Om Namo Bhagavate Sri Arunachalaramanaya

martedì 12 maggio 2015

‘Osservazione senza l’osservatore’ e ‘consapevolezza senza scelta’: Perché gli insegnamenti di J. Krishnamurti sono diametralmente opposti a quelli di Sri Ramana

Michael James

11 Maggio 2015
‘Observation without the observer’ and ‘choiceless awareness’: Why the teachings of J. Krishnamurti are diametrically opposed to those of Sri Ramana

In un commento ad uno dei miei articoli recenti, Cosa s’intende con il termine sākṣi o ‘testimone’? , un amico di nome Sankarraman ha scritto:
Io non direi che JK sostenne il testimoniare dei pensieri, poiché egli ha detto che il testimone, essendo l’ego, è legato ai pensieri. Così quella posizione lo esenta da quell’accusa. Ma egli parla dell’osservazione senza l’osservatore, che è simile all’estinzione dei pensieri di Patanjali come aprire la strada alla liberazione, che è chiamata solitudine trascendentale. Ci sono molti parallelismi che si possono trovare nei due insegnamenti tranne che essi non costituiscano il volo dell’Ajada.
In risposta a questo ho scritto il commento che segue:

Sankarraman, il punto cruciale riguardo gli insegnamenti di J. Krishnamurti non è quale verbo scelse di usare, se ‘testimoniare’ o ‘osservare’ (perché nel contesto della pratica spirituale essi hanno essenzialmente lo stesso significato), ma cosa egli consigliò effettivamente di testimoniare o osservare. Se egli ci consigliò di osservare i pensieri o qualsiasi altra cosa diversa da noi stessi – cioè, qualsiasi cosa che non è permanente e immutabile – questo è diametralmente opposto a ciò che Bhagavan ci consigliò di osservare, vale a dire soltanto noi stessi. Bhagavan ci insegnò che dovremmo cercare di osservare soltanto noi stessi perché secondo lui osservare qualsiasi cosa diversa da noi stessi nutre e sostiene l’illusione di essere questo ego o mente, mentre osservare soltanto noi stessi dissolverà e distruggerà questa illusione.

Come tu dici JK parla di ‘osservazione senza l’osservatore’, che è un’affermazione palesemente assurda, perché nessuna osservazione può avvenire in assenza di un osservatore. Se osserviamo qualcosa, noi diveniamo l’osservatore di quella cosa, perché ovviamente non possiamo osservare qualcosa senza esserne l’osservatore. Questo è un fatto semplice che anche un bambino può comprendere.

Quindi non riesco a comprendere come qualcuno potrebbe credere seriamente che ci possa essere una qualche osservazione senza un osservatore. Se qualcuno afferma di credere questo, sta ostinatamente ingannando se stesso, come la folla di persone che affermava di poter vedere le vesti pregiate che il re stava indossando, quando di fatto chiunque poteva vedere che in realtà era nudo.

Non ho mai sentito nessuno sostenere che Patanjali credeva che ci possa essere un’osservazione senza un osservatore, e dubito che egli abbia potuto crederlo. Ho sentito che qualche Buddhista afferma che Buddha insegnò che c’è solo il vedere ma non colui che vede, solo lo sperimentare ma nessun sperimentatore, ma essi facendo un’affermazione così assurda stanno facendo un danno alla sua reputazione, perché l’idea che ci possa essere un qualche vedere senza qualcosa che sta vedendo è ovviamente auto-contraddittorio.

Ti riferisci a uno stato chiamato ‘solitudine trascendentale’, ma se c’è un tale stato, in esso ci deve essere qualcosa che esiste solo (perché niente potrebbe non esistere solo, poiché esso non esisterebbe affatto), e per conoscere che esso esiste solo, quel qualcosa deve essere auto-consapevole. Poiché esso esiste solo, non c'è niente altro che esso può trascendere o osservare, così potremmo dedurre che in un certo senso in un tale stato non c’è osservatore – perché non c’è niente che esso possa osservare – e quindi non c’è neppure osservazione. Tuttavia, si potrebbe anche dedurre che, se il significato di ‘osservazione’ è inteso includere l’auto-osservazione, ciò che esiste in quello stato sta sempre osservando se stesso, così in quel senso esso è un auto-osservatore, e quindi in quello stato c’è sia auto-osservazione sia un auto-osservatore.

In ogni modo, sia che nel significato di ‘osservazione’ includiamo l’auto-osservazione o ne limitiamo il significato solo all’osservazione di altre cose, non ci può mai essere qualche osservazione senza un osservatore.

Un altro amico di nome Venkat è poi arrivato in difesa di Krishnamurti scrivendo la seguente replica :
Solo per chiarificare, quando JK parla di ‘osservazione senza l’osservatore’, io penso che egli intende uno stato di essere in cui non si porta il bagaglio accumulato del passato (e delle aspettative future), cioè, l’ego, nel presente. Quando egli parla di consapevolezza senza scelta, è un punto analogo. Il suo ‘consiglio’ era di essere attentivamente consapevoli dei nostri pensieri e sensazioni mentre sorgono in reazione alle interazioni esterne – e quindi vedere che il 99% di questi pensieri/sensazioni sono attribuibili all’ego, all’egoismo. Ed essendo attentivi senza scelta a essi (non pensando o non cercando di rimuovere questi pensieri/sensazioni) essi evaporeranno da sé. Io non penso che questo è molto diverso da ciò che disse Bhagavan – sebbene Bhagavan lo disse più chiaramente e semplicemente – ma è solo un modo diverso di indicare la stessa direzione. Penso che JK descrive un sentiero di divenire consapevoli di quanto l’ego sia distruttivo – l’insegnamento di Bhagavan poi ci conduce alla fine.
Ciò che segue è la mia risposta ai punti sollevati da Venkat nel suo commento:
  1. Il nostro ego è l’osservatore, e senza di esso non ci può essere osservazione
  2. Non possiamo scegliere di essere ‘consapevoli senza scelta’
  3. La nostra consapevolezza di altre cose non è la nostra illusione primaria ma è solo secondaria
  4. Ciò che insegna Krishnamurti è diametralmente opposto a ciò che ci insegna Bhagavan



1. Il nostro ego è l’osservatore, e senza di esso non ci può essere osservazione

Il ‘bagaglio accumulato del passato (e delle aspettative future)’ non è l’ego, come Venkat sembra ritenere, perché il nostro ego è ciò che sperimenta ogni cosa, mentre il suo bagaglio accumulato è una serie di alcune delle cose che sperimenta. Poiché questo bagaglio di ricordi passati, di propensioni e di aspettative future non è cosciente di nulla, né esso né qualcuno dei suoi costituenti può essere lo sperimentatore o l’osservatore di qualcosa, così essi sono ovviamente distinti dal nostro ego. Tuttavia, benché questo bagaglio non sia il nostro ego, è uno dei suoi sviluppi o creazioni, e quindi una delle cose (o di serie di cose) che appartengono ad esso e che sono nutrite e sostenute proprio dalla sua esistenza. Cioè, benché il nostro ego e il suo bagaglio accumulato dipendono e si sostengono mutualmente, il nostro ego è la causa originale di ogni cosa e il suo bagaglio è solo uno dei suoi effetti. Quindi non possiamo liberare noi stessi da tutto questo bagaglio se non ci liberiamo dalla sua radice e causa, vale a dire il nostro ego.

Ogni cosa che noi come questo ego sperimentiamo o osserviamo, inclusi tutti i suoi ricordi passati, le propensioni e le sue aspettative future, sembrano esistere solo finché ci sperimentiamo come questo ego, così è tutta solo una proiezione o espansione del nostro ego, come Bhagavan sottolinea nel verso 26 di Uḷḷadu Nāṟpadu quando dice, ‘அகந்தை உண்டாயின், அனைத்தும் உண்டாகும்; அகந்தை இன்றேல், இன்று அனைத்தும். அகந்தையே யாவும் ஆம்’ (ahandai uṇḍāyiṉ, aṉaittum uṇḍāhum; ahandai iṉḏṟēl, iṉḏṟu aṉaittum. ahandai-y-ē yāvum ām), che significa, ‘Se l’ego ha origine, ogni cosa ha origine; se l’ego non esiste, ogni cosa non esiste. [Perciò] l’ego è ogni cosa’. Quindi finché c’è osservazione di qualcosa diversa da noi stessi, la causa sia di quell’osservazione, sia di qualunque cosa è osservata, è solo il nostro ego, che solo è ciò che sperimenta o osserva qualsiasi cosa diversa da se stesso. Perciò, per quanto possiamo cercare di spiegarlo, ‘osservazione senza l’osservatore’ è un’affermazione auto-contraddittoria e assurda, come ho spiegato nella summenzionata risposta a Sankarraman.

Il solo modo per liberarci del ‘bagaglio accumulato del passato (e delle aspettative future), e di ogni altra cosa che ora sperimentiamo (tranne naturalmente noi stessi, che è la realtà permanente e immutabile, e che dalla quale non possiamo mai separarci o della quale non possiamo mai liberarci) è di liberarci del nostro ego, e il solo modo per liberarci di questo ego è investigare cos’è realmente. Questo è il motivo per cui Bhagavan conclude il verso 26 di Uḷḷadu Nāṟpadu dicendo: ‘ஆதலால், யாது இது என்று நாடலே ஓவுதல் யாவும் என ஓர்’ (ādalāl, yādu idu eṉḏṟu nādal-ē ōvudal yāvum eṉa ōr), ‘Quindi, sappi che solo investigare cos’è questo [ego] è abbandonare ogni cosa’.


2. Non possiamo scegliere di essere ‘consapevoli senza scelta’

Riguardo ciò che Venkat dice sulla ‘consapevolezza senza scelta’, non è solo il 99% di tutti i nostri pensieri e sensazioni che sono attribuibili al nostro ego, ma il 100% di essi, ed essendo attentivamente consapevoli di essi non possiamo liberarci né da essi né da questo ego, perché diveniamo consapevoli di essi solo afferrandoli nella nostra attenzione o consapevolezza, e la nostra consapevolezza di essi è ciò che sostiene e nutre questo ego, come Bhagavan indica molto chiaramente nel verso 25 di Uḷḷadu Nāṟpadu:
உருப்பற்றி யுண்டா முருப்பற்றி நிற்கு
முருப்பற்றி யுண்டுமிக வோங்கு — முருவிட்
டுருப்பற்றுந் தேடினா லோட்டம் பிடிக்கு
முருவற்ற பேயகந்தை யோர்.

uruppaṯṟi yuṇḍā muruppaṯṟi niṟku
muruppaṯṟi yuṇḍumiha vōṅgu — muruviṭ
ṭuruppaṯṟun tēḍiṉā lōṭṭam piḍikku
muruvaṯṟa pēyahandai yōr
.

பதச்சேதம்: உரு பற்றி உண்டாம்; உரு பற்றி நிற்கும்; உரு பற்றி உண்டு மிக ஓங்கும்; உரு விட்டு, உரு பற்றும்; தேடினால் ஓட்டம் பிடிக்கும், உரு அற்ற பேய் அகந்தை. ஓர்.

Padacchēdam (separazione delle parole): uru paṯṟi uṇḍām; uru paṯṟi niṯkum; uru paṯṟi uṇḍu miha ōṅgum; uru viṭṭu, uru paṯṟum; tēḍiṉāl ōṭṭam piḍikkum, uru aṯṟa pēy ahandai. ōr.

அன்வயம்: உரு அற்ற பேய் அகந்தை உரு பற்றி உண்டாம்; உரு பற்றி நிற்கும்; உரு பற்றி உண்டு மிக ஓங்கும்; உரு விட்டு, உரு பற்றும்; தேடினால் ஓட்டம் பிடிக்கும். ஓர்.

Anvayam (parole ridisposte in ordine naturale di prosa): uru aṯṟa pēy ahandai uru paṯṟi uṇḍām; uru paṯṟi niṯkum; uru paṯṟi uṇḍu miha ōṅgum; uru viṭṭu, uru paṯṟum; tēḍiṉāl ōṭṭam piḍikkum. ōr.

Traduzione: Afferrando la forma, l’ego-fantasma senza forma ha origine; afferrando la forma si mantiene; afferrando e nutrendosi di forma cresce con abbondanza; lasciando [una] forma, esso afferra [un'altra] forma. Se cercato [esaminato o investigato], esso fuggirà. Investiga [o conosci in questo modo].
Inoltre, come possiamo essere ‘consapevoli senza scelta’? Ovviamente non possiamo scegliere di essere così, perché se lo scegliessimo, non sarebbe senza scelta, così il consiglio di JK di essere consapevoli senza scelta è irrealizzabile in modo auto-evidente. La sola cosa di cui siamo consapevoli senza scelta è noi stessi, perché l’auto-consapevolezza è la nostra vera natura, così non potremmo mai scegliere di non essere auto-consapevoli, benché possiamo scegliere, come generalmente facciamo, di trascurare o prestare poca attenzione alla nostra auto-consapevolezza, perché siamo più interessati a essere consapevoli di altre cose.

Essere consapevoli di qualcosa diversa da noi stessi è il risultato di una scelta, perché sorgiamo come questo ego e di conseguenza diveniamo consapevoli di altre cose solo afferrandole nella nostra consapevolezza, come Bhagavan intende quando dice nel verso 25 di Uḷḷadu Nāṟpadu, ‘உரு பற்றி உண்டாம்; உரு பற்றி நிற்கும்; உரு பற்றி உண்டு மிக ஓங்கும்; உரு விட்டு, உரு பற்றும்’ (uru paṯṟi uṇḍām; uru paṯṟi niṯkum; uru paṯṟi uṇḍu miha ōṅgum; uru viṭṭu, uru paṯṟum), che significa, ‘Afferrando la forma, esso [l’ego-fantasma senza forma] ha origine; afferrando la forma si mantiene; afferrando e nutrendosi di forma esso cresce con abbondanza; lasciando [una] forma, afferra [un’altra] forma’. Afferrare è la vera natura del nostro ego, ma non dobbiamo realmente aggrapparci a qualcosa, se lo facciamo è solo perché abbiamo scelto di farlo. Diveniamo consapevoli di qualsiasi cosa (diversa da noi stessi) perché abbiamo scelto di sorgere come questo ego e quindi di essere consapevoli di cose diverse da noi stessi.

Proprio come abbiamo scelto di essere consapevoli di altre cose, possiamo anche scegliere di essere consapevoli soltanto di noi stessi, e solo se scegliamo quest’ultima opzione il nostro ego ed ogni altra cosa evaporerà, lasciando soltanto noi stessi, come Bhagavan indica quando dice nel verso 25 di Uḷḷadu Nāṟpadu, ‘தேடினால் ஓட்டம் பிடிக்கும்’ (tēḍiṉāl ōṭṭam piḍikkum), che significa, ‘Se cercato [esaminato o investigato], esso fuggirà’. Cioè, ciò che nutre e sostiene il nostro ego è solo la sua consapevolezza di qualcosa diversa da noi stessi, così se invece di scegliere di essere consapevoli di qualsiasi altra cosa, scegliamo di cercare di essere consapevoli soltanto di noi stessi, il nostro ego sprofonderà e scomparirà, perché esso non ha sostanza propria, ma è appunto un’illusione che sembra esistere solo finché siamo consapevoli di qualsiasi cosa diversa da noi stessi.


3. La nostra consapevolezza di altre cose non è la nostra illusione primaria ma è solo secondaria

Venkat dice che i pensieri e le sensazioni ‘evaporeranno da sé’, se diamo attenzione ad esse ‘senza scelta’, e sembra intendere che questa è la ragione che JK fornisce per difendere la ‘consapevolezza senza scelta’, ma questo è direttamente opposto a ciò che Bhagavan ci insegna nel verso 25 di Uḷḷadu Nāṟpadu, perché secondo quanto egli dice lì, dare attenzione a qualsiasi cosa diversa da noi stessi è ciò che alimenta, nutre e rinforza il nostro ego, e che quindi sostiene l’illusione di essere questo ego e l’illusione che esistono altre cose. Tuttavia, al fine di una maggiore chiarezza, consideriamo più attentamente questa asserzione che l’illusione che qualcosa diversa da noi stessi esiste, si dissolverà o evaporerà se diamo ad essa attenzione in un modo particolare.

Questa idea che le altre cose si dissolveranno se diamo attenzione ad esse è asserito esplicitamente da Nisargadatta, per esempio, e sembra essere sottinteso se non asserito esplicitamente da JK (sebbene non ho letto abbastanza dei suoi insegnamenti per dirlo con certezza, ho notato che, come Venkat, molte altre persone che lo hanno sentito parlare o hanno letto i suoi libri, sembrano credere che egli asseriva o sottintendeva questo). Questo sembra essere anche ciò che è ritenuto da molte persone che credono che testimoniare o osservare i pensieri e gli eventi è in qualche modo una pratica spirituale effettiva, includendo coloro che credono che la meditazione vipassanā, com’è insegnata e praticata oggigiorno, sia un mezzo per ottenere il nirvāṇa. Quindi eccetto per il fatto che questa asserzione non può essere soddisfacentemente conciliata con ciò che Bhagavan ci insegna nel verso 25 di Uḷḷadu Nāṟpadu, abbiamo qualche altra ragione per concludere che non può essere vera?

Sappiamo che certe illusioni si dissolvono o evaporano se le guardiamo in modo sufficientemente attento. Per esempio, se esaminiamo in modo ravvicinato un serpente illusorio, saremo in grado di riconoscere che non è realmente un serpente ma solo una corda, così l’illusione che è un serpente si è effettivamente dissolta solo per il nostro osservarla attentamente. Se questo è il caso, c’è qualche ragione per cui non dovremmo credere che accadrà lo stesso se diamo sufficientemente attenzione ai nostri pensieri o a qualsiasi cosa diversa da noi stessi? Si, una ragione c’è, ed è che mentre l’illusione di un serpente è un’illusione primaria, nel senso che non c’è altra illusione tra esso e la corda che è realmente, l’illusione che qualcosa diversa da noi stessi esiste non è un’illusione primaria ma solo secondaria. L’illusione primaria in questo caso è solo la nostra illusione di essere questo ego, perché è solo quando ci sperimentiamo come questo ego che sperimentiamo l’illusione che altre cose esistono (incluso tutti i generi di fenomeni mentali e fisici, come pensieri, sensazioni, oggetti ed eventi esterni).

Ogni volta che cessiamo di sperimentarci come questo ego, come nel sonno, cessiamo anche di sperimentare qualsiasi altra cosa, ed è solo quando ci sperimentiamo di nuovo come questo ego, come facciamo nella veglia e nel sogno, che di nuovo sperimentiamo altre cose. Quindi, poiché non possiamo sperimentare l’esistenza o l’apparente esistenza di qualche altra cosa senza sperimentarci come questo ego, ogni volta che diamo attenzione, osserviamo, guardiamo, testimoniamo, sperimentiamo o siamo consapevoli di qualsiasi cosa diversa da noi stessi, stiamo rinforzando la nostra illusione primaria di essere questo ego. Quindi la nostra illusione secondaria che i pensieri e le altre cose esistono non si dissolverà né evaporerà finché diamo attenzione ad esse o siamo, in qualche modo, consapevoli di esse, perché questa illusione secondaria cavalca la nostra illusione primaria, che è nutrita e sostenuta dalla nostra consapevolezza di altre cose.

Cioè, ogni volta che sperimentiamo la nostra illusione primaria di essere questo ego, sperimentiamo anche la nostra illusione secondaria che altre cose esistono, perché non ci possiamo sperimentare come questo ego senza anche sperimentare altre cose. Se abbiamo dubbi su questo possiamo provare e vedere da noi stessi cosa succede a questo ego se cerchiamo di non essere consapevoli di qualsiasi altra cosa. Poiché non possiamo mai smettere di essere consapevoli di noi stessi, poiché continuiamo ad essere consapevoli di noi stessi anche nel sonno, in assenza del nostro ego, il solo modo in cui possiamo riuscire ad essere consapevoli di niente altro e cercare di essere consapevoli soltanto di noi stessi. Se cerchiamo di essere consapevoli soltanto di noi stessi, scopriremo che nella misura in cui riusciamo a farlo, il nostro ego sprofonderà, perché esso può sorgere e resistere solo aggrappandosi alla consapevolezza di qualsiasi cosa diversa da se stesso.

Cercando in questo modo di essere consapevoli soltanto di noi stessi, possiamo verificare la verità di ciò che Bhagavan ci insegna nei versi 25 e 26 di Uḷḷadu Nāṟpadu. Ogni volta che sperimentiamo qualcosa diversa da noi stessi, ci sperimentiamo come questo ego (cioè, come questa forma di auto-consapevolezza mischiata ad aggiunte, che sempre sperimenta se stessa come un corpo), e viceversa: ogni volta che ci sperimentiamo come questo ego, sempre sperimentiamo l’esistenza di cose diverse da noi stessi. Al contrario, ogni volta che non sperimentiamo qualsiasi cosa diversa da noi stessi, anche non ci sperimentiamo come questo ego, e ogni volta che non ci sperimentiamo come questo ego, anche non sperimentiamo qualsiasi cosa diversa da noi stessi.

Quindi, sperimentando, essendo consapevoli, dando attenzione, osservando o guardando qualcosa diversa da noi stessi stiamo perpetuando l’illusione di essere questo ego, e finché perpetuiamo questa illusione primaria, anche perpetuiamo l’illusione secondaria che esistono anche altre cose. Quindi non possiamo effettuare la dissoluzione o l’evaporazione di qualsiasi altra cosa dando ad essa attenzione, ma possiamo farlo solo cercando di essere attentivi soltanto a noi stessi.

Se fosse possibile effettuare la dissoluzione o evaporazione di altre cose solo osservandole o esaminandole in modo accurato, gli scienziati che osservano ed esaminano in modo accurato l’apparenza dei fenomeni fisici dovrebbero scoprire che tali fenomeni evaporano o scompaiono come risultato della loro osservazione, ma in pratica essi non trovano che questo accade. I seguaci di JK o di Nisargadatta potrebbero forse controbattere che gli scienziati stanno osservando il genere sbagliato di fenomeni o che non li stanno osservando nel modo corretto, e che se osserviamo altri generi di fenomeni, come quelli mentali, o se osserviamo anche tutti i generi di fenomeni in un modo particolare (ovvero ‘senza scelta’, ‘senza l’osservatore’ o in un modo distaccato), allora scopriremo che essi evaporano. Tuttavia, questo argomento non può sostenere un esame attento, perché qualunque genere di fenomeno possiamo osservare e in qualunque modo lo possiamo osservare, non possiamo farlo se non ci sperimentiamo come questo ego, così qualunque cosa possiamo osservare diversa da noi stessi e in qualunque modo speciale la possiamo osservare, staremo ancora perpetuando la nostra illusione primaria di essere questo ego, e quindi staremo perpetuando anche la nostra illusione secondaria che esistono anche altre cose.


4. Ciò che insegna Krishnamurti è diametralmente opposto a ciò che ci insegna Bhagavan

Quindi ciò che JK insegna (e anche ciò che insegna Nisargadatta, almeno rispetto a questo) non è solo molto diverso da ciò che ci insegna Bhagavan, ma è diametralmente opposto ad esso, perché mentre gli insegnamenti di Bhagavan ci conducono inesorabilmente indietro a noi stessi soltanto, quelli di JK ci conducono inesorabilmente nella direzione opposta, lontano da noi stessi e verso tutti i generi di concetti fantasiosi e irrealizzabili come ‘osservazione senza l’osservatore’ e ‘consapevolezza senza scelta’. Non c’è modo di conciliare i loro insegnamenti senza rifiutare o ignorare i principi centrali degli insegnamenti di Bhagavan, specialmente come da lui espressi nel versi 25 e 26 di Uḷḷadu Nāṟpadu.

L’importante principio che egli insegna nel verso 26 di Uḷḷadu Nāṟpadu è che l’apparente esistenza di ogni cosa diversa da noi stessi dipende dal nostro ego, così se il nostro ego non sembrasse esistere niente altro esisterebbe né sembrerebbe esistere. Quindi, poiché il nostro ego non cesserà di esistere se non investighiamo ciò che è realmente, investigarlo è il solo mezzo per liberarci di ogni cosa.

L’importante principio che egli ci insegna nel verso 25 di Uḷḷadu Nāṟpadu è che questo ego è solo un fantasma senza forma e senza sostanza che apparentemente ha origine, permane ed è nutrito e rinforzato solo afferrando la forma (cioè, dando attenzione e sperimentando qualsiasi cosa diversa da se stesso), così non possiamo mai liberarci da questo ego finché insistiamo a dare attenzione a qualsiasi cosa diversa da noi stessi (cioè, qualsiasi cosa che ha qualche caratteristica che la distingue da questo ego essenzialmente senza caratteristiche). Quindi il solo modo per liberarci da questo ego è investigarlo – cioè, cercare di afferrare esso soltanto nella nostra consapevolezza. Poiché questo ego è senza caratteristiche e quindi senza forma, e poiché esso può resistere e mascherarsi come noi stessi solo afferrando forme nella sua consapevolezza, se cerchiamo di afferrare soltanto questo ego, esso ‘fuggirà’ e scomparirà, proprio come un serpente illusorio scomparirebbe se lo guardassimo attentamente e riconoscessimo che non è veramente un serpente ma solo una corda.

Quindi se J. Krishnamurti o chiunque altro suggerisce che possiamo liberare noi stessi dal nostro ego o da tutta la sua discendenza (ogni altra cosa che sperimentiamo) dando attenzione a qualsiasi cosa diversa da noi stessi, essi stanno contraddicendo questi semplici, chiari ed essenziali insegnamenti di Bhagavan Sri Ramana, e stanno indicando la direzione opposta a quella in cui egli ci sta conducendo, perché secondo lui il solo mezzo con cui possiamo dissolvere questo ego e liberarci di esso e di tutto il suo bagaglio è di investigare noi stessi cercando di essere attentivi e sperimentare soltanto noi stessi, in completo isolamento da ogni altra cosa.

La scelta che affrontiamo è quindi molto semplice: vogliamo seguire gli insegnamenti di Sri Ramana cercando di essere attentivi soltanto a noi stessi, o vogliamo seguire ogni altro insegnamento che ci dirige a dare attenzione a qualsiasi altra cosa?

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