrare di esistere se noi (il nostro sé reale) non
esistesse realmente, così noi solo siamo l’unica sostanza reale che ora sembra
essere un ego e tutte le diverse cose che esso sperimenta, propri come l’oro è
l’unica sostanza che sembra essere una varietà diversa di ornamenti d’oro, come
Sri Ramana dice nella seconda metà del verso 13 di Uḷḷadu Nāṟpadu:
ஞானமாந் தானேமெய்
நானாவா ஞானமஞ்
ஞானமாம் பொய்யாமஞ் ஞானமுமே — ஞானமாந்
தன்னையன்றி யின்றணிக டாம்பலவும் பொய்மெய்யாம்
பொன்னையன்றி யுண்டோ புகல்.
ñāṉamān tāṉēmey nāṉāvā ñāṉamañ
ñāṉamām poyyāmañ ñāṉamumē —ñāṉamān
taṉṉaiyaṉḏṟi yiṉḏṟaṇika ḍāmpalavum poymeyyām
poṉṉaiyaṉḏṟi yuṇḍō puhal.
ñāṉamām poyyāmañ ñāṉamumē —ñāṉamān
taṉṉaiyaṉḏṟi yiṉḏṟaṇika ḍāmpalavum poymeyyām
poṉṉaiyaṉḏṟi yuṇḍō puhal.
பதச்சேதம்: ஞானம் ஆம் தானே மெய்.
நானா ஆம் ஞானம் அஞ்ஞானம் ஆம். பொய் ஆம் அஞ்ஞானமுமே ஞானம் ஆம் தன்னை அன்றி இன்று. அணிகள் தாம்
பலவும் பொய்; மெய் ஆம் பொன்னை
அன்றி உண்டோ? புகல்.
Padacchēdam (separazione delle parole): jñāṉam ām tāṉē mey. nāṉā
ām jñāṉam ajñāṉam ām. poy ām ajñāṉamumē jñāṉam ām taṉṉai aṉḏṟi iṉḏṟu. aṇikaḷ
tām palavum poy; mey ām poṉṉai aṉḏṟi uṇḍō? puhal.
Traduzione: Solo il sé, che è conoscenza (jñāna), è reale. La
conoscenza che è molteplice è ignoranza (ajñāna). Anche [questa]
ignoranza, che è irreale, non esiste oltre a sé, che è conoscenza. Tutti i
molti ornamenti sono irreali; diciamo forse che essi esistono oltre all’oro,
che è reale?
Poiché l’oro è una sostanza fisica, può essere diviso e
sagomato in un’infinita varietà di forme, e qualsiasi forma prende non nasconde
realmente il fatto che è oro. Quindi, benché la varietà degli ornamenti fatti
d’oro è una buona analogia per illustrare come una sostanza può apparire in
molte forme, non dovremmo cercare di estendere questa analogia troppo in là,
perché a differenza dell’oro il nostro sé reale non può essere diviso in molte parti,
e mai diviene realmente qualche forma differente. Questo è il motivo per cui
Sri Ramana enfatizza qui che la conoscenza dei molti non è solo ignoranza ma
anche irreale. Mentre l’oro è realmente
formato in molti ornamenti diversi, il sé è immutabile, di conseguenza mai
cambia o diviene qualcosa, e quindi l’ego e le sue esperienze dei molti sono
solo un’illusione o una falsa apparenza.
L’apparenza di ogni cosa – tutta la dualità, la
molteplicità, la diversità, la varietà e l’alterità – è sperimentata solo
dall’ego, così essa dipende interamente sull’apparenza dell’ego, come Sri
Ramana dice nel verso 26 di Uḷḷadu Nāṟpadu:
அகந்தையுண் டாயி
னனைத்துமுண் டாகு
மகந்தையின் றேலின் றனைத்து — மகந்தையே
யாவுமா மாதலால் யாதிதென்று நாடலே
யோவுதல் யாவுமென வோர்.
ahandaiyuṇ ḍāyi ṉaṉaittumuṇ ḍāhu
mahandaiyiṉ ḏṟēliṉ ḏṟaṉaittu — mahandaiyē
yāvumā mādalāl yādideṉḏṟu nādalē
yōvudal yāvumeṉa vōr.
mahandaiyiṉ ḏṟēliṉ ḏṟaṉaittu — mahandaiyē
yāvumā mādalāl yādideṉḏṟu nādalē
yōvudal yāvumeṉa vōr.
பதச்சேதம்: அகந்தை உண்டாயின்,
அனைத்தும் உண்டாகும்; அகந்தை இன்றேல், இன்று அனைத்தும். அகந்தையே யாவும் ஆம். ஆதலால், யாது இது என்று நாடலே ஓவுதல் யாவும் என ஓர்.
Padacchēdam (separazione delle parole): ahandai uṇḍāyiṉ, aṉaittum
uṇḍāhum; ahandai iṉḏṟēl, iṉḏṟu aṉaittum. ahandai-y-ē yāvum ām. ādalāl, yādu idu
eṉḏṟu nādal-ē ōvudal yāvum eṉa ōr.
அன்வயம்: அகந்தை உண்டாயின்,
அனைத்தும் உண்டாகும்; அகந்தை இன்றேல், அனைத்தும் இன்று. யாவும் அகந்தையே ஆம். ஆதலால், யாது இது என்று நாடலே யாவும் ஓவுதல் என ஓர்.
Anvayam (parole disposte in ordine di prosa naturale): ahandai
uṇḍāyiṉ, aṉaittum uṇḍāhum; ahandai iṉḏṟēl, aṉaittum iṉḏṟu. yāvum ahandai-y-ē
ām. ādalāl, yādu idu eṉḏṟu nādal-ē yāvum ōvudal eṉa ōr.
Traduzione: Se l’ego ha origine, ogni cosa ha origine; se l’ego non
esiste, ogni cosa non esiste. [Quindi] l’ego stesso è ogni cosa [o ogni cosa è
solo l’ego]. Perciò, sappi che solo investigare cosa è questo [ego] è
rinunciare a ogni cosa.
Poiché l’ego è solo un’erronea esperienza di noi stessi, se
investighiamo cercando di sperimentare noi stessi solamente, senza sperimentare
anche la minima traccia di qualsiasi altra cosa, e se quindi sperimentiamo noi
stessi come siamo realmente, l’ego sarà distrutto interamente, e quindi ogni
altra cosa cesserà di esistere. Questo è il motivo per cui Sri Ramana termina
questo verso dicendo, , ‘ஆதலால், யாது இது என்று நாடலே ஓவுதல் யாவும் என ஓர்’
(ādalāl, yādu idu eṉḏṟu nādal-ē ōvudal yāvum eṉa ōr), ‘Perciò, sappi che
investigare cos’è questo [ego] è rinunciare a ogni cosa’.
Quindi nello stato di ātma-jñāna – lo stato in cui
sperimentiamo noi stessi come siamo realmente – non c’è assolutamente ego e
quindi nessuna esperienza di qualunque altra cosa. Poiché l’intera molteplicità
di altre cose sembra esistere solo nella visione auto-ignorante dell’ego,
quando l’ego è distrutto dall’esperienza di ātma-jñāna essa non sembrerà
più esistere, perché in assenza dell’ego non ci sarà niente da sperimentare
diverso da noi stessi, la pura conoscenza non-duale ‘io sono’.
Dato che ātma-jñāna è un’esperienza completamente
priva anche della minima esperienza di dualità, diversità, molteplicità o
alterità, non c’è niente altro che possa sperimentare ātma-jñāna tranne
che lo stesso ātma-jñāna. Quindi come Sri Sadhu Om dice: ‘ஞானமே ஞானி’ (jñāṉam-ē jñāṉi), ‘solo jñāna
è il jñāni’. Non c’è jñāni tranne che lo stesso jñāna, e jñāna
non è nient’altro che il nostro sé reale, l’unica conoscenza non-duale o
auto-consapevolezza che sperimenta solo se stessa e non qualunque altra cosa.
Quindi l’ātma-jñāni non è una persona – un corpo
umano o una mente – ma solo il nostro infinito sé, ed esso non sperimenta
niente altro che noi stessi. Quindi l’ātma-jñāni non è qualcosa diversa
da noi stessi, così possiamo veramente ‘vedere’ l’ātma-jñāni solo sperimentando noi stessi come siamo
realmente. Quindi fino a che sperimentiamo noi stessi come siamo realmente,
qualsiasi cosa possiamo credere di conoscere riguardo l’ātma-jñāni o lo
stato di ātma-jñāna è solo un’idea, un pensiero che sorge nella nostra
mente ed è quindi solo un altro prodotto della nostra auto-ignoranza (ajñāna).
Comunque, anche se la nostra mente non può concepire lo
stato di ātma-jñāni, possiamo almeno evitare alcune delle peggiori idee
sbagliate che sono prevalenti riguardo l’ātma-jñāni, come che l’ātma-jñāni
è una persona con un corpo e una mente, o che l’ātma-jñāni sperimenta il
mondo come noi. Possiamo anche evitare di essere ingannati da chiunque afferma ‘io
sono un ātma-jñāni’ o ‘io ho realizzato me stesso’, perché sebbene l’ātma-jñāni
può qualche volta apparire nella nostra esperienza come se fosse una ‘persona’
come Sri Ramana, una tale ‘persona’ è completamente priva di ego e quindi si
comporterà con perfetta umiltà, e non dichiarerà di essere qualcosa di
speciale, poiché non vede differenze tra se stesso e ‘altri’. Per esempio, in
risposta a qualcuno che gli disse, ‘La tua realizzazione è unica nella storia
spirituale del mondo’, Sri Ramana rispose in Inglese: ‘Ciò che è reale in me è
reale in te e in chiunque altro. Dov’è il motivo per qualche differenza?’ Tale
modesta umiltà è forse il più sicuro segno esteriore di ātma-jñāna, se
mai qualcosa di esterno possa essere definito un segno di ciò.
Poiché solo ‘noi stessi, che è jñāna, è reale’ (come
Sri Ramana dice nel verso 13 di Uḷḷadu Nāṟpadu), e poiché il jñāni
è quindi niente altro che lo stesso jñāna, esso rimane sempre come è,
immutabile e senza mai fare nulla, in questo modo non diviene realmente una
persona o una forma umana. Comunque, dalla prospettiva auto-ignorante del
nostro ego qualche volta sembra apparire in una forma umana come Sri Ramana, ma
dopo aver studiato i suoi insegnamenti dovremmo comprendere che il jñāni non è realmente qualsiasi forma
umana che possa sembrare essere, e che la sola ragione della sua apparizione in
una tale forma umana è per insegnarci che per sperimentare ciò che è reale
dobbiamo rivolgere la nostra attenzione all’interno, verso noi stessi
solamente, e quindi cercare di sperimentare noi stessi come siamo realmente.
Questa è perciò un’altra ragione per non permettere alla
nostra attenzione di andare all’esterno nel tentativo di conoscere se questa o
quella persona è un jñāni. Cercare di conoscere se qualche persona è un jñāni
o no è un futile sforzo, non solo perché non possiamo conoscere realmente lo
stato interiore di chiunque altro fino a che non conosciamo cosa siamo noi
stessi, ma anche perché cercare di conoscere di altri distrae senza motivo la
nostra attenzione dal cercare di sperimentare ciò che siamo realmente. Anche se
decidiamo che qualcuno come Sri Ramana è un jñāni, e anche se questo è
in un certo senso vero (almeno dalla limitata prospettiva del nostro ego), non
possiamo veramente comprendere il suo stato o cosa significa realmente essere
un jñāni, perché qualsiasi idea possiamo avere riguardo ciò è
sicuramente non precisa, dato che lo possiamo concepire solo in termini di ciò
che ora sperimentiamo, che secondo lui è solo ignoranza (ajñāna).
L’idea comune che un jñāni è una persona che conosce ātman, ‘il Sé’,
ma che conosce anche la molteplicità e la diversità del mondo fisico e degli
eventi che accadono nel tempo e nello spazio, è un concetto smisuratamente
errato che è risultato dalla nostra auto-ignoranza – la nostra confusione
fondamentale che siamo un corpo e una mente. Quindi fino a che ci liberiamo
dalla nostra attuale auto-ignoranza sperimentando noi stessi come siamo
realmente, qualsiasi idea possiamo avere riguardo l’esperienza del jñāni
è ben al di sotto di quello che è in realtà. Comunque, anche se la nostra mente
non conoscere cos’è quella esperienza, possiamo in una certa misura almeno
comprendere cosa non è, e una cosa che non è certamente è un’esperienza di
qualche molteplicità o differenza, o di qualsiasi altra cosa diversa da noi
stessi solamente.
Fino a che pensiamo
che un jñāni è una persona o che egli o ella sperimenta qualsiasi
cosa diversa da ‘io’, apriamo la porta a numerose altre idee sbagliate. Una
comune idea sbagliata è che ci sono stati differenti o gradi differenti di ātma-jñāna
o auto-realizzazione. Per esempio, alcune persone parlano di altri esseri ‘pienamente
realizzati’ o ‘parzialmente realizzati’, mentre di fatto non c’è una cosa come
parziale ātma-jñāna o auto-realizzazione, perché o sperimentiamo noi
stessi come siamo realmente o sperimentiamo noi stessi come qualcos’altro. Fino
a che sperimentiamo noi stessi come qualsiasi altra cosa diversa da ciò che
siamo realmente, non siamo auto-realizzati o anche parzialmente
auto-realizzati, ma siamo ancora immersi nell’auto-ignoranza.
Comunque, anche se non ci possono essere gradi di ātma-jñāna
(o qualche differenza in esso), potremmo dire che ci sono gradi di ajñāna
nel senso che essa può essere più o meno densa. Più forte è il nostro desiderio
a sperimentare qualsiasi cosa diversa da noi stessi, più densa è la nostra ajñāna,
per così dire, perché tale desiderio è ciò che ci impedisce di sperimentare noi
stessi come siamo realmente. Quindi, se vogliamo progredire sul sentiero verso ātma-jñāna,
dobbiamo indebolire i nostri desideri di sperimentare qualsiasi cosa diversa da
noi stessi e in corrispondenza aumentare il nostro amore per sperimentare noi
stessi solamente, e il solo modo per fare questo è perseverare nel cercare di
essere auto-attentivi il più possibile.
Per ritornare ora al verso 33 di Uḷḷadu Nāṟpadu, in cui
Sri Ramana ha detto ‘என்னை அறியேன் நான், என்னை அறிந்தேன் நான் என்னல் நகைப்புக்கு இடன் ஆகும்’
(eṉṉai aṟiyēṉ nāṉ, eṉṉai aṟindēṉ nāṉ eṉṉal nahaippukku iḍaṉ āhum), che
significa ‘Dire “io non conosco me stesso” [o] “io ho conosciuto me stesso” è
motivo di ridicolo’, entrambe queste affermazioni sono ‘motivo di ridicolo’
perché entrambe indicano l’esistenza dell’ego, poiché in assenza dell’ego non
ci sarebbe nessuno a pensare ‘io conosco me stesso’ o ‘io non conosco me stesso’.
Comunque, mentre una persona che pensa o dice ‘io non conosco me stesso’ non
sta solo dimostrando la propria auto-ignoranza ma anche la riconosce, ogni
persona che pensa o afferma ‘io conosco chi sono’ o ‘io ho realizzato me stesso’
sta dimostrando la propria auto-ignoranza e allo stesso tempo la sta negando.
Se vogliamo liberare noi stessi dalla nostra auto-ignoranza,
la prima cosa che dobbiamo fare è riconoscere che siamo auto-ignoranti, e che
la nostra auto-ignoranza è la causa di tutti i nostri problemi, perché
altrimenti non avremmo motivazioni per cercare di sperimentare noi stessi come
siamo realmente. Di conseguenza riconoscere che siamo ora coperti in un’armatura
di auto-ignoranza è la prima crepa che possiamo e dobbiamo produrre in questa armatura,
perché solo allora possiamo iniziare a districarci da essa. In questo senso
possiamo dire che se riconosciamo e ammettiamo la nostra auto-ignoranza o ajñāna,
essa è meno densa di quanto lo sarebbe se la negassimo a noi stessi o agli
altri. Quindi come regola generale dovremmo essere scettici e diffidenti con
chiunque dichiari di essere un jñāni o che dica ‘io ho realizzato me
stesso’, perché le possibilità sono o che tale persona stia illudendo se stessa
o che stia cercando di illudere altri.
Comunque, come Sri Sadhu Om dice nel verso 10 di Yār
Jñāni?: ‘யார் ஆனால் ஞானி நமக்கு
என்ன? நாம் நம்மை பாராத மட்டும்
பயன் இல்லை’ (yār āṉāl jñāṉi namakku eṉṉa? nām nammai pārāda maṭṭum
payaṉ illai), ‘Chiunque può essere un jñāni, cosa significa questo
per noi? Fino a che non conosciamo noi stessi, ciò sarà di nessun beneficio’. Possiamo
trarre vero beneficio da ātma-jñāna solo quando noi stessi lo
sperimentiamo, e possiamo sperimentarlo solo praticando con persistenza ātma-vicāra
– cioè, cercando di sperimentare noi stessi solamente, in completo isolamento
da qualsiasi altra cosa che possiamo sperimentare.
Quando sperimentiamo noi stessi come siamo realmente,
scopriremo che il solo jñāni è noi stessi, perché niente altro che noi
stessi esiste realmente. Poiché l’apparente esistenza di altre persone e anche
della persona che ora sembriamo essere è solo un’illusione creata dalla nostra
auto-ignoranza, come può qualcuna di queste altre persone essere jñānis?
Sperimentando essi come se fossero diversi da noi stessi, li stiamo
sperimentando come prodotti del nostro ajñāna, così come può un prodotto
di ajñāna essere un jñāni?
Anche se accettiamo che dalla prospettiva relativa del
nostro ego il jñāni qualche volta sembra essere una ‘persona’ come Sri
Ramana, non abbiamo alcun mezzo sicuro per conoscere chi è un jñāni fino
a che non sperimentiamo ciò che noi stessi siamo realmente. Quindi non possiamo
veramente conoscere chi è un jñāni,
e anche se potessimo conoscerlo, non trarremmo alcun beneficio dal conoscere
ciò a meno che cerchiamo di sperimentare noi stessi come siamo realmente, così
piuttosto che interessarci a domande su chi è o non è un jñāni, dovremmo
focalizzare tutto il nostro interesse e la nostra attenzione solo su cercare di
conoscere chi sono io, questo ego che è così desideroso di conoscere altri.
Caro Michel, grazie per quanto detto sopra, puoi dire qualcosa sul vivere nella molteplicità vivendo nella non-dualità? Anche Ramana sembra agisse tramite una personalità e secondo regole del mondo duale. E'forse che nello jnani il Se' ha recuperato tutto il suo potere rispetto alla personalità e ora la utilizza solo per aiutare il mondo a liberarsi da ajnana? Anche lo jnani vede la diversità (nel sahaja samadhi) ma la sua benevolenza, amore, compassione, beatitudine e senso di Unità non cambia?
RispondiEliminaNamaste
Shivakumar,
RispondiEliminapurtroppo Michael non riceve e quindi non legge i commenti a questo blog che è realizzato da me, che solo traduco e divulgo in Italiano i suoi articoli. Quindi per avere una risposta da Michael dovresti scrivere nel suo blog http://happinessofbeing.blogspot.it/ o al suo indirizzo email michael@happinessofbeing.com e in Inglese perché non conosce l'Italiano.
Per quel poco che conta la mia opinione riguardo il tema che hai toccato nel tuo commento, e per quello che traggo dall'insegnamento di Bhagavan, vivere nella non-dualità significa aver annientato la mente-ego, la propria personalità individuale, e con essa tutta la manifestazione molteplice di fenomeni-pensieri che essa stessa proietta per aggrapparsi e sostenere la propria illusoria esistenza. Quindi vivere nella non-dualità significa che non c'è più nessuna entità separata che possa proiettare e quindi sperimentare la molteplicità, anzi significa comprendere che questa entità separata con tutta la sua proiezione di molteplicità non è mai esistita realmente. Ciò che rimane dal dissolvimento di questo sogno è solo pura auto-consapevolezza non-duale, pura esistenza auto-consapevole e beata, al di là della quale niente altro esiste e neppure sembra esistere. Come giustamente dici, 'sembra' che Bhagavan agisse tramite una personalità e secondo regole del mondo duale, ma questa è solo un'apparenza illusoria proiettata dalla mente degli ajnani che gli orbitano intorno, oggi come allora, quando, solo apparentemente, era presente un suo corpo fisico. Lo jnani non vede alcuna diversità, vede solo sé stesso, ovvero pura auto-consapevolezza non-duale, totale, assoluta. I concetti di benevolenza, amore, compassione, beatitudine, unità sono solo descrizioni del sé, concepite dagli ajnani per rendere compatibile la propria separazione illusoria con la natura non-duale di sé stessi che li richiama al risveglio dal sogno separativo, è la grazia del sé che si manifesta nell'illusione della separazione.
Riporto solo un brevissimo brano di Michael che commenta a riguardo:
'Quando Bhagavan spiegava che questo mondo è solo un sogno proiettato dal nostro ego, così esso cessa di esistere quando sradichiamo questo ego, alcune persone rispondevano chiedendogli come, se questo è vero, egli era in grado di vedere il mondo e di rispondere alle domane, a cui egli rispondeva spiegando che è solo nella visione di un ajnani che lo jnani sembra vedere ed agire in questo mondo, perché l'ajnani vede lo jnani come una persona (un corpo e una mente), mentre lo jnani è realmente solo pura auto-consapevolezza, nella cui visione nessuna mente, corpo o mondo esiste affatto.
Sebbene Bhagavan spiegava questo molto chiaramente e in modo inequivocabile, molti devoti non sono in grado di comprendere che questo corpo e questa mente sembrano esistere solo nella visione del nostro ego sognante, e che nella sua visione non c'è ego, né mente, né sogno, né corpo e né mondo, ma solo pura, infinita e indivisibile auto-consapevolezza.'
Spero di esserti stato utile,
in Bhagavan
Carlo