Om Namo Bhagavate Sri Arunachalaramanaya

sabato 7 marzo 2015

Intensità, frequenza e durata dell’auto-attentività

Michael James

6 Marzo 2015
Intensity, frequency and duration of self-attentiveness

Un amico recentemente mi ha scritto un’email in cui scrive, ‘Ora vedo chiaramente che è solo bhakti che può rendermi migliore e più forte per atma-vicara’, a cui ho risposto:

Si, Sri Ramana era solito dire che bhakti (amore o devozione) è la madre di jñāna (conoscenza o vera esperienza di sé), e ciò che intendeva con bhakti in questo contesto era solo l’amore di sperimentare nient’altro che noi stessi soltanto, come ha inteso chiaramente nei versi 8 e 9 di Upadēśa Undiyār:
அனியபா வத்தி னவனக மாகு
மனனிய பாவமே யுந்தீபற
வனைத்தினு முத்தம முந்தீபற.

aṉiyabhā vatti ṉavaṉaha māhu
maṉaṉiya bhāvamē yundīpaṟa
vaṉaittiṉu muttama mundīpaṟa
.

பதச்சேதம்: அனிய பாவத்தின் அவன் அகம் ஆகும் அனனிய பாவமே அனைத்தினும் உத்தமம்.

Padacchēdam (separazione delle parole): aṉiya-bhāvattiṉ avaṉ aham āhum aṉaṉiya-bhāvam-ē aṉaittiṉ-um uttamam.

Traduzione: Piuttosto che anya-bhāva [meditazione in cui Dio è considerato diverso da ‘io’], ananya-bhāva, in cui ‘egli’ è [considerato nessun’altro che] ‘io’, è davvero la migliore tra tutte [le pratiche di bhakti e di molteplici meditazioni].

பாவ பலத்தினாற் பாவனா தீதசற்
பாவத் திருத்தலே யுந்தீபற
பரபத்தி தத்துவ முந்தீபற.

bhāva balattiṉāṯ bhāvaṉā tītasaṯ
bhāvat tiruttalē yundīpaṟa
parabhatti tattuva mundīpaṟa
.

பதச்சேதம்: பாவ பலத்தினால் பாவனாதீத சத் பாவத்து இருத்தலே பரபத்தி தத்துவம்.

Padacchēdam (separazione delle parole): bhāva balattiṉāl bhāvaṉātīta sat-bhāvattu iruttal-ē para-bhatti tattuvam.

Traduzione: per l’intensità di [tale] meditazione [cioè, per l’intensità di ananya-bhāva o auto-attentività], essere [dimorare o permanere] in sat-bhāva [il nostro ‘stato di essere’ o ‘essere reale’], che trascende [tutto] il bhāvana [immaginazione, pensiero o meditazione], è solo para-bhakti tattva [il vero stato di suprema devozione].
In risposta a questo il mio amico ha scritto un’altra email in cui ha detto che sebbene non potesse ricordare dove, rammentava un mio 'suggerire qualcosa sulla linea di “atma-vicara è fatta in modo migliore poche volte con intensità piuttosto che fatto con regolarità durante il giorno”', e mi ha chiesto di approfondire su questo. Tuttavia, prima che potessi rispondere mi ha scritto nuovamente dicendo che aveva trovato il brano a cui si stava riferendo, che era il seguente estratto di una risposta che ho scritto il mese scorso a una domanda che mi è stata posta in un commento ad uno dei miei articoli recenti, Perché compassione e ahiṁsā sono necessarie in un sogno? :
Quindi, piuttosto che provare continuamente per lungo tempo, è più efficace se proviamo frequentemente ma con insistenza solo per breve tempo ogni volta. Molti tentativi brevi ma intensi daranno in noi come risultato l’essere auto-attentivi per un tempo più lungo ogni giorno di quanto lo saremmo se cercassimo di essere auto-attentivi ininterrottamente per un tempo prolungato.
Ciò che segue è tratto dalla risposta che ho scritto alla richiesta del mio amico di approfondire su questo:

Finché sperimentiamo qualcosa diversa da noi stessi, ci stiamo sperimentando come l’ego, perché è solo l’ego che sperimenta qualcosa diversa da se stesso. Ciò che siamo realmente (il nostro sé reale) sperimenta sempre soltanto se stesso, e mai qualsiasi altra cosa. Questo è il motivo per cui Sri Ramana dice nel verso 26 di Uḷḷadu Nāṟpadu:
அகந்தையுண் டாயி னனைத்துமுண் டாகு
மகந்தையின் றேலின் றனைத்து — மகந்தையே
யாவுமா மாதலால் யாதிதென்று நாடலே
யோவுதல் யாவுமென வோர்.

ahandaiyuṇ ḍāyi ṉaṉaittumuṇ ḍāhu
mahandaiyiṉ ḏṟēliṉ ḏṟaṉaittu — mahandaiyē
yāvumā mādalāl yādideṉḏṟu nādalē
yōvudal yāvumeṉa vōr
.

பதச்சேதம்: அகந்தை உண்டாயின், அனைத்தும் உண்டாகும்; அகந்தை இன்றேல், இன்று அனைத்தும். அகந்தையே யாவும் ஆம். ஆதலால், யாது இது என்று நாடலே ஓவுதல் யாவும் என ஓர்.

Padacchēdam (separazione delle parole): ahandai uṇḍāyiṉ, aṉaittum uṇḍāhum; ahandai iṉḏṟēl, iṉḏṟu aṉaittum. ahandai-y-ē yāvum ām. ādalāl, yādu idu eṉḏṟu nādal-ē ōvudal yāvum eṉa ōr.

Traduzione: Se l’ego ha origine, ogni cosa ha origine; se l’ego non esiste, ogni cosa non esiste. [Quindi] l’ego è ogni cosa. Perciò, sappi che solo investigare cos’è questo [ego] è rinunciare a ogni cosa.
Quindi per sperimentarci come siamo realmente, dobbiamo sperimentare noi stessi soltanto, in completo isolamento da ogni altra cosa (che è solo una creazione mentale, un’espansione del nostro ego). Se sperimentiamo chiaramente noi stessi soltanto anche solo per un momento, ci sperimenteremo come siamo realmente, per cui l’illusione di essere questo ego sarà distrutta per sempre.

Quando Sri Ramana sperimentò un’intensa paura della morte come un ragazzo di 16 anni, la sua risposta immediata fu di rivolgere l'intera attenzione all’interno – verso se stesso soltanto – per scoprire se era qualcosa che avrebbe cessato di esistere con la morte del corpo. Poiché rivolse la sua intera attenzione verso se stesso soltanto, sperimentò solo se stesso, e perciò si conobbe come è realmente. Questo sperimentare sé stesso soltanto non fu un processo prolungato, ma accadde in un momento, e in quel momento il suo ego e ogni altra cosa – incluso il tempo – furono distrutti per sempre (o piuttosto, furono scoperti essere sempre non-esistenti, proprio come un serpente illusorio è ‘distrutto’ quando è scoperto essere non un serpente ma solo una corda).

Quindi quando stiamo praticando auto-investigazione (ātma-vicāra) come insegnata da Sri Ramana, il nostro fine dovrebbe essere sperimentare soltanto noi stessi, e se riusciamo a sperimentare soltanto noi stessi solo per un singolo momento, quello sarà sufficiente a distruggere per sempre il nostro ego. Come ho scritto in uno dei miei articoli recenti, Essere soltanto (summā irukkai) non è un’attività ma uno stato di perfetta immobilità :
Sadhu Om era solito spiegare questo nei termini di voltarsi di 180 gradi, lontano da tutte le altre cose e verso noi stessi solamente. Più ci avviciniamo a voltarci di 180 gradi, meno ogni consapevolezza di qualsiasi altra cosa sarà mischiata con la nostra auto-consapevolezza, ma se non ci voltiamo di 180 gradi completi non stiamo ancora sperimentando solo noi stessi, in completo isolamento dalla consapevolezza di altre cose. Quando riusciamo una volta a voltarci di 180 gradi completi, sperimenteremo nient’altro che noi stessi, e ci sperimenteremo come siamo realmente, dopo di che non sperimenteremo mai più nessun’altra cosa.

Quando cerchiamo di dare attenzione solo a noi stessi, possiamo riuscire a voltarci di 90, 120, 150 o anche di 179 gradi, ma non possiamo effettivamente sapere di quanto ci siamo voltati, così dobbiamo continuare a provare finché infine riusciamo a voltarci di 180 gradi completi.
Sadhu Om diceva anche che se riusciamo a voltarci di 180 gradi completi, saremo presi dagli ‘artigli della grazia’ (la consapevolezza perfettamente chiara di noi stessi), dopo di che non saremo più in grado di voltarci indietro per sperimentare qualsiasi altra cosa. Quindi abbiamo bisogno di voltarci di 180 gradi completi solo per un singolo momento.

Se proviamo a essere auto-attentivi per un prolungato periodo di tempo, inizialmente possiamo riuscire a voltarci di 170 gradi (per esempio), ma non saremo in grado di mantenere a lungo tale intensità di auto-attentività, così inizieremo a scivolare indietro, forse a 160 gradi, poi a 150 gradi, e così via. Poiché non possiamo mantenere tale intensità a lungo, Sadhu Om era solito dire che piuttosto che fare un tentativo prolungato di mantenere un’auto-attentività non così abbastanza intensa, è meglio fare molti tentativi brevi ma frequenti per rivolgere la nostra attenzione di 180 gradi pieni verso noi stessi soltanto.

Prima di trovare la citazione esatta che stavi cercando, hai parafrasato ciò che avevo scritto come ‘atma-vicara è fatto meglio poche volte con intensità piuttosto che fatto regolarmente durante il giorno’, ma questo non è esattamente ciò che intendevo. Ogni volta che parlo di intensità (o esclusività) dell’auto-attentività, ciò che intendo è il grado in cui volgiamo la nostra attenzione indietro verso noi stessi soltanto, così più ci avviciniamo a voltarci di 180 gradi pieni verso noi stessi (cioè, più ci avviciniamo ad essere consapevoli di noi stessi soltanto, e quindi a cessare di essere consapevoli di qualunque altra cosa), più intensa (o esclusiva) sarà la nostra auto-attentività.

Poiché l’intensità dell’auto-attentività ha come risultato (o piuttosto è come) la chiarezza dell’auto-consapevolezza, è ciò che dovremmo sempre ambire di sperimentare. Nel corso della nostra pratica sperimenteremo vari gradi di intensità (e quindi di chiarezza), ed è generalmente più benefico sperimentare un grado più elevato di intensità per un breve tempo che un grado inferiore per un tempo più lungo. Quindi non dobbiamo cercare di essere intensamente o esclusivamente auto-attentivi ininterrottamente per un lungo periodo, ma dovremmo piuttosto cercare più frequentemente possibile di essere intensamente auto-attentivi almeno per breve tempo, anche se per non più di uno o due minuti.

Tuttavia, finché sperimentiamo noi stessi come un corpo, spesso abbiamo bisogno di essere impegnati in attività che richiedono una parte o tutta la nostra attenzione, ma come tutti sappiamo, anche quando diamo attenzione ad altre cose non cessiamo di esistere e di essere consapevoli di noi stessi, così anche mentre diamo attenzione ad altre cose possiamo altresì mantenere un grado limitato di auto-attentività o auto-ricordo. Quindi, oltre a cercare più spesso possibile di essere consapevoli soltanto di noi stessi, è anche benefico cercare di essere almeno parzialmente auto-attentivi mentre siamo impegnati in qualche attività che non richieda la nostra intera attenzione.

Cercare di essere almeno parzialmente auto-attentivi più spesso o più continuamente possibile, ci aiuterà a coltivare la forza di essere più intensamente auto-attentivi ogni volta siamo liberi di provare ad esserlo. Nello stesso modo, più frequentemente cerchiamo di essere esclusivamente auto-attentivi, più facile ci diventerà essere almeno parzialmente auto-attentivi in altri momenti. Quindi dovremmo cercare di fare sia tentativi frequenti di essere esclusivamente auto-attentivi per breve tempo, sia tentativi più continui di essere almeno parzialmente auto-attentivi per più tempo possibile.

Ciò che spinge entrambi questi due tipi (o piuttosto gradi) di pratica è solo il nostro amore di sperimentare noi stessi come siamo realmente. Più coltiviamo questo amore, praticando il più possibile l’essere auto-attentivi, più saremo guidati interiormente a cercare di esserlo più intensamente ogni volta siamo liberi di farlo, e di cercare di esserlo almeno parzialmente in tutti gli altri momenti. Questa intensità di cercare di essere il più possibile auto-attentivi è ciò a cui Sri Ramana si riferiva quando disse nell’undicesimo paragrafo di Nāṉ Yār? (Chi sono io?):
[...] ஒருவன் தான் சொரூபத்தை யடையும் வரையில் நிரந்தர சொரூப ஸ்மரணையைக் கைப்பற்றுவானாயின் அதுவொன்றே போதும். [...]

[...] oruvaṉ tāṉ sorūpattai y-aḍaiyum varaiyil nirantara sorūpa-smaraṇaiyai-k kai-p-paṯṟuvāṉ-āyiṉ adu-v-oṉḏṟē pōdum. [...]

[...] se ci si aggrappa saldamente all’ininterrotto svarūpa-smaraṇa [auto-ricordo] finché si ottiene svarūpa [il proprio sé essenziale], questo soltanto sarà sufficiente. […]
L’ininterrotta auto-attentività o auto-ricordo dovrebbe essere il nostro fine, ma se non sperimentiamo noi stessi come siamo realmente, la nostra auto-attentività sarà frequentemente interrotta dalla consapevolezza di altre cose. Tuttavia, benché al momento non possiamo essere esclusivamente auto-attentivi senza alcuna interruzione, possiamo cercare di esserlo almeno parzialmente con meno interruzioni possibile. Quindi credo che ciò che Sri Ramana intendeva in questa frase di Nāṉ Yār? con il termine ‘நிரந்தர சொரூப ஸ்மரணை’ (nirantara sorūpa-smaraṇai) o ‘ininterrotto auto-ricordo’ è la pratica di cercare continuamente di essere almeno parzialmente auto-attentivi anche nel pieno delle altre attività.

Il motivo per cui egli dice che tale pratica soltanto sarà sufficiente è che più cerchiamo di essere ininterrottamente auto-attentivi, più coltiveremo un intenso amore di sé (svātma-bhakti), che a sua volta ci spingerà ad essere esclusivamente auto-attentivi – cioè, a sperimentare soltanto noi stessi – ogni volta che abbiamo un momento libero per farlo. Così, cercando di ‘aggrapparci saldamente all’ininterrotto auto-ricordo’ spingeremo noi stessi a cercare frequentemente di essere auto-attentivi il più intensamente possibile.

Ciò che interrompe la nostra auto-attentività è il nostro interesse in altre cose – la nostra inclinazione a sperimentare o a conoscere qualsiasi cosa diversa da noi stessi soltanto – così la misura in cui possiamo essere ininterrottamente auto-attentivi è determinata dall’intensità della nostra svātma-bhakti, il nostro amore di sperimentare soltanto noi stessi. Se abbiamo questo amore, ci sforzeremo di sperimentare un auto-ricordo ininterrotto, a prescindere da qualsiasi cosa stiamo facendo, e di sperimentare una consapevolezza più intensa ogni volta non siamo impegnati in qualche altra attività.

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