Om Namo Bhagavate Sri Arunachalaramanaya

lunedì 29 dicembre 2014

Il nostro fine dovrebbe essere sperimentare solamente noi stessi, in completo isolamento da qualsiasi altra cosa

Michael James




Alcuni mesi fa un amico mi ha scritto chiedendo riguardo alla pratica di ātma-vicāra (auto-investigazione o auto-indagine) e se la descrizione della sua pratica indicava che la stava praticando correttamente, e ha terminato la sua email dicendo:

Ho provato la tecnica di immergersi nel cuore esalando il respiro, spiegata nel piccolo libro The Technique of Maha Yoga pubblicato da Ramanashramam, […] ma non sembra funzionare nel mio caso.

Ciò che segue è adattato dalla risposta che gli ho scritto:

Innanzitutto The Technique of Maha Yoga [che non fu scritto da K. Lakshmana Sarma, l’autore di Maha Yoga, ma da un altro devoto chiamato N.R. Narayana Aiyar] è un libro molto ingannevole, perché la spiegazione che fornisce riguardo alla pratica di ātma-vicāra è completamente sbagliata, così è buono che  hai trovato che essa non sembra funzionare.

In secondo luogo, ‘il cuore’ è un termine che Sri Ramana usò metaforicamente per indicare ciò che siamo realmente, perché è il nucleo, il centro o l’essenza di tutto ciò che ora sembriamo essere, e ‘immergersi nel cuore’ è una descrizione metaforica dello sprofondare o l’immergersi della mente in profondità all’interno di noi stessi come risultato dall’auto-attentività, così non dovrebbe essere interpretato letteralmente (come alcuni devoti sembrano fare), e non dovrebbe essere confuso come una tecnica che comporta qualsiasi altra cosa diversa dalla semplice auto-attentività.

Poiché hai chiesto i miei commenti alla descrizione della tua pratica, citerò ciascuno dei tuoi punti e li commenterò singolarmente:

  • ·  Inizio osservando il movimento del mio respiro, inspirando ed espirando a ritmo normale.

Alcune persone dicono di trovare l’osservazione del movimento del loro respiro un mezzo effettivo per calmare la mente prima di praticare auto-investigazione, ma questo non è necessario, e alla lunga può realmente essere dannoso. Il modo più efficace per calmare la mente è semplicemente cercare direttamente di essere auto-attentivi, e alla lunga questo produrrà il più grande beneficio.

Supponi di dover andare in bicicletta da Londra a Brighton [che è a sud di Londra], e non sei mai andato in bicicletta prima d’ora. Quindi devi iniziare a fare pratica, e poiché il tuo fine è raggiungere Brighton è ovviamente meglio iniziare a fare pratica sulla strada per Brighton, perché mentre fai pratica ti avvicinerai sempre più vicino alla tua destinazione. Se invece iniziassi a fare pratica sulla strada per York [che è a nord di Londra], questo sarebbe sciocco, perché ti porterebbe ancora più lontano dalla tua destinazione.

Sul sentiero dell’auto-investigazione  (ātma-vicāra) la nostra destinazione è solo noi stessi, ‘io’, e il solo modo per raggiungere quella destinazione è dare attenzione solo a noi stessi. Quindi per raggiungere la nostra destinazione più velocemente possibile, fin dall’inizio non dovremmo praticare alcuna cosa tranne l’auto-attentività. Se fin dall’inizio pratichiamo solo l’auto-attentività, è come se facessimo pratica di bicicletta sulla strada per Brighton.

Se pratichiamo dando attenzione alla respirazione o a qualsiasi altra cosa diversa da ‘io’ solamente, questo ci porta lontano da noi stessi, che è la nostra destinazione, così è come fare pratica di bicicletta sulla strada per York. Non è sciocco iniziare andando nella direzione opposta a quella della nostra destinazione? Non sarebbe più saggio avanzare verso la nostra destinazione fin dall’inizio?

Se coltiviamo l’abitudine di osservare la respirazione o di dare attenzione a qualsiasi altra cosa diversa da ‘io’, questa abitudine sarà solo un altro ostacolo che ci distrarrà quando cercheremo di dare attenzione solo a ‘io’. Quindi è meglio coltivare l’abitudine di osservare solo ‘io’ fin dall’inizio, ed evitare tutte le altre pratiche.

E’ sbagliato pensare che la nostra mente deve essere calma prima di poter iniziare a dare attenzione a ‘io’. Sebbene ci può essere più facile dare attenzione a ‘io’ quando la nostra mente è calma, la calma di mente non è un prerequisito necessario, perché sia che la nostra mente sia calma o agitata,  noi siamo sempre lì a sperimentarla, così qualsiasi cosa possiamo sperimentare possiamo sempre volgere la nostra attenzione indietro verso noi stessi,  l’ ‘io’ che sta sperimentando ciò.

Quindi la cosa migliore è evitare tutte le altre pratiche e iniziare a investigare solo noi stessi fin dall’inizio.

  • Dopo pochi minuti, chiedo a me stesso chi sono io e focalizzo la mia attenzione sull’ ‘io’.

Chiedere a noi stessi ‘chi sono io?’ può aiutare a rivolgere la nostra attenzione indietro verso ‘io’, ma non è necessario farsi questa domanda ogni volta.  Per mezzo della pratica persistente di auto-attentività, possiamo coltivare l’abitudine di rivolgere la nostra attenzione indietro verso ‘io’ ogni volta che notiamo che essa si è allontanata verso qualche altra cosa, e più forte diviene questa abitudine, meno troveremo necessario farci qualche domanda per rivolgere la nostra attenzione indietro verso ‘io’.

Inoltre, dovremmo comprendere chiaramente che chiederci qualche domanda per aiutarci a rivolgere la nostra attenzione indietro verso noi stessi è solo un aiuto a ātma-vicāra, ma non è ātma-vicāra. Ātma-vicāra è auto-investigazione, così essa inizia realmente solo quando stiamo davvero dando attenzione a, e quindi cercando di sperimentare, noi stessi solamente.

  • Inizialmente, non posso rimanere sull’ ‘io’ per un lungo periodo.

Non è necessario dare attenzione a ‘io’ per prolungati periodi di tempo. Solo un momento di perfetta auto-attentività è tutto ciò che ci è richiesto per sperimentare noi stessi come siamo realmente, e quando abbiamo sperimentato noi stessi in questo modo per una volta, l’illusione che siamo qualsiasi cosa diversa da ciò che siamo realmente sarà distrutta per sempre. 

Quindi ciò a cui dovremmo aspirare è l’intensità e la chiarezza di auto-attentività piuttosto che solo una durata prolungata di auto-attentività meno intensa o meno chiara. Ciò che intendo qui con ‘intensità e chiarezza di auto-attentività’ (e con ‘perfetta auto-attentività’ nel paragrafo precedente) è essere consapevoli solamente di noi stessi, senza ogni mescolanza di qualche consapevolezza di qualsiasi altra cosa. Cioè, la nostra attenzione dovrebbe essere così accuratamente focalizzata solamente su ‘io’ (noi stessi) che non saremmo consapevoli anche minimamente di qualsiasi altra cosa diversa da noi stessi.

Anche il tempo è qualcosa che sperimentiamo come diverso da noi stessi, così l’idea che io devo essere auto-attentivo per un prolungato periodo di tempo é solo un’altra distrazione che ci impedirà di sperimentare ‘io’ solamente, in completo isolamento da qualsiasi altra cosa, incluso il tempo.

Inoltre, la nostra mente ha naturalmente un forte impulso a dare attenzione e a sperimentare cose diverse da ‘io’, così non ci è abitualmente possibile essere esclusivamente auto-attentivi per un lungo tempo. Se cerchiamo di opporci a questo naturale impulso della nostra mente per un periodo prolungato di tempo, finiremo per creare un conflitto interno, che sarà controproducente, così generalmente molti tentativi brevi di essere auto-attentivi sono più efficaci di un tentativo lungo.   

  • Mentre continuo la mia pratica, noto che il periodo della mia focalizzazione sull’ ‘io’ aumenta.

Se siamo in grado di focalizzare la nostra attenzione solamente su ‘io’  per lunghi periodi di tempo senza creare qualche conflitto interno, questo è buono, ma dovremmo ricordare che il nostro reale fine non dovrebbe essere solo una durata più lunga di auto-attentività ma dovrebbe essere auto-attentività più profonda, intensa e chiara – cioè, attentività che è più accuratamente ed esclusivamente focalizzata solamente su ‘io’, senza la minima traccia di ogni consapevolezza di qualsiasi altra cosa.


  • Io lo chiamo l’intervallo tra due pensieri.

Poiché ogni consapevolezza che possiamo avere di qualsiasi cosa diversa da ‘io’ (noi stessi) è un pensiero, l’intervallo tra due pensieri è lo stato in cui siamo consapevoli di assolutamente niente altro che noi stessi solamente. Questo è lo stato che dovremmo aspirare a sperimentare, ma se lo sperimentiamo perfettamente una volta, sperimenteremo chiaramente  noi stessi come siamo realmente,  che è lo stato di ātma-jñāna (auto-conoscenza o auto-consapevolezza perfettamente chiara), così essa distruggerà per sempre la nostra mente.

Quindi fino a che sperimentiamo noi stessi come questa mente, non dovremmo immaginare che abbiamo già sperimentato perfettamente l’intervallo tra due pensieri. Ciò che esiste in quell’intervallo è solo ciò che siamo realmente, così sperimentare questo è il nostro fine.


  • Dopo qualche tempo noto che non devo focalizzare l’attenzione su ‘io’.

Fino a che sperimentiamo auto-consapevolezza assolutamente chiara come naturale e inevitabile, abbiamo bisogno di continuare a cercare di focalizzare la nostra intera attenzione solamente su ‘io’. Quindi se pensi di non aver bisogno di focalizzare la tua attenzione su ‘io’, ti stai sbagliando.

L’auto-investigazione (ātma-vicāra) è semplicemente il tentativo che facciamo di focalizzare la nostra intera attenzione solamente su ‘io’ e quindi di sperimentare noi stessi come siamo realmente, in completo isolamento da ogni altra cosa.  Quindi se immaginiamo di non aver bisogno di focalizzare la nostra attenzione solamente su ‘io’, stiamo immaginando che ātma-vicāra non è necessaria, che è sbagliata. Come Sri Ramana dice nell’undicesimo paragrafo di Nāṉ Yār? (Chi sono io?):

மனத்தின்கண் எதுவரையில் விஷயவாசனைக ளிருக்கின்றனவோ, அதுவரையில் நானா ரென்னும் விசாரணையும் வேண்டும். நினைவுகள் தோன்றத் தோன்ற அப்போதைக்கப்போதே அவைகளையெல்லாம் உற்பத்திஸ்தானத்திலேயே விசாரணையால் நசிப்பிக்க வேண்டும். […]

 maṉattiṉgaṇ edu-varaiyil viṣaya-vāsaṉaigaḷ irukkiṉḏṟaṉavō, adu-varaiyil nāṉ-ār eṉṉum vicāraṇai-y-um vēṇḍum. niṉaivugaḷ tōṉḏṟa-t tōṉḏṟa appōdaikkappōdē avaigaḷai-y-ellām uṯpatti-sthāṉattilēyē vicāraṇaiyāl naśippikka vēṇḍum. […]

 Fino a che viṣaya-vāsanās [inclinazioni o desideri a sperimentare qualsiasi cosa diversa da noi stessi] esistono nella [nostra] mente, l'investigazione 'chi sono io' [cioè, investigare attentivamente noi stessi] è necessaria. Come e quando i pensieri sorgono, in quel momento e lì è necessario annientarli tutti per mezzo di vicāraṇā [investigazione o vigilante attenzione di sé] proprio nel luogo dove essi sorgono. […]

Sperimentare solamente noi stessi è il nostro fine, e il solo modo per sperimentare solamente noi stessi è dare attenzione solamente a noi stessi, così l’auto-attentività o auto-consapevolezza è sia il nostro sentiero sia il nostro fine. Fino a che confondiamo noi stessi come qualsiasi cosa diversa da ciò che siamo realmente, essere auto-attentivi sembra richiedere sforzo, ma quando sperimentiamo noi stessi come siamo realmente, scopriremo che l’auto-attentività è la nostra vera natura, perché siamo sempre auto-consapevoli, e non c’è realmente niente altro che noi stessi di cui potremmo essere consapevoli. Quindi non c’è mai un tempo in cui  l’auto-attentività non è necessaria.


  • Rimango senza alcun pensiero, incluso il pensiero ‘io’.

Ciò che siamo realmente (cioè, il nostro sé reale) non direbbe ‘rimango senza alcun pensiero’, perché nella sua visione nessun pensiero è mai esistito. Quindi quando dici ‘rimango senza alcun pensiero’, l’ ‘io’ che dice questo è la tua mente o ego, che è il tuo pensiero primario chiamato ‘io’.

Possiamo rimanere senza alcun pensiero, incluso questo pensiero primario ‘io’, solo in stati di manōlaya (temporanea cessazione della mente, come il sonno) o nello stato di manōnāśa (completa distruzione o annientamento della mente). Manōnāśa è lo stato in cui siamo eternamente consapevoli  solamente di noi stessi, così può essere raggiunto solo per mezzo di auto-investigazione accurata e attentiva (ātma-vicāra), e una volta che esso è raggiunto non possiamo più ritornare a uno stato in cui sperimentiamo qualsiasi cosa diversa da ‘io’ (noi stessi). Quindi manōnāśa è lo stato in cui né il pensiero primario chiamato ‘io’ né ogni altro pensiero è mai esistito o potrebbe mai esistere. 

Manōlaya, d’altra parte, è uno stato temporaneo in cui il pensiero primario chiamato ‘io’ e tutti gli altri pensieri sono cessati senza una chiara auto-consapevolezza, e poiché la nostra mente o ego (il pensiero primario chiamato ‘io’) in quello stato è assente, non c’è nessuno lì a sforzarsi  per dare attenzione a ‘io’. Quindi manōlaya non ci può aiutare a raggiungere il nostro fine, che è manōnāśa.

Quindi, ogni volta che non siamo in manōlaya o in manōnāśa stiamo sperimentando noi stessi come l’ego, che è il pensiero primario chiamato ‘io’, e fino a che questo pensiero è presente, almeno qualche traccia di qualche altro pensiero sarà presente, perché il pensiero primario chiamato ‘io’ non può reggersi da sé senza qualche altro pensiero a cui aggrapparsi. Come Sri Ramana dice nel quarto paragrafo di Nāṉ Yār?:

 […] மனம் எப்போதும் ஒரு ஸ்தூலத்தை யனுசரித்தே நிற்கும்; தனியாய் நில்லாது. […]

 […] maṉam eppōdum oru sthūlattai y-aṉusarittē niṯkum; taṉiyāy nillādu. […]

 […]La mente [il pensiero primario chiamato ‘io’] si regge soltanto cercando sempre [dando attenzione e perciò attaccando se stessa a] qualcosa di grossolano [qualche pensiero diverso da ‘io’];  da sola essa non si regge. […] 

Ogni cosa che sperimentiamo diversa da ‘io’ solamente è un pensiero, e ciò che sperimenta ogni pensiero è solo il nostro pensiero primario chiamato ‘io’ (l’ego), che è il nostro puro ‘io’ mescolato con aggiunte. Se siamo in grado di sperimentare chiaramente ‘io’ solamente senza sperimentare la minima traccia di qualsiasi altra cosa, questo è lo stato di manōnāśa, così fino a che otteniamo quello stato, il pensiero primario chiamato ‘io’ e almeno qualche traccia di qualche altro pensiero sarà presente (a meno che naturalmente siamo sprofondati nel sonno o in qualche altro stato di manōlaya).


  • E’ uno stato piacevole e posso rimanere in questo stato per almeno qualche tempo. In questo momento, sperimento una sensazione di energia fluttuante e calore nel mio corpo. Una specie di tenue luce dorata si diffonde nel corpo e nell’ambiente circostante. Non so se tutto questo è la mia desiderosa immaginazione o se queste sensazioni sorgono realmente. Mi sento riluttante a uscire da questo stato.

Dalla descrizione che dai di questo stato, è chiaro che benché in quel momento immagini di rimanere ‘senza alcun pensiero, incluso il pensiero io’, stai effettivamente sperimentando molti pensieri, perché ogni cosa che descrivi è solo un pensiero. L’ ‘io’ che ha avuto questa esperienza è un pensiero (il pensiero primario chiamato ‘io’); lo stato di quel momento è un pensiero; il tempo che hai trascorso in quello stato è un pensiero; la piacevolezza che hai sperimentato è un pensiero; il corpo è un pensiero; la ‘sensazione di energia fluttuante’ è un pensiero; il calore è un pensiero; la ‘tenue luce dorata’ è un pensiero; l’ambiente circostante è un insieme di pensieri; e la riluttanza che hai sentito a uscire da questo stato è un pensiero. Nessuna di queste cose è ciò che sei realmente; così esse sono tutti pensieri, e hanno origine solo dal tuo pensiero primario chiamato ‘io’, che le crea e le sperimenta.


  • Allora mi chiedo chi sta sperimentando queste sensazioni piacevoli. Le sensazioni allora diventano più deboli ma io continuo a rimanere senza alcun pensiero.

Sì, qualsiasi cosa possiamo sperimentare, dovremmo investigare l’ ‘io’ che la sta sperimentando. Non è sufficiente chiedersi solo chi la sta sperimentando, perché il chiedersi è solo un altro processo di pensiero. Abbiamo bisogno di investigare realmente chi sta sperimentando cercando di focalizzare la nostra intera attenzione su ‘io’. Quando focalizziamo la nostra attenzione solo su noi stessi, le sensazioni o qualsiasi altra cosa che possiamo sperimentare in quel momento scompariranno o almeno si ritireranno dalla nostra consapevolezza, perché possiamo sperimentarle solo quando diamo a esse attenzione, e quindi quando cerchiamo di dare attenzione solo a ‘io’ staremo privando della nostra attenzione ogni altra cosa.


  • Io sono, comunque, consapevole di me stesso per tutto il tempo, e non perdo la mia identità.

Siamo sempre consapevoli di noi stessi, ma abitualmente la nostra consapevolezza di noi stessi è mescolata con la consapevolezza di altre cose, così non sperimentiamo noi stessi come siamo realmente. Quindi il nostro fine non è solo essere consapevoli di noi stessi, ma è essere consapevoli solamente di noi stessi, in completo isolamento da tutte le altre cose.

Cosa intendi quando dici, ‘io […] non perdo la mia identità’? Non possiamo mai perdere ‘io’, la nostra reale identità (cioè, ciò che siamo realmente), così la sola identità che possiamo perdere è la nostra falsa identità, che è l’ego o la mente, e possiamo perdere questa falsa identità permanentemente solo sperimentando noi stessi come siamo realmente. Quando pratichiamo ātma-vicāra stiamo cercando di sperimentare noi stessi come siamo realmente, così quando ci riusciamo perderemo la nostra falsa identità (il sentire ‘io sono Gurudas’ o ‘io sono Michael’). Fino a quel momento, non possiamo sbarazzarci e non ci sbarazzeremo di questa identità (tranne che con la morte del corpo, ma in quel momento sostituiremo solamente questa falsa identità con un’altra).


  • Durante questo periodo, sperimento anche una leggera pesantezza al lato destro del petto.

Qualsiasi cosa possiamo sperimentare non dovrebbe riguardarci, perché il nostro solo interesse dovrebbe essere sperimentare solamente noi stessi. Quindi, ogni volta che sperimenti una leggera pesantezza al lato destro del petto o qualsiasi altra cosa diversa da ‘io’, dovresti cercare di investigare solamente te stesso rivolgendo la tua attenzione indietro verso l’ ‘io’ che  sta sperimentando ciò.


  • Sono sul sentiero giusto o la mia mente mi illude facendomi credere di  praticare auto-indagine nel modo corretto?

Siamo sul sentiero giusto – il sentiero di ātma-vicāra o auto-investigazione – solo quando stiamo cercando di sperimentare niente altro che ‘io’ solamente. Fino a che questo è ciò che stai cercando di fare, stai praticando auto-indagine nel modo corretto, ma dovresti ricordare che qualsiasi altra cosa tu possa sperimentare, dovresti volgere la tua attenzione indietro verso te stesso, chi sta sperimentando ciò, per sperimentare solamente te stesso.


  • Mi sto anche chiedendo se l’auto-indagine o nan yar [chi sono io] conduce naturalmente e automaticamente al silenzio, summa iru [solo essere].

Sì, certamente. Fino a che sperimentiamo qualcosa diversa da ‘io’, la nostra attenzione si allontana da noi stessi verso altre cose, e tale movimento della nostra attenzione è pensiero o attività mentale, che è l’esatta antitesi del silenzio. Quindi quando pratichiamo auto-investigazione o auto-indagine stiamo cercando di sperimentare niente altro che ‘io’ solamente, e quando riusciamo in questo tentativo, la nostra attenzione non si allontana da noi stessi ma rimane tranquillamente nella sua sorgente (vale a dire noi stessi), così questa è la cessazione di tutta l’attività mentale, e quindi è lo stato di perfetto silenzio, che è anche descritto come lo stato di ‘solo essere’ (summā iruppadu).




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