Michael James
16 Maggio 2014
16 Maggio 2014
Un amico mi ha scritto recentemente dicendo che ha praticato
meditazione per molti anni, e che da quando ha sentito di Sri Ramana è rimasto
affascinato da lui e ha letto più che poteva riguardo ai suoi insegnamenti, ma
che non poteva comprendere come concentrarsi su ‘io’ e come sperimentarlo. Ciò
che segue è adattato dalla risposta che gli ho scritto:
Quando scrivi, ‘sto avendo qualche problema nello
sperimentare l’ ‘io’', questo sembra comportare che ci sono due ‘io’. Il primo ‘io’ (l’ ‘io’ in ‘io sto avendo
qualche problema’) è da te chiaramente sperimentato, perché se non fosse tu,
non sarebbe consapevole di avere qualche problema, quindi perché questo ‘io’
che sperimenti chiaramente dovrebbe prendersi il disturbo di sperimentare
qualche altro ‘io’, che tu pensi di non essere in grado di sperimentare?
Il fatto è che tutti noi sperimentiamo ‘io’ o ‘io sono’, e l’
‘io’ che sperimentiamo è l’unico e solo ‘io’ che possiamo sperimentare.
Inoltre, ‘io’ è la nostra esperienza più fondamentale, ed è la base per ogni
altra cosa che sperimentiamo. Tuttavia, benché sperimentiamo chiaramente che
io sono, non sperimentiamo chiaramente cosa io sono, di conseguenza abbiamo
bisogno di investigare questo ‘io’ per sperimentarlo come è realmente.
Poiché diamo costantemente attenzione a cose diverse da ‘io’,
la nostra esperienza di ‘io’ è oscurata. Cioè, non è mai completamente
nascosta, ma è mischiata e confusa con altre cose come il corpo e la mente. Quindi
il nostro fine è sperimentare solo ‘io’, in completo isolamento da tutte le
altre cose, e per sperimentarlo in questo modo, abbiamo bisogno di provare a
essere consapevoli solo di ‘io, e quindi ignorare ogni altra cosa.
Tu dici, ‘non posso trovare alcun modo concreto di sperimentare io perché non
so a cosa assomiglia […] non posso concentrarmi su qualcosa che non posso
immaginare’, ma non c’è bisogno di immaginare ‘io’, perché ‘io’ è già la nostra
esperienza più diretta e immediata. Come sappiamo che io sono? Lo sappiamo
perché è la nostra prima e principale esperienza.
Possiamo dubitare della realtà di ogni altra cosa che sperimentiamo,
perché potrebbe essere un’illusione, ma non possiamo dubitare che io sono,
perché per dubitare o sperimentare ogni cosa noi dobbiamo esistere, così l’esperienza
‘io sono’ è la sola esperienza che non può essere un’illusione. Ciò che sembriamo
essere (la persona chiamata Edward, che consiste di un corpo e una mente, e tu
che ora sperimenti come ‘io’) potrebbe essere un’illusione, ma la sottostante
esperienza che noi siamo (qualsiasi cosa possiamo effettivamente essere) non
può essere un’illusione, perché per sperimentare ogni cosa (sia reale sia
illusoria) noi dobbiamo esistere.
Qualsiasi bisogno di immaginare qualcosa può sorgere solo
quando non stiamo sperimentando quella cosa, ma poiché sempre sperimentiamo ‘io’,
non abbiamo mai bisogno di immaginarlo. Veramente, non dovremmo neppure cercare
di immaginarlo, perché ogni cosa che immaginiamo è qualcosa diversa da ‘io’. Ogni immaginazione è solo temporanea, mentre
la nostra esperienza di ‘io’ è permanente, di conseguenza nessuna immaginazione
può essere ‘io’.
Non abbiamo mai sperimentato alcun tempo o alcuno stato in
cui non abbiamo sperimentato ‘io’, perché qualsiasi altra cosa possiamo
sperimentare, lo sperimentiamo sempre come ‘io sto sperimentando questo’. In
altre parole, ‘io’ è lo sperimentatore di ogni esperienza, e ‘io’ sempre
sperimenta se stesso come ‘io sono’ (o per esprimerlo più direttamente, io
sempre sperimento me stesso come ‘io sono’).
Ogni altro tipo di meditazione può essere descritta come una
bhāvana (un’immaginazione), perché è un processo che comporta l’immaginazione,
ma ātma-vicāra (auto-investigazione) o meditazione su sé non è una bhāvana,
perché ‘io’ è oltre tutta l’immaginazione, essendo il fondamento su cui ogni
immaginazione è costruita, e quindi non può mai essere catturato come un’immagine
mentale.
Tu dici, ‘Io non so a cosa somiglia’, che è vero, perché ‘io’
non assomiglia ad alcuna cosa: davvero, esso non è come qualunque altra cosa. Siamo in grado
di riconoscere cose diverse da ‘io’, e di distinguere una cosa da un’altra,
solo perché ogni cosa ha determinate caratteristiche. Che sia una pietra, un liquido,
una persona, un colore, un suono, un odore, un pensiero, una sensazione o
qualsiasi altra cosa, la riconosciamo e la distinguiamo da altre cose a causa
delle sue caratteristiche. Ogni cosa che sperimentiamo ha caratteristiche,
tranne ‘io’. Quindi ‘io’ è come nessun’altra cosa.
Benché ‘io’ non abbia caratteristiche che potremmo descrivere o afferrare come
un’immagine mentale, nondimeno sperimentiamo ‘io’. Cioè, sperimentiamo qualcosa
all’interno di noi che sperimenta tutte le altre cose e che chiamiamo ‘io’.
Questo ‘io’ non è qualcosa diversa da noi stessi, ma è ciò che siamo realmente.
Nella tua email, quante volte hai usato questa parola ‘io’ per riferirti a te
stesso, così come puoi dire che non sperimenti ‘io’?
La meditazione o qualsiasi cosa diversa da ‘io’ è
relativamente grezza, perché comporta il dare attenzione a qualche oggetto: una
parola, un’immagine, un pensiero, una sensazione, una parte del corpo, o
qualunque cosa. In confronto, la meditazione su ‘io’ è molto sottile, perché
comporta non di dare attenzione a qualche oggetto ma solo dare attenzione al
soggetto: all’ ‘io’ che sperimenta tutti gli oggetti (e che sperimenta non solo
la presenza degli oggetti, come nella veglia e nel sogno, ma anche la loro
assenza, come nel sonno profondo).
Meditare su o dare attenzione a ‘io’ è sottilmente diverso da meditare su o
dare attenzione a qualche oggetto, perché ‘io’ non è solo senza caratteristiche
ma anche non ha un’esatta locazione. Per fare un’analogia un po’ cruda e
piuttosto inadeguata, dare attenzione a ‘io’ è simile a osservare lo schermo
invece di osservare le immagini che appaiono sullo schermo, perché ‘io’ è la
consapevolezza di sfondo su cui tutte le altre esperienze appaiono e
scompaiono.
Quindi piuttosto che descriverlo come meditare su o dare attenzione a ‘io’,
puoi trovare più facile pensarlo come essere semplicemente consapevoli di ‘io’,
perché questo è tutto ciò che realmente significa e comporta meditare su o dare
attenzione a ‘io’.
Siamo sempre consapevoli di ‘io’, ma la nostra consapevolezza
di ‘io’ è abitualmente mischiata con la consapevolezza di altre cose, così il
nostro fine dovrebbe essere quello di essere consapevoli solo di ‘io’. Questo è il motivo per cui la pratica qualche
volta è descritta come focalizzare l’attenzione esclusivamente su ‘io’. Questo non significa che ‘io’ sia un oggetto
a cui diamo attenzione, ma solo che dovremmo essere così accuratamente
consapevoli di ‘io’ da escludere ogni altra cosa dalla nostra consapevolezza.
Sri Ramana descrisse questa sottile pratica di meditare solo
su ‘io’ (o essere consapevoli solo di ‘io’) come ātma-vicāra, che
significa auto-investigazione o auto-esame, perché sebbene sperimentiamo
chiaramente ‘io’, il nostro potere di attenzione è stato reso relativamente grossolano
dalla nostra abitudine consolidata di dare attenzione agli oggetti, così non è
facile per noi distinguere chiaramente ‘io’ dagli oggetti che abitualmente
confondiamo come ‘io’, vale a dire il nostro corpo e la nostra mente. Quindi il
tentativo di dare attenzione solo a ‘io’ è un processo di vicāra o
investigazione: cercare di investigare esattamente cosa è questo ‘io’ per
distinguerlo chiaramente da tutte le altre cose – o in altre parole,
sperimentarlo in completo isolamento da ogni altra cosa.
E’ detto che la mente abbia tre qualità, una o due delle
quali tende a dominarla in ogni momento: sattva, rajas e tamas.
Sattva significa ‘being-ness’ (‘essere-ità’, ‘lo stato dell’essere’),
che è la reale natura di ‘io e la natura essenziale della mente, così è lo
sfondo su cui appaiono le altre due qualità. Se una di queste o entrambi
predominano, sattva è oscurata,
ma quando esse diminuiscono, sattva risplende e predomina
naturalmente.
Rajas è la qualità di irrequietezza, attività,
agitazione e passione, mentre tamas è la qualità di oscurità, illusione,
ottusità, rozzezza ed egoismo. Generalmente queste due qualità funzionano
insieme, ma abitualmente una domina sull’altra in misura più o meno maggiore.
Sri Ramana era solito dire che cercare di dare attenzione a ‘io’ quando rajas
è predominante è come cercare di vedere un piccolo oggetto di notte con la luce
di un lume reso tremolante dal vento, e cercare di dare attenzione a ‘io’ quando tamas
è predominante è come cercare di separare i fili sottili di un tessuto di
seta con la punta smussata di un grosso piede di porco.
Quindi, per dare attenzione solo a ‘io’ (o per essere consapevoli solo di ‘io’)
la nostra mente deve essere chiara, calma e non agitata. Tuttavia, per rendere
la nostra mentre chiara, calma e non agitata, non è necessario praticare alcun
altro tipo di meditazione, perché il mezzo più effettivo per rendere la nostra
mente chiara, calma e non agitata è cercare di dare attenzione solo a ‘io’.
Anche se rajas o tamas ostacolano i nostri sforzi, il modo più
efficace per superarli è perseverare nel cercare di dare attenzione solo a ‘io’.
Benché i nostri sforzi di sperimentare solo ‘io’ possano
essere spesso ostacolati dalla distraente influenza di rajas (che si
manifesta come pensieri) o dall’offuscante influenza di tamas (che si
manifesta come sonnolenza o letargia), se perseveriamo nei nostri sforzi, potremo
gradualmente sperimentare ‘io’ con sempre maggiore chiarezza.
Quindi il solo modo per comprendere come dare attenzione o
sperimentare ‘io’ solamente è cercare di farlo. Più cerchi di farlo, più ti
diventerà chiaro il reale significato del termine ātma-vicāra, auto-investigazione,
auto-attentività o meditazione su ‘io’. Proprio come non si può imparare ad
andare in bicicletta se non si prova a farlo, non possiamo imparare come dare
attenzione a ‘io’ se non proviamo a farlo.
Nel capitolo 12 di Maha Yoga (edizione 2002, pag.200) Lakshmana Sarma riporta
che Sri Ramana una volta disse a qualcuno che chiedeva come investigare chi
sono io:
Il modo è soggettivo, non oggettivo; così non può e non deve
essere mostrato da qualcun’altro. E’ necessario mostrare a qualcuno il modo di
entrare a casa sua? Se il ricercatore mantiene ferma la sua mente, ciò sarà
sufficiente.
Finché diamo attenzione a qualsiasi cosa diversa da ‘io’, la nostra mente è
attiva, così il solo modo per tenerla ferma (senza cadere nel sonno o in altri
stati simili in cui la mente sprofonda senza una chiara auto-consapevolezza) è
dare attenzione solo a ‘io’: in altre parole, essere consapevoli di niente
altro che ‘io’.
Una risposta simile è anche registrata nella sezione 486 di
Talks with Sri Ramana Maharshi, e nella sezione 435 di Talks, dove si narra che
quando qualcuno gli chiese come concentrarsi sul sé, egli rispose: ‘Se questo è
risolto, ogni altra cosa è risolta’.
Cioè, dobbiamo investigare ‘io’ cercando di concentrare la
nostra intera attenzione solo su esso per scoprire come concentrarci su esso:
cioè, come sperimentare ‘io’ solamente,
in completo isolamento da ogni altra cosa. Se scopriamo come sperimentarlo in
questo modo, lo sperimenteremo con perfetta chiarezza, e quindi l’illusione che
siamo una persona – un corpo e una mente – sarà distrutta per sempre.
Perciò il nostro fine è solo sperimentare chiaramente ‘io’ in completo isolamento da ogni altra cosa, e possiamo imparare
a farlo solo cercando con persistenza di farlo. Questo è tutto ciò che comporta
la semplice e chiara pratica di ātma-vicāra
o auto-investigazione.
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