Om Namo Bhagavate Sri Arunachalaramanaya

venerdì 6 febbraio 2015

Il ruolo della mente nell’investigare ‘io’

Michael James

25 Maggio 2014
The mind's role in investigating 'I'


In un commento che ha scritto al mio articolo precedente, ’Come dare attenzione a ‘io’?’, Jacques Franck si è riferito ad una frase in cui ho scritto: ‘Quindi il nostro fine è sperimentare ‘io’ solamente, in completo isolamento da tutte le altre cose, e per sperimentarlo in questo modo, abbiamo bisogno di cercare di essere consapevoli solo di ‘io’ e quindi di ignorare ogni altra cosa’, e ha commentato: ‘Sembra semplice e complicato nello stesso tempo […] Perché quando cerco di farlo, ho la sensazione che la mia mente sta cercando di farlo. Così è normale che in primo luogo la mente sia un po’ o molto coinvolta […]?

Sì, Poiché la nostra mente o ego è ciò che sperimentiamo come ‘io’, l’’io’ che investiga se stesso è solo la nostra mente. Una ragione ovvia per questo è che il nostro sé reale (ciò che siamo realmente, o in altre parole, ‘io’ com’è realmente, piuttosto che come la mente che ora sembra essere) sperimenta sempre se stesso com’è realmente, così non ha bisogno di investigare se stesso. La mente sembra essere ‘io’ quando non sperimento me stesso come sono realmente, così è solo questa mente che ha bisogno di investigare se stessa per sperimentare ‘io’ com’è realmente.

Quando cerchiamo di investigare noi stessi dando attenzione solo a ‘io’, è la nostra mente che sta cercando di farlo, ma nel suo tentativo di dare attenzione a ‘io’ sta effettivamente scardinando se stessa – cioè, sta scardinando la nostra illusione che essa è ‘io’, e quando questa illusione è dissolta la nostra mente stessa cessa di esistere, poiché essa sembra esistere solo quando la sperimentiamo come ‘io’.

Tuttavia, quando diciamo che è la nostra mente che sta cercando di dare attenzione a ‘io’, dobbiamo analizzare e comprendere esattamente cosa s’intente in questo contesto con ‘mente. Come Sri Ramana dice nel verso 18 di Upadēśa Undiyār :

எண்ணங்க ளேமனம் யாவினு நானெனு
மெண்ணமே மூலமா முந்தீபற
யானா மனமென லுந்தீபற.

eṇṇaṅga ḷēmaṉam yāviṉu nāṉeṉu
meṇṇamē mūlamā mundīpaṟa
yāṉā maṉameṉa lundīpaṟa
.

பதச்சேதம்: எண்ணங்களே மனம். யாவினும் நான் எனும் எண்ணமே மூலம் ஆம். யான் ஆம் மனம் எனல்.

Padacchēdam (separazione delle parole): eṇṇaṅgaḷ-ē maṉam. yāviṉ-um nāṉ eṉum eṇṇam-ē mūlam ām. yāṉ ām maṉam eṉal .

Traduzione: Solo i pensieri sono la mente. Di tutti [i pensieri], il pensiero chiamato ‘io’ solo è il mūla [la radice, la base, il fondamento, l’origine, la sorgente o la causa]. [Quindi] ciò che è chiamata mente è [essenzialmente solo questo pensiero-radice] ‘io’.

Il pensiero chiamato ‘io’ (l’ego) è la radice di tutti gli altri pensieri, perché è il soggetto cosciente che li pensa e li sperimenta, mentre nessun altro pensiero sperimenta alcuna cosa. Quindi tutti gli altri pensieri sono oggetti non-coscienti sperimentati da ‘io’, e perciò essi dipendono da ‘io’ per la loro esistenza apparente. Poiché questo pensiero chiamato ‘io’ è il solo pensiero cosciente, quando diciamo che è la nostra mente che sta cercando di dare attenzione a ‘io’ intendiamo che questo pensiero chiamato ‘io’ sta cercando di dare attenzione a se stesso. Così cosa succede quando questo pensiero chiamato ‘io’ cerca di dare attenzione a se stesso?

Sri Ramana descrive l’ego (questo pensiero chiamato ‘io’) come un pensiero perché è una mescolanza confusa di ciò che ‘io’ è realmente e di varie aggiunte che esso (l’ego) ora sperimenta come ‘io’, e tutte queste aggiunte (cominciando dal corpo che ora sembra essere ‘io’) sono solo pensieri. Questo è il motivo per cui egli descrive l’ego anche come il pensiero chiamato ‘io sono questo corpo’, come fece per esempio nel verso 2 di Āṉma-Viddai :

ஊனா ருடலிதுவே நானா மெனுநினைவே
நானா நினைவுகள்சே ரோர்நா ரெனுமதனா
னானா ரிடமெதென்றுட் போனா னினைவுகள்போய்
நானா னெனக்குகையுட் டானாய்த் திகழுமான்ம —
ஞானமே; இதுவே மோனமே; ஏக வானமே;
இன்பத் தானமே. (ஐயே)

ūṉā ruḍaliduvē nāṉā meṉuniṉaivē
nāṉā niṉaivugaḷsē rōrnā reṉumadaṉā
ṉāṉā riḍamedeṉḏṟuṭ pōṉā ṉiṉaivugaḷpōy
nāṉā ṉeṉakkuhaiyuṭ ṭāṉāyt tikaṙumāṉma —
jñāṉamē; iduvē mōṉamē; ēka vāṉamē;
iṉbat tāṉamē.
(aiyē )

பதச்சேதம்: ‘ஊன் ஆர் உடல் இதுவே நான் ஆம்’ எனும் நினைவே நானா நினைவுகள் சேர் ஓர் நார் எனும் அதனால், ‘நான் ஆர் இடம் எது?’ [அல்லது, ‘நான் ஆர்? இடம் எது?’] என்று உள் போனால், நினைவுகள் போய், ‘நான் நான்’ என குகை உள் தானாய் திகழும் ஆன்ம ஞானமே. இதுவே மோனமே; ஏக வானமே; இன்ப தானமே. (ஐயே, அதி சுலபம், ...)

Padacchēdam (separazione delle parole): ‘ūṉ ār uḍal idu-v-ē nāṉ’ ām eṉum niṉaivē nāṉā niṉaivugaḷ sēr ōr nār eṉum adaṉāl, nāṉ ār iḍam edu eṉḏṟu uḷ pōṉāl, niṉaivugaḷ pōy, ‘nāṉ nāṉ’ eṉa guhai uḷ tāṉ-āy tikaṙum āṉma jñāṉam-ē. idu-v-ē mōṉam-ē; ēka vāṉam-ē; iṉba tāṉam-ē. (aiye, ati sulabham, … )

அன்வயம்: ‘ஊன் ஆர் உடல் இதுவே நான் ஆம்’ எனும் நினைவே நானா நினைவுகள் சேர் ஓர் நார் எனும் அதனால், ‘நான் ஆர் இடம் எது?’ (அல்லது, ‘நான் ஆர்? இடம் எது?’) என்று உள் போனால், நினைவுகள் போய், குகை உள் ‘நான் நான்’ என ஆன்ம ஞானமே தானாய் திகழும். இதுவே மோனமே; ஏக வானமே; இன்ப தானமே. (ஐயே, அதி சுலபம், ...)

Anvayam (parole disposte secondo ordine di prosa naturale): ‘ūṉ ār uḍal idu-v-ē nāṉ’ ām eṉum niṉaivē nāṉā niṉaivugaḷ sēr ōr nār eṉum adaṉāl, nāṉ ār iḍam edu eṉḏṟu uḷ pōṉāl, niṉaivugaḷ pōy, guhai uḷ ‘nāṉ nāṉ’ eṉa āṉma jñāṉam-ē tāṉ-āy tikaṙum. idu-v-ē mōṉam-ē; ēka vāṉam-ē; iṉba tāṉam-ē. (aiye, ati sulabham, … )

Traduzione: Poiché solo il pensiero ‘questo stesso corpo composto di carne è io’ è l’unico filo su cui [tutti] i vari pensieri sono infilati, se [uno] va all’interno [investigando] qual è il luogo da cui ‘io’ si diffonde, i pensieri cesseranno, e nella caverna [del proprio cuore] ātma-jñāna [auto-conoscenza] risplenderà spontaneamente come ‘io [sono solo] io’. Questo è il silenzio, l’unico spazio [di pura consapevolezza], la dimora della beatitudine. ([Quindi] ah, la scienza di sé è estremamente facile, ah, estremamente facile!)

Qui le parole நான் ஆர் இடம் எது (nāṉ ār iḍam edu ) possono significare ‘qual è il luogo da cui ‘io’ si diffonde’ o ‘chi sono io, qual è il [suo] luogo’. In entrambi in casi la parola ‘luogo’ (இடம்: iḍam ) indica la sorgente da cui ‘io’ sorge e il terreno su cui si regge, e questa sorgente o terreno non è altro che noi stessi, il nostro ‘io’ reale o ciò che siamo realmente. Quindi queste parole indicano la pratica di ātma-vicāra : investigare cosa siamo realmente.

Se consideriamo insieme i due versi suddetti, è chiaro che Sri Ramana ci sta insegnando che la mente o ego è in essenza solo il pensiero primario ‘io sono questo corpo’, che è la radice e il supporto per tutti gli altri pensieri. Poiché questo pensiero primario ‘io sono questo corpo’ è un’esperienza confusa di ‘io’, possiamo distruggerlo solo investigandolo e sperimentando quindi cos’è realmente ‘io’ – chi sono realmente io.

Poiché questa confusione o mancanza di chiarezza riguardo a cosa è realmente ‘io’ esiste solo per la mente o ego, che sperimenta se stessa come ‘io sono questo corpo’, è solo questa mente ha bisogno di investigare chi sono io. Tuttavia, è importante ricordare qui che benché il termine ‘mente’ è spesso usato per indicare una raccolta o serie di numerosi pensieri diversi, quando diciamo che la mente ha bisogno di investigare chi sono io, stiamo usando il termine mente per indicare solo il nostro pensiero primario chiamato ‘io’, che è la radice di tutti gli altri pensieri, perché dato che nessun altro pensiero sperimenta se stesso come ‘io’, nessun altro pensiero può investigare chi sono io.

Quindi, benché sia la mente o ego che investiga chi sono io, lo fa senza coinvolgere alcun pensiero diverso da ‘io’. Così ātma-vicāra è solo lo stato in cui il nostro ego o pensiero primario chiamato ‘io’ investiga nient’altro che se stesso.

Poiché questo pensiero chiamato ‘io’ è una mescolanza confusa di ‘io’ e varie aggiunte come il nostro corpo, per investigare se stesso deve cercare di dare attenzione solo a ‘io’ e di ignorare tutte le aggiunte a cui esso attacca se stesso ogni volta che da attenzione a qualsiasi cosa diversa da ‘io’. Quindi quando questo pensiero chiamato ‘io’ cerca di dare attenzione a se stesso solamente per scoprire chi sono io, sta separando se stesso in una misura più o meno grande da queste aggiunte, e più separa se stesso in questo modo, più sprofonda nella sua sorgente, il puro ‘io’ senza aggiunte, finché infine cesserà completamente di esistere, e solo la sua essenza, il puro ‘io’ senza aggiunte, rimarrà come sempre è.

Ogni tipo di meditazione o pratica spirituale diversa da ātma-vicāra comporta qualche pensiero diverso da ‘io’, quindi comporta dualità ed è un’attività mentale, un movimento della propria attenzione lontano da se stessi verso qualche altra cosa. Quindi ātma-vicāra è del tutto dissimile da ogni altra forma di meditazione, perché non comporta assolutamente un pensiero diverso da ‘io’, e quindi è non-duale e non un’attività mentale, poiché non comporta alcun movimento della nostra attenzione lontano da noi stessi, la sua sorgente. Così ātma-vicāra è solo uno stato di essere, non di fare qualcosa – cioè, è lo stato di solo essere come siamo realmente, chiaramente consapevoli di nient’altro che noi stessi, ‘io sono’.

Anche se al momento possiamo non essere in grado di conseguire perfettamente questo stato di solo essere come siamo realmente, questo è ciò che ambiamo di raggiungere quando pratichiamo ātma-vicāra . Cioè, stiamo cercando di sperimentare nient’altro che ‘io’, e quindi dobbiamo cercare di focalizzare la nostra intera attenzione su ‘io’ solamente, ritirandola da tutte le altre cose. Tuttavia, poiché partiamo dal nostro stato attuale, in cui sperimentiamo noi stessi come questo pensiero chiamato ‘io’, che è una mescolanza confusa di ‘io’ e varie aggiunte, non siamo inizialmente in grado di isolare il nostro puro ‘io’, separandolo completamente da tutte le aggiunge con cui è ora mischiato. Ma anche se inizialmente non siamo in grado di fare ciò, questo è ciò che stiamo cercando di fare.

Cioè, anche se partiamo investigando ciò che ora sperimentiamo come ‘io’, che è una mescolanza di ‘io’ e varie aggiunte, stiamo cercando di focalizzare la nostra intera attenzione solo sull’ ‘io’ essenziale in questa mescolanza, per isolarlo da tutte le aggiunge con cui è mischiato. Questo è il motivo per cui Sri Ramana disse (come registrato nel capitolo finale di Maharshi’s Gospel , edizione 2002, pag.89): ‘Nella nostra investigazione nella sorgente di ahaṁ-vṛtti [il pensiero ‘io’], prendete l’aspetto essenziale cit [consapevolezza] dell’ego’. Cioè, come egli spiegò proprio prima di dire questo, l’ego è chiamato cit-jaḍa-granthi, il nodo (granthi) che lega il cosciente (cit) al non cosciente (jaḍa), perché è una mescolanza confusa e legata saldamente del nostro ‘io’ reale, che è pura coscienza o consapevolezza (cit), e un corpo fisico, che è non-cosciente (jaḍa).

In questa mescolanza, ciò che è reale è solo ‘io’, perché il corpo e tutte le altre aggiunte non sono solo non-coscienti (jaḍa) ma anche non-esistenti (asat), come Sri Ramana dice nel verso 22 di Upadēśa Undiyār. Tuttavia, anche se queste aggiunte non esistono realmente, sembrano esistere nella visione confusa e illusa della mente, e questa mente è confusa e illusa solo perché non sperimenta ‘io’ come è realmente. Quindi, per distruggere questo illusorio cit-jaḍa-granthi, la mente deve cercare di sperimentare ‘io’ come è realmente, in completo isolamento da tutte queste aggiunte illusorie. In altre parole, la mente deve cercare di focalizzare la sua intera attenzione solo su ‘io’ – di essere consapevole di nient’altro che ‘io’ – isolando ‘io’ da tutte le aggiunte con cui ora sembra essere mischiato e confuso.

Tuttavia, anche se ātma-vicāra inizia con la mente (l’ego, il pensiero primario chiamato ‘io’) che cerca di sperimentare se stessa come realmente è, finisce con la scomparsa della mente e con il rimanere solo dell’unico ‘io’ reale che sperimenta se stesso come realmente è, e come sempre sperimenta realmente se stesso. Cioè, poiché la mente non è altro che un’erronea esperienza di ‘io’, quando essa sperimenta ‘io’ come realmente è, cessa di essere la mente e rimane come l’unico ‘io’ infinito, diverso dal quale niente esiste realmente.

L’analogia della corda che è confusa con un serpente è usata spesso per illustrare il fatto che ciò che sembra essere una mente limitata non è realmente niente altro che l’ ‘io’ infinito (proprio come ciò che sembra essere un serpente non è realmente altro che una corda), e che quando esaminiamo attentamente questa mente illusoria (il nostro pensiero primario chiamato ‘io’) essa si fonderà e scomparirà nell’ ‘io’ infinito, che è il nostro sé reale (proprio come quando esaminiamo attentamente il serpente illusorio esso si fonderà e scomparirà nella corda che è realmente). Comunque, in quest’analogia, chi esamina attentamente il serpente e lo scopre essere solo una corda è diverso sia dal serpente sia dalla corda, mentre nel caso della mente e del nostro ‘io’ reale, è la stessa mente che esamina attentamente se stessa, e nel fare questo sprofonda e scompare, rimanendo solo come l’ ‘io’ reale che è sempre realmente, e che sempre realmente sperimenta se stesso come realmente è. Di conseguenza è come il serpente che esamina se stesso scoprendo che non è mai stato un serpente ma sempre solo una corda.

Anche se si tratta ovviamente di un’analogia imperfetta, l’analogia del serpente e la corda è nondimeno molto utile, perché illustra (tra le altre cose) il fatto che proprio come il serpente non è niente altro che una corda, la mente non è niente altro che il nostro ‘io’ reale, così proprio come non dovremmo pensare che ci sono due oggetti, un serpente e una corda, non dovremmo fare l’errore di pensare che ci sono due ‘io’, un ‘io’ limitato chiamato mente o ego e un ‘io’ infinito chiamato sé o ātman. C’è sempre e solo un ‘io’, ma quando questo ‘io’ è mischiato e confuso con aggiunte illusorie, sembra essere la nostra mente o ego, mentre quando è sperimentato come è realmente è il nostro sé reale o ātman.

Ciò che Sri Ramana dice nel verso 899 di Guru Vācaka Kōvai è molto adatto in questo contesto:

அறிவுக் கறிவா யறிவுட் செறிமெய்க் குறியைப் பொருந்துங் குறிகேள் — குறிசுட் டறிவா லதனையே யாய்ந்தறித லஃதுட் செறிவதற் கான திறம்.

aṟivuk kaṟivā yaṟivuṭ ceṟimeyk
kuṟiyaip porunduṅ kuṟikēḷ
kuṟisuṭ
ṭaṟivā ladaṉaiyē yāyndaṟida laḵduṭ
ceṟivadaṟ kāṉa tiṟam.


பதச்சேதம்: அறிவுக்கு அறிவாய் அறிவு உள் செறி மெய் குறியை பொருந்தும் குறி கேள்: குறி சுட்டு அறிவால் அதனையே ஆய்ந்து அறிதல் அஃது உள் செறிவதற்கான திறம்.

Padacchēdam (separazione delle parole): aṟivukku aṟivāy aṟivu uḷ seṟi mey kuṟiyai porundum kuṟi kēḷ: kuṟi suṭṭu aṟivāl adaṉai-y-ē āyndu aṟidal aḵdu uḷ seṟivadaṟkāṉa tiṟam.

Traduzione: Ascolta l’indizio con cui raggiungere il fine reale, che esiste intimamente all’interno della conoscenza come la conoscenza della conoscenza: con la conoscenza rivolta all’oggetto, investigare e conoscere che [la conoscenza] stessa è il mezzo per dimorare fermamente all’interno.

அறிவு (aṟivu ) è un sostantivo derivato dal verbo அறி (aṟi ), che significa conoscere, comprendere, riconoscere, percepire, accertarsi, sperimentare o pensare, così il suo significato di base è conoscenza nel senso più ampio, e secondo del contesto può significare saggezza, intelligenza, percezione, consapevolezza, mente o sé (ātman ). L’ho tradotto qui come ‘conoscenza’, ma in questo contesto significa conoscenza nel senso di quello che conosce o è consapevole (vale a dire ‘io’), e in qualche caso indica la mente e in altri casi il nostro sé reale. Per esempio, ‘che esiste intimamente all’interno della conoscenza come la conoscenza della conoscenza’ significa ‘che intimamente esiste all’interno della nostra mente come il nostro sé reale, che è la consapevolezza che illumina la nostra mente’.

Nella seconda metà di questo verso குறி சுட்டு அறிவால் (kuṟi suṭṭu aṟivāl ) significa letteralmente ‘con la conoscenza rivolta all’oggetto [o mirata all’oggetto]’, ma in questo contesto ciò significa chiaramente ‘con la consapevolezza che da attenzione agli oggetti’, vale a dire la mente (veramente nella filosofia Tamil, சுட்டறிவு (suṭṭaṟivu : una fusione eufonica di suṭṭu aṟivu ), ‘ conoscenza rivolta’ o ‘conoscenza indicante’, è un termine standard che indica la mente come la consapevolezza che è rivolta lontano da se stessa e che quindi indica che qualcosa esiste senza essere in grado di conoscere cosa quel qualcosa è realmente). La parola successiva, அதனையே (adaṉai-y-ē ), è una forma accusativa di un pronome che significa ‘quello’ o ‘esso’ con il suffisso intensificante ē , che può essere inteso significare ‘solo’ o ‘se stesso’, e in questo contesto indica quel சுட்டறிவு (suṭṭaṟivu ), la mente. Quindi il significato descritto qui è usare la mente, che è abitualmente diretta verso gli oggetti diversi da se stessa, per investigare e conoscere la mente stessa. Così il significato di questo verso può essere parafrasato come segue:

Ascolta il mezzo con cui ottenere la realtà, che dimora all’interno della mente come la consapevolezza che da luce alla mente: con la mente che da attenzione agli oggetti, investigare e conoscere quella stessa mente è il mezzo per fondersi all’interno e dimorare fermamente con il sé, la realtà.

Finché la mente da attenzione a qualsiasi cosa diversa da se stessa, essa è nutrita e sostenuta, ma quando cerca di dare attenzione a se stessa, essa sprofonda e scompare, perché come il serpente immaginario è un’illusione che sembra esistere solo finché non è attentamente esaminata. Quindi, invece di dirigere la nostra mente verso qualsiasi altra cosa, dovremmo dirigerla verso se stessa solamente – cioè, verso ‘io’ solamente – per scoprire chi sono io che ora sperimento me stesso come questa mente.

Quando la mente è diretta verso altre cose, essa sembra consistere di molti pensieri, ma quando è diretta all’interno verso ‘io’ solamente, tutti quei pensieri diminuiscono e così scopriremo che la mente è in essenza niente altro che pura auto-consapevolezza, ‘io sono’. Questa pura auto-consapevolezza (che è ciò che Sri Ramana descrisse come ‘l’aspetto essenziale cit dell’ego’ nella suddetta frase tratta da Maharshi’s Gospel ) è la luce con cui la mente sembra essere consapevole di altre cose quando è diretta lontano da se stessa, così Sri Ramana descrisse la pura auto-consapevolezza come ciò che esiste ‘all’interno della mente come la consapevolezza della consapevolezza della mente’ (அறிவுக்கு அறிவாய் அறிவுள்: aṟivukku aṟivāy aṟivuḷ ).

Cioè, anche se la mente è ora consapevole di se stessa come ‘io sono questo corpo’, all’interno di questa auto-consapevolezza mischiata e quindi adulterata si trova la nostra pura auto-consapevolezza, che sperimenta se stessa come ‘io sono’ solamente. Poiché questa pura auto-consapevolezza è la sola cosa che è realmente consapevole o cosciente, è la vera consapevolezza che permette alla mente di sembrare di essere consapevole di cose diversa da se stessa. Così essa esiste all’interno della mente come la consapevolezza della sua consapevolezza - in altre parole, proprio come l’essenza o sostanza della sua consapevolezza – così se la mente cerca di conoscere se stessa investigando chi sono io, essa sprofonderà e scomparirà nella sua sorgente e sostanza, la nostra pura auto-consapevolezza ‘io sono’.

Quindi, anche se è solo la mente o ego che investiga se stessa cercando di sperimentare solo ‘io’ per scoprire chi sono io, la sua investigazione raggiungerà la sua conclusione solo quando la mente sprofonda completamente e si fonde nella sua sorgente ed essenza, l’unica auto-consapevolezza assolutamente pura e non-duale ‘io sono’.

Ci sono diverse altre questioni che sono sorte in altri commenti al mio articolo precedente, ’Come dare attenzione a ‘io’?’, così le discuterò nel mio prossimo articolo: ‘Poiché sperimentiamo sempre ‘io’, non abbiamo bisogno di trovarlo, ma solo di sperimentarlo come realmente è’.


Nessun commento:

Posta un commento