Om Namo Bhagavate Sri Arunachalaramanaya

venerdì 10 giugno 2016

La nostra mente può essere troppo forte per essere distrutta completamente dal nostro sé reale?

Michael James

8 Giugno 2016
Can our mind be too strong for our actual self to dissolve it completely?


In un commento a uno dei miei articoli recenti, Possiamo separarci permanentemente da qualsiasi cosa non è noi stessi solo attendendo soltanto a noi stessi, un amico di nome Viswanathan ha citato un estratto da un’intervista in cui David Godman ha detto, “Questo è un punto chiave degli insegnamenti di Bhagavan: il Sé può distruggere la mente solo quando essa non ha più alcuna tendenza a muoversi all’esterno. Mentre quelle tendenze esteriorizzanti sono ancora presenti, anche in forma latente, la mente sarà sempre troppo forte perché il Sé la dissolva completamente”. Citando la frase finale da questa dichiarazione un amico anonimo ha scritto un altro commento in cui ha chiesto: “David Godman, hai detto ‘la mente più forte del Sé’? Non possono comprendere questo. ‘Il Sé’ (il nostro sé essenziale) attende che la mente si indebolisca in modo da poterla dissolvere completamente? Come ha avuto luogo allora la dissoluzione parziale? Inoltre, perché la mente, finché è forte, non ha dissolto ‘il Sé', se tutto si riassume nel forte che dissolve il debole?”. Poiché dubito che David legga queste domande, in questo articolo risponderò per suo conto, sebbene posso farlo in termini un po’ diversi da quelli che userebbe lui.

Benché le domande poste dal nostro amico anonimo sembrano del tutto ragionevoli, comprendo ciò che David stava cercando di dire in quel brano, e penso che il problema con ciò che gli dice è il modo in cui lo dice piuttosto che ciò che suppongo egli intende quando lo dice, così inizierò cercando di chiarire una seria confusione concettuale che sembra stare alla base di questa sua dichiarazione che lascia piuttosto perplessi. Cioè, non ci sono realmente due cose separate, ‘il Sé’ e ‘la mente’, ma solo una cosa, vale a dire noi stessi, proprio come una corda e il serpente che essa sembra essere non sono due cose separate ma solo una. Ciò che è chiamato ‘il Sé’ è noi stessi come siamo realmente, e ciò che è chiamata ‘la mente’ o ‘l’ego’ è noi stessi come sembriamo essere ogni volta che siamo consapevoli di qualsiasi cosa diversa da noi stessi.

Come Bhagavan dice in due brani registrati in Day by Day with Bhagavan, ‘La mente rivolta all’interno è il Sé; rivolta all’esterno, essa diventa l’ego e tutto il mondo’ (11-1-46: edizione 2002, pagina 106), e ‘La mente, rivolta all’esterno, ha come risultato pensieri ed oggetti. Rivolta all’interno, essa diviene lo stesso Sé’ (8-11-45: edizione 2002, pagina 37). Cioè, quando siamo consapevoli soltanto di noi stessi, siamo consapevoli di noi stessi come siamo realmente (che è ciò a cui il termine ‘il Sé’ si riferisce in questo contesto), ma quando siamo consapevoli non solo di noi stessi ma anche di qualsiasi altra cosa, sembriamo essere questo ego o mente.

Quindi sembriamo essere questa mente solo quando permettiamo alla nostra attenzione di andare all’esterno – cioè, lontano da noi stessi anche minimamente – così finché siamo consapevoli di qualsiasi cosa diversa da noi stessi non possiamo sperimentare noi stessi come siamo realmente. Quindi ciò che apparentemente ci impedisce di essere consapevoli di noi stessi come ‘il Sé’ (la pura auto-consapevolezza che siamo realmente) sono le nostre tendenze esteriorizzanti – cioè, le nostre inclinazioni o impulsi ad essere consapevoli di qualsiasi cosa diversa da noi stessi.

Tuttavia, la nostra mente e le sue tendenze esteriorizzanti non sono reali e non hanno reale sostanza propria, così come possono essere abbastanza forti da impedirci di essere consapevoli di noi stessi come siamo realmente? La verità è che mai lo impediscono, perché come siamo realmente siamo sempre consapevoli solo di noi stessi come siamo realmente. È solo perché sembriamo essere questo ego o mente che sembriamo non essere consapevoli di noi stessi come siamo realmente, ma sembriamo essere questo ego solo nella sua visione, così poiché questo ego non è reale, non siamo mai non consapevoli di noi stessi come siamo realmente.

Tuttavia, poiché ora sembriamo essere questo ego, anche se solo nella visione di noi stessi come tale, sembra per noi necessario fare sforzo per rivolgere la nostra attenzione interiormente, verso noi stessi soltanto, ma quando cerchiamo di farlo, scopriamo che le nostre forti tendenze esteriorizzanti ci fanno resistere ai nostri sforzi di rivolgerci interiormente. Quindi la battaglia che si sta svolgendo ora non è esattamente tra ‘il Sé’ (noi stessi come siamo realmente) e questo ego o mente, ma piuttosto tra il nostro amore di essere solo come siamo realmente – cioè, consapevoli di niente altro che noi stessi – e i nostri desideri di essere consapevoli di qualsiasi altra cosa (che sono le ‘tendenze esteriorizzanti’ a cui David si riferisce).

Finché i nostri desideri di essere consapevoli di altre cose sono più forti del nostro amore per essere consapevoli soltanto di noi stessi, non saremo disposti ad arrendere completamente il nostro ego permettendo ad esso di dissolversi completamente nella pura auto-consapevolezza che siamo realmente, e finché non siamo disposti ad arrendere noi stessi, Dio o il guru non ci forzeranno ad abbandonare questo falso ego, a cui ora siamo aggrappati con forte attaccamento. Quindi Bhagavan ci ha insegnato che dobbiamo perseverare nel cercare di essere più possibile attentivamente consapevoli di noi stessi, finché le nostre tendenze esteriorizzanti siano indebolite e il nostro amore per essere consapevoli soltanto di noi stessi sia conseguentemente rafforzato in misura tale che il secondo divenga più forte del primo, dopo di che saremo infine disposti e quindi in grado di lasciare andare ogni altra cosa e fonderci senza sforzo nel nostro sé reale, la sorgente da cui siamo sorti come questo ego.

Poiché questa è quindi una battaglia che sta avvenendo nella nostra mente tra i nostri impulsi contrastanti (vāsanā), vale a dire il nostro amore per essere consapevoli soltanto di noi stessi e il nostro desiderio di essere consapevoli di altre cose, il nostro sé reale (‘il Sé’) non ha un ruolo da sostenere in questo? In un certo senso non ha affatto un ruolo da sostenere, perché è solo come è, e mai fa qualcosa, essendo eternamente immutabile e quindi immobile (acala). Tuttavia, in un altro senso esso sostiene il ruolo maggiore e il solo reale, e certamente alla fine sarà vittorioso, perché è amore infinito, e quindi poiché non vede qualsiasi cosa come diversa da sé stesso, ama ogni cosa come sé stesso. Quindi qualunque amore noi come questo ego o mente possiamo avere ora per essere consapevoli soltanto di noi stessi è un riflesso dell’amore infinito che come siamo realmente abbiamo per noi stessi, così senza fare alcuna cosa ma solo amando sé stesso – e quindi amando noi come sé stesso – il nostro sé reale sta nutrendoci tranquillamente ma infallibilmente con l’amore di cui abbiamo bisogno per arrendere completamente noi stessi e quindi per dissolverci in noi stessi, come ghiaccio che si scioglie nell’acqua.

Questo dissolvere noi stessi nell’amore infinito che siamo realmente è ciò a cui Bhagavan si riferisce nel verso 101 di Śrī Aruṇācala Akṣaramaṇamālai:
அம்புவி லாலிபோ லன்புரு வுனிலெனை
      யன்பாக் கரைத்தரு ளருணாசலா.

ambuvi lālipō laṉburu vuṉileṉai
      yaṉbāk karaittaru ḷaruṇācalā
.

பதச்சேதம்: அம்புவில் ஆலி போல் அன்பு உரு உனில் எனை அன்பா கரைத்து அருள் அருணாசலா.

Padacchēdam (separazione delle parole): ambuvil āli pōl aṉbu-uru uṉil eṉai aṉbā karaittu aruḷ aruṇācalā.

Traduzione: Arunachala, come il ghiaccio nell’acqua, amorevolmente fondimi come amore in te, la forma dell’amore.
Proprio come la natura dell’acqua è quella di fondere il ghiaccio in sé stessa, così la natura di Arunachala, il nostro sé reale, è di fonderci in sé stessa, e proprio come anche il più grande e più duro pezzo di ghiaccio non può resistere per sempre dall’essere fuso nelle calde acque dell’oceano, così il nostro ego non può resistere per sempre dall’essere fuso in Arunachala, l’infinito oceano d’amore da cui ha avuto origine. Più il nostro ego accade che sia freddo e duro, più a lungo impiegheremo a fonderci, ma gradualmente saremo riscaldati e ammorbiditi finché ci dissolveremo completamente, come, prima o poi, dobbiamo inevitabilmente fare, come Bhagavan ci assicura nel verso 8 di Śrī Aruṇācala Aṣṭakam:
கடலெழு மெழிலியாற் பொழிதரு நீர்தான்
      கடனிலை யடைவரை தடைசெயி னில்லா
துடலுயி ருனிலெழு முனையுறு வரையி
      லுறுபல வழிகளி லுழலினு நில்லா
திடவெளி யலையினு நிலையிலை புள்ளுக்
      கிடநில மலதிலை வருவழி செல்லக்
கடனுயிர் வருவழி சென்றிட வின்பக்
      கடலுனை மருவிடு மருணபூ தரனே.

kaḍaleṙu meṙiliyāṯ poṙidaru nīrdāṉ
      kaḍaṉilai yaḍaivarai taḍaiceyi ṉillā
duḍaluyi ruṉileṙu muṉaiyuṟu varaiyi
      luṟupala vaṙigaḷi luṙaliṉu nillā
diḍaveḷi yalaiyiṉu nilaiyilai puḷḷuk
      kiḍanila maladilai varuvaṙi sellak
kaḍaṉuyir varuvaṙi seṉḏṟiḍa viṉpak
      kaḍaluṉai maruviḍu maruṇabhū dharaṉē
.

பதச்சேதம்: கடல் எழும் எழிலியால் பொழிதரும் நீர்தான் கடல் நிலை அடைவரை தடை செயின் நில்லாது. உடல் உயிர் உனில் எழும் உனை உறு வரையில் உறு பல வழிகளில் உழலினும் நில்லாது. இட வெளி அலையினும் நிலை இலை புள்ளுக்கு; இடம் நிலம் அலது இலை; வரு வழி செல்ல கடன். உயிர் வரு வழி சென்றிட இன்பக் கடல் உனை மருவிடும், அருண பூதரனே.

Padacchēdam (separazione delle parole): kaḍal eṙum eṙiliyāl poṙidarum nīr-tāṉ kaḍal-nilai aḍaivarai taḍai-seyiṉ nillādu. uḍal-uyir uṉil eṙum uṉai uṟu-varaiyil uṟu pala vaṙigaḷil uṙaliṉum nillādu. iḍa veḷi alaiyiṉum nilai ilai puḷḷukku; iḍam nilam aladu ilai; varu vaṙi sella kaḍaṉ. uyir varu vaṙi seṉḏṟiḍa iṉba-k-kaḍal uṉai maruviḍum, aruṇa-bhūdharaṉē.

அன்வயம்: கடல் எழும் எழிலியால் பொழிதரும் நீர்தான் கடல் நிலை அடைவரை தடை செயின் நில்லாது. உனில் எழும் உடல் உயிர் உனை உறு வரையில் உறு பல வழிகளில் உழலினும் நில்லாது. இட வெளி அலையினும் புள்ளுக்கு நிலை இலை; நிலம் அலது இடம் இலை; வரு வழி செல்ல கடன். அருண பூதரனே, உயிர் வரு வழி சென்றிட இன்பக் கடல் உனை மருவிடும்.

Anvayam (parole ridisposte in ordine naturale di prosa): kaḍal eṙum eṙiliyāl poṙidarum nīr-tāṉ kaḍal-nilai aḍaivarai taḍai-seyiṉ nillādu. uṉil eṙum uḍal-uyir uṉai uṟu-varaiyil uṟu pala vaṙigaḷil uṙaliṉum nillādu. iḍa veḷi alaiyiṉum puḷḷukku nilai ilai; nilam aladu iḍam ilai; aruṇa-bhūdharaṉē, varu vaṙi sella kaḍaṉ. uyir varu vaṙi seṉḏṟiḍa iṉba-k-kaḍal uṉai maruviḍum.

Traduzione: L’acqua piovuta dalle nuvole, che sorge dall’oceano, non si fermerà anche se ostacolata finché raggiunge la sua dimora-oceano. [Nello stesso modo] l’anima incarnata, che sorge da te, non si fermerà, anche se girovaga per molti sentieri che incontra, finché ti raggiunge. Benché gira senza meta nel vasto cielo, per un uccello non c’è luogo per riposare [lì]; tranne la terra, non c’è luogo [per il suo riposo]; ciò che esso deve fare è tornare per la via da cui è venuto. [Nello stesso modo] Aruna-montagna, quando l’anima torna per la via da cui è venuta, essa si fonderà in te, l’oceano di felicità.
Per ritornare ad Arunachala, la sorgente dalla quale abbiamo avuto origine, ciò di cui abbiamo bisogno è ‘வரு வழி சென்றிட’ (varu vaṙi seṉḏṟiḍa), ‘tornare per la via da cui siamo venuti’, e poiché il modo in cui siamo venuti è stato sorgendo da noi stessi come questo ego, tornare per la via da cui siamo venuti significa sprofondare in noi stessi. Ma come possiamo farlo? Poiché siamo sorti come questo ego solo ‘afferrando la forma’, che significa essendo consapevoli di qualsiasi cosa diversa da noi stessi, per sprofondare in noi stessi dobbiamo cessare di afferrare qualsiasi cosa diversa da noi stessi, cosa che possiamo effettivamente fare solo cercando di essere consapevoli soltanto di noi stessi.

La ragione per cui continuiamo ad afferrare cose diverse da noi stessi è che ancora abbiamo desiderio di essere qualunque entità limitata che attualmente sembriamo essere, poiché non possiamo sopravvivere senza essere consapevoli di altre cose, così per tornare per la via da cui siamo venuti, il nostro amore per essere come siamo realmente deve essere più grande del nostro desiderio di essere qualunque cosa sembriamo essere. Il mezzo infallibile con cui possiamo coltivare questo amore è cercare con persistenza di essere consapevoli soltanto di noi stessi, quindi indebolendo costantemente tutte le nostre viṣaya-vāsanā – i nostri impulsi, inclinazioni o tendenze ad andare all’esterno per sperimentare qualsiasi cosa diversa da noi stessi.

Iniziamo a tornare per questo வரு வழி (varu vaṙi), il sentiero o via da cui siamo venuti, solo perché il seme dell’amore di ritornare alla nostra sorgente è stato in qualche modo piantato nel nostro cuore, e facendo lo sforzo di seguire questo sentiero stiamo nutrendo questo seme e permettendo ad esso di crescere dentro di noi. Ma da dove origina questo seme? Dalla stessa sorgente da cui abbiamo avuto origine, perché la nostra sorgente è il nostro sé infinito, che è ciò che è chiamato Arunachala, e non è solo la nostra sorgente ma anche la nostra vera sostanza – ciò che siamo realmente – così dato che la sua natura è amore infinito, il seme di questo amore è sempre presente dentro di noi, anche se fino ad ora lo abbiamo trascurato. Tuttavia, come un seme che è rimasto nel terreno ghiacciato per migliaia di anni e che germoglia appena il terreno inizia a sciogliersi, questo seme di amore per ciò che siamo realmente germoglia appena il nostro cuore inizia a sciogliersi, come inevitabilmente fa a causa dell’opera della grazia (arul), che è lo stesso amore infinito che noi come siamo realmente sempre abbiamo per noi stessi.

Quindi non importa quanto la nostra mente e le sue tendenze esteriorizzanti possano sembrare forti, esse stanno combattendo una battaglia persa, perché il ‘nemico’ che stanno inavvedutamente combattendo è il potere supremo di amore infinito, che non può mai essere sconfitto, non importa quanti trucchi ingannevoli la nostra mente può giocare a sé stessa. Il preciso momento in cui siamo sorti per la prima volta come questo ego o mente, siamo stati destinati alla sconfitta finale, così prima riconciliamo noi stessi con questo fatto meglio è, perché sapere che la nostra sconfitta finale è assicurata dovrebbe renderci più disposti ad arrendere noi stessi qui ed ora. Perché e per quanto tempo continueremo a combattere questa battaglia persa con noi stessi? Perché non dovremmo semplicemente cedere ora e poi rimanere in pace per sempre?

Bhagavan non può non riuscire a conquistarci, perché egli ci conquista solo con il suo infinito amore per noi, e non c’è potere più grande di quello. Tuttavia egli ci conquista nel modo più gentile possibile, non opponendosi a noi in qualche modo ma attraendoci e quindi portandoci a lottare volontariamente e amorevolmente al suo fianco nella battaglia, lasciando andare gradualmente i nostri attaccamenti a qualsiasi cosa diversa dalla nostra auto-consapevolezza fondamentale. Nella sua conquista, quindi, egli mai usa costrizione o coercizione di qualche genere, e mai ha qualche bisogno di farlo, perché egli opera dall’interno di noi, nutrendoci pazientemente con il suo amore e quindi facendoci amare ciò che vuole donarci, che è la pura, eterna, infinita e indivisibile auto-consapevolezza che siamo realmente.

Quindi la battaglia che si svolge dentro ciascuno di noi tra l’amore che egli sta coltivando nel nostro cuore per la pura auto-consapevolezza (che è ciò che è chiamata sat-vāsanā o svātma-bhakti) ed i nostri desideri contrastanti di essere consapevoli di altre cose (che sono ciò che sono chiamate viṣaya-vāsanā o tendenze esteriorizzanti) è combattuta primariamente dalla sua grazia, che è il suo ardente amore per noi, e quindi egli la chiama ‘அருள் போராட்டம்’ (aruḷ-pōrāṭṭam), il ‘guerreggiare della grazia’, nel verso 74 di Śrī Aruṇācala Akṣaramaṇamālai:
போக்கும் வரவுமில் பொதுவெளி யினிலருட்
      போராட் டங்காட் டருணாசலா.

pōkkum varavumil poduveḷi yiṉilaruṭ
      pōrāṭ ṭaṅkāṭ ṭaruṇācalā
.

பதச்சேதம்: போக்கும் வரவும் இல் பொது வெளியினில் அருள் போராட்டம் காட்டு அருணாசலா.

Padacchēdam (separazione delle parole): pōkkum varavum il podu veḷiyiṉil aruḷ-pōrāṭṭam kāṭṭu aruṇācalā.

Traduzione: Arunachala, mostra [a me] il guerreggiare della grazia nello spazio condiviso privo di andare e venire.
Per vedere la fine di questa guerra della grazia, tutto ciò che abbiamo bisogno di fare è arrendere noi stessi lasciando andare ogni cosa a cui fino ad ora ci siamo attaccati – in altre parole, non dando spazio nel nostro cuore al sorgere di ogni consapevolezza di qualsiasi cosa diversa da noi stessi. Se ci sentiamo incapaci di farlo, è solo perché non abbiamo ancora abbastanza cooperato volontariamente alla sua opera di coltivare nel nostro cuore l’amore per la pura auto-consapevolezza, così abbiamo solo bisogno di perseverare nell’innaffiare con la nostra attenzione il seme germogliante di quell’amore. Più cooperiamo con lui in quest’opera della sua grazia cercando con persistenza di essere auto-attentivi, più velocemente il travolgente amore richiesto fiorirà nel nostro cuore, permettendoci infine di arrenderci completamente a lui.

Quindi quando David ha detto, ‘Mentre quelle tendenze esteriorizzanti sono ancora presenti, anche in una forma latente, la mente sarà sempre troppo forte perché il Sé la dissolva completamente’, presumo che ciò che stava cercando di dire era che finché le nostre inclinazioni a dare attenzione a qualsiasi cosa diversa da noi stessi sono ancora troppo forti, la nostra mente non sarà sufficientemente disposta ad arrendere completamente sé stessa per essere dissolta nell’ardente luce di pura auto-consapevolezza.

Nessun commento:

Posta un commento