Om Namo Bhagavate Sri Arunachalaramanaya

martedì 18 agosto 2015

Cercare di distinguere noi stessi dal nostro ego è ciò che è chiamata auto-investigazione (ātma-vicāra)

Michael James

15 Agosto 2015
Trying to distinguish ourself from our ego is what is called self-investigation (ātma-vicāra)

In un commento a uno dei miei articoli recenti, Possiamo sperimentare ciò che siamo realmente seguendo il sentiero della devozione (bhakti mārga)?, un amico di nome Shiba ha scritto riguardo la pratica di auto-investigazione (ātma-vicāra) come se consistesse di due stadi differenti, dicendo che ‘concentrarsi sul pensiero-io è lo stadio preliminare’ e che lo stadio successivo è ‘vera atma-vichara’, che inizia ‘quando le nostre menti sono fissate nel Sé’, In risposta a questo ho scritto un commento in cui ho detto:
Shiba, quando nel tuo primo commento scrivi, “Atma è il vero Sé. Fissare l’attenzione sul pensiero-io conduce a Atma. La vera atma-vichara inizia quando le nostre menti sono fissate nel Sé. Il pensiero-io è il miglior indizio per raggiungere Atma e iniziare la vera atma-vichara. Concentrarsi sul pensiero-io è lo stadio preliminare e quando altri pensieri scompaiono e il pensiero-io torna alla sua sorgente (Atma), lo stadio successivo, la vera atma-vichara inizia. Penso che coloro che possono essere promossi dallo stadio preliminare sono rari. Non so quando io posso essere promosso dallo stadio preliminare…”, intendi che ātma-vicāra consiste di due stadi distinti, e che solo il secondo di questi è ‘vera atma-vichara’, ma questo non è davvero il caso.

Ātma-vicāra non consiste affatto di stadi distinti, perché è un singolo processo in cui la nostra auto-attentività è progressivamente perfezionata finché sperimentiamo nient’altro che soltanto noi stessi. Inoltre l’ātman è noi stessi come siamo realmente, mentre il nostro ego o ‘pensiero-io’ è noi stessi come ora sembriamo essere, così queste non sono due cose distinte, ma solo una cosa che appare differentemente. Poiché ciò che ora sperimentiamo come noi stessi è solo il nostro ego o il ‘pensiero-io’ (che è una mescolanza confusa di noi stessi e aggiunte), quando investighiamo noi stessi ci stiamo investigando nella forma di questo ego, ma mentre focalizziamo la nostra attenzione o consapevolezza sempre più accuratamente ed esclusivamente su noi stessi, sempre più il nostro ego sprofonda, finché infine svanirà in pura auto-consapevolezza, che è noi stessi come siamo realmente (il nostro reale ātman).

Poiché è solo l’ātman (noi stessi come siamo realmente) che ora sembra essere questo ego, più esso sprofonda come risultato della nostra vigilante auto-attentività, più ci avviciniamo a sperimentare soltanto l’ātman, così la tua idea che la vera ātma-vicāra inizia solo quando siamo focalizzati soltanto sull’ātman non è corretta. Quando finalmente riusciamo a focalizzarci soltanto sull’ātman, la vera ātma-vicāra non inizia ma, veramente, finisce. Anche ora, mentre stiamo cercando con incertezza di focalizzarci sul nostro ego, stiamo facendo vera ātma-vicāra, sebbene piuttosto imperfettamente.

Quindi non hai bisogno di sentire che sei solo ad uno stadio preliminare di ātma-vicāra dal quale devi essere promosso alla vera ātma-vicāra. Se stai cercando di dare attenzione solo a te stesso (sebbene nella forma dell’ego che ora sperimenti come te stesso), sei sul sentiero giusto e stai facendo vera ātma-vicāra.
In risposta a questo Shiba ha scritto un altro commento in cui ha citato una domanda e risposta registrata nella sezione ‘Discorsi’ di Sat-Darshana Bhashaya, ha spiegato come ha capito il significato della risposta di Bhagavan e ha chiesto, ‘Non è facile comprendere il processo di atma vichara se è diviso in due stadi al fine di chiarimento?’. La domanda e risposta che ha citato da Sat-Darshana Bhashya sono tratte dalla sesta sezione della capitolo ‘Discorsi’ (quarta edizione, 1953, pagina ix):
D.- Se continuo a respingere i pensieri posso chiamare ciò Vichara?

M.- Può essere un gradino. Ma realmente Vichara inizia quando ti aggrappi al tuo sé e sei già fuori dal movimento mentale, le onde-pensiero.
Nell’edizione del 1953 il termine ‘te stesso’ [Inglese ‘yourself’] è per qualche ragione diviso in due parole, ma il ‘sé’ ha la ‘s’ minuscola, mentre Shiba l’ha citata con la ‘S’ maiuscola, così in qualche edizione successiva questa ‘s’ può essere stata cambiata in maiuscolo. Tuttavia, prima di consultare la mia copia dell’edizione del 1953 ho risposto a Shiba in un altro commento come segue:
Shiba, benché tu probabilmente intendi la tua domanda ‘Non è facile comprendere il processo di atma vichara se è diviso in due stadi con il fine di chiarimento?’ come retorica, la risposta corretta ad essa può non essere ciò che tu presumi che sia. Dividere la pratica in due stadi probabilmente conduce a fraintendere più che a comprendere, perché come ho cercato di spiegare nella mia risposta precedente, ātma-vicāra è un singolo processo in cui la nostra auto-attentività è progressivamente perfezionata fino a che sperimentiamo nient’altro che soltanto noi stessi.

La risposta data da Bhagavan registrata nel brano tratto dal capitolo ‘Discorsi’ di Sat-Darshana Bhashya che citi, probabilmente non è registrata in modo preciso, ma sembra che il punto che Bhagavan stava facendo è che ātma-vicāra comporta l’aggrapparsi (o il dare attenzione) a noi stessi, così non è solamente un tentativo di respingere i pensieri. Come spesso egli ha spiegato, cercare di respingere i pensieri è inutile, perché quello che cerca di respingerli è solo il nostro ego, che è esso stesso un pensiero – il pensiero primario chiamato ‘io’. Anche se questo ego potesse respingere tutti gli altri pensieri, ovviamente non potrebbe respingere se stesso, e di fatto esso non può nemmeno respingere tutti gli altri pensieri, perché può sorgere e reggersi solo proiettando altri pensieri e aggrappandosi ad essi. Quindi tentare di respingere direttamente i pensieri non è pratico e aiuterà solo a sostenere il nostro ego.

Il solo mezzo efficace con cui possiamo respingere tutti i pensieri – inclusa la loro radice, questo ego o pensiero primario chiamato ‘io’ – è quello di ignorare tutti gli altri pensieri cercando di dare attenzione soltanto a noi stessi. Altri pensieri possono sorgere solo quando diamo attenzione ad essi, così se cerchiamo di dare attenzione soltanto a noi stessi tutti i pensieri sprofonderanno e non saranno in grado di sorgere nuovamente fino a che permettiamo a noi stessi di essere distratti da essi.

Dando attenzione a qualsiasi altro pensiero stiamo nutrendo e sostenendo il nostro ego, mentre cercando di dare attenzione a noi stessi (chi ora sperimentiamo come questo ego) stiamo tagliando la vera radice di tutti i pensieri. Mentre altri pensieri sono nutriti dalla nostra attenzione ad essi, il nostro ego è eroso dalla nostra attenzione ad esso, perché esso può sorgere e reggersi solo dando attenzione a qualsiasi cosa diversa da se stesso.

L’espressione nel brano che citi, ‘quando ti aggrappi al tuo Sé’, sembra implicare dualità, perché il termine ‘tuo Sé’ sembra riferirsi a qualcosa diversa dal ‘tu’ che si aggrappa ad esso. In Tamil non ci sono lettere maiuscole, così il termine ‘tuo Sé’ sembra essere una traduzione ingannevole di qualunque termine Bhagavan abbia usato. In un tale contesto il termine che probabilmente egli dovrebbe aver usato in Tamil è semplicemente தன்னை (taṉṉai), la forma accusativa di தான் (tāṉ), che è un pronome generico che significa ‘se stesso’ o in questo contesto ‘te stesso’, così una traduzione più precisa e meno confusa di ciò che egli probabilmente disse dovrebbe essere: ’ātma-vicāra inizia realmente quando ti aggrappi a te stesso’.

Qui il termine ‘te stesso’ non implica alcuna distinzione tra il nostro ego (noi stessi come ora sembriamo essere) e il nostro sé reale (noi stessi come siamo realmente), perché fare una tale distinzione non è necessario in questo contesto, poiché noi siamo uno e dunque non due sé separati. Il nostro ego è noi stessi mischiati con aggiunte (come ora sembriamo essere) mentre il nostro sé reale è noi stessi non contaminato da qualsiasi aggiunta. Più cerchiamo di dare attenzione soltanto a noi stessi, più il nostro attaccamento a qualsiasi aggiunta sarà indebolito, e così infine ci libereremo di tutte le nostre aggiunte e sperimenteremo noi stessi come siamo realmente.
In risposta a questo Shiba ha scritto altri due commenti, il cui tono generale indicava che egli non era convinto delle mie risposte, e che forse non aveva del tutto capito ciò che intendevo. Per esempio, nel primo di questi due commenti ha scritto ‘penso che nello stadio di sadhaka, dovremmo fare una distinzione [tra] l’ego e il Sé’ e ‘credo che dire che ci sono due stadi non è opposto all’insegnamento di Bhagavan’. Di conseguenza il resto di questo articolo è un’ulteriore replica a questi due commenti:
  1. L’auto-investigazione è un singolo processo continuo senza stadi distinti
  2. Ciò che sembra essere questo ego è solo il nostro vero sé
  3. Distinguere noi stessi dall’ego che sembriamo essere

1. L’auto-investigazione è un singolo processo continuo senza stadi distinti

Shiba, quali sono esattamente i due stadi di auto-investigazione (ātma-vicāra) di cui parli? Da ciò che hai scritto, sembra che ciò che intendi con il primo stadio, o stadio preliminare, è investigare o dare attenzione al nostro ego o pensiero chiamato ‘io’ (‘Concentrarsi sul pensiero-io è lo stadio preliminare’, come hai scritto nel tuo primo commento), mentre ciò che intendi con il secondo stadio (o vera atma-vichara’ come anche lo chiami) è investigare o dare attenzione al nostro sé reale (‘La vera atma-vichara inizia quando le nostre menti sono fissate nel Sé’, come hai scritto nello stesso commento). Sono nel giusto se comprendo che questo è ciò che intendi con i due stadi?

Se è così, sarebbe come dire che ci sono due stadi nell’esaminare cos’è ciò che giace a terra simile a un serpente: il primo stadio è esaminare il serpente, e il secondo stadio è esaminare la corda. Non sarebbe assurdo dire questo? Il serpente e la corda non sono due cose differenti. La corda non è un serpente, ma ciò che sembra essere un serpente è solo una corda. Quindi quando esaminiamo quello che sembra essere un serpente, ciò che stiamo realmente esaminando è solo una corda, come scopriremo se lo esaminiamo da vicino e con sufficiente attenzione. Abbiamo bisogno di esaminarlo soltanto finché sembra essere un serpente. Una volta che vediamo che è solo una corda, non abbiamo più bisogno di ispezionarla, perché in quel momento già sappiamo cos’è. Quindi il solo stadio di esame che è necessario è quello di esaminare ciò che sembra essere un serpente, perché soltanto questo stadio ci permetterà di vedere che esso è realmente solo una corda.

Nello stesso modo, il nostro ego e il nostro sé reale non sono due cose differenti. Il nostro sé reale non è questo ego, ma ciò che sembra essere questo ego è solo il nostro sé reale. Quindi quando esaminiamo ciò che sembra essere un ego, ciò che stiamo realmente esaminando è solo il nostro sé reale, come scopriremo se esaminiamo noi stessi (questo ego) da vicino e con sufficiente attenzione. Abbiamo bisogno di esaminare noi stessi finché sembriamo essere un ego. Una volta che vediamo che siamo solo il nostro sé reale, non abbiamo più bisogno di investigare noi stessi, perché in quel momento già sappiamo cosa siamo. Quindi il solo stadio di esame o investigazione necessario è quello di esaminare ciò che sembra essere un ego (vale a dire noi stessi), perché soltanto questo stadio ci permetterà di vedere che siamo realmente solo il nostro sé reale.

2. Ciò che sembra essere questo ego è solo il nostro vero sé

In un altro commento hai scritto: ‘per me focalizzarmi sul vero Sé dall’inizio è impossibile. Così, devo rivolgere la mia attenzione all’ego-io’. Questo è uguale per tutti. Finché sperimentiamo noi stessi come questo ego, non possiamo focalizzarci soltanto sul nostro vero sé (noi stessi come siamo realmente), perché questo ego è una mescolanza confusa del nostro vero sé e varie aggiunte che ora confondiamo come noi stessi, così tutto ciò che possiamo fare ora è cercare di focalizzare la nostra attenzione su questo ego che attualmente sembriamo essere.

Tuttavia, poiché è solo il nostro vero sé che sembra essere questo ego, quando stiamo focalizzando la nostra attenzione su ciò che ora sembra essere questo ego, ciò a cui stiamo realmente dando attenzione è il nostro vero sé, sebbene apparentemente oscurato o velato dalla nostra illusione di essere questo ego, (proprio come quando stiamo esaminando ciò che sembra essere un serpente, ciò che stiamo realmente guardando è una corda, sebbene apparentemente oscurata o velata dall’illusione che sia un serpente). Poiché questo ego è essenzialmente solo il nostro vero sé, tutto ciò che abbiamo bisogno di fare è ispezionarlo molto attentamente, perché solo esaminandolo attentamente saremo in grado di sperimentare il nostro vero sé come è realmente.

3. Distinguere noi stessi dall’ego che sembriamo essere

In relazione a ciò che scrivi riguardo al bisogno di ‘fare una distinzione [tra] l’ego e il Sé’ o ‘tra l’ego-io e il vero io’, ovviamente non abbiamo bisogno di distinguere ciò che siamo realmente (il nostro sé reale) da ciò che ora sembriamo essere (il nostro ego), e questo è tutto ciò che riguarda ātma-vicāra. In altre parole, ātma-vicāra è un processo di cercare di distinguere ciò che siamo realmente da ciò che ora sembriamo essere. Ora sembriamo essere questo ego, così abbiamo bisogno di guardare noi stessi molto attentamente per distinguere ciò che siamo realmente. Ciò che siamo realmente sembra al momento essere mischiato e confuso con un corpo e tutte le altre aggiunte che ora sembrano essere noi stessi, e questa mescolanza confusa è ciò che è chiamato il nostro ego, così è da questo ego che ora abbiamo bisogno di distinguere ed estrarre noi stessi come siamo realmente.

In questo senso distinguere noi stessi dal nostro ego non è solamente un esercizio intellettuale e non comporta solamente il fare una distinzione tra due concetti. Davvero per distinguere noi stessi dal nostro ego abbiamo bisogno di mettere da parte tutti i concetti, inclusi i concetti di ‘ego’ e ‘sé reale’, e di focalizzare la nostra intera attenzione solo su noi stessi. Questa solo è auto-investigazione (ātma-vicāra), ed essa è il solo mezzo con cui possiamo distinguere sperimentalmente noi stessi come siamo realmente da questo ego che ora sembriamo essere.

Tuttavia, quando la pratica di auto-investigazione è descritta in questo modo, non dovremmo immaginare che distinguere ciò che siamo realmente (il nostro sé reale) da ciò che ora sembriamo essere (il nostro ego) comporti qualcosa in più di che essere semplicemente e vigilantemente auto-attentivi. Se confondiamo una corda come un serpente, come possiamo distinguere la corda reale dal serpente illusorio? Solo guardando molto attentamente ciò che sembra essere un serpente per vedere cos’è realmente. Nello stesso modo, il solo mezzo con cui possiamo distinguere noi stessi come siamo realmente da questo ego illusorio è di guardare molto attentamente ciò che sembra essere questo ego per vedere cos’è realmente. Quindi è solo cercando di essere più possibile attentivamente auto-consapevoli che possiamo distinguere sperimentalmente noi stessi dal nostro ego.

Quando parli di fare una distinzione tra ‘ego e Sé’ o tra ‘ego-io e vero io’, sembri intendere che abbiamo bisogno di distinguere due cose concettualmente, ma questo è molto differente da distinguere sperimentalmente il nostro vero sé. Fare una distinzione concettuale è necessario in molti contesti mentre si cerca di comprendere la teoria che è il fondamento della pratica di ātma-vicāra, ma non lo è mentre si cerca di mettere in pratica quella teoria investigando realmente chi o cosa siamo realmente Finché la nostra mente si sofferma su qualsiasi concetto, non stiamo cercando di focalizzare la nostra intera attenzione su noi stessi, come abbiamo bisogno di fare quando pratichiamo ātma-vicāra.

La teoria che Bhagavan ci ha insegnato è ciò che siamo realmente è pura auto-consapevolezza – consapevolezza di nient’altro che soltanto noi stessi – ma che quando sperimentiamo la nostra auto-consapevolezza mischiata con la consapevolezza di qualsiasi altra cosa, la risultante auto-consapevolezza contaminata è ciò che è chiamato ego. In altre parole, il nostro ego è una mescolanza di auto-consapevolezza e di varie aggiunte, essendo ogni aggiunta una consapevolezza di qualcos’altro che sperimentiamo come se fosse noi stessi, come il nostro corpo. Quindi per sperimentare noi stessi come siamo realmente abbiamo bisogno di cercare di sperimentare soltanto la pura auto-consapevolezza, senza alcuna aggiunta.

Quindi da questa auto-consapevolezza mischiata con aggiunte chiamata ego (che è ciò a cui Bhagavan si è riferito anche come ‘il pensiero chiamato io’) abbiamo bisogno di distinguere la sua essenza, che è la pura auto-consapevolezza che noi siamo realmente. Per fare questo, il solo mezzo pratico è cercare di dare attenzione soltanto a noi stessi, isolandoci quindi nella nostra esperienza da tutte le aggiunte con cui ora abbiamo confuso noi stessi.

Un altro modo in cui Bhagavan ha spiegato questo è dire che il nostro ego è il pensiero o l’esperienza ‘io sono questo corpo’, in cui ‘io sono’ rappresenta la pura auto-consapevolezza che siamo realmente e ‘questo corpo’ rappresenta qualunque corpo e altre aggiunte collegate che attualmente sperimentiamo che se fossero noi stessi. Poiché il termine ‘io sono’ si riferisce a ciò che è cosciente o consapevole, è chiamato cit o consapevolezza, e poiché il termine ‘questo corpo’ si riferisce a ciò che è fisico o fenomenico e quindi non cosciente, è chiamato jaḍa o non cosciente. Quindi questo ego, la nostra esperienza illusoria ‘io sono questo corpo’, è anche chiamato cit-jaḍa-granthi, il nodo (granthi) che lega insieme noi stessi (che siamo cit) e un corpo (che è jaḍa) come se fossero uno.

Come Bhagavan ha spiegato spesso (come registrato, per esempio, nel capitolo finale di Maharshi’s Gospel, in un brano che ho citato e discusso in Non possiamo guardare il nostro ego senza guardare realmente noi stessi), quando investighiamo il nostro ego ciò a cui stiamo cercando di dare esclusivamente attenzione è solo la sua parte essenziale cit o di auto-consapevolezza, perché più riusciamo a fare questo più ignoreremo tutte le sue aggiunte, che sono la sua parte non essenziale jaḍa, e così infine sperimenteremo noi stessi in completo isolamento (kaivalya) da ogni altra cosa. Sperimentare noi stessi in questo modo è sperimentare come siamo realmente, così questo immediatamente distruggerà per sempre l’illusione di essere questo ego. Quindi è solo distinguendo sperimentalmente il nostro sé reale, che è l’aspetto essenziale cit del nostro ego, da tutto il resto di esso, che sono tutte le sue aggiunte non essenziali jaḍa, che possiamo sperimentare noi stessi come siamo realmente e quindi distruggere il nostro ego.

Le relative parole registrate in questo brano nel capitolo finale di Maharshi’s Gospel (edizione 2002, pag. 89) sono: ‘Nella tua investigazione nella sorgente di ahaṁ-vṛtti [il pensiero-io o ego], tu prendi l’aspetto essenziale cit dell’ego’. Queste non sono le parole esatte che Bhagavan ha detto, perché egli avrebbe detto questo in Tamil, ma credo che esse probabilmente trasmettano abbastanza precisamente l’idea che ha espresso. Cosa allora si intende con prendere ‘l’aspetto essenziale cit dell’ego’? Come abbiamo visto, il nostro ego è una mescolanza confusa della nostra auto-consapevolezza fondamentale (che è il suo aspetto essenziale cit o cosciente) e la nostra temporanea consapevolezza-corpo (che è il suo aspetto non essenziale jaḍa o non cosciente), ma poiché la consapevolezza-corpo va e viene, non può essere ciò che siamo realmente. Quindi per sperimentare ciò che siamo realmente abbiamo bisogno di ignorare la nostra consapevolezza-corpo e cercare di sperimentare solo la nostra auto-consapevolezza essenziale, che è ciò che Bhagavan chiama ‘l’essenziale aspetto cit dell’ego’ e che è ciò che siamo realmente.

Quindi quando egli dice che dovremmo ‘prendere l’essenziale aspetto cit dell’ego’, ciò che intende è che dovremmo cercare di dare attenzione solo alla nostra auto-consapevolezza essenziale, ignorando quindi la nostra consapevolezza-corpo e tutte le atre aggiunte che sono attualmente mischiate con la nostra auto-consapevolezza. Questo è come possiamo in pratica distinguere e isolare noi stessi (la nostra auto-consapevolezza essenziale) dal resto del nostro ego (tutte le sue aggiunte o aspetti non essenziali jaḍa), ed è solo facendo questo che possiamo sperimentare noi stessi come siamo realmente e quindi distruggere l’illusione di essere questo fantasma senza forma chiamato ego.

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