Om Namo Bhagavate Sri Arunachalaramanaya

lunedì 22 agosto 2016

È sbagliato dire che ātma-vicāra è il solo mezzo diretto con cui possiamo sradicare il nostro ego?


Michael James

21 Agosto 2016
Is it incorrect to say that ātma-vicāra is the only direct means by which we can eradicate our ego?

Ho iniziato a scrivere questo articolo questa mattina in risposta ad un commento scritto da un amico di nome Roger al mio articolo precedente, Perché per noi è così necessario accettare senza riserve i principi fondamentali degli insegnamenti di Bhagavan?, ma poiché la mia risposta ammonta a più di duemila parole, ho deciso invece di pubblicarla come articolo. Il commento a cui ho risposto qui è l’ultimo di molti, nei quali Roger ha sostenuto che è sbagliato per me e per altri dire che ātma-vicāra è il solo mezzo diretto con cui possiamo sradicare il nostro ego, perché egli crede che fare una tale affermazione è egotistico e competitivo, di conseguenza il mio scopo qui è spiegare perché credo che siamo giustificati nel fare questa affermazione sulla base dei principi fondamentali degli insegnamenti di Bhagavan.

Roger, per non inorgoglirmi della lode che ho ricevuto da Mouna per il mio silenzio ‘molto eloquente’, ora interromperò questo silenzio per cercare di rispondere al tuo ultimo commento.

Se fosse solo una questione di due opinioni in conflitto – la tua opinione, ovvero che ātma-vicāra non è il solo sentiero o il più diretto per raggiungere Dio o qualche altra meta, e la mia opinione, ovvero che ātma-vicāra è il solo mezzo diretto con cui possiamo sperimentare noi stessi come siamo realmente e quindi sradicare il nostro ego (nel senso che non importa quanto possiamo progredire spiritualmente seguendo qualche altro sentiero (e per inciso non ho mai detto che ‘non hanno valore’, come tu sembri ritenere), prima o poi dobbiamo guardare noi stessi molto attentamente per vedere ciò che siamo realmente) – nessuna nostra opinione sarebbe di molto valore per chiunque altro se non fossimo in grado di fornire ragioni adeguate a supporto di qualsiasi opinione possiamo esprimere.

Per quanto posso vedere, le ragioni che dai per le tue opinioni sono ampiamente basate sul sentito dire. Cioè, invece di dare qualche argomento che spiega in modo logico, sulla base della nostra esperienza, come qualche altro mezzo può condurre direttamente alla chiara consapevolezza di noi stessi come siamo realmente, sostieni solamente che poiché molti insegnanti spirituali hanno insegnato molti sentieri differenti, non ci può essere solo un sentiero diretto. Ma perché dovremmo credere a qualcuno di questi insegnanti spirituali quando vediamo che essi esprimono così tante opinioni conflittuali e anche contraddittorie riguardo a cos’è il fine ultimo e come possiamo raggiungerlo? E come possiamo sapere se tutti o qualcuno di questi insegnanti spirituali ha realmente raggiunto il fine ultimo della vita, che è l’annientamento del proprio ego? Poiché non abbiamo modo di sapere chi è realmente ‘realizzato’, ‘illuminato’ o qualsiasi altra cosa, come possiamo sapere a chi credere?

Sicuramente ci deve essere qualche modo migliore di fidarsi solamente del sentito dire e delle opinioni di altri, perché se non ci fosse modo migliore, tutti ci staremmo solo dibattendo qua e là nell’oscurità non sapendo realmente dove stiamo andando e perché stiamo facendo qualunque cosa stiamo facendo. Non c'è mezzo logico con cui possiamo sapere quale dovrebbe essere il nostro fine e come possiamo raggiungerlo? Forse c’è, ma la logica funziona con premesse che giungono a una conclusione, così è utile solo se abbiamo forti premesse per iniziare. Se le nostre premesse sono solo supposizioni che non abbiamo mai sottoposto a una valutazione critica, la nostra logica probabilmente ci conduce a conclusioni errate o almeno dubbie.

Quindi se seguiamo un sentiero spirituale logicamente solido, deve essere basato su premesse che possano reggere la valutazione critica e lo scetticismo diffidente. Questo è il motivo per cui Bhagavan ci ha insegnato come dovremmo analizzare criticamente la nostra esperienza di noi stessi nei tre stati consueti di coscienza, veglia, sogno e sonno, e come dovremmo mettere in discussione tutte le nostre supposizioni riguardo questi stati e la realtà di qualunque cosa sperimentiamo in essi. Da questa analisi egli ci ha insegnato come possiamo dedurre principi logicamente sicuri e semplici, che egli ha presentato in modo chiaro, logico, coerente e metodico nei suoi scritti originali, in modo particolare nei tre testi centrali, vale a dire Nāṉ Yār?, Uḷḷadu Nāṟpadu e Upadēśa Undiyār.

Se analizziamo criticamente la nostra esperienza di noi stessi in questi tre stati e mettiamo in discussione tutte le nostre supposizioni precedenti, saremo in grado di riconoscere la plausibilità dei principi semplici e fondamentali che egli ci ha insegnato in questi testi. Tuttavia, sebbene possiamo accettare questi principi come plausibili e quindi usarli come buone ipotesi di lavoro, Bhagavan ha reso chiaro che egli non si aspettava solo che noi credessimo in essi, perché se facessimo questo staremmo solo sostituendo una serie di convinzioni con un’altra (sebbene una serie di convinzioni complesse e dubbie con una più semplice e logicamente più robusta). Proprio come nella scienza qualsiasi ipotesi ha bisogno di essere testata rigorosamente, i principi che Bhagavan ci ha insegnato hanno bisogno di essere testati e verificati da ciascuno di noi, cosa che logicamente possiamo fare solo con una profonda investigazione interiore di noi stessi.

Se accettiamo i principi fondamentali che Bhagavan ci ha insegnato, da essi consegue logicamente che il solo mezzo diretto con cui possiamo vedere cosa siamo realmente e quindi distruggere l’illusione di essere questo ego è acuta investigazione o esame di noi stessi – cioè, della nostra auto-consapevolezza fondamentale, che è la sola cosa che sperimentiamo durante tutti i tre normali stati che si alternano, veglia, sogno e sonno.

Per esempio, nel verso 25 di Uḷḷadu Nāṟpadu e altrove Bhagavan indica che il nostro ego sorge, si regge, si alimenta e prospera ‘afferrando forma’, che significa essere consapevole di qualsiasi cosa diversa da sé stesso, e che non può reggersi o resistere senza aggrapparsi costantemente ad altre cose (cioè, a ‘forme’ o fenomeni di un tipo o di un altro). Egli ha anche spiegato che questo ego non è realmente vero, e che esso sembra esistere solo quando è consapevole di cose diverse da sé stesso, così se lo guardiamo attentamente, sprofonderà e scomparirà.

Questo principio è molto plausibile, perché concorda con la nostra esperienza. Durante la veglia e il sogno siamo consapevoli di fenomeni (cose diverse da noi stessi, cose che compaiono e scompaiono e che quindi non sperimentiamo costantemente), ed essendo consapevoli di fenomeni siamo sempre consapevoli di noi stessi come un soggetto separato, che è ciò che è chiamato ‘ego’, mentre nel sonno non siamo consapevoli di nessun fenomeno e quindi non siamo consapevoli di noi stessi come questo soggetto o ego separato. Appena cessiamo di essere consapevoli di fenomeni, il nostro ego sprofonda nel sonno, e appena esso sorge nuovamente nella veglia o nel sogno diveniamo ancora una volta consapevoli di fenomeni.

Poiché cadiamo nel sonno o in qualche altro stato simile di manōlaya ogni volta che cessiamo di essere consapevoli di fenomeni, e poiché prima o poi, da qualsiasi stato di manōlaya, risorgiamo sempre con tutte le nostre viṣaya-vāsanā intatte e non diminuite, cessare soltanto di essere consapevoli di fenomeni non è in sé stesso un mezzo per annientare il nostro ego. Il nostro ego sorge e si regge ogni volta che siamo consapevoli di fenomeni, e sprofonda ogni volta che cessiamo di essere consapevoli di essi, così come possiamo distruggerlo? Ovviamente non possiamo farlo essendo consapevoli di fenomeni o non essendone consapevoli, così quale altra opzione ci è disponibile?

Poiché l’ego sorge, si regge e prospera dando attenzione a fenomeni, e poiché esso sprofonda solo quando cessa di dare ad essi attenzione, per distruggerlo, non dare attenzione o non essere consapevoli di fenomeni è necessario ma non sufficiente. Quindi qual è l’ingrediente mancante? Per mezzo di quale mezzo il nostro ego può sprofondare non solo temporaneamente in manōlaya ma permanentemente in manōnāśa? L’ingrediente mancante, che è la sola altra opzione e quindi il solo mezzo con cui possiamo sradicare per sempre il nostro ego è l’auto-attentività.

Sebbene cessiamo di essere consapevoli di qualsiasi fenomeno ogni volta che sprofondiamo nel sonno o in qualche altro stato di manōlaya, facciamo questo a causa di stanchezza o di qualche altra causa estranea, come il trattenimento del respiro (prāṇāyāma), ma poiché sprofondiamo senza essere acutamente auto-attentivi, il nostro ego con questo non è annientato. Quindi secondo Bhagavan il solo mezzo con cui possiamo annientare il nostro ego è di essere così acutamente auto-attentivi da cessare di essere consapevoli di qualsiasi altra cosa. Questa è una proposta perfettamente ragionevole, perché dato che non possiamo distruggere il nostro ego dando attenzione a qualsiasi altra cosa o cessando soltanto di dare attenzione a qualsiasi altra cosa, la sola altra possibilità è che possiamo distruggerlo attendendo soltanto a noi stessi.

Questo è plausibile per un’altra ragione. Cioè, il nostro ego è una consapevolezza errata o illusoria di noi stessi, perché è una consapevolezza di noi stessi come un corpo e certi altri fenomeni associati, nessuno dei quali può realmente essere noi stessi, poiché essi appaiono solo nella veglia o nel sogno e scompaiono nel sonno, anche se, mentre siamo nel sonno, continuiamo ad essere consapevoli di noi stessi. Poiché questo ego è una consapevolezza errata di noi stessi come qualcosa diversa da ciò che siamo realmente, può essere distrutto solo da una corretta consapevolezza di noi stessi come siamo realmente. Quindi, poiché possiamo essere consapevoli di noi stessi come siamo realmente solo guardando molto acutamente noi stessi in completo isolamento (kaivalya) da qualsiasi altra cosa, l’auto-attentività deve essere il solo modo in cui possiamo distruggere questa auto-consapevolezza illusoria chiamata ‘ego’.

Di conseguenza quando sostengo che l’auto-investigazione (ātma-vicāra) è il solo mezzo diretto con cui possiamo annientare questo ego (come lo stesso Bhagavan ha detto esplicitamente in molte occasioni), lo faccio logicamente sulla base dei semplici principi che ci ha insegnato. Quindi, se vuoi respingere ciò che dico, devi offrirci ragioni logiche per convincerci che i principi fondamentali da lui insegnati in Uḷḷadu Nāṟpadu e altrove non sono corretti, o che c’è una pecca nella semplice logica con cui da queste premesse possiamo trarre questa conclusione.

Come spero tu sia consapevole, ci sono solo due modi in cui si può realmente confutare o almeno respingere qualche argomento logico, vale a dire dimostrando che le premesse sono false o dubbie, o mostrando che la logica impiegata per giungere alla conclusione è difettosa. Non è sufficiente soltanto affermare un’opinione contraria, o citare l’autorità dell’opinione di chiunque altro, anche se la persona o le persone la cui opinione si sta citando sono ritenute grandi insegnanti spirituali.

Insegnanti spirituali realmente grandi non ci chiedono di credere solo ciecamente a qualunque cosa essi affermano, ma ci danno chiare ragioni logiche per convincerci che ciò che dicono è corretto o almeno estremamente plausibile – ragioni che possono sostenere la valutazione critica e tutti i ragionevoli dubbi – ed essi ci danno anche un mezzo ugualmente logico con cui possiamo testare sperimentalmente la verità di ciò che dicono, come ha fatto Bhagavan.

In quanto a ciò che tu spesso scrivi riguardo a risposte presumibilmente date da Bhagavan che sono registrate in vari altri libri, in modo particolare in Talks with Sri Ramana Maharshi, ci sono molti libri (dei quali Talks è il più grande) che registrano alcune delle risposte che egli diede ad una grande quantità di domande differenti poste da persone, molte delle quali non stavano cercando sinceramente di sradicare il loro ego, ma queste registrazioni ci mostrano solo qualunque cosa che, chi rispettivamente prendeva nota, fu in grado di afferrare, comprendere e ricordare di ciò che egli disse, così essi spesso sono non molto affidabili, e possono non trasmettere adeguatamente la chiarezza e tutte le sfumature in ciò che egli disse. Qualunque cosa egli scrisse o disse fu sempre molto chiara e semplice, sebbene anche alquanto sottile ed estremamente profonda, così la semplicità e la chiarezza sono il segno caratteristico di tutto ciò che egli ci ha insegnato, ma in Talks e in altri libri simili quella semplicità e quella chiarezza spesso non sono adeguatamente trasmesse, e molti passaggi in essi sono così confusi e non chiari che non possiamo essere sicuri di ciò che egli intendeva trasmettere, che è per noi una ragione che ci costringe a dubitare se ciò che è registrato in questi brani sia ciò che egli ha detto realmente. Quindi sebbene in questi libri ci sono molte idee utili, essi non sono le registrazioni più affidabili dei suoi insegnamenti, così dobbiamo leggerli con discriminazione e giudicare in essi ogni parola, frase, periodo e paragrafo alla chiara luce dei principi chiari, semplici e coerenti che egli ci insegna nelle sue opere scritte originali.

Se prendiamo brani sparsi da Talks e li vediamo fuori dal contesto dei principi fondamentali che egli ci insegna in Nāṉ Yār?, Uḷḷadu Nāṟpadu, Upadēśa Undiyār e nei suoi altri testi scritti, probabilmente ci formeremo una comprensione molto distorta ed errata dei suoi insegnamenti. Ciò che egli ha scritto in questi tre testi è per coloro che sono realmente dedicati a comprendere l’essenza dei suoi insegnamenti e a metterli in pratica, mentre molto di ciò che è registrato in altri libri è ciò che egli ha detto in risposta a domande poste da persone che avevano altri interessi, preoccupazioni e fini, e chi era quindi non ancora pronto ad imparare ciò che la sua forma esteriore principalmente esisteva per insegnarci.

Se studiamo attentamente e premurosamente questi tre testi, riflettendo profondamente e ripetutamente su di essi e quindi assorbendo tutti i principi che egli ci insegna in essi, e se cerchiamo di praticare auto-investigazione come egli ci ha consigliato, saremo in grado di comprendere perché egli disse così spesso che l’auto-investigazione non è solo il mezzo diretto ma anche il solo con cui possiamo sperimentare noi stessi come siamo realmente. Questo non significa che altre pratiche spirituali non sono di valore, ma solo che seguire qualcuna di esse non può condurci direttamente alla nostra destinazione finale, ma prima o poi ci condurrà ad investigare noi stessi per raggiungere quel fine ultimo, come Bhagavan ha spiegato chiaramente nei primi quindici versi di Upadēśa Undiyār, che ho discusso in dettaglio in due miei articoli, Possiamo sperimentare ciò che siamo realmente seguendo il sentiero di devozione (bhakti mārga)? e Il prāṇāyāma è solo un aiuto per contenere la mente ma non produrrà il suo annientamento

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