Om Namo Bhagavate Sri Arunachalaramanaya

martedì 12 luglio 2016

Nomi e forme sono solo pensieri, così possiamo liberarci da essi solo investigando la loro radice, il nostro ego

Michael James

2 Luglio 2016
http://happinessofbeing.blogspot.it/2016/07/names-and-forms-are-all-just-thoughts.html


Un’amica mi ha mandato recentemente una lunga email che ha iniziato dicendo, ‘L’ego genera parole nella consapevolezza. L’ego si presenza nella consapevolezza come correnti di parole che formano la così detta “corrente di consapevolezza”’, e poi ha continuato esprimendo le sue riflessioni su questa idea, dicendo per esempio, ‘Noi tutti sappiamo come la mente a volte corre con infinite correnti di parole che formano pensieri di innumerevoli soggetti, paure, speranze, ricordi, ecc.’, e ‘Il linguaggio forma parole in pensieri, oggetti, eventi, tempo, spazio, ricordi, ecc. creando il sogno di una terra popolata in un vasto universo’, e ha spiegato come lei cerca di mettere queste idee nella sua pratica di auto-investigazione (ātma-vicāra). Il seguente articolo è la mia risposta a lei.
  1. Perché i fenomeni sono chiamati ‘nomi e forme’ (nāma-rūpa)?
  2. I nomi e le forme sono solo pensieri o idee
  3. Qualsiasi cosa percepiamo come forma è metaforicamente chiamato un ‘nome’ perché è l’identità che abbiamo attribuito ad essa
  4. Niente esiste o anche sembra esistere se non siamo consapevoli di esso
  5. Il chiacchierio mentale non è il solo genere di pensiero, così fermare questo ‘flusso di parole’ non è ridurre al silenzio il nostro ego

1. Perché i fenomeni sono chiamati ‘nomi e forme’ (nāma-rūpa)?

Nella filosofia Indiana un termine che è usato spesso per riferirsi ai fenomeni in generale è nāma-rūpa, che significa letteralmente ‘nome-forma’ ed è generalmente tradotto come nomi e forme. La ragione per cui i fenomeni sono descritti come nāma-rūpa piuttosto che solo rūpa (sebbene rūpa è spesso usato da solo per riferirsi ad essi) è che la nostra percezione di forme è grandemente influenzata dai nomi o etichette che applichiamo ad essi, perché i nomi rappresentano ciò che li identifichiamo essere e quindi come li percepiamo. Per esempio, vediamo qualcosa che giace a terra, e lo possiamo identificare come ‘corda’ o come ‘serpente’. Se lo identifichiamo come ‘corda’, lo vediamo come una corda, mentre se lo identifichiamo come ‘serpente’, lo vediamo come un serpente.

Nello stesso modo, nel caso di una dubbia immagine di un coniglio o un’anatra, la possiamo vedere come un coniglio o come un’anatra ma mai come entrambi simultaneamente, e il modo in cui la vediamo è determinato dall’identità (rappresentata da un nome) che la nostra mentre attribuisce ad essa. Supponiamo che tu non abbia mai visto prima questa immagine, se qualcuno te la mostra e dice, ‘Vedi questo disegno di un’anatra’, la vedrai naturalmente come un’anatra, perché questo è ciò che ti aspetti di vedere. Ma se qualcun altro dice, ‘No, vedi che è un coniglio’, allora noterai che puoi vederla invece come un coniglio. Una volta che ti rendi conto che puoi vederla come un’anatra o come un coniglio, sarai in grado di cambiare avanti e indietro a volontà il vederla come uno e poi come l’altra. La forma non cambia, ma il nome (identità) che tu applichi mentalmente ad essa in ogni momento determina il modo in cui la vedi.

Quindi nel termine composto nāma-rūpa o ‘nome-forma’, rūpa o ‘forma’ si riferisce a qualunque cosa percepiamo, e nāma o ‘nome’ si riferisce a qualunque cosa con cui lo identifichiamo. In altre parole, ‘forma’ è ciò che percepiamo, e ‘nome’ è come lo percepiamo. Ogni cosa che percepiamo (esternamente come fenomeni fisici conosciuti attraverso i nostro organi di senso o internamente come fenomeni mentali come speranze, paure, desideri, ricordi, progetti, concetti, sensazioni o emozioni) è una forma di un tipo o un altro, e non percepiamo mai qualche forma senza percepirla come qualcosa – come qualcosa che possiamo identificare positivamente o come qualcosa che possiamo identificare solo come non identificabile (o in altre parole, che possiamo nominare solo come senza nome). Cioè, ogni volta che percepiamo qualsiasi forma la interpretiamo in qualche modo, così la percepiamo come qualunque cosa in cui la interpretiamo essere (anche se come qualcosa che non riconosciamo).

Per esempio, se sentiamo persone parlare in un linguaggio con cui abbiamo familiarità, percepiamo i suoni che essi producono come parole che trasmettono certi significati, mentre se essi parlano in un linguaggio che non conosciamo, possiamo percepire i suoni come parole, ma le percepiamo come parole di cui non possiamo comprendere il significato. Se vediamo qualcosa scritta su carta o su uno schermo, le forme che percepiamo sono solo linee di varie forme, ma se possiamo leggere la scrittura e comprenderne il linguaggio, percepiamo quelle forme come lettere, e gruppi di esse come parole, e gruppi di parole come frasi che trasmettono certi significati. Se vediamo qualche forma che riconosciamo, la vediamo come qualunque cosa in cui la riconosciamo (anche se di fatto è qualcos’altro), mentre se vediamo ciò che non riconosciamo, la vediamo come qualcosa che non possiamo identificare (anche se è realmente qualcosa che conosciamo ma non riusciamo a riconoscere, come una persona che non abbiamo visto per molti anni).

Quindi la nostra percezione del mondo è determinata dalla nostra interpretazione e conseguente identificazione di qualunque forma percepiamo, e la nostra interpretazione di essa è ciò che esprimiamo in linguaggio come nomi (prima mentalmente, e poi forse vocalmente o in scritto). È questo che intendi quando dici, ‘Il linguaggio è la questione’? Cioè, poiché la materia di cui è fatto ogni mondo che percepiamo è solo immagini o impressioni percettive (ciascuna delle quali è una forma di un tipo o un altro), e poiché queste impressioni sono interpretate dalla nostra mente con l’aiuto di etichette di identificazione (nomi) come corda, serpente, coniglio o anatra, intendi che queste etichette sono ciò che forma il mondo come lo percepiamo? Se questo è ciò che intendi dicendo che il linguaggio è la questione, sarebbe più preciso dire che la questione è il linguaggio, piuttosto che il contrario, perché la questione è il linguaggio nel senso che tutti i fenomeni materiali sono solo nomi e forme, e ‘nomi’ sono qualunque cosa identifichiamo e di conseguenza percepiamo come le forme.

Secondo Bhagavan ogni cosa che percepiamo non è altro che pensieri o idee, così non solo i nomi sono idee, ma lo sono anche le forme. Quindi la distinzione tra nomi e forme è semplicemente che sono differenti strati di pensiero. La nostra mente proietta una forma e simultaneamente proietta un nome (una identità) in quella forma, così per esempio invece di vedere una forma particolare come una corda la vediamo come un serpente, o viceversa, e invece di vedere un’altra forma come un coniglio la vediamo come un’anatra, o viceversa.

Nel termine nāma-rūpa, è significativo che nāma (nome) precede rūpa (forma) piuttosto che il contrario. Logicamente ci si può aspettare che le forme sono citate prima e poi i nomi, perché i nomi sono etichette applicate alle forme, ma i nomi sono citati prima perché essi sono ciò che identifichiamo e di conseguenza percepiamo come ciascuna forma. Più significativo è che ciò che percepiamo (che è solo una forma) è come lo percepiamo essere (che è il nome o identità che attribuiamo ad esso). Un serpente e una corda condividono la stessa forma se visti nella penombra, ma se percepiamo quella forma come un serpente non la percepiamo come una corda e viceversa. Quindi una forma è considerata di importanza secondaria nel senso che è meno significativa della nostra interpretazione di essa, che è cosa la percepiamo essere. Se la percepiamo come un serpente, ci produce uno shock e ci fa indietreggiare, mentre se la percepiamo come una corda possiamo chinarci per prenderla, pensando che possiamo farne buon uso.

2. I nomi e le forme sono solo pensieri o idee

Come ho citato sopra, sia le forme che percepiamo sia i nomi che applichiamo ad esse sono tutti solo pensieri o idee, come Bhagavan indica chiaramente in Nāṉ Yār?. Per esempio, nella frase finale del diciottesimo paragrafo dice:
ஜாக்ரம் சொப்பன மிரண்டிலும் நினைவுகளும் நாமரூபங்களும் ஏககாலத்தில் நிகழ்கின்றன.

jāgram soppaṉam iraṇḍilum niṉaivugaḷum nāma-rūpaṅgaḷum ēka-kālattil nihaṙgiṉḏṟaṉa.

Sia nella veglia che nel sogno i pensieri e i nomi-forme accadono nello stesso tempo [o simultaneamente].
Sebbene questa frase potrebbe essere interpretata nell’implicazione che pensieri e nomi-forme sono due distinte classi di fenomeni, questo non è ciò che Bhagavan intendeva, come possiamo dedurre se confrontiamo questa frase con le seguenti frasi del quarto paragrafo:
நினைவுகளைத் தவிர்த்து ஜகமென்றோர் பொருள் அன்னியமா யில்லை. தூக்கத்தில் நினைவுகளில்லை, ஜகமுமில்லை; ஜாக்ர சொப்பனங்களில் நினைவுகளுள, ஜகமும் உண்டு.

niṉaivugaḷai-t tavirttu jagam-eṉḏṟōr poruḷ aṉṉiyamāy illai. tūkkattil niṉaivugaḷ illai, jagam-um illai; jāgra-soppaṉaṅgaḷil niṉaivugaḷ uḷa, jagam-um uṇḍu.

Ad esclusione dei pensieri [o idee], non c’è separatamente una cosa come il mondo. Nel sonno non ci sono pensieri, e [di conseguenza] anche non c’è alcun mondo; nella veglia e nel sogno ci sono pensieri, e [di conseguenza] c’è anche un mondo.
Poiché tutti i fenomeni che costituiscono qualsiasi mondo nella veglia o nel sogno sono solo nomi e forme, e poiché egli dice qui che ogni mondo non è niente altro che pensieri o idee, chiaramente intende che tutti i nomi e forme sono solo pensieri. Quindi come spiega nelle due frasi successive, ciò che percepiamo come un mondo è solo una proiezione della nostra mente:
சிலந்திப்பூச்சி எப்படித் தன்னிடமிருந்து வெளியில் நூலை நூற்று மறுபடியும் தன்னுள் இழுத்துக் கொள்ளுகிறதோ, அப்படியே மனமும் தன்னிடத்திலிருந்து ஜகத்தைத் தோற்றுவித்து மறுபடியும் தன்னிடமே ஒடுக்கிக்கொள்ளுகிறது. மனம் ஆத்ம சொரூபத்தினின்று வெளிப்படும்போது ஜகம் தோன்றும்.

silandi-p-pūcci eppaḍi-t taṉṉiḍamirundu veḷiyil nūlai nūṯṟu maṟupaḍiyum taṉṉuḷ iṙuttu-k-koḷḷugiṟadō, appaḍiyē maṉam-um taṉṉiḍattilirundu jagattai-t tōṯṟuvittu maṟupaḍiyum taṉṉiḍamē oḍukki-k-koḷḷugiṟadu. maṉam ātma sorūpattiṉiṉḏṟu veḷippaḍum-pōdu jagam tōṉḏṟum.

Proprio come un ragno produce il filo da dentro sé stesso e nuovamente lo ritira in sé stesso, così la mente proietta il mondo da dentro sé stessa e di nuovo lo dissolve in sé stessa. Quando la mente esce da ātma-svarūpa, il mondo appare.
Questo è spiegato ulteriormente da lui nelle due frasi successive del sesto paragrafo:
சூக்ஷ்மமான மனம், மூளை இந்திரியங்கள் வாயிலாய் வெளிப்படும் போது ஸ்தூலமான நாமரூபங்கள் தோன்றுகின்றன; ஹிருதயத்தில் தங்கும்போது நாமரூபங்கள் மறைகின்றன.

sūkṣmam-āṉa maṉam, mūḷai indiriyaṅgaḷ vāyilāy veḷippaḍum pōdu sthūlam-āṉa nāma-rūpaṅgaḷ tōṉḏṟugiṉḏṟaṉa; hirudayattil taṅgumbōdu nāma-rūpaṅgaḷ maṟaigiṉḏṟaṉa.

Quando la mente sottile esce attraverso il portale del cervello e degli organi di senso, nomi e forme grossolani appaiono; quando essa rimane nel cuore [che è ātma-svarūpa], nomi e forme scompaiono.
Poiché il mondo non è altro che una serie di nomi e forme, e poiché nomi e forme sono solo fenomeni illusori proiettati e percepiti dalla nostra mente, tutti i nomi e forme sono solo pensieri. Quindi, poiché la radice di tutti i pensieri è solo il nostro ego, come Bhagavan spiega nel verso 18 di Upadēśa Undiyār, e poiché questo ego sorge, si regge e prospera solo afferrando le forme, come spiega nel verso 25 di Uḷḷadu Nāṟpadu, per sradicare il nostro ego insieme con tutti i nomi e forme che ha proiettato nella sua consapevolezza, dobbiamo cercare di essere attentivamente consapevoli soltanto di noi stessi, escludendo quindi tutti i nomi e le forme dalla nostra consapevolezza.

Ogni volta che siamo consapevoli di noi stessi come questo ego (come lo siamo nella veglia e nel sogno) percepiamo nomi e forme, mentre ogni volta che non siamo consapevoli di noi stessi come questo ego (come siamo mentre dormiamo) non percepiamo alcun nome o forma, così tutti i nomi e le forme sembrano esistere solo nella visione del nostro ego. Quindi la radice di tutti i problemi che sorgono dalla nostra percezione di nomi e forme (come fanno tutti i problemi) è solo questo ego, così questo è ciò che abbiamo bisogno di investigare prima di interessarci ad investigare qualsiasi nome o forma.

3. Qualsiasi cosa percepiamo come forma è metaforicamente chiamato un ‘nome’ perché è l’identità che abbiamo attribuito ad essa

Nella prima sezione mi sono riferito alla tua dichiarazione ‘Il linguaggio è la questione’ e ho cercato di comprendere cosa intendi dicendo questo, suggerendo che forse stai usando il termine ‘linguaggio’ per riferirti al nostro uso di nomi per stabilire l’identità delle forme materiali che percepiamo. Poiché i nomi sono uno dei componenti basilari del linguaggio, e poiché li usiamo nel processo di interpretare e identificare forme, il linguaggio gioca un ruolo limitato nel determinare cosa percepiamo essere le forme. Per esempio, come ho citato precedentemente, se qualcuno ci mostrasse un’immagine anatra-coniglio e dicesse, ‘Vedi questo disegno di un’anatra’, il suo suggerimento che si tratta di un’anatra probabilmente ce lo farebbe vedere come un’anatra, perché questo è cosa ci aspetteremmo di vedere.

Tuttavia sembra che stai forse attribuendo un ruolo più fondamentale al linguaggio di quanto ne ha realmente, perché sebbene nella filosofia Indiana a qualunque cosa identifichiamo e percepiamo come una forma ci si riferisce come nāma o ‘nome’, questo non significa che i nomi giocano un ruolo essenziale nel determinare cosa percepiamo essere qualche forma. Per esempio, un bambino è in grado di identificare sua madre e altre forme familiari anche prima di imparare qualche nome da applicare ad essi, e gli animali sono in grado di indentificare forme senza applicare loro dei nomi. Quindi la nostra percezione di una forma come qualunque cosa in cui la identifichiamo è chiamata nāma o ‘nome’ in un senso metaforico piuttosto che letterale. Cioè, in questo contesto ‘nome’ significa semplicemente identità (che è qualunque cosa percepiamo come una forma) piuttosto che solo una parola che indica una tale identità. Sebbene i nomi (e quindi il linguaggio) possono aiutarci a identificare o a riconoscere forme, spesso lo facciamo senza l’uso di alcun nome effettivo.

Un esempio del ruolo esagerato che attribuisci al linguaggio è la frase in cui dici, ‘Il linguaggio forma le parole in pensieri, oggetti, eventi, tempo, spazio, ricordi, ecc. creando il sogno di una terra popolata e un vasto universo’, che sembra mettere il carro davanti ai buoi, perché il linguaggio, i mondi, gli oggetti, gli eventi, il tempo, lo spazio, i ricordi, i sogni, la popolazione, la terra e questo intero universo sono tutti solo pensieri di vario tipo, e ciò che forma tutti questi pensieri è solo il nostro ego, perché è il pensatore (il proiettore e lo sperimentatore) di essi. Se questo ego fosse reale, i suoi pensieri potrebbero anche essere reali, ma se esso non è reale, essi non possono essere reali. Così cos’è realmente questo ego? O in altre parole, chi sono io che ora sembro essere questo ego?

Come Bhagavan spesso ha indicato, il linguaggio sorge dai pensieri, i pensieri sorgono dall’ego, e l’ego sorge dal silenzio, che è ciò che siamo realmente. Quindi se vogliamo ritornare alla nostra sorgente suprema, che è il silenzio, abbiamo bisogno di investigare noi stessi, che ora sembra essere questo ego, focalizzando la nostra intera attenzione su noi stessi, ritirandola quindi completamente da tutte le parole e gli altri pensieri. Poiché questo ego sorge e resiste solo afferrando forme (che sono tutti pensieri proiettati da esso), non può reggersi senza aggrapparsi ad essi, così se invece cerca di afferrare sé stesso, sprofonderà nella sua sorgente e quindi sarà dissolto nell’ardente chiarezza della pura auto-consapevolezza.

4. Niente esiste o anche sembra esistere se non siamo consapevoli di esso

Riguardo la tua affermazione ‘l’ego proietta apparentemente innumerevoli cose di cui non siamo neppure consapevoli (come gli infiniti dettagli de “il mondo”, cioè: storia del pianeta e dell’uomo, la velocità della luce, tutta la conoscenza dei genomi, regolazione del battito cardiaco, regolazione del respiro, ecc.)’ questo può sembrare il caso ma non è realmente così, perché niente esiste o anche sembra esistere se non siamo consapevoli di esso. Cioè, poiché l’ego può proiettare cose solo nella sfera della sua consapevolezza, non può proiettare qualsiasi cosa senza essere consapevole di essa, così qualunque cosa supponiamo che esista anche se non siamo consapevoli di essa esiste solo come una supposizione nella nostra mente.

Come Bhagavan dice nella prima frase del settimo paragrafo di Nāṉ Yār?, ‘யதார்த்தமா யுள்ளது ஆத்மசொரூப மொன்றே’ (yathārthamāy uḷḷadu ātma-sorūpam oṉḏṟē), che significa ‘Ciò che esiste realmente è solo ātma-svarūpa [il nostro sé reale], così qualunque cosa può sembrare esistere non esiste realmente, ed essa sembra esistere solo nella visione di noi stessi come questo ego. Quindi niente altro sembra esistere se non siamo consapevoli di esso, così se non ne siamo consapevoli, esso non esiste realmente o anche sembra esistere.

Oltre alla pura auto-consapevolezza, che è il nostro sé reale (ātma-svarūpa), ogni cosa di cui siamo consapevoli è solo un’apparenza illusoria, perché sembra esistere solo nella visione auto-ignorante della consapevolezza transitiva (conoscitrice di oggetti) che chiamiamo ego o mente, e non nella chiara visione della pura consapevolezza intransitiva che siamo realmente. E nella visione di chi questo ego o mente sembra esistere? Solo nella sua visione, perché nella visione della consapevolezza intransitiva niente esiste o anche sembra esistere oltre a sé stessa.

Quindi l’esistenza apparente di ogni altra cosa (inclusa l’ipotetica esistenza di cose di cui non siamo consapevoli) dipende dall’esistenza apparente di noi stessi come questo ego, così se investighiamo noi stessi e quindi sperimentiamo noi stessi come siamo realmente, questo ego ed ogni altra cosa che sembra esistere nella sua visione sarà dissolta per sempre nella luce infinita e ardente della pura consapevolezza intransitiva, che è ciò che siamo realmente, e che non è consapevole di niente altro che sé stessa.

5. Il chiacchierio mentale non è il solo genere di pensiero, così fermare questo ‘flusso di parole’ non è ridurre al silenzio il nostro ego

Il chiacchierio mentale a cui ti riferisci come ‘il flusso delle parole’ è solo una forma di pensiero, perché secondo Bhagavan ogni fenomeno è solo un pensiero, e la radice di tutti essi è il nostro ego, che è esso stesso un pensiero – sebbene il solo pensiero che è consapevole. Ciò che è consapevole sia del flusso delle parole che dell’arrestarsi di questo flusso è il nostro ego, così finché siamo consapevoli della presenza o dell’assenza di questo flusso siamo consapevoli di noi stessi non come siamo realmente ma solo come questo ego. Quindi fermare soltanto questo flusso di parole non è il nostro fine.

Nel sonno questo flusso di parole si ferma insieme con tutti gli altri pensieri, ma il nostro ego in quel momento non è presente per notare la loro assenza. È solo dopo essere sorti nuovamente come questo ego nella veglia o nel sogno che notiamo che tutti i pensieri e le parole erano assenti mentre eravamo nel sonno.

Anche se siamo in grado di fermare il flusso delle parole nella veglia e nel sogno, questo non è realmente ‘ridurre l’ego al silenzio’ come lo descrivi, perché anche quando esso non sta proiettando parole, sta ancora proiettando altri tipi di pensiero, non importa quanto sottili possono essere, perché ogni cosa diversa da noi stessi – ogni cosa che sperimentiamo in un momento ma non eternamente – è solo un pensiero. Quindi il nostro ego è veramente ridotto al silenzio nel sonno e in altre forme di manōlaya, ma questo silenzio è solo temporaneo, così è ridotto al silenzio eternamente solo in manōnāśa.

Quindi quello che dovremmo cercare di raggiungere non è qualche silenzio temporaneo ma soltanto il silenzio eterno che solo rimarrà quando il nostro ego sarà distrutto, e possiamo raggiungere questo solo investigando il nostro ego, cosa che comporta il focalizzare la nostra intera attenzione su esso così acutamente da non notare neppure se c’è qualche flusso di parole o qualche altro tipo di pensiero o no. Come ho spiegato in uno dei miei articoli recenti, Cos’è ‘la sensazione-io’, e abbiamo bisogno di essere ‘fuori dal movimento del pensiero’ per essere consapevoli di essa?, secondo Bhagavan non dovremmo interessarci alla comparsa o alla scomparsa di qualsiasi pensiero, perché il nostro solo interesse dovrebbe essere investigare noi stessi, questo ego, il ‘me’ a cui si presentano i pensieri, e chi di conseguenza è solo ciò che nota la loro comparsa o scomparsa.

Finché notiamo la comparsa o la scomparsa di qualsiasi pensiero, la nostra attenzione non è focalizzata completamente su noi stessi, così proprio come dovremmo rivolgere la nostra attenzione a noi stessi ogni volta che notiamo la comparsa di qualche pensiero (cioè, ogni fenomeno di qualunque tipo), nello stesso modo dovremmo rivolgere la nostra attenzione a noi stessi ogni volta notiamo che i pensieri sono scomparsi (o sembrano essere scomparsi), perché il nostro notare questo è esso stesso un altro pensiero proiettato dal nostro ego. Cioè, poiché la consapevolezza di qualsiasi cosa diversa da noi stessi è solo un pensiero, la consapevolezza di un’assenza apparente di pensiero è solo un altro pensiero, sebbene più sottile.

Riguardo il tuo suggerimento che ‘porre al silenzio’ l’ego fermando il suo chiacchierio mentale o flusso di parole forse ‘fa più spazio alla comparsa della nostra vera presenza senza aggiunte che siamo realmente’, ciò che impedisce il nostro essere consapevoli di noi stessi come siamo realmente è solo il nostro ego e non solamente il suo chiacchierio mentale o altri pensieri. Ciò che è consapevole del flusso del chiacchierio mentale è solo il nostro ego, così ciò che nota il fermarsi di questo flusso è nello stesso modo solo il nostro ego. Quindi se notiamo che questo flusso è temporaneamente cessato, dovremmo rivolgere la nostra attenzione a noi stessi, questo ego, per investigare chi sono io, che ho ora notato che questo flusso si è fermato.

Solamente essere consapevoli che il nostro chiacchierio mentale si è fermato non distruggerà il nostro ego, perché ciò che è consapevole del suo fermarsi è solo questo ego. Cioè, oltre alla nostra auto-consapevolezza fondamentale, qualunque cosa notiamo o di cui siamo consapevoli è solo un'altra ‘forma’ di fenomeno afferrato dal nostro ego nella sua consapevolezza che afferra la forma, così se notiamo che il nostro chiacchierio mentale si è fermato, il suo fermarsi è un altro fenomeno proiettato ed afferrato da questo ego, e quindi poiché questo ego sorge, si regge e prospera solo afferrando fenomeni, non può sprofondare e dissolversi nella sua sorgente finché è consapevole del flusso o del fermarsi del chiacchierio mentale o di qualche altro tipo di pensiero.

Tu dici, ‘Prima osservare cosa l’ego sta facendo e poi fermare le parole fa sentire molti calmi’, ma ciò che si sente calmato è solo questo ego, così la sua calma è solo un altro pensiero o fenomeno mentale. Per investigare il nostro ego, non dovremmo osservare qualunque cosa sta facendo, ma dovremmo solamente osservarlo con vigilanza, perché solo allora esso sprofonderà e si dissolverà nella sua sorgente. Qualunque cosa sta facendo è qualcosa diversa da esso, così dovremmo osservarlo così vigilantemente da non notare se sta facendo qualcosa o no. Tuttavia, poiché può fare qualsiasi cosa solo quando sta dando attenzione a qualcosa diversa da sé stesso, se attende solo a sé stesso non sarà in grado di fare niente – neppure sorgere o reggersi.

Nessun commento:

Posta un commento