Om Namo Bhagavate Sri Arunachalaramanaya

martedì 17 novembre 2015

Il sonno è il nostro stato naturale di pura auto-consapevolezza

Michael James

11 Novembre 2015
Sleep is our natural state of pure self-awareness

Nel primo commento al mio articolo precedente, Cosa succede alla nostra mente nel sonno?, un amico anonimo ha scritto: ‘Non può essere corretto che nel sonno sperimentiamo noi stessi e la mente è assente. Se questo fosse vero, durante il sonno chiunque è realizzato. E quando realizzato egli non torna indietro al mondo. Questo è il motivo per cui è detto che la mente è in uno stato dormiente. Il pensiero io esiste nella sua forma primitiva’.

Come ha scritto questo amico anonimo, il motivo di questo ragionamento apparentemente sensato sta nel fatto che è generalmente detto che la nostra mente o ego esiste nel sonno in una condizione dormiente (conosciuto come kāraṇa śarīra o ānandamaya kōśa), ma tale ragionamento rende troppo semplice la questione, non riuscendo a riconoscere non solo alcune importanti sfumature ma anche alcuni difetti del tutto ovvi nelle proprie argomentazioni. Consideriamo quindi tale questione in maggiore profondità per vedere se possiamo comprendere più chiaramente gli insegnamenti di Bhagavan riguardo a questo.
  1. Nāṉ Yār? paragrafo 1: nel sonno sperimentiamo noi stessi in assenza della nostra mente
  2. Upadēśa Undiyār verso 18: in essenza la nostra mente è solo il nostro pensiero primario chiamato ‘io’
  3. Nāṉ Yār? paragrafi 5,6 e 8: il pensiero chiamato ‘io’ è un nome alternativo per il nostro ego
  4. Uḷḷadu Nāṟpadu versi 25 e 26: il nostro ego e le altre cose non possono esistere l’uno senza l’altro
  5. Āṉma-Viddai verso 2: il nostro pensiero primario chiamato ‘io’ è solo l’esperienza illusoria ‘io sono questo corpo’
  6. Nāṉ Yār? paragrafo 4: i pensieri esistono solo nella veglia e nel sogno ma non nel sonno
  7. Śrī Aruṇācala Aṣṭakam verso 7: senza il pensiero chiamato ‘io’ niente altro esiste
  8. Il nostro ego non può esistere nel sonno, perché lì non c’è niente che esso possa afferrare
  9. Upadēśa Undiyār verso 17: il nostro ego o mente non esiste realmente, anche ora
  10. Il sonno non è realmente uno stato di oscurità o di ignoranza ma di pura auto-consapevolezza
  11. Poiché nel sonno il nostro ego non esiste, come sembra ritornare ad esistere nella veglia e nel sogno?
  12. Perché il nostro ego non è distrutto dalla pura auto-consapevolezza che sperimentiamo nel sonno?
  13. Il nostro ego può essere distrutto solo da vṛtti-jñāna (auto-attentività)
  14. Perché la riemergenza del nostro ego dal sonno non può essere spiegata in modo adeguato, e non ha bisogno di essere spiegata

1. Nāṉ Yār? paragrafo 1: nel sonno sperimentiamo noi stessi in assenza della nostra mente

Iniziamo considerando la prima frase di questo commento, vale a dire ‘Non può essere corretto che sperimentiamo noi stessi nel sonno e la mente è assente’. Questo implica prima di tutto che nel sonno non sperimentiamo noi stessi, e in secondo luogo che nel sonno la nostra mente è in qualche modo presente o non interamente assente, ma entrambe queste tesi sono esplicitamente rifiutate da Bhagavan nella proposizione principale proprio della prima frase di Nāṉ Yār? (Chi sono io?), nella quale dice, ‘மனமற்ற நித்திரையில் தின மனுபவிக்கும் தன் சுபாவமான அச் சுகத்தை யடையத் தன்னைத் தானறிதல் வேண்டும்’ (maṉam-aṯṟa niddiraiyil diṉam aṉubhavikkum taṉ subhāvam-āṉa a-c-sukhattai y-aḍaiya-t taṉṉai-t tāṉ aṟidal vēṇḍum), che significa ‘per ottenere quella felicità, che è la propria [vera] natura, che [uno] sperimenta quotidianamente nel sonno [senza sogni], che è priva della mente, è necessario che se stesso conosca se stesso’.

In questa proposizione la frase மனமற்ற நித்திரையில் (maṉam-aṯṟa niddiraiyil) significa ‘nel sonno, che è privo della mente’, così con queste parole Bhagavan conferma esplicitamente che è corretto dire che la nostra mente nel sonno non esiste. La frase successiva, நித்திரையில் தின மனுபவிக்கும் தன் சுபாவம் (niddiraiyil diṉam aṉubhavikkum taṉ subhāvam), significa ‘la propria natura, che [uno] sperimenta quotidianamente nel sonno’, così con queste parole egli ugualmente conferma esplicitamente che è corretto dire che nel sonno sperimentiamo noi stessi. Cerchiamo quindi di comprendere perché egli dice che nel sonno sperimentiamo noi stessi anche se la nostra mente in quel momento non esiste.

Se fosse vero che mentre dormiamo non sperimentiamo non stessi, questo significherebbe che non sempre siamo auto-consapevoli, e poiché l’auto-consapevolezza è la nostra vera natura, questo in effetti significherebbe che nel sonno cessiamo di esistere, che non è ovviamente il caso. Secondo Bhagavan, siamo sempre auto-consapevoli, e non possiamo mai cessare di essere auto-consapevoli, perché l’auto-consapevolezza è la nostra vera natura. Ciò che nel sonno non è auto-consapevole è la nostra mente, ma questo è dovuto al fatto che nel sonno la nostra mente non esiste. Tuttavia, sebbene nel sonno la nostra mente non esiste, in quel momento non cessiamo di esistere, così nel sonno siamo consapevoli di noi stessi nonostante la non-esistenza della nostra mente.

Come Bhagavan spesso diceva, la nostra auto-consapevolezza (che è sat-cit, la consapevolezza di ciò che è) è la realtà fondamentale, così è come lo schermo di un cinema, che esiste e rimane immutato sia che le immagini vi siano proiettate sopra o meno. La nostra mente e i suoi due stati di veglia e di sogno sono solamente immagini proiettate su questo schermo di auto-consapevolezza, e il sonno è lo stato in cui nessuna immagine è proiettata su di esso.

2. Upadēśa Undiyār verso 18: in essenza la nostra mente è solo il nostro pensiero primario chiamato ‘io’

Il nostro amico anonimo crede che non può essere corretto dire che nel sonno la nostra mente è assente, ma per comprendere perché Bhagavan dice che il sonno è uno stato che è completamente privo della mente abbiamo bisogno di considerare cosa la nostra mente è realmente. Egli risponde a questa domanda nel verso 18 di Upadēśa Undiyār:
எண்ணங்க ளேமனம் யாவினு நானெனு
மெண்ணமே மூலமா முந்தீபற
      யானா மனமென லுந்தீபற.

eṇṇaṅga ḷēmaṉam yāviṉu nāṉeṉu
meṇṇamē mūlamā mundīpaṟa
      yāṉā maṉameṉa lundīpaṟa
.

பதச்சேதம்: எண்ணங்களே மனம். யாவினும் நான் எனும் எண்ணமே மூலம் ஆம். யான் ஆம் மனம் எனல்.

Padacchēdam (separazione delle parole): eṇṇaṅgaḷ-ē maṉam. yāviṉ-um nāṉ eṉum eṇṇam-ē mūlam ām. yāṉ ām maṉam eṉal.

அன்வயம்: எண்ணங்களே மனம். யாவினும் நான் எனும் எண்ணமே மூலம் ஆம். மனம் எனல் யான் ஆம்.

Anvayam (parole ridisposte in ordine naturale di prosa): eṇṇaṅgaḷ-ē maṉam. yāviṉ-um nāṉ eṉum eṇṇam-ē mūlam ām. maṉam eṉal yāṉ ām.

Traduzione: I pensieri soltanto sono la mente. Di tutti, soltanto il pensiero chiamato ‘io’ è la radice. Ciò che è chiamato mente è ‘io’.

Traduzione elaborata: Soltanto i pensieri sono la mente [o la mente è solo pensieri]. Di tutti [i pensieri], soltanto il pensiero chiamato ‘io’ è mūla [la radice, il fondamento, l’origine, la sorgente o la causa]. [Quindi] ciò che è chiamata mente è [essenzialmente solo] ‘io’ [l’ego o il pensiero-radice chiamato ‘io’].
Cioè, il termine ‘mente’ è usato generalmente come un nome collettivo per tutti i எண்ணங்கள் (eṇṇaṅgaḷ), che è un termine che significa pensieri, idee o fenomeni mentali di qualunque genere. Tuttavia, di tutti i pensieri o fenomeni mentali la radice è solo il nostro pensiero primario, che è chiamato ‘io’. Mentre altri pensieri sono in uno stato di flusso perenne, apparendo, scomparendo e cambiando costantemente, questo pensiero radice chiamato ‘io’ rimane essenzialmente immutato e sembra esistere finché ogni altro pensiero sembra esistere.

Nessun altro pensiero è mai consapevole di se stesso o di qualsiasi altra cosa, mentre questo pensiero chiamato ‘io’ è consapevole sia di se stesso che di tuti gli altri pensieri. Quindi questo pensiero chiamato ‘io’ è la radice di tutti gli altri pensieri. E’ il pensatore o sperimentatore di tutti i pensieri, mentre gli altri pensieri sono ciò che è pensato o sperimentato da esso. Quindi, poiché nessun altro pensiero è costante, il solo elemento costante della mente è questo unico pensiero chiamato ‘io’, così ciò che la mente è essenzialmente è solo questo pensiero chiamato ‘io’. Questo è ciò che Bhagavan spiega così chiaramente ma sinteticamente in questo verso.

3. Nāṉ Yār? paragrafi 5,6 e 8: il pensiero chiamato ‘io’ è un nome alternativo per il nostro ego

Ciò a cui egli qui si riferisce come ‘நான் எனும் எண்ணம்’ (nāṉ eṉum eṇṇam), il ‘pensiero chiamato io’, è ciò a cui si riferisce in altri contesti come l’ego. Questo termine ‘நான் என்னும் எண்ணம்’ (nāṉ eṉṉum eṇṇam), o ‘நான் என்னும் நினைவு’ (nāṉ eṉṉum niṉaivu), come più abitualmente lo chiamava, è uno che usava frequentemente, ed è presente anche in Nāṉ Yār? (Chi sono io?), che è la prima registrazione dei suoi insegnamenti. Nel quinto paragrafo di Nāṉ Yār? ha scritto:
[...] மனதில் தோன்றும் நினைவுக ளெல்லாவற்றிற்கும் நானென்னும் நினைவே முதல் நினைவு. இது எழுந்த பிறகே ஏனைய நினைவுகள் எழுகின்றன. தன்மை தோன்றிய பிறகே முன்னிலை படர்க்கைகள் தோன்றுகின்றன; தன்மை யின்றி முன்னிலை படர்க்கைக ளிரா.

[...] maṉadil tōṉḏṟum niṉaivugaḷ ellāvaṯṟiṟkum nāṉ-eṉṉum niṉaivē mudal niṉaivu. ide eṙunda piṟahē ēṉaiya niṉaivugaḷ eṙugiṉḏṟaṉa. taṉmai tōṉḏṟiya piṟahē muṉṉilai paḍarkkaigaḷ tōṉḏṟugiṉḏṟaṉa; taṉmai y-iṉḏṟi muṉṉilai paḍarkkaigaḷ irā.

[...] Di tutti i pensieri che appaiono [o sorgono] nella mente, soltanto il pensiero chiamato ‘io’ è il primo [primario, basilare, originale o causale] pensiero. Solo dopo che esso sorge sorgono altri pensieri. Solo dopo che la prima persona appare appaiono la seconda e la terza persona; senza la prima persona [il nostro ego o pensiero chiamato ‘io’] la seconda e la terza persona [le cose che sembrano essere diverse da noi stessi] non esistono.
La proposizione che ho evidenziato in grassetto è una delle poche parti di Nāṉ Yār? che furono evidenziate dallo stesso Bhagavan, che indica l’importanza che egli attribuiva a questo particolare insegnamento.

Nel sesto paragrafo ha scritto:
இவ்விதமாக மனம் ஹ்ருதயத்திற் றங்கவே, எல்லா நினைவுகளுக்கும் மூலமான நான் என்பது போய் எப்பொழுது முள்ள தான் மாத்திரம் விளங்கும். நான் என்னும் நினைவு கிஞ்சித்து மில்லா விடமே சொரூபமாகும்.

i-v-vidham-āha maṉam hrudayattil taṅgavē, ellā niṉaivugaḷukkum mūlam-āṉa nāṉ eṉbadu pōy eppoṙudum uḷḷa tāṉ māttiram viḷaṅgum. nāṉ eṉṉum niṉaivu kiñcittum illā v-iḍam-ē sorūpam āhum.

Quando la mente rimane [o è stabilita fermamente] nel cuore [il proprio sé reale] in questo modo, ciò che è chiamato ‘io’ [l’ego], che è la radice [la base, il fondamento o l’origine] di tutti i pensieri, se ne andrà e soltanto se stesso, che sempre esiste, risplenderà. Solo il luogo dove il pensiero chiamato ‘io’ non esiste neppure un poco è svarūpa [la ‘nostra forma’ o sé reale].
Benché nella seconda di queste due proposizioni egli descriva il nostro sé reale (svarūpa) come ‘நான் என்னும் நினைவு கிஞ்சித்து மில்லா விடமே’ (nāṉ eṉṉum niṉaivu kiñcittum illā v-iḍam-ē), che significa letteralmente ‘solo il luogo dove il pensiero chiamato ‘io’ non esiste neppure un poco’, egli usa il termine இடம் (iḍam) o ‘luogo’ qui (come spesso ha fatto) in un senso metaforico per intendere ciò che è fondamentalmente reale o ciò che esiste realmente, così il significato inteso di questa proposizione è che solo la realtà fondamentale, in cui il pensiero chiamato ‘io’ non esiste neppure un poco, è il nostro sé reale (svarūpa).

E nell’ottavo paragrafo ha scritto:
நினைவே மனத்தின் சொரூபம். நானென்னும் நினைவே மனத்தின் முதல் நினைவு; அதுவே யகங்காரம்.

niṉaivē maṉattiṉ sorūpam. nāṉ-eṉṉum niṉaivē maṉattiṉ mudal niṉaivu; adu-v-ē y-ahaṅkāram.

Soltanto il pensiero è la svarūpa [la ‘propria forma’] della mente. Soltanto il pensiero chiamato ‘io’ è il primo pensiero della mente; esso soltanto è l’ego.
4. Uḷḷadu Nāṟpadu versi 25 e 26: il nostro ego e le altre cose non possono esistere l’uno senza l’altro

Poiché la nostra mente è quindi essenzialmente solo questo ego o pensiero primario chiamato ‘io’, la domanda se la mente esiste in qualche forma nel sonno profondo si riassume come la domanda se in quel momento il nostro ego esiste in qualche forma. Secondo ciò che egli ci insegna nei versi 25 e 26 di Uḷḷadu Nāṟpadu, il nostro ego è la causa radice di ogni cosa, e ha origine e permane solo proiettando ed aggrappandosi a ‘forme’, termine con il quale intende i fenomeni o qualsiasi cosa diversa dal nostro sé reale. Nel verso 25 egli dice:
உருப்பற்றி யுண்டா முருப்பற்றி நிற்கு முருப்பற்றி யுண்டுமிக வோங்கு — முருவிட் டுருப்பற்றுந் தேடினா லோட்டம் பிடிக்கு முருவற்ற பேயகந்தை யோர்.

uruppaṯṟi yuṇḍā muruppaṯṟi niṟku muruppaṯṟi yuṇḍumiha vōṅgu — muruviṭ ṭuruppaṯṟun tēḍiṉā lōṭṭam piḍikku muruvaṯṟa pēyahandai yōr.

பதச்சேதம்: உரு பற்றி உண்டாம்; உரு பற்றி நிற்கும்; உரு பற்றி உண்டு மிக ஓங்கும்; உரு விட்டு, உரு பற்றும்; தேடினால் ஓட்டம் பிடிக்கும், உரு அற்ற பேய் அகந்தை. ஓர்.

Padacchēdam (separazione delle parole): uru paṯṟi uṇḍām; uru paṯṟi niṟkum; uru paṯṟi uṇḍu miha ōṅgum; uru viṭṭu, uru paṯṟum; tēḍiṉāl ōṭṭam piḍikkum, uru aṯṟa pēy ahandai. ōr.

அன்வயம்: உரு அற்ற பேய் அகந்தை உரு பற்றி உண்டாம்; உரு பற்றி நிற்கும்; உரு பற்றி உண்டு மிக ஓங்கும்; உரு விட்டு, உரு பற்றும்; தேடினால் ஓட்டம் பிடிக்கும். ஓர்.

Anvayam (parole ridisposte in ordine naturale di prosa): uru aṯṟa pēy ahandai uru paṯṟi uṇḍām; uru paṯṟi niṟkum; uru paṯṟi uṇḍu miha ōṅgum; uru viṭṭu, uru paṯṟum; tēḍiṉāl ōṭṭam piḍikkum. ōr.

Traduzione: Afferrando la forma, l’ego-fantasma senza forma sorge in essere; afferrando la forma si regge; afferrando e nutrendosi di forma cresce [si stende, si espande, aumenta, si innalza o fiorisce] abbondantemente; lasciando [una] forma, afferra [un’altra] forma. Se cercato [esaminato o investigato], prenderà il volo. Investiga [o conosci questo].
E nel verso 26 dice:
அகந்தையுண் டாயி னனைத்துமுண் டாகு மகந்தையின் றேலின் றனைத்து — மகந்தையே யாவுமா மாதலால் யாதிதென்று நாடலே யோவுதல் யாவுமென வோர்.

ahandaiyuṇ ḍāyi ṉaṉaittumuṇ ḍāhu mahandaiyiṉ ḏṟēliṉ ḏṟaṉaittu — mahandaiyē yāvumā mādalāl yādideṉḏṟu nādalē yōvudal yāvumeṉa vōr.

பதச்சேதம்: அகந்தை உண்டாயின், அனைத்தும் உண்டாகும்; அகந்தை இன்றேல், இன்று அனைத்தும். அகந்தையே யாவும் ஆம். ஆதலால், யாது இது என்று நாடலே ஓவுதல் யாவும் என ஓர்.

Padacchēdam (separazione delle parole): ahandai uṇḍāyiṉ, aṉaittum uṇḍāhum; ahandai iṉḏṟēl, iṉḏṟu aṉaittum. ahandai-y-ē yāvum ām. ādalāl, yādu idu eṉḏṟu nādal-ē ōvudal yāvum eṉa ōr.

அன்வயம்: அகந்தை உண்டாயின், அனைத்தும் உண்டாகும்; அகந்தை இன்றேல், அனைத்தும் இன்று. யாவும் அகந்தையே ஆம். ஆதலால், யாது இது என்று நாடலே யாவும் ஓவுதல் என ஓர்.

Anvayam (parole ridisposte in ordine naturale di prosa): ahandai uṇḍāyiṉ, aṉaittum uṇḍāhum; ahandai iṉḏṟēl, aṉaittum iṉḏṟu. yāvum ahandai-y-ē ām. ādalāl, yādu idu eṉḏṟu nādal-ē yāvum ōvudal eṉa ōr.

Traduzione: Se l’ego ha origine, ogni cosa ha origine; se l’ego non esiste, ogni cosa non esiste. [Perciò] l’ego è ogni cosa. Quindi, sappi che soltanto investigare ciò che è questo [ego] è rinunciare a ogni cosa.
Poiché il nostro ego è senza forma, per la sua esistenza apparente dipende dalle forme (cioè, qualsiasi cosa diversa da se stesso), così ha origine apparente, resiste e prospera solo afferrando forme. Tuttavia, proprio come per la sua esistenza apparente esso dipende dalle forme, tutte le forme dipendono da esso per la loro esistenza apparente, perché quando questo ego non sembra esistere (come nel sonno) niente altro (tranne la nostra auto-consapevolezza essenziale) sembra esistere, Quindi in questi due versi Bhagavan intende chiaramente che il nostro ego e le altre cose sono mutualmente dipendenti, poiché nessuna delle due può esistere senza l’altra.

Quando egli dice nel verso 25 ‘உரு பற்றி உண்டாம்’ (uru paṯṟi uṇḍām), che significa ‘afferrando la forma esso sorge [o ha origine]’, ciò che intende è che il nostro ego ha origine solo proiettando e sperimentando se stesso come un corpo fisico (o piuttosto un corpo fisico apparente, perché niente è realmente fisico, dato che ogni cosa diversa da noi stessi è creata solo dal nostro ego o mente, così qualsiasi cosa che sembra essere fisica è realmente solo una costruzione mentale). Cioè, sia nella veglia che nel sogno, questo ego non può sembrare esistere senza sperimentare se stesso come un corpo. Tutte le altre forme o fenomeni che esso sperimenta sembrano esistere solo quando esso sperimenta se stesso come un corpo. Quindi Bhagavan spesso diceva che il nostro ego non è altro che questa esperienza illusoria ‘io sono questo corpo’.

Il corpo che questo ego sperimenta come se stesso non è sempre lo stesso corpo, perché qualunque corpo sperimentiamo come noi stessi in qualche altro sogno non è lo stesso corpo che sperimentiamo come noi stessi nel nostro sogno attuale, che ora sembra essere il nostro stato di veglia. Qualunque corpo che attualmente sperimentiamo come noi stessi ci sembra il nostro corpo reale, così qualunque stato stiamo attualmente sperimentando ci sembra la veglia, e tutti i corpi che sperimentiamo come noi stessi in altri stati ci sembrano ora corpi di sogno. Quindi il nostro corpo e il nostro stato attuale sono realmente solo uno tra i nostri molti corpi di sogno e stati di sogno, e benché il corpo che sperimentiamo come noi stessi in ciascuno di questi stati di sogno è differente, in ognuno di essi sperimentiamo noi stessi come ‘io sono questo corpo’.

5. Āṉma-Viddai verso 2: il nostro pensiero primario chiamato ‘io’ è solo l’esperienza illusoria ‘io sono questo corpo’

Quindi questa esperienza illusoria ‘io sono questo corpo’ è ciò a cui Bhagavan si è riferito come il ‘pensiero chiamato io’, così esso è il nostro pensiero primario e la radice di tutti gli altri pensieri o fenomeni mentali, come Bhagavan ha indicato chiaramente nel verso 2 di Āṉma-Viddai:
ஊனா ருடலிதுவே நானா மெனுநினைவே நானா நினைவுகள்சே ரோர்நார் [...]

ūṉā ruḍaliduvē nāṉā meṉuniṉaivē nāṉā niṉaivugaḷsē rōrnār [...]

பதச்சேதம்: ‘ஊன் ஆர் உடல் இதுவே நான் ஆம்’ எனும் நினைவே நானா நினைவுகள் சேர் ஓர் நார் [...]

Padacchēdam (separazione delle parole): ‘ūṉ ār uḍal idu-v-ē nāṉ ām’ eṉum niṉaivē nāṉā niṉaivugaḷ sēr ōr nār [...]

Traduzione: Soltanto il pensiero ‘questo corpo composto di carne è io’ è l’unico filo su cui [tutti] i vari pensieri sono infilati […]
Poiché Bhagavan ha enfatizzato ripetutamente che il nostro ego o pensiero primario chiamato ‘io’ non è nient’altro che questa esperienza illusoria ‘io sono questo corpo’, e poiché nel sonno non sperimentiamo alcun corpo o qualche altro pensiero, possiamo dedurre con fiducia che nel sonno il nostro ego non esiste in alcuna forma.

6. Nāṉ Yār? paragrafo 4: i pensieri esistono solo nella veglia e nel sogno ma non nel sonno

Il fatto che il nostro ego e tutti i suoi pensieri esistono (o piuttosto sembrano esistere) solo nella veglia e nel sogno ma non nel sonno è anche reso chiaro da Bhagavan nel quarto paragrafo di Nāṉ Yār?:
[...] நினைவுகளை யெல்லாம் நீக்கிப் பார்க்கின்றபோது, தனியாய் மனமென் றோர் பொருளில்லை; ஆகையால் நினைவே மனதின் சொரூபம். நினைவுகளைத் தவிர்த்து ஜகமென்றோர் பொருள் அன்னியமா யில்லை. தூக்கத்தில் நினைவுகளில்லை, ஜகமுமில்லை; ஜாக்ர சொப்பனங்களில் நினைவுகளுள, ஜகமும் உண்டு. சிலந்திப்பூச்சி எப்படித் தன்னிடமிருந்து வெளியில் நூலை நூற்று மறுபடியும் தன்னுள் இழுத்துக் கொள்ளுகிறதோ, அப்படியே மனமும் தன்னிடத்திலிருந்து ஜகத்தைத் தோற்றுவித்து மறுபடியும் தன்னிடமே ஒடுக்கிக்கொள்ளுகிறது. மனம் ஆத்ம சொரூபத்தினின்று வெளிப்படும்போது ஜகம் தோன்றும். ஆகையால், ஜகம் தோன்றும்போது சொரூபம் தோன்றாது; சொரூபம் தோன்றும் (பிரகாசிக்கும்) போது ஜகம் தோன்றாது. [...]

[...] niṉaivugaḷai y-ellām nīkki-p pārkkiṉḏṟa-pōdu, taṉiyāy maṉam-eṉḏṟōr poruḷ illai; āhaiyāl niṉaivē maṉadiṉ sorūpam. niṉaivugaḷai-t tavirttu jagam-eṉḏṟōr poruḷ aṉṉiyamāy illai. tūkkattil niṉaivugaḷ illai, jagam-um illai; jāgra-soppaṉaṅgaḷil niṉaivugaḷ uḷa, jagam-um uṇḍu. silandi-p-pūcci eppaḍi-t taṉṉiḍamirundu veḷiyil nūlai nūṯṟu maṟupaḍiyum taṉṉuḷ iṙuttu-k-koḷḷugiṟadō, appaḍiyē maṉam-um taṉṉiḍattilirundu jagattai-t tōṯṟuvittu maṟupaḍiyum taṉṉiḍamē oḍukki-k-koḷḷugiṟadu. maṉam ātma sorūpattiṉiṉḏṟu veḷippaḍum-pōdu jagam tōṉḏṟum. āhaiyāl, jagam tōṉḏṟum-pōdu sorūpam tōṉḏṟādu; sorūpam tōṉḏṟum (pirakāśikkum) pōdu jagam tōṉḏṟādu. [...]

[...] Quando si mettono da parte tutti i pensieri e si osserva, da sola non c'è una cosa come 'la mente'; quindi solo il pensiero è la svarūpa [la 'forma propria' o natura fondamentale] della mente. Eccetto i pensieri [o idee] non c'è indipendentemente una cosa come il 'mondo'. Nel sonno non ci sono pensieri, e [conseguentemente] anche non c'è mondo; nella veglia e nel sogno ci sono pensieri, e [conseguentemente] c'è anche un mondo. Esattamente come un ragno produce il filo della tela da sé stesso ed anche ritira il filo in sé stesso, così la mente proietta il mondo da sé stessa ed anche lo dissolve in sé stessa. Quando la mente esce da ātma-svarūpa, il mondo appare. Perciò quando il mondo appare, svarūpa [la nostra 'forma' o sé essenziale] non appare [come realmente è]; quando svarūpa appare (risplende) [come realmente è], il mondo non appare. [...]
Quando in questo passaggio egli dice, ‘தூக்கத்தில் நினைவுகளில்லை’ (tūkkattil niṉaivugaḷ illai), che significa ‘nel sonno non ci sono pensieri’, egli chiaramente intende che nel sonno anche il nostro pensiero primario chiamato ‘io’ non esiste in alcuna forma.

7. Śrī Aruṇācala Aṣṭakam verso 7: senza il pensiero chiamato ‘io’ niente altro esiste

Inoltre, come egli ha spesso enfatizzato, quando questo pensiero primario chiamato ‘io’ non esiste, niente altro esiste, così quando questo primo pensiero scompare nel sonno, ogni altra cosa cessa di esistere, e dunque ciò che esiste è risplende nel sonno è solo il nostro sé reale (ātma-svarūpa). Questo è ciò che egli intende chiaramente sia nel summenzionato brano di Nāṉ Yār? sia nella prima frase del verso 7 di Śrī Aruṇācala Aṣṭakam:
இன்றக மெனுநினை வெனிற்பிற வொன்று மின்று [...].

iṉḏṟaha meṉuniṉai veṉiṟpiṟa voṉḏṟu miṉḏṟu [...]

பதச்சேதம்: இன்று அகம் எனும் நினைவு எனில், பிற ஒன்றும் இன்று. [...]

Padacchēdam (separazione delle parole): iṉḏṟu aham eṉum niṉaivu eṉil, piṟa oṉḏṟum iṉḏṟu. [...]

அன்வயம்: அகம் எனும் நினைவு இன்று எனில், பிற ஒன்றும் இன்று. [...]

Anvayam (parole ridisposte in ordine naturale di prosa): aham eṉum niṉaivu iṉḏṟu eṉil, piṟa oṉḏṟum iṉḏṟu. [...]

Traduzione: Se il pensiero chiamato ‘io’ non esiste, qualsiasi altro non esisterà. [...]
பிற ஒன்றும் (piṟa oṉḏṟum) significa ‘qualsiasi altro’ o ‘anche un altro’, così in questo contesto può essere interpretato sia nel significato di ‘qualsiasi altro pensiero’ sia ‘qualsiasi altra cosa’. Tuttavia, secondo Bhagavan ogni cosa diversa dal nostro sé reale è solo un pensiero o una costruzione mentale, così sia che interpretiamo queste parole nel significato di ‘qualsiasi altro pensiero’ o di ‘qualsiasi altra cosa’ non fa differenza. Poiché qualsiasi altra cosa è solo un pensiero, e poiché la radice di tutti i pensieri è solo il nostro pensiero primario chiamato ‘io’, quando questo pensiero primario non esiste niente altro (diverso dal nostro sé reale) esiste.

Questo è anche ciò che Bhagavan dichiara esplicitamente ed enfaticamente nelle prime tre frasi del verso 26 di Uḷḷadu Nāṟpadu: ‘அகந்தை உண்டாயின், அனைத்தும் உண்டாகும்; அகந்தை இன்றேல், இன்று அனைத்தும். அகந்தையே யாவும் ஆம்’ (ahandai uṇḍāyiṉ, aṉaittum uṇḍāhum; ahandai iṉḏṟēl, iṉḏṟu aṉaittum. ahandai-y-ē yāvum ām), che significa ‘Se l’ego ha origine, ogni cosa ha origine; se l’ego non esiste, ogni cosa non esiste. [Quindi] l’ego è ogni cosa’. Perciò secondo Bhagavan ogni cosa diversa da noi stessi è solo un’espansione del nostro ego, così le altre cose sembrano esistere solo quando il nostro ego sembra esistere.

8. Il nostro ego non può esistere nel sonno, perché lì non c’è niente che esso possa afferrare

Poiché il nostro ego può avere origine (o origine apparente) solo proiettando e afferrando altre cose, possiamo concludere che poiché nel sonno non siamo consapevoli di qualsiasi altra cosa, né il nostro ego né qualsiasi altra cosa in quel momento esiste. Questa è la visione che Bhagavan ha espresso inequivocabilmente in molti brani dei suoi scritti, come quelli che abbiamo qui considerato, e ciò che egli ha anche inteso in così molti dei suoi altri insegnamenti.

Quindi se si afferma che nel sonno il nostro ego esiste ‘nella sua forma primitiva’ (come ha espresso il nostro amico anonimo) o nella forma di un ‘corpo causale’ (kāraṇa śarīra) o ‘guaina composta di felicità’ (ānandamaya kōśa), ciò è contrario all’insegnamento di Bhagavan che il sonno è uno stato privo della mente o ego (come espresso da lui, per esempio, nel primo paragrafo di Nāṉ Yār? e nel verso 21 di Upadēśa Undiyār), e ciò anche implica che l’ego ha una forma propria e può esistere senza afferrare qualche altra forma, che è contrario al suo insegnamento nel verso 25 di Uḷḷadu Nāṟpadu che esso è senza forma e che può avere origine solo afferrando una forma (che in quel contesto implica chiaramente qualcosa diversa da se stesso, poiché è senza forma). Come Bhagavan insegna chiaramente e inequivocabilmente nei versi 25 e 26 di Uḷḷadu Nāṟpadu (e frequentemente altrove), le cose diverse da noi stessi sembrano esistere solo quando sorgiamo come questo ego, e sorgiamo come questo ego solo afferrando cose diverse da noi stessi, così poiché niente diverso da noi stessi sembra esistere nel sonno, non c’è niente lì che possiamo afferrare e quindi nessun ego esiste lì in qualunque forma.

Se fosse vero che il nostro ego o pensiero chiamato ‘io’ esiste in qualche forma nel sonno, questo significherebbe che esso esiste in tutti i nostri tre stati, nel qual caso non avremmo ragione di supporre che siamo qualcosa diversa da questo ego. Come Bhagavan ha spiegato ripetutamente, la ragione per cui possiamo essere sicuri anche ora che non siamo questo ego o mente, anche se questo è ciò che ora sembriamo essere, è che nel sonno sperimentiamo noi stessi, quando non c’è affatto un ego o mente. Quindi se supponiamo che nel sonno questo ego o mente esiste in qualunque forma, questo è contrario a molti dei principi più fondamentali ed essenziali dei suoi insegnamenti.

9. Upadēśa Undiyār verso 17: il nostro ego o mente non esiste realmente, anche ora

Tuttavia, se affermiamo che nel sonno l’ego esiste in una qualunque forma, attribuiremmo ad esso una realtà impropria. Secondo Bhagavan, questo ego non esiste realmente anche ora, ma sembra solamente esistere, mentre nel sonno esso non sembra neppure esistere. Qualunque cosa è sperimentata deve esistere realmente o almeno sembrare esistere, perché qualunque cosa che non esiste realmente o che neppure sembra esistere non può esistere affatto e quindi non può essere sperimentata. Quindi, poiché il nostro ego non esiste realmente, ogni volta che non sembra neppure esistere, come nel sonno, non esiste per niente o in una forma qualunque.

Anche se il nostro ego sembra esistere nella veglia e nel sogno (cioè, ogni volta che siamo consapevoli di qualcosa diversa da noi stessi), Bhagavan ci consiglia di non dedurre che esso esiste realmente, ma ci consiglia invece di investigarlo per vedere se esso esiste realmente anche ora, perché secondo la sua esperienza, se investighiamo questo ego, scopriremo che una tale cosa non c’è affatto, come dichiara nel verso 17 di Upadēśa Undiyār:
மனத்தி னுருவை மறவா துசாவ மனமென வொன்றிலை யுந்தீபற மார்க்கநே ரார்க்குமி துந்தீபற.

maṉatti ṉuruvai maṟavā dusāva maṉameṉa voṉḏṟilai yundīpaṟa mārgganē rārkkumi dundīpaṟa.

பதச்சேதம்: மனத்தின் உருவை மறவாது உசாவ, மனம் என ஒன்று இலை. மார்க்கம் நேர் ஆர்க்கும் இது.

Padacchēdam (separazione delle parole): maṉattiṉ uruvai maṟavādu usāva, maṉam eṉa oṉḏṟu ilai. mārggam nēr ārkkum idu.

அன்வயம்: மறவாது மனத்தின் உருவை உசாவ, மனம் என ஒன்று இலை. இது ஆர்க்கும் நேர் மார்க்கம்.

Anvayam (parole ridisposte in ordine naturale di prosa): maṟavādu maṉattiṉ uruvai usāva, maṉam eṉa oṉḏṟu ilai. idu ārkkum nēr mārggam.

Traduzione: Quando [uno] investiga [ispeziona o esamina] la forma della mente senza dimenticanza, qualsiasi cosa chiamata ‘mente’ non esisterà. Per chiunque questo è il sentiero diretto [diritto, appropriato, corretto o vero].
Ciò che egli qui descrive come மனத்தின் உரு (maṉattiṉ uru), la ‘forma della mente’, può essere intesa nel significato di sua உரு (oḷi-uru) o ‘forma di luce’ (cioè, la sua forma essenziale di pura auto-consapevolezza), a cui egli si riferisce nel verso precedente, o il suo pensiero primario chiamato ‘io’ (l’ego), a cui egli si riferisce nel verso successivo, perché l’essenza della mente è questo ego o pensiero chiamato ‘io’ (che è una mescolanza confusa di pura auto-consapevolezza e consapevolezza di un corpo), e l’essenza di questo ego è pura auto-consapevolezza. Poiché ora sperimentiamo noi stessi come questo ego, la nostra auto-investigazione deve iniziare con l’investigazione di questo ego, ma anche mentre stiamo investigando questo ego, la parte di esso che stiamo cercando di investigare o osservare è solo la sua essenziale auto-consapevolezza e non la sua consapevolezza di un corpo o di qualsiasi altra cosa. In altre parole, all’interno di questa auto-consapevolezza mescolata con un corpo chiamata ego dobbiamo cercare di isolare e sperimentare solo la sua essenza, o pura auto-consapevolezza, che è ciò che siamo realmente.

Quando infine riusciamo nel nostro tentativo di sperimentare la nostra pura auto-consapevolezza in completo isolamento da ogni altra cosa, scopriremo che non c’è realmente una cosa come una ‘mente’ o ‘ego’, ma solo un’estensione infinita di pura auto-consapevolezza, proprio come se osservassimo attentamente un serpente illusorio vedremmo che non è realmente un serpente ma solo una corda. Proprio come ciò che sembrava essere un serpente era realmente solo una corda, ciò che ora sembra essere questo ego, mente o pensiero chiamato ‘io’ è solo il nostro sé reale, che è pura auto-consapevolezza, priva anche della minima consapevolezza di qualsiasi altra cosa. Quindi poiché il nostro ego o mente non esiste realmente anche quando sembra esistere, come nella veglia e nel sogno, credere che essa esista realmente anche quando non sembra esistere, come nel sonno, sarebbe assurdo.

10. Il sonno non è realmente uno stato di oscurità o di ignoranza ma di pura auto-consapevolezza

Tuttavia, alcune persone possono obbiettare a questo affermando che nel sonno il nostro ego sembra esistere come un’oscurità o uno stato di auto-ignoranza, e che tale oscurità è ciò che è chiamato kāraṇa śarīra (corpo causale) o ānandamaya kōśa (guaina o copertura composta di felicità), ma questo sarebbe un argomento fallace, perché la così detta oscurità o ignoranza del sonno è un fenomeno che sembra esistere solo nella visione del nostro ego nella veglia o nel sogno. Mentre stiamo realmente dormendo, non sperimentiamo alcuna oscurità o ignoranza, perché tutto ciò che realmente sperimentiamo nel sonno è la nostra auto-consapevolezza, e niente altro sembra esistere.

Quando pensiamo al sonno mentre siamo svegli o stiamo sognando ci sembra uno stato di oscurità o ignoranza perché nel sonno non siamo consapevoli di qualsiasi altra cosa, così l’ignoranza del sonno non è auto-ignoranza (un’assenza di auto-consapevolezza) ma solo un’ignoranza o non-consapevolezza di qualsiasi cosa diversa da noi stessi. Ciò che nel sonno esiste realmente è solo noi stessi come siamo realmente, e ciò che, come siamo realmente, sperimentiamo nel sonno è solo pura auto-consapevolezza. Quindi è solo dalla prospettiva del nostro ego o mente, che nel sonno non esiste realmente, che il sonno sembra essere ignoranza, e sembra essere ignoranza solo perché come questo ego confondiamo la nostra consapevolezza di altre cose nella veglia o nel sogno come reale conoscenza.

Tuttavia, secondo Bhagavan la consapevolezza di qualsiasi cosa diversa da noi stessi non è reale conoscenza ma solo ignoranza, come dice esplicitamente nei versi 11 e 13 di Uḷḷadu Nāṟpadu. Nel verso 11 dice, ‘அறிவு உறும் தன்னை அறியாது அயலை அறிவது அறியாமை’ (aṟivu-uṟum taṉṉai aṟiyādu ayalai aṟivadu aṟiyāmai), che significa ‘non conoscendo se stesso, chi conosce, conoscere altre cose è ignoranza’, e nel verso 13 dice, ‘நானாவாம் ஞானம் அஞ்ஞானம் ஆம்’ (nāṉā-v-ām ñāṉam aññāṉam ām), che significa ‘conoscenza che è molti è ignoranza’, e che comporta che la conoscenza della molteplicità o consapevolezza di qualsiasi cosa diversa dal nostro singolo sé è ignoranza (ajñāna). Questo è il motivo per cui egli una volta ha detto (come registrato nel primo capitolo di Maharshi’s Gospel (edizione 2002, pagina 9), e anche nella sezione 313 di Talks with Sri Ramana Maharshi (edizione 2006, pagina 286)):
Il sonno non è ignoranza, è il proprio puro stato; la mancanza di sonno non è conoscenza, è ignoranza. C’è piena consapevolezza nel sonno e totale ignoranza nella veglia. La vostra reale natura include entrambi e va oltre.
Quando egli dice che nel sonno c’è piena consapevolezza, ciò che intende con ‘consapevolezza’ è ovviamente solo l’auto-consapevolezza, perché nel sonno non siamo consapevoli di qualcosa diversa da noi stessi. Quindi quando dice che il sonno non è ignoranza ma il nostro puro stato, ciò che intende è che esso è il nostro stato naturale di pura auto-consapevolezza. E quando dice, ‘La vostra reale natura include entrambi [sonno e veglia] e va oltre’, intende che la pura auto-consapevolezza, che è la nostra natura reale, non esiste solo nel sonno ma anche nella veglia e nel sogno, perché trascende l’apparenza illusoria di questi tre stati alternanti.

Ciò che esiste nel sonno è solo il nostro sé reale (ātma-svarūpa), nella cui visione nessun ego è mai esistito o mai potrebbe esistere, così dalla prospettiva del nostro sé reale lo stato che chiamiamo sonno è eterno e non è mai interrotto dalla veglia o dal sogno. Quindi è solo dalla prospettiva del nostro ego, che sembra esistere solo nella veglia e nel sogno ma non esiste e neppure sembra esistere nel sonno, quel sonno sembra essere solo uno stato temporaneo – uno stato da cui l’ego invariabilmente sorge di nuovo.

Generalmente nella filosofia advaita è detto che la veglia, il sogno e il sonno sono tutti illusori, e che il nostro stato reale (che è qualcosa descritta come turīya, il ‘quarto’, ma che Bhagavan disse che è il solo stato che esiste realmente) trascende questi tre. Tuttavia, il sonno può essere considerato illusorio solo quando è visto dalla prospettiva della veglia o del sogno, in cui esso sembra essere uno tra tre stati, ciascuno dei quali è transitorio, mentre secondo Bhagavan il sonno è uno stato in cui sperimentiamo solo la nostra pura auto-consapevolezza, così come tale è realmente l’unico stato che sottende l’apparenza sia della veglia che del sogno e che esiste sia che essi appaiono o meno. In altre parole, è come uno schermo cinematografico, su cui le immagini di fenomeni di veglia e sogno appaiono, ma che rimane immutata sia che tali immagini appaiano su di esso o meno.

Benché lo schermo cinematografico è lo sfondo su cui appaiono tutte le diverse immagini, generalmente non rileviamo la sua esistenza finché qualche immagine sta apparendo su di esso, e la notiamo solo quando nessuna immagine vi è proiettata. Nello stesso modo, finché stiamo sperimentando qualcuno dei diversi fenomeni di veglia e di sogno, tendiamo a non rilevare la nostra auto-consapevolezza fondamentale, che permane durante ciascuno dei nostri tre stati, così ora abbiamo bisogno di osservarla attentivamente per sperimentarla nella veglia e nel sogno proprio come facciamo nel sonno – cioè, in completo isolamento dalla consapevolezza di qualsiasi fenomeno.

11. Poiché nel sonno il nostro ego non esiste, come sembra ritornare ad esistere nella veglia e nel sogno?

Nel sonno non sperimentiamo alcun problema, difetto o insoddisfazione, ma nella veglia e nel sogno sperimentiamo tutte queste cose. Quindi il solo problema con il sonno è che da esso prima o poi sorgiamo nuovamente come questo ego. Tuttavia, benché lo chiamiamo un problema con il sonno, non è un problema che sperimentiamo mente dormiamo, ma diviene un problema solo quando sorgiamo nella veglia o nel sogno, perché è un problema che sembra esistere solo nella visione del nostro ego, che nel sonno non esiste. Quindi è solo dalla prospettiva del nostro ego nella veglia o nel sogno che il sonno sembra essere insufficiente o imperfetto.

Poiché il nostro ego nel sonno non esiste, ci è naturale chiedere come esso può cessare di esistere in un momento (ogni volta che ci addormentiamo) e poi tornare ad esistere in un momento successivo (ogni volta che ci sveglia o iniziamo a sognare). Logicamente se qualcosa ha cessato di esistere in un momento non può tornare ad esistere in un momento successivo, perché niente può esistere dopo che ha cessato di esistere, né può esistere prima di avere origine, così qualsiasi cosa ha cessato di esistere non può essere qualcosa che ha origine solo dopo. Quindi si potrebbe dedurre che se il nostro ego quando siamo addormentati non esiste, qualsiasi ego sorge dal sonno non può essere lo stesso ego che prima si era addormentato.

Tuttavia, questo argomento si lascia sfuggire un fatto importante, vale a dire che benché il nostro ego nel sonno non esiste, noi in quel momento esistiamo. Ciò che ora sembra essere il nostro ego è solo noi stessi, così quando è detto che il nostro ego esiste nella veglia e nel sogno ma non nel sonno, ciò che questo significa realmente è che noi sembriamo essere questo ego nella veglia e nel sogno ma non nel sonno. Anche nella veglia e nel sogno il nostro ego non esiste realmente, così quando ci addormentiamo esso non cessa realmente di esistere, né ha realmente origine quando ci svegliamo o iniziamo a sognare – esso solo sembra cessare di esistere e ritornare all’esistenza.

Ciò che esiste realmente in ognuno di questi tre stati è solo noi stessi, ma mentre nella veglia e nel sogno sembriamo essere questo ego, nel sonno non sembriamo essere una tale cosa. Quindi la continuità apparente del nostro ego è dovuta solo alla reale continuità di noi stessi. Poiché noi che ora sperimentiamo questo ego come noi stessi siamo lo stesso ‘noi’ (o piuttosto ‘io’) che lo abbiamo sperimentato come noi stessi prima di addormentarci la notte scorsa, questo ego oggi sembra lo stesso ego che abbiamo sperimentato come noi stessi ieri e in ciascuno dei giorni precedenti.

Ciò a cui mi riferisco qui come ‘noi’ o ‘noi stessi’ (che significa realmente ‘io’ o ‘me stesso’, poiché ciascuno di noi è singolare e non plurale) è la nostra auto-consapevolezza, che sola è ciò che esiste in tutti i nostri tre stati. Nel sonno sperimentiamo solo questa auto-consapevolezza (che è noi stessi), mentre nella veglia e nel sogno la sperimentiamo mischiata con la consapevolezza di altre cose, incluso un corpo che ora confondiamo come noi stessi, così ciò che è chiamato il nostro ‘ego’ è ‘pensiero chiamato io’ è solo la condizione mescolata ad un corpo della nostra auto-consapevolezza. Quando essa non è mischiata con nessuna consapevolezza del corpo, la nostra auto-consapevolezza rimane nella sua originaria condizione naturale, come è nel sonno, mentre quando è mischiata con la consapevolezza del corpo, come è sia nella veglia che nel sogno, sembra essere questo ego o mente. Quindi l’essenza e la sola parte reale di questo ego è la nostra pura auto-consapevolezza, che esiste in ciascuno dei nostri tre stati, e qualunque altra cosa sembra esistere nella veglia o nel sogno è solo una costruzione illusoria creata dal nostro ego, che è l’illusione primaria.

Poiché siamo la sola cosa che esiste realmente e della quale siamo sempre consapevoli, l’ego illusorio che sembriamo essere in qualsiasi stato di veglia o di sogno sembra essere lo stesso ego, anche se non sembra esistere ogni volta che siamo addormentati. Ciò che rimane realmente lo stesso in ogni momento e in tutti gli stati è solo noi stessi, così l’identicità apparente del nostro ego tra uno stato di veglia o di sogno e un altro è solo per la reale identicità di noi stessi in qualunque stato possiamo sembrare essere.

12. Perché il nostro ego non è distrutto dalla pura auto-consapevolezza che sperimentiamo nel sonno?

Nel commento a cui mi sono riferito all’inizio di questo articolo il nostro amico anonimo ha scritto, ‘Se questo fosse vero [che nel sonno sperimentiamo noi stessi], chiunque durante il sonno è realizzato. E una volta che è realizzato, egli non torna al mondo’, ma questa è un’argomentazione fallace, perché è fondata sulla convinzione erronea che l’auto-consapevolezza distrugge necessariamente il nostro ego, cosa che è ovviamente non corretta, perché siamo sempre auto-consapevoli. Anche essere consapevoli soltanto di noi stessi non è sufficiente a distruggere il nostro ego, perché nel sonno siamo consapevoli di nient’altro che noi stessi, ciò nonostante il nostro ego non è distrutto a causa di ciò.

La visione del nostro amico anonimo sembra essere basata sulla supposizione che ātma-jñāna (auto-conoscenza, che è ciò che presumo egli intende con essere ‘realizzato’) è qualcosa che non sempre sperimentiamo ma sperimenteremo solo in qualche momento nel futuro, ma questa supposizione è contraria a ciò che Bhagavan ci ha insegnato. Come ha spesso detto, se ātma-jñāna fosse qualcosa che ora non sperimentiamo ma che sperimenteremo solo nel futuro, non sarebbe permanente e quindi non sarebbe reale. Qualsiasi cosa è reale deve esistere sempre e deve sempre essere da noi sperimentata, così se ātma-jñāna è reale deve essere qualcosa che esiste ora e che sperimentiamo sempre. Qualsiasi cosa che appare o ha origine in un momento scomparirà o cesserà di esistere in qualche altro momento, così ātma-jñāna non può essere una cosa come questa, perché essa sola è reale è dunque esiste e risplende in tutti gli stati e in tutti i momenti.

Ciò che è chiamata ātma-jñāna è solo la nostra pura auto-consapevolezza, che sempre sperimentiamo come ‘io sono’, così non è una conoscenza che possiamo acquisire in modo nuovo. Quindi ciò che è chiamato il conseguimento di ātma-jñāna non è realmente un conseguimento o un ottenimento di qualcosa ma solo la rimozione dell’ignoranza o ajñāna che ora sembra essere stata sovrapposta sulla nostra ātma-jñāna sempre esistente.

Benché ātma-jñāna sia pura auto-consapevolezza, ajñāna non è una non-consapevolezza di noi stessi ma solo una consapevolezza di noi stessi come qualcosa diversa da ciò che siamo realmente. Non siamo mai non consapevoli di noi stessi, ma ora sembriamo essere consapevoli di noi stessi come un corpo e quindi consapevoli anche di altre cose, così è questa consapevolezza di noi stessi come un corpo e di altre cose che è chiamata ajñāna o auto-ignoranza. Poiché questa consapevolezza di noi stesi come un corpo è ciò che è chiamato ego, ajñāna è essenzialmente solo il nostro ego, così esso non esiste ogni volta che il nostro ego non esiste. Questo è il motivo per cui Bhagavan era solito dire che il sonno non è uno stato di ignoranza o ajñāna ma il nostro puro stato di originaria auto-consapevolezza.

Tuttavia, sebbene nel sonno sperimentiamo solo la nostra pura auto-consapevolezza, il nostro ego o ajñāna non è distrutto. Perché? Come ho spiegato in uno dei miei articoli recenti, Perché è necessario essere attentivamente auto-consapevoli, piuttosto che solo non consapevoli di qualsiasi altra cosa? (in modo particolare la seconda sezione, La sola rinuncia ad essere consapevoli di qualsiasi cosa diversa da noi stessi non distruggerà il nostro ego), il nostro ego sarà distrutto solo quando sprofonderà a causa del nostro essere attentivamente (e dunque esclusivamente) auto-consapevoli, mentre nel sonno diveniamo esclusivamente auto-consapevoli a causa dello sprofondamento del nostro ego per stanchezza o esaurimento. In altre parole, il carro (lo sprofondamento della nostra mente) ha bisogno di essere tirato dall’asino (essere esclusivamente auto-consapevoli), mentre nel sonno l’asino è tirato dal carro (cioè, il nostro essere esclusivamente auto-consapevoli è causato dallo sprofondamento del nostro ego, invece che viceversa).

La ragione per cui lo sprofondamento del nostro ego ha bisogno di essere causato dal nostro essere esclusivamente auto-consapevoli piuttosto che viceversa e che il nostro ego può essere distrutto solo quando esso sembra esistere, così non può essere distrutto nel sonno perché in quel momento non sembra esistere. Quindi un altro modo per spiegare questo è nei termini di ciò che Bhagavan ci ha insegnato nel verso 17 di Upadēśa Undiyār (che ho citato sopra nella sezione 9), ovvero che se investighiamo il nostro ego senza dimenticanza (cioè, senza addormentarci per negligenza o essere trasportati da altri pensieri), scopriremo che non c’è affatto una cosa come ‘l’ego’ o ‘la mente’. Poiché il nostro ego (che è la forma essenziale della nostra mente) non esiste realmente, possiamo distruggerlo solo riconoscendo che non esiste realmente, e possiamo riconoscere questo solo investigandolo. Quindi poiché possiamo investigare il nostro ego solo quando sembra esistere, come nella veglia e nel sogno ma non nel sonno, possiamo distruggerlo solo nella veglia e nel sogno.

13. Il nostro ego può essere distrutto solo da vṛtti-jñāna (auto-attentività)

Nei testi antichi questo è spesso spiegato in altri termini che hanno essenzialmente lo stesso significato ma che ci sono generalmente più difficili da comprendere perché il significato dei termini usati non ci è così ovvio e dunque molti di noi non comprendono chiaramente cosa essi significano. Nei termini usati in questi testi, è tracciata una distinzione tra jñāna e vṛtti-jñāna, e in questo contesto jñāna significa pura auto-consapevolezza (cioè, essere consapevoli soltanto di noi stessi) mentre vṛtti-jñāna è ciò che io chiamo generalmente auto-consapevolezza attentiva o essere attentivamente auto-consapevoli. Quindi è detto che poiché jñāna è il substrato sempre presente o fondamento su cui ajñāna appare e da cui dipende, ajñāna non è distrutta da jñāna ma solo da vṛtti-jñāna.

Bhagavan qualche volta ha usato riferirsi a questo concetto di vṛtti-jñāna, come ha fatto per esempio negli ultimi tre brani registratiin Talks with Sri Ramana Maharshi. Nella sezione 624 (edizione 2006, pagine 606-7) è registrato che egli ha detto:
[…] Ciò che è richiesto è fissare l’attenzione sul puro ‘io’ dopo lo sprofondamento di tutti i pensieri e non perderne la presa. Questo deve essere descritto come un pensiero estremamente sottile; oppure di esso non si può affatto parlare, poiché non è altro che il Sé Reale. Chi parla di esso, a chi e come?

Questo è ben spiegato nel Kaivalyam e nel Viveka Chudamani. In questo modo benché nel sonno la consapevolezza del Sé non è perduta, l’ignoranza del jiva non è influenzata da essa. Perché questa ignoranza sia distrutta è necessario questo sottile stato della mente (vrittijnanam); alla luce del sole il cotone non brucia; ma se il cotone è posto sotto una lente esso prende fuoco ed è consumato dai raggi del Sole che passano attraverso la lente. Nello stesso modo, benché la consapevolezza del Sé è presente in ogni momento, non è ostile all’ignoranza. Se con la meditazione è vinto il sottile stato del pensiero, allora l’ignoranza è distrutta. […]
Ciò che Bhagavan ha detto realmente non è stato probabilmente registrato del tutto precisamente in questo brano, come per esempio nella prima frase, dove ovviamene c’è un errore nella registrazione, perché abbiamo bisogno di fissare la nostra attenzione su ‘io’ prima che tutti i pensieri siano sprofondati, poiché se non abbiamo già fissato la nostra attenzione su ‘io’, dopo che tutti i pensieri sono sprofondati saremmo addormentati o in un simile stato di manōlaya (dissoluzione temporanea della mente), in cui non ci sarebbe ego per fissare la sua attenzione su se stesso.

Nella seconda frase il termine usato da Bhagavan che è stato tradotto come ‘come un pensiero estremamente sottile’ fu probabilmente ati-sūkṣma vṛtti, che in questo contesto significherebbe un’attenzione o stato di attentività estremamente sottile, nitida, acuta o precisa, e nella frase finale il termine che è stato tradotto come ‘il sottile stato del pensiero’ si riferisce presumibilmente allo stesso stato di auto-attentività acutamente focalizzata. L’analogia data da Bhagavan delle lenti usate per focalizzare la luce del sole per bruciare il cotone è molto adatta in questo contesto. Poiché l’auto-consapevolezza è sempre presente, e poiché nel sonno niente altro che l’auto-consapevolezza è presente, non è ovviamente sufficiente per distruggere la nostra auto-ignoranza (ajñāna). Proprio come la luce del sole brucerà il cotone solo se è focalizzata in un punto distinto ed intenso con una lente di ingrandimento, la nostra auto-consapevolezza naturale distruggerà la nostra auto-ignoranza (che è il nostro ego) solo quando è focalizzata in un punto distinto per mezzo dell’auto-consapevolezza estremamente nitida e sottile, che è ciò che è descritto come vṛtti-jñāna.

Ritengo che la parte del Kaivalya Navanītam (o Kaivalyam, come è spesso chiamato) a cui Bhagavan si riferisce qui è il verso 78 della seconda sezione. Sfortunatamente non ho con me il testo Tamil, e non sono riuscito a trovarne una copia online, così non posso dare una traduzione esatta di questo verso, ma dalla traduzione di Munagala Venkataramiah (chi ha preso nota dei Talks) che è pubblicata da Ramanasramam, sembra che la sostanza di questo verso è che ciò che risplende o è sperimentato come vṛtti-jñāna è solo svarūpa-jñāna (la consapevolezza del nostro sé reale), ma che ajñāna non è distrutta da svarūpa-jñāna (poiché non potrebbe sembrare esistere se non dipendesse da svarūpa-jñāna) mentre è distrutto da vṛtti-jñāna.

Nella sezione 629 di Talks (edizione 2006, pagina 611) è registrato che Bhagavan ha detto:
Solo vritti jnana può distruggere ‘ajnana’ (ignoranza). La jnana assoluta non è ostile ad ajnana.

Ci sono due generi di vrittis (modalità della mente). (1) vishaya vritti (oggettiva) e (2) atma vritti (soggettiva). La prima deve lasciare il posto alla seconda.
In questo contesto vṛtti significa pensiero o attenzione, così viṣaya-vṛtti significa qualsiasi pensiero riguardo a o attenzione data a qualsiasi viṣaya (fenomeno o cosa diversa da noi stessi), mentre ātma-vṛtti significa auto-consapevolezza, che è ciò che è anche chiamato vṛtti-jñāna e che solo può distruggere ajñāna.

Infine nella sezione 631 di Talks (edizione 2006, pagina 612) c’è un altro riferimento a vṛtti-jñāna, ma c’è ovviamente un errore in ciò che è stato annotato, perché Bhagavan non avrebbe detto, ‘Vritti-jnanam è usualmente associato con un fenomeno oggettivo’, poiché vṛtti-jñāna è un termine tecnico che significa specificatamente ātma-vṛtti o auto-attentività. Ogni vṛtti diverso da ātma-vṛtti è un viṣaya-vṛtti (un pensiero riguardo a un fenomeno oggettivo), così quanto Bhagavan può aver detto è ‘vṛtti è usualmente associato con un fenomeno oggettivo’, o egli può aver detto che vṛtti-jñāna (auto-attentività) è usualmente mischiato con altri vṛtti, che sono riguardo a fenomeni oggettivi. Per distruggere la nostra ajñāna, la nostra auto-attentività o vṛtti-jñāna ha bisogno di essere focalizzata così acutamente da escludere tutti gli altri vṛtti o consapevolezza di fenomeni oggettivi.

Nelle due frasi successive di questo brano è registrato che Bhagavan ha detto ‘Quando questi cessano rimane l’atma-vritti o il vritti soggettivo che è identico a jnanam. Senza di esso ajnanam non cesserà’. In questo contesto ‘questi’ sembra riferirsi a fenomeni oggettivi, ma poiché nessun fenomeno oggettivo esiste indipendentemente dal pensiero o vṛtti che abbiamo riguardo ad esso, la proposizione ‘Quando questi cessano’ significa quando tutti i viṣaya-vṛttis o pensieri riguardo a fenomeni oggettivi cessano. Tuttavia, ātma-vṛtti rimarrà quando tutti i viṣaya-vṛtti cesseranno solo se i nostri viṣaya-vṛtti cesseranno perché stiamo cercando di essere attentivamente auto-consapevoli. Ogni volta che ci addormentiamo tutti i nostri viṣaya-vṛtti cessano, ma cessano solo perché il nostro ego è sprofondato per esaurimento, così ciò che rimane nel sonno non è ātma-vṛtti (auto-attentività o vṛtti-jñāna) ma solo la nostra auto-consapevolezza sempre presente (che è ciò che è chiamata svarūpa-jñāna nel Kaivalya Navanītam 2.78).

Poiché tutti i viṣaya-vṛtti cessano quando ci addormentiamo, la sola cessazione dei viṣaya-vṛtti non dovrebbe essere ovviamente il nostro fine. Il nostro fine dovrebbe essere solo distruggere la nostra ajñāna o ego, e poiché questo può essere distrutto solo da ātma-vṛtti (auto-attentività) o da vṛtti-jñāna (auto-consapevolezza attentiva), dobbiamo fare del nostro meglio per essere più possibile attentivamente auto-consapevoli.

14. Perché la riemergenza del nostro ego dal sonno non può essere spiegata in modo adeguato, e non ha bisogno di essere spiegata

Nella sezione precedente abbiamo considerato perché Bhagavan ci ha insegnato che il nostro ego o mente non esiste nel sonno, perché nel sonno non è distrutto anche se ciò che sperimentiamo in quel momento è solo pura auto-consapevolezza, che è ciò che siamo realmente, e anche vari modi in cui la riemergenza del nostro ego dal sonno può essere spiegata. Tuttavia nessuna spiegazione riguardo a come il nostro ego sorge dal sonno può essere del tutto soddisfacente, perché cercare di spiegare questo è come cercare di spiegare come in primo luogo esso sembra esistere.

Questo ego non esiste realmente, ed esso sembra esistere solo nella propria visione e non nella visione di noi stessi come siamo realmente. Cosa può essere più inesplicabile di questo? Come può una cosa non esistente sembrare esistere solo nella propria visione? Cercare di spiegare cosa non esiste realmente è ovviamente inutile, e questo è il motivo per cui ogni volta che a Bhagavan fu chiesto di spiegare come o perché questo ego ha avuto origine egli generalmente ha risposto chiedendo all’interrogante di investigare e vedere se esso esiste realmente. Secondo la sua esperienza, se investighiamo cos’è realmente questo ego, scopriremo come una tale cosa non è mai esistita, e che ciò che esiste realmente è solo noi stessi, che non abbiamo mai realmente sperimentato qualcosa diversa da noi stessi, perché niente altro che noi stessi esiste realmente.

Questo è il motivo per cui il nostro ego è chiamato māyā, un termine che letteralmente significa ‘ciò che non è’ o ‘lei che non è’ (perché è una particella di negazione o proibizione, così essa significa no, e è una forma femminile del pronome yad, che significa cosa, che o chi), e poiché tutti i fenomeni che questo ego sperimenta sono solo un'espansione o una proiezione di se stesso, anch’essi non sono altro che māyā.

Poiché māyā non esiste realmente è detta essere anirvacanīya (inesprimibile o inspiegabile), perché non è ovviamente possibile spiegare ciò che non esiste, né è necessario spiegarlo. Potremmo naturalmente dedurre che benché māyā non esiste realmente, essa almeno sembra esistere, così la sua esistenza apparente ha bisogno di essere spiegata, ma anche la sua esistenza apparente non può essere adeguatamente spiegata. La ragione per cui essa non può essere spiegata adeguatamente è che è possibile spiegare qualcosa solo in termini di altre cose che crediamo (poiché se qualcuno cercasse di spiegare qualcosa in termini di qualcosa che non crediamo, la sua spiegazione non ci sembrerebbe corretta o soddisfacente), ma tranne che ‘io sono’ (la nostra consapevolezza della nostra esistenza) qualunque cosa crediamo è un prodotto di māyā, così poiché māyā non può essere spiegata dal fatto che ‘io sono’ né essa né alcuno dei suoi prodotti può essere spiegato in termini di qualsiasi cosa che esiste all’esterno di o indipendentemente da se stesso. Quindi cercare di spiegare māyā in termini di qualcosa che possiamo credere (tranne che ‘io sono’) sarebbe parlare in circolo, perché staremmo in effetti cercando di spiegarla tramite se stessa.

Per esempio, se cerchiamo di spiegare l’esistenza del nostro ego dicendo che esso è causato o creato da māyā, questo in effetti sarebbe dire che è causato o creato da se stesso, poiché māyā non è altro che il nostro ego. Dire che il nostro ego o māyā è causato o creato da se stesso è come dire che esso è perché è, che non è affatto una spiegazione.

Poiché il nostro ego è māyā, e poiché māyā non può essere spiegata, cercare di spiegare l’esistenza apparente del nostro ego in qualche modo sarebbe in definitiva inutile. Alcune spiegazioni possono sembrare soddisfacenti, ma se le consideriamo attentamente, scopriremo che esse sono solo superficialmente adeguate e non possono sostenere un esame attento. Quindi qualsiasi spiegazione riguardo l’ego sarà utile solo nella misura in cui può aiutarci a comprendere il mezzo con cui possiamo distruggerlo, e questo è precisamente ciò che gli insegnamenti di Bhagavan ci aiutano a comprendere.

Secondo Bhagavan, il nostro ego non esiste realmente, così il solo modo per ‘distruggerlo’ è di investigare cosa esso è e quindi scoprire con la nostra esperienza diretta che esso non esiste realmente. Cercare di distruggerlo con qualsiasi altro mezzo sarebbe come cercare di uccidere un serpente illusorio battendolo con un bastone. Poiché il serpente illusorio è solo una corda, non può essere ucciso da nessuna quantità di colpi, perché non è mai stato realmente vivo. Se presumiamo che il nostro ego esiste, qualsiasi cosa possiamo fare per distruggerlo perpetuerà solo l’illusione che esiste, così Bhagavan ci consiglia di non presumere che esiste ma invece di guardarlo attentamente per vedere se è reale o no. Se guardiamo noi stessi attentamente, chi ora sembra essere questo ego limitato, scopriremo che ciò che siamo realmente è solo un’espansione infinita di pura auto-consapevolezza e che quindi non siamo mai stati questo ego, proprio come se guardiamo attentamente ciò che sembra essere un serpente scopriremo che è realmente solo una corda e non è mai stata un serpente. Questo è il solo modo per ‘distruggere’ ciò che sembra esistere ma non esiste realmente.

Questo è ciò che è inteso da Bhagavan nei seguenti brani registrati nel primo capitolo della seconda parte di Maharshi’s Gospel (edizione 2002, pagine 50-4). In risposta alla domanda ‘Perché soltanto l’Auto-indagine dovrebbe essere considerata il mezzo diretto per jnana?’ egli ha spiegato:
Poiché ogni genere di sadhana [mezzo] tranne quella di atma vichara [auto-investigazione o auto-indagine] presuppone il mantenimento della mente come uno strumento per compiere la sadhana, e senza la mente essa non può essere praticata. L’ego può prendere forme differenti e più sottili nei differenti stadi della propria pratica, ma non è mai distrutto. […] Il tentativo di distruggere l’ego o la mente attraverso le sadhana diverse da atma vichara, è proprio come il ladro che assume le sembianze di un poliziotto per catturare il ladro, che è lui stesso. Solo atma vichara può rivelare la verità che né l’ego né la mente esistono realmente, e mettere in grado di realizzare la pura, indifferenziata Esistenza del Sé o dell’Assoluto.
E successivamente in alcuni altri brani egli ha continuato a spiegare:
La causa della tua infelicità non è la vita esteriore; sei tu in quanto ego. Tu imponi limiti a te stesso e poi compi una lotta vana per trascenderli. […] Se tu rifiutassi l’ego e lo rendessi arido ignorandolo, saresti libero. Se lo accetti, esso ti imporrà limiti e ti trascinerà in una lotta vana per trascenderli. […] Tu stesso imponi limitazioni alla tua vera natura di Essere Infinito, e poi piangi per non essere altro che una creatura limitata. Poi intraprendi questa o quella sadhana per trascendere i limiti non-esistenti. Ma se la tua stessa sadhana presuppone l’esistenza dei limiti, come può aiutarti a trascenderli?
Quindi sebbene Bhagavan ci insegni che la sola causa per l’esistenza apparente di tutti i fenomeni è solo il nostro ego, egli ci consiglia di non accettare che anche questo ego sia reale, perché se presupponiamo che esso esista realmente, ogni cosa che possiamo fare per distruggerlo sarà vana. Solo se siamo disposti a dubitare la sua esistenza anche in questo preciso momento saremo pronti a investigare se esso esista realmente o meno, e solo investigando questo saremo in grado di vedere che ciò che esiste realmente è solo noi stessi e non questo ego illusorio.

Poiché il nostro ego non esiste realmente anche quando sembra esistere, come nella veglia e nel sogno, come può esistere realmente nel sonno, quando non sembra esistere? Se presupponiamo che esso esista in qualche forma nel sonno (come nella forma di kāraṇa śarīra o ānandamaya kōśa), attribuiremmo ad esso un grado non necessario di realtà. La sua esistenza nel sonno come kāraṇa śarīra o ānandamaya kōśa è postulata solo per spiegare come esso sorge nuovamente dal sonno nella veglia o nel sonno, ma quando Bhagavan ci consiglia di dubitare e quindi di investigare se esso è mai sorto realmente, perché invece di seguire il suo consiglio dovremmo cercare di spiegare come è sorto?

Il nostro ego sembra essere sorto dal sonno solo perché ora sembra esistere, ma Bhagavan ci consiglia di non accettare che la sua esistenza apparente sia in qualche modo reale, perché finché supponiamo che sia reale, non saremo guidati ad investigare se è veramente reale o no. Per iniziare a investigare seriamente noi stessi, dobbiamo essere pronti a dubitare se siamo realmente ciò che ora sembriamo essere, cioè questo ego. Quindi se desideriamo liberarci dall’illusione di essere questo ego, è assolutamente necessario che ci asteniamo dal supporre che questo ego esista realmente anche quando sembra essere ciò che siamo, e tantomeno quando neppure sembra esistere, come nel sonno.

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