Om Namo Bhagavate Sri Arunachalaramanaya

venerdì 1 maggio 2015

Cercare di vedere colui che vede

Michael James

30 Aprile 2015
Trying to see the seer

Un amico mi ha scritto recentemente una serie di email chiedendo riguardo la pratica di auto-investigazione (ātma-vicāra ), così questo articolo è composto e adattato dalla nostra corrispondenza.
  1. Nessuna parola può descrivere adeguatamente la pratica di essere auto-attentivi
  2. Ciò che io sono realmente deve essere qualcosa che sperimento sempre
  3. I pensieri accadono solo a noi come un ego, non a noi come siamo realmente
  4. Possiamo vedere noi stessi, colui che vede?
  5. ’Dare attenzione a me stesso’ significa cercare di essere attentivamente auto-consapevole
  6. La nostra curiosità di vedere ciò che siamo realmente è quella che è chiamata grazia
  7. Cercare di vedere colui che vede

1. Nessuna parola può descrivere adeguatamente la pratica di essere auto-attentivi

Nella sua prima email il mio amico ha chiesto se ci sono termini equivalenti a ‘dare attenzione soltanto a noi stessi’. Egli ha suggerito una lista di possibili equivalenti, come ‘dare attenzione a io’, ‘dare attenzione a me stesso’, ‘osservare il mio senso di essere’, ‘essere consapevole del mio essere vivo’, ‘consapevolezza che osserva’, ‘essere consapevole della consapevolezza’, ‘essere consapevole di ciò che è consapevole’, ‘prestare attenzione a ciò che è consapevole’, ‘prestare attenzione alla mia coscienza’ e ‘attirare l’attenzione a me stesso ignorando il mondo’, e ha chiesto se potevo aggiungerne altri alla lista, perché le persone possono essere aiutate da termini differenti. Nella mia risposta ho scritto:

Nessuna parola può esprimere o descrivere adeguatamente ciò che cerchiamo di sperimentare quando pratichiamo auto-investigazione (ātma-vicāra ), perché ciò che stiamo cercando di sperimentare è solo noi stessi, e ciò che siamo è indescrivibile. Quindi tutte le parole che possono essere usate per descrivere questa pratica dovrebbero essere intese solo come suggerimento o indicazione piuttosto che come descrizioni adeguate.

Ciò che è importante non sono le parole in sé ma ciò che riteniamo che esse indichino. I termini che hai elencato possono tutti indicare ciò che stiamo cercando di sperimentare, ma la misura in cui esse lo indicano in modo preciso o utile dipende da come le interpretiamo. Se riteniamo che ciò che stiamo cercando di sperimentare sia solo noi stessi, e che non siamo il corpo, la mente o la persona che ora sembriamo essere, ma solo quello che è consapevole di tutte queste cose, interpreteremo ciascuno di questi termini col significato di cercare solo di sperimentare noi stessi come siamo realmente, ma se non comprendiamo questo, li interpreteremo diversamente.

Quindi ciò che è importante non sono tanto i termini usati, quanto se comprendiamo correttamente ciò che tali termini sono intesi indicare. Inizialmente la nostra comprensione di tutti i termini che indicano che dovremmo cercare di essere consapevoli soltanto di noi stessi sarà imperfetta, ma se cerchiamo di praticare ciò che abbiamo compreso, la nostra comprensione diventerà progressivamente più chiara, più precisa e profonda (naturalmente a condizione che non fraintendiamo completamente questi termini).

Potrei suggerire molti altri termini da aggiungere alla tua lista, come ‘essere auto-attentivi’ o ‘cercare di sperimentare (o essere consapevoli di) noi stessi soltanto’, ma i termini che hai elencato indicano che hai compreso più o meno correttamente ciò che essi indicano, così elencare ancora più termini può essere inutile. Quando discutiamo su questa pratica (come faccio ripetutamente nel mio blog), tendiamo ad usare termini differenti secondo il contesto, ma se fossero presi fuori dal contesto molti di essi sarebbero soggetti ad essere fraintesi, perché spesso è il contesto che determina il significato delle parole che usiamo.

Per esempio, se dico, ‘io correrò di sopra’, la parola ‘io’ si riferisce al mio corpo (il corpo che ora sperimento come se fosse me stesso), o se dico, ‘io ho calcolato quanto costerà’, la parola ‘io’ si riferisce alla mia mente (la mente che ora sperimento come se fosse me stesso), mentre se dico, ‘io sto cercando di essere consapevole soltanto di me stesso’, la parola ‘io’ si riferisce a qualcosa di molto più profondo dentro di me – qualcosa di molto più vicino a ciò che sono realmente.

Riguardo alla tendenza alla riflessione o pensiero interiore che descrivi nel paragrafo finale della tua mail, pensare in questo modo può aiutarci (in modo particolare all’inizio) a ritirare la nostra attenzione da ogni altra cosa e a cercare di focalizzarla soltanto su noi stessi. Ciò che hai descritto illustra molto chiaramente come il riflettere sugli insegnamenti di Bhagavan ci spingerà ad essere auto-attentivi, e questo è il motivo per cui leggere e pensare costantemente ai suoi insegnamenti è un aiuto così potente alla nostra pratica.

2. Ciò che io sono realmente deve essere qualcosa che sperimento sempre

Nelle sue email successive il mio amico ha cercato di descrivere la sua comprensione della pratica di auto-investigazione e mi ha chiesto di confermargli se la sua comprensione è corretta, così nella mia risposta ho commentato alcune delle idee che ha espresso. La prima delle idee che ho commentato era:
Se chiudo gli occhi, sono consapevole che ci sono pensieri, immagini mentali, sensazioni, dentro questo corpo… Ora, se sono consapevole di questo significa che IO NON POSSO ESSERE QUESTE COSE! IO SONO QUELLO CHE E’ CONSAPEVOLE DI ESSE! (Qualunque cosa sia).
In risposta a questo ho scritto:

Questo argomento può essere un po’ perfezionato, perché c’è un leggero difetto nel modo in cui l’hai espresso, vale a dire che sebbene io sono consapevole di altre cose, che non sono me stesso, sono anche consapevole di me stesso, così non posso dire che questo significa che io non sono me stesso perché io sono quello che è consapevole di me stesso. La ragione per cui non posso essere ognuna delle altre cose di cui sono consapevole è che non sono sempre consapevole di esse. Qualsiasi cosa sperimento in un momento e non in qualche altro momento non può essere ciò che sono realmente, perché io sono sempre consapevole di me stesso. Ciò che sono realmente deve essere qualcosa che sperimento sempre, in tutti i tempi e in tutti gli stati – nella veglia, nel sogno e nel sonno.

3. I pensieri accadono solo a noi come un ego, non a noi come siamo realmente

Il mio amico ha anche scritto, ‘Così questi pensieri accadono a qualcosa, suppongo al Sé Reale, che è il me reale’, a cui ho risposto:

Ogni volta che sperimentiamo pensieri, non stiamo sperimentando noi stessi come siamo realmente, perché ci stiamo sperimentando come un ego (una persona, che consiste di un corpo e di una mente), così il qualcosa a cui i pensieri accadono non è il nostro sé reale ma solo il nostro ego. Tuttavia, questo ego è una mescolanza di noi stessi (ciò che siamo realmente) e varie aggiunte, come il nostro corpo e la nostra mente.

Ora ci sperimentiamo come questo ego, ma ciò che siamo realmente (il nostro sé reale) è l’unico elemento essenziale e immutabile di questo ego, vale a dire l’ ‘io sono’ nella confusa mescolanza ‘io sono questo corpo, una persona chiamata Dragos (o Michael)’. I pensieri non ci accadono quando sperimentiamo noi stessi come siamo realmente (cioè, come il puro ‘io sono’ senza aggiunte), ma solo quando ci sperimentiamo mischiati con aggiunte come un ego.

Quindi il nostro fine quando pratichiamo auto-investigazione è sperimentare soltanto noi stessi e quindi separarci o isolarci da tutte le aggiunte con cui ora siamo mischiati e confusi.

4. Possiamo vedere noi stessi, colui che vede?

Un’altra idea che il mio amico ha espresso era, ‘Posso vedere la mia mente (i pensieri) ma mai il Veggente che è il me reale (come l’occhio che non può vedere se stesso)’, a cui ho risposto:

L’occhio non può vedere se stesso perché non è auto-consapevole. E’ solo uno strumento per mezzo del quale vediamo le cose. In se stesso non vede nulla, ma riceve e ritrasmette soltanto le impressioni. Ciò che realmente vede o sperimenta le impressioni trasmesse dai nostri occhi è noi stessi, e noi siamo consapevoli non solo di altre cose (impressioni sensoriali visive e altro, pensieri, sensazioni, emozioni e così via) ma anche di noi stessi.

Nella veglia e nel sogno siamo consapevoli di cose diverse da noi stessi, e nel sonno siamo consapevoli di nient’altro che noi stessi, ma sia che ci accada di essere consapevoli di qualche altra cosa o no, siamo sempre consapevoli di noi stessi. Quindi l’auto-consapevolezza è il solo elemento permanente ed essenziale della nostra esperienza.

Quando dici, ‘Posso vedere la mia mente (i pensieri)’ stai usando il verbo ‘vedere’ in un senso metaforico nel significato di sperimentare o essere consapevoli di. In questo senso, vediamo sempre noi stessi, il veggente, perché siamo sempre consapevoli che ‘io sono’.

Tuttavia, benché siamo sempre consapevoli di noi stessi, non siamo consapevoli di noi stessi come siamo realmente, perché ora siamo consapevoli di noi stessi come se fossimo una persona costituita da un corpo e una mente. Poiché nel sonno siamo consapevoli di noi stessi, anche non essendo consapevoli di questa persona che ora sembriamo essere, non possiamo realmente essere questa persona. Quindi la nostra attuale esperienza di noi stessi è confusa, perché è mischiata con la nostra esperienza di altre cose che ora sembrano essere noi stessi.

Questa confusa auto-consapevolezza è il nostro ego. Mentre la pura auto-consapevolezza è solo l’esperienza ‘io sono’ senza aggiunte, questo ego è l’esperienza mischiata con aggiunte ‘io sono questa persona’. Quindi, per sperimentare noi stessi come siamo realmente, abbiamo bisogno di distinguere e isolare noi stessi da tutte le aggiunte con cui siamo ora mischiati e confusi. In altre parole, abbiamo bisogno di essere consapevoli soltanto di noi stessi, in completo isolamento da ogni consapevolezza di qualsiasi altra cosa.

Diveniamo consapevoli di altre cose perché diamo ad esse attenzione, così per essere consapevoli soltanto di noi stessi, dobbiamo cercare di dare attenzione solo a noi stessi, ritirando di conseguenza la nostra attenzione da ogni altra cosa.

5. ’Dare attenzione a me stesso’ significa cercare di essere attentivamente auto-consapevole

Dopo aver detto di essere in grado di vedere con delicatezza a chi vengono i pensieri, e che quando fa questo attentivamente, essi sembrano scomparire, evaporare o sprofondare, a seconda di quanta attentività mette in questo processo, il mio amico ha detto che questa sembra essere la pratica giusta per lui in questo momento poiché è un principiante, ma poi ha aggiunto che ‘dare attenzione a me stesso’ per ora lo lascia confuso, di conseguenza non ha idea di come procedere, a cui ho risposto:

Quando cerchiamo di vedere gentilmente a chi vengono i pensieri, ciò che stiamo cercando di vedere o ciò a cui stiamo dando attenzione è noi stessi, così la pratica che stai descrivendo è ciò che è altrimenti chiamata ‘dare attenzione a me stesso’, o almeno tentare di dare attenzione a me stesso.

Dare attenzione a qualcosa diversa da noi stessi è dare attenzione a un oggetto (o a una serie di oggetti), e ciascun oggetto ha determinate caratteristiche, che sono ciò che lo distingue da ogni altro oggetto. Tuttavia, noi non siamo un oggetto, e non abbiamo caratteristiche distintive, così dare attenzione a noi stessi è completamente diverso da dare attenzione a qualsiasi altra cosa. Siamo abituati a dare attenzione agli oggetti, così farlo sembra facile, ma inizialmente non siamo così abituati a dare attenzione a noi stessi, così questo sembra più difficile.

Tuttavia, con un po’ di pratica possiamo abituarci ad essere auto-attentivi, e poi la difficoltà iniziale che avevamo nel cercare di comprendere il significato di ‘dare attenzione a me stesso’ diminuirà. Siamo sempre consapevoli di noi stessi, ma abitualmente non siamo attentivamente auto-consapevoli, perché siamo più interessati ad essere consapevoli di altre cose. ‘Dare attenzione a me stesso’ significa semplicemente essere attentivamente auto-consapevoli, e tutto ciò che ci è richiesto per essere attentivamente auto-consapevoli è essere più interessati alla nostra auto-consapevolezza (che è noi stessi) di quanto lo siamo a qualsiasi altra cosa.

L’interesse nella (o la curiosità della) nostra auto-consapevolezza è qualcosa che, in misura limitata, ciascuno di noi ha, perché senza un germe di tale interesse e curiosità, non saremmo attratti agli insegnamenti di Bhagavan Ramana. In un modo o nell’altro questo seme di auto-curiosità ha radicato nel nostro cuore, e lo possiamo nutrire e rinforzare solo cercando di essere attentivamente auto-consapevoli. Più pratichiamo cercando di essere attentivamente auto-consapevoli, più il nostro interesse e la curiosità di sperimentare ciò che siamo realmente aumenterà. Quindi cerchiamo almeno poco a poco di essere attentivamente auto-consapevoli.

Come dici, la pratica corretta è semplicemente cercare di vedere con delicatezza, dare attenzione o osservare noi stessi, l’ ‘io’, il veggente o sé a cui accadono tutti gli altri pensieri o esperienze.

6. La nostra curiosità di vedere ciò che siamo realmente è quella che è chiamata grazia

Nella sua email successiva il mio amico ha scritto:
Se ciò che ho detto prima è corretto, e fondamentalmente la pratica è ‘cercare di vedere/dare attenzione/osservare il Veggente dei pensieri, Colui al quale essi accadono, e se io non posso vedere questo Veggente/Sé come un oggetto separato, né afferrarlo o prenderlo o tenerlo, ne consegue che alla fine tutto equivale a nient’altro che Grazia. In altre parole, compio la pratica con le mie migliori intenzioni, ma dipende dal Sé rivelarsi a me (in altre parole, Grazia).
Si, l’interesse o la curiosità che abbiamo di sperimentare noi stessi come siamo realmente cercando di vedere il veggente è ciò che è chiamata grazia. La grazia è l’amore che noi come ciò che siamo realmente (il nostro sé reale) abbiamo per noi stessi come siamo realmente. Questo amore è ciò che ci ha attratto a questo sentiero di auto-investigazione, ed è ciò che ci condurrà infallibilmente nel cammino finché raggiungeremo la nostra destinazione.

Ciò che siamo realmente attende sempre di rivelarsi a noi, ma perché questo avvenga dobbiamo cercare di dare attenzione a noi stessi quanto più possiamo.

7. Cercare di vedere colui che vede

In un’altra email il mio amico ha scritto, ‘Per caso ho trovato questa citazione (apparentemente) attribuita a San Francesco d’Assisi, “Ciò che stai cercando è chi sta cercando”, che fondamentalmente afferma ciò che è stato discusso precedentemente’, a cui ho risposto: Si, questo lo esprime molto bene. Stiamo cercando chi sta cercando, vale a dire noi stessi, e il solo modo per trovarlo è guardarlo – cioè, cercare di dirigere la nostra attenzione verso noi stessi soltanto.

Nella sua email successiva egli ha citato il seguente brano da Maha Yoga (edizione 2002, pagina 74):
Nel sogno o nella veglia, se ci si distogliesse dal mondo e si cercasse di vedere colui che vede quel mondo, il mondo e il suo veggente svanirebbero insieme, e rimarrebbe solo il Sé.
In risposta a questo ho scritto:

Si, in questo brano Lakshmana Sarma esprime accuratamente l’essenza degli insegnamenti di Bhagavan. Il veggente è il nostro ego, che è ciò che ora sperimentiamo come se fosse noi stessi, ma se cerchiamo di vedere questo ego, esso sprofonderà e scomparirà, poiché è solo un fantasma, e ciò che allora rimarrà sarà solo noi stessi come siamo realmente.

Infine il mio amico ha citato un’istruzione che Bhagavan diede a F.H.Humphreys (come registrato a pagina 112 della terza edizione (1936) di Self-Realisation: Life and Teachings of Ramana Maharshi ): ‘Cercare di mantenere la mente fermamente fissata su Quello che Vede’, a cui ho risposto:

Si, ancora una volta, quello che vede è il nostro ego, ed esso sembra esistere ed essere noi stessi solo finché stiamo vedendo o sperimentando qualsiasi cosa diversa da noi stessi. Se cerchiamo di vedere solo noi stessi, questo ego si dissolverà e scomparirà e allora sperimenteremo noi stessi come siamo realmente, proprio come un serpente illusorio si dissolve e scompare quando lo guardiamo attentamente e vediamo che è realmente solo una corda. Quindi, come Bhagavan disse a Humphreys, dovremmo cercare di mantenere la nostra intera mente o attenzione fermamente fissata su noi stessi, questo ego, finché vediamo che non siamo questo ego che ora sembriamo essere, ma siamo solo ciò che sempre siamo realmente.

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