Om Namo Bhagavate Sri Arunachalaramanaya

sabato 4 aprile 2015

L’importanza di compassione e ahimsa


Michael James

22 Agosto 2007
The importance of compassion and ahimsa

Questo articolo è la seconda parte del mio articolo precedente, La suprema compassione di Sri Ramana, che contiene la prima parte di una spiegazione dettagliata riguardo all’importanza della compassione e di ahimsa (una parola che significa ‘non nuocere’ o non ferire, cioè, non causare alcuna sofferenza a qualsiasi essere vivente), presente nel Capitolo 10, ‘La Pratica dell’Arte di Essere’, di ‘Felicità e l’Arte di Essere’.

Sia con le sue parole che con il suo esempio egli [Sri Ramana] ci ha insegnato la virtù della perfetta ahimsa o evitare compassionevolmente di causare qualsiasi danno, offesa o ferita ad ogni essere senziente. Attraverso la sua vita e i suoi insegnamenti egli ci ha indicato chiaramente che considerava ahimsa o ‘non-nuocere’ come una virtù più grande di cercare attivamente di ‘fare del bene’. Mentre ahimsa è uno stato passivo di astenersi da fare qualsiasi azione che possa causare direttamente o indirettamente danno o sofferenza a ogni persona o creatura, ‘fare del bene’ è un’interferenza attiva nel corso esterno degli eventi e negli affari di altre persone, e anche quando interferiamo con una buona intenzione, le nostre azioni spesso hanno ripercussioni dannose.

Quando cerchiamo di fare azioni che crediamo daranno ‘buoni’ risultati, spesso finiamo per causare danno a noi stessi o agli altri, o a entrambi. Il pericolo per noi stessi, nel cercare di fare ‘del bene’ agli altri sta principalmente nell’effetto che tali azioni possono avere sul nostro ego. Se ci impegniamo attivamente e ambiziosamente nel cercare esteriormente di fare ‘del bene’, è facile lasciarsi sfuggire i difetti della nostra mente, e non notare il sottile orgoglio, l’egotismo e la sensazione di essere giusti che tendono a sorgere nella nostra mente quando ci concentriamo nel rettificare i difetti del mondo esterno piuttosto che rettificare i nostri difetti interiori.

Inoltre, ciò che consideriamo essere ‘il bene’ è spesso molto diverso da ciò che viene considerato ‘il bene’ da altre persone, così, tranne che siamo molto attenti, ‘il bene’ che cerchiamo di fare agli altri può di fatto essere non voluto. Anche se sentiamo fortemente che la nostra idea di ‘bene’ è giusta e quella di qualche altra persona è sbagliata, dovremmo essere attenti a non cercare di imporre la nostra idea di ‘bene’ su di essi, perché quando facciamo questo i nostri sforzi creeranno solo risentimento e conflitto, che solitamente avranno come risultato il causare più danno di qualsiasi ‘bene’ effettivo.

La maggior parte delle azioni hanno effetti multipli, così le ripercussioni delle nostre azioni spesso non sono ciò che volevamo che fossero. Più grande è il ‘bene’ che cerchiamo di fare, più grande è il danno che può risultare. Dall’inizio della storia dell’umanità, molti riformatori sociali, politici e religiosi sono venuti e andati, ma tutte le loro tentate riforme non hanno mai avuto come risultato il bene puro. Ogni azione o serie di azioni che ha un impatto significativo su questo mondo ha come risultato inevitabile una mescolanza di buono e cattivo – di beneficio e di danno.

Molti dei più grandi mali e ingiustizie in questo mondo sono risultati dalle riforme sociali, politiche, economiche e religiose, presumibilmente bene intenzionate. Anche nel nome di Dio sono avvenuti innumerevoli conflitti che, qualche volta, hanno avuto come risultato persecuzioni crudeli, guerre e terrorismo. Da tutto ciò dovremmo comprendere che tentativi di fare del bene possono avere come risultato un grande danno, e che il nostro dovere morale primario è di evitare di causare qualsiasi danno piuttosto che cercare di fare qualcosa di bene.

In molte situazioni, il bene di gran lunga migliore può risultare dal nostro astenerci dal fare ogni azione più di quanto potrebbe possibilmente risultare dal fare qualche azione, perché il bene che potrebbe risultare da qualsiasi azione che potremmo fare non compenserebbe il danno che da essa risulterebbe. In altre parole, la nostra inazione – il nostro essere solamente senza fare alcuna cosa – può spesso essere realmente più benefico di quanto lo possa essere qualunque quantità di azione o di ‘fare’.

Come regola generale, se un'azione può probabilmente causare danno a qualche essere senziente, dovremmo evitare di farla, anche se essa può in qualche modo fare del bene. Inoltre, in qualsiasi situazione in cui possiamo decidere di fare o di non fare qualche azione, dovremmo sempre ricordare che il bene supremo, che è infinita felicità della vera auto-conoscenza, non può mai essere raggiunto da una qualunque quantità di azione o ‘fare’, ma solo da ‘essere' soltanto – cioè , dal nostro dimorare pacificamente nel nostro stato naturale, che è lo stato perfettamente chiaro di essere auto-cosciente, senza ego, senza pensiero, e quindi assolutamente senza azione.

Questo non vuole dire, comunque, che non dovremmo fare niente per aiutare altre persone o creature quando sorge un bisogno immediato, ma solo che non dovremmo essere troppo ambiziosi nel nostro desiderio di fare del bene. Dovremmo rispondere in modo appropriato in ogni situazione in cui ci troviamo, ma non abbiamo bisogno di cercare attivamente situazioni in cui immaginiamo che il nostro aiuto possa essere richiesto. Inoltre, anche quando sorge una situazione in cui il nostro aiuto sembra essere richiesto, dovremmo stare attenti a dare l'aiuto o a fare il ‘bene’ che è veramente appropriato, e allo stesso tempo, nel nostro tentativo di fare del bene, dovremmo essere attenti a non causare qualsiasi forma di danno.

Dall’esempio posto da Sri Ramana, dovremmo comprendere che è bene essere sempre umili, altruisti, gentili, premurosi, solleciti, cortesi, compassionevoli, generosi e aperti, e che tutte le nostre azioni e reazioni esteriori – che in molti casi possono, in modo appropriato, includere il nostro evitare di fare certe azioni o qualsiasi azione – dovrebbero sempre essere guidate da queste qualità interiori della mente e del cuore. La grande importanza di questa vera generosità, gentilezza e premura è stata enfatizzata chiaramente da Sri Ramana quando ha concluso questo diciannovesimo paragrafo di Nāṉ Yār? (Chi sono io?) dicendo:
‘[…] Tutto ciò che si da agli altri lo si da solo a se stessi. Se [tutti] conoscessero questa verità, chi davvero si asterrebbe dal dare?’
Tutto ciò che diamo agli altri (specialmente il tenero amore, la gentilezza, la compassione, la simpatia, l’affetto, la cura e la considerazione) lo stiamo dando solo a noi stessi perché nessuno – nessuna persona, animale, pianta o qualsiasi altra cosa – è realmente diverso da noi stessi, il nostro essere essenziale auto-cosciente o ‘sonoità' (‘am’-ness).

Questo è il significato reale dell’insegnamento di Cristo, “Tu amerai il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, e con tutta la tua anima, e con tutta la tua mente… Tu amerai il tuo prossimo come te stesso” (Matteo 22.37,39 e Marco 12.30,31). Non possiamo realmente amare Dio né il nostro prossimo – tutti i nostri simili esseri senzienti – come noi stessi se non li sperimentiamo realmente come noi stessi, e se non li amiamo come noi stessi, non possiamo realmente amarli con tutto il nostro cuore, anima e mente.

L’amore per qualcosa diversa da noi stessi non può mai essere un amore completo, ma solo una amore diviso e quindi parziale, perché amiamo sempre noi stessi più di quanto possiamo mai amare qualsiasi altra persona o cosa. Quindi se desideriamo realmente amare Dio o il nostro prossimo totalmente – con tutto il nostro cuore, anima e mente – dobbiamo sperimentarli come noi stessi, e per sperimentarli in questo modo, dobbiamo sperimentare noi stessi come siamo realmente – cioè, come l’unica realtà infinita e indivisibile, che è l’essenza reale o vera sostanza di tutto ciò che è. Quindi, poiché non possiamo sperimentare noi stessi come la totalità infinita, indivisa, non-duale e onnicomprensiva finché diamo attenzione a qualsiasi cosa che appare essere diversa da noi stessi, per sperimentare sia Dio che il nostro prossimo come noi stessi, dobbiamo ritirare interamente la nostra mente dalle loro immaginarie forme esteriori e focalizzarla intensamente ed esclusivamente sul nostro essere essenziale auto-cosciente, ‘io sono’, che solo è la loro forma reale ed essenziale.

Quindi se non fondiamo noi stessi e ci perdiamo completamente nel nostro stato naturale di essere auto-cosciente assolutamente non-duale, che solo è lo stato di vera auto-conoscenza, il nostro amore per Dio e per il nostro prossimo sarà solo parziale e imperfetto. Tuttavia, anche se possiamo non ancora sperimentare e amare realmente tutti i nostri simili esseri senzienti come noi stessi, se abbiamo compreso realmente, almeno teoricamente, che essi sono veramente nient’altro che noi stessi, sentiremo naturalmente compassione per essi e empatizzeremo con le loro sofferenze. Quando sentiremo questa compassione ed empatia per tutti gli esseri senzienti, ci asterremo naturalmente, per quanto possibile, dal causare anche il minimo danno o sofferenza ad ognuno di essi.

Inoltre, il nostro amore, la compassione e l’interesse per altre persone e animali non dovrebbe portarci a credere che possiamo fare qualche grande bene in questo mondo, o che questo mondo ha bisogno di noi per essere riformato. Ogni volta che qualcuno disse a Sri Ramana di avere l’ambizione di riformare il mondo in qualche modo e di fare qualche altro ‘bene’, egli avrebbe detto, “Colui che ha creato questo mondo sa come prendersi cura di esso. Se credi in Dio, abbi fiducia che lui fa qualsiasi cosa è necessaria per questo mondo”. In molte occasioni e in molti modi, Sri Ramana rese chiaro che il nostro dovere non è riformare il mondo ma solo riformare noi stessi.

Alle persone che mancavano di comprensione sottile, egli avrebbe detto che poiché questo mondo è creato da Dio, egli sa come prendersi cura di esso, indicando quindi che questo mondo è esattamente come Dio vuole che sia, e che lo vuole così per il vero beneficio di tutti gli interessati. Tuttavia, alle persone di comprensione più sottile, avrebbe detto che questo mondo è una creazione della nostra mente, e che esiste solo nella nostra mente, nello stesso modo in cui un sogno esiste solo nella nostra mente, e che tutti i difetti che vediamo in questo mondo sono quindi riflessi dei difetti della nostra mente. Dunque, piuttosto che cercare di riformare il riflesso, dovremmo cercare di riformare la sorgente di esso, che è la nostra mente. Se riformiamo la mente ristabilendola nel nostro stato naturale di solo essere, anche il suo riflesso si fonderà e diverrà uno con il nostro vero essere, che è l’infinita pienezza di felicità e amore puro.

Benché tutti i molteplici problemi di questo mondo possono essere effettivamente risolti solo dal nostro rivolgere la nostra mente interiormente annegandola nella sua sorgente, che è il nostro essere auto-cosciente assolutamente non-duale, finché la nostra mente è rivolta all’esterno, continueremo a confondere noi stessi solo con una persona legata a un corpo - una tra le molte creature legate a un corpo che vivono in questo mondo materiale. Quando confondiamo noi stessi come una persona limitata, ci coinvolgiamo inevitabilmente nelle attività del nostro corpo, della parola e della mente, e le nostre azioni hanno inevitabilmente un effetto su altre persone e creature.

Dunque in questo stato dualistico di attività siamo responsabili per gli effetti delle nostre azioni, e quindi dobbiamo stare attenti a non causare alcun danno a tutti i nostri simili esseri incarnati. Il beneficio del nostro attento praticare la virtù di ahimsa o ‘non-nuocere’ è duplice. Non solo evitiamo per quanto possibile di causare qualsiasi danno o sofferenza a ogni altro essere senziente, ma coltiviamo anche la tenerezza mentale che ci è richiesta per essere in grado di rivolgerci all’interno e fonderci nel nostro stato naturale di solo essere.

Se, con crudeltà, siamo indifferenti alla sofferenza degli altri, per quanto possiamo sforzarci non riusciremo a rivolgerci interiormente, perché tale crudeltà è causata solo dalla densità del nostro ego – dal nostro forte attaccamento e identificazione con il nostro sé individuale. Solo quando il nostro attaccamento al nostro ego sarà di molto attenuato avremo vairagya, l'assenza di desiderio o il distacco che ci è necessario per essere in grado di rinunciare a tutti i pensieri o all’attenzione a qualsiasi cosa diversa dal nostro essere essenziale auto-cosciente, e come conseguenza inevitabile di questa attenuazione del nostro ego, all’interno di noi, sorgeranno anche naturalmente vera gentilezza di cuore, amore e compassione.

Il vero amore per solo essere sorgerà nel nostro cuore solo nella misura in cui il nostro ego e tutti i suoi desideri e attaccamenti sono realmente attenuati. Quando questo vero amore per solo essere sorgerà dentro di noi, esso ci spingerà a cercare ripetutamente di ritirare la nostra mente da tutti gli oggetti e di riposare nel nostro essere essenziale auto-cosciente. Tuttavia, se il nostro amore per solo essere non ci consuma completamente, la nostra mente spesso scivolerà dal nostro stato naturale di riposo auto-cosciente, e ogni volta che sperimentiamo questo apparente mondo esterno il nostro amore che fonde il cuore per solo essere si manifesterà come tenera compassione, gentilezza, amore e considerazione per tutti gli esseri senzienti, che in essenza non sono altro che il nostro essere auto-cosciente.

Sri Ramana era solito dire che bhakti è jñana mata – cioè, che la devozione o amore è la madre della vera auto-conoscenza. In questo contesto bhakti significa vero amore che fonde il cuore per solo essere – vale a dire, amore per il nostro infinito essere auto-cosciente. Poiché il nostro vero essere auto-cosciente è infinito, non conosce niente altro, e quindi se realmente amiamo il nostro essere non sentiremo qualcosa – in modo particolare qualche essere senziente – come escluso da esso o dal nostro amore per esso.

Quindi finché sperimentiamo anche la minima dualità o alterità, il nostro vero amore per solo essere sarà da noi sperimentato come amore tenero e onnicomprensivo e compassione per i nostri simili esseri senzienti. Quindi se coltiviamo vero amore per solo essere, come facciamo naturalmente con la nostra pratica persistente di auto-attentività, non abbiamo bisogno di fare uno sforzo separato per coltivare qualche altra qualità come la compassione, la tenerezza o la gentilezza per gli altri esseri senzienti, perché tali qualità risulteranno automaticamente dal nostro amore per il vero essere.

Tuttavia, benché non abbiamo bisogno di fare qualche sforzo speciale per coltivare qualità come la compassione o la sensibilità per i sentimenti degli altri, avendo molta cura di queste qualità possiamo indirettamente nutrire il nostro amore per solo essere, che solo può permetterci di sperimentare lo stato privo di ego della vera auto-conoscenza. Solo una mente estremamente centrata nella tenerezza di cuore sarà pronta ad abbandonare completamente se stessa, rivolgendo totalmente la sua attenzione verso il proprio centro o essenza auto-cosciente e perciò sprofondando e fondendosi all’interno, perdendosi nell’assoluta chiarezza della vera auto-conoscenza non-duale. Proprio come la compassione è un effetto naturale del vero amore per solo essere, così ahimsa o ‘non-nuocere’ è un effetto naturale della compassione. Se sentiamo vera compassione e tenerezza per i sentimenti di altri, staremo automaticamente attenti a non fare alcuna azione che possa causare loro qualsiasi danno o sofferenza. Quindi la qualità più importante che dovremmo sforzarci di coltivare è il vero amore per sprofondare e riposare nel nostro stato naturale di essere auto-cosciente. Se coltiviamo questa unica qualità essenziale, tutte le altre qualità fioriranno nel nostro cuore senza sforzo e naturalmente.

L’ ahimsa assoluta è possibile solo nello stato non-duale di vera auto-conoscenza. Il primo himsa o ‘danno’ – cioè, la prima azione che causa danno, ferita o sofferenza sia a noi stessi che a tutti gli ‘altri’ – è il sorgere della nostra mente. Quando la nostra mente non sorge, ogni cosa rimane pacificamente unita nel vero stato di essere auto-cosciente non-duale, che è lo stato di felicità infinita. Il sorgere immaginario della nostra mente non è solo la forma primaria di himsa, ma è anche la causa e l’origine di tutte le altre forme di himsa.

Quindi, finché immaginiamo noi stessi come questa mente o ego legato a un corpo, non possiamo sperimentare ahimsa assoluta, e non possiamo evitare del tutto di fare qualche forma di himsa. Perciò se desideriamo realmente evitare di causare qualsiasi danno a chiunque, dovremmo non solo cercare attentamente di regolare le nostre azioni di mente, parola o corpo in accordo con l'imperativo principio morale di ahimsa, ma dovremmo anche cercare di distruggere la causa radice di ogni forma di himsa, che è la nostra mento o ego. Per distruggere questa causa radice di tutte le sofferenze, il solo mezzo è rivolgere la nostra mente lontano da tutta l’alterità o dualità e annegarla nell’infinita chiarezza del nostro essere auto-cosciente. Questa è la ragione per cui Sri Ramana dice nel diciannovesimo paragrafo di Nāṉ Yār? (Chi sono io?):
… Non è opportuno [per noi] lasciare [la nostra] mente [soffermarsi] troppo su questioni terrene. Non è opportuno [per noi] entrare [o interferire] negli affari delle altre persone…
Il fatto che possiamo realmente fare del bene al mondo solo ritirando la nostra mente da esso e cercando dentro di noi la causa reale di tutta la sofferenza è illustrato magnificamente e in modo appropriato dalla vita compassionevole del Signore Buddha. Come Bhagavan Ramana, Bhagavan Buddha fu un’incarnazione di parama karuna o suprema compassione, gentilezza e amore. Come un giovane uomo, quando giunse a conoscere le inevitabili sofferenze dell’esistenza incarnata come malattia, vecchiaia e morte, fu sopraffatto da un intenso desiderio di scoprire la causa radice di tutta la sofferenza e il mezzo per distruggerla. Quindi, benché avesse grande amore per sua moglie, suo figlio, suo padre, sua zia e altri parenti e amici, egli li lasciò tutti e visse la vita del mendicante nomade, cercando seriamente la vera conoscenza che avrebbe messo fine a tutta la sofferenza.

Benché in una fase iniziale della sua ricerca egli sperò di ottenere tale conoscenza praticando rigorose austerità fisiche, infine comprese che tali mezzi esterni non gli avrebbero permesso di conseguire la verità che stava cercando, e che avrebbe potuto ottenere solo cercando con calma dentro se stesso. Così rivolgendo la sua mente lontano dal suo corpo e da questo mondo, fu in grado di sperimentare il vero stato del nirvana – l’estinzione assoluta della sua mente o falso e limitato sé.

Il motivo per cui il Signore Buddha lasciò l’amata moglie, il figlio e gli altri parenti non fu perché non si preoccupava di loro. Li lasciò solo perché il suo amore per loro era così grande che non avrebbe potuto sopportare il pensiero di essere impotente nel salvarli dalle inevitabili sofferenze dell’esistenza incarnata, e fu quindi deciso a scoprire il mezzo per essere in grado di farlo.

Solo perché il suo amore e la sua compassione furono così grandi da spingerlo a ritirare la sua mente da coloro che amava maggiormente per scoprire la soluzione reale alle sofferenze di tutti gli esseri incarnati, fu in grado di conseguire la vera conoscenza che gli permise di insegnarci tutti i mezzi con cui possiamo ottenere il nirvana, il vero stato di solo essere, in cui tutta la sofferenza è estinta insieme con la sua causa, la nostra mente o senso illusorio di individualità limitata.

Per conseguire la vera auto-conoscenza - lo stato di essere auto-cosciente assolutamente non-duale - e quindi per estinguere la radice di tutta la sofferenza, non abbiamo bisogno di rinunciare esteriormente né alla nostra famiglia né al mondo intero, come fece il Signore Buddha, ma dobbiamo rinunciare interiormente a tutti i pensieri del nostro falso sé limitato e ad ogni altra cosa diversa dal nostro essere essenziale e auto-cosciente. E cosa ancora più importante, per essere sufficientemente motivati e per essere in grado di arrendere o lasciare andare il nostro falso sé limitato, dobbiamo essere spinti dalla stessa intensità di tenero amore che spinse il Signore Buddha e ogni altro vero saggio a fondersi interiormente e ad abbandonare loro stessi al fuoco divorante della vera auto-conoscenza. Tutta la sofferenza che vediamo in questo mondo è solo un sogno che sorge a causa del sorgere della nostra mente, così se siamo veramente interessati alla sofferenza degli altri, dovremmo cercare sinceramente di svegliarci da questo sogno arrendendo la nostra mente auto-ingannevole nella chiarezza del nostro essere essenziale e auto-cosciente.

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