Om Namo Bhagavate Sri Arunachalaramanaya

giovedì 24 novembre 2016

Qual è il significato corretto di ajāta vāda?

Michael James

21 Novembre 2016
What is the correct meaning of ajāta vāda?


In un commento al mio articolo precedente, La differenza tra vivarta vāda e ajāta vāda non è solo semantica ma sostanziale, un amico di nome Venkat ha discusso la mia comprensione del significato di ajāta vāda, citando qualcosa che ho scritto nella sesta sezione di quell’articolo, Ciò che è non nato (ajāta) è solo pura auto-consapevolezza, e poiché è il tutto infinito, niente altro esiste realmente, vale a dire ‘ajāta vāda è l’assunto che nessuna creazione è mai avvenuta anche come un’apparenza illusoria’, e poi ha continuato:
Michael io penso che la tua comprensione del significato advaita di ajata vada può non essere corretta. Non posso discutere con te ciò che Bhagavan intendeva con esso.

Il famoso verso ajata di Gaudapada si trova nel secondo capitolo del suo karika. Se questo verso è preso nel contesto dei versi che lo precedono e lo seguono, è chiaro che Gaudapada intende davvero che non c’è reale creazione del mondo o del jiva, e che entrambi sono illusioni.

30: Questo Atman, sebbene non separato da tutti questi, appare come se fosse separato. Uno che conosce questo interpreta realmente il significato dei Veda senza esitazione
31: Come lo sono i sogni e le illusioni o un castello in aria visto nel cielo, così è l’universo visionato dal saggio nel Vedanta
32: Non c’è dissoluzione, né nascita, nessuno in schiavitù, nessuno che aspira alla saggezza, né cercatore della liberazione e nessuno liberato. Questa è la verità assoluta
33: Questo (l’Atman) è immaginato sia come oggetti irreali che sono percepiti sia come non-dualità. Gli oggetti sono immaginati nella stessa non-dualità. Quindi solo la non-dualità è la più alta beatitudine.

Il commentario di Sankara al verso 32 merita anche di essere letto, sebbene piuttosto lungo. Estratti attinenti:

“Questo verso riassume il significato del capitolo. Quando la dualità è percepita come illusoria e solo Atman è conosciuto come la sola Realtà, allora è stabilito chiaramente che tutte le nostre esperienze, ordinarie o religiose, appartengono in verità al dominio dell’ignoranza.”

“Quindi la dualità essendo non differente dall’immaginazione mentale non può avere un inizio o una fine… Di conseguenza è stabilito che la dualità è una mera illusione della mente. Perciò è ben detto che la Realtà Definitiva è l’assenza di distruzione, ecc., a causa della non esistenza della dualità (che esiste solo nell’immaginazione della mente”.

La mia comprensione è che srsti-drsti vada dice che prima è creato il mondo e poi il jiva in seguito si sviluppa da esso. Poi, vivartha vada fa un passo indietro per dire che realmente la percezione del jiva crea il mondo. E ajata vada poi fa un ulteriore passo indietro per indicare che lo stesso jiva è un’illusione, una sovrapposizione sull’atman.
In questo articolo, quindi, cercherò di spiegare più chiaramente perché il significato corretto di ajāta vāda è l’assunto che nessuna vivarta (illusione o falsa apparenza) è mai nata o ha mai avuto origine.
  1. Ciò che distingue ajāta vāda da vivarta vāda non riguarda ciò che esiste realmente ma solo ciò che non esiste realmente
  2. Poiché vivarta vāda sostiene che cose non-esistenti sembrano esistere solo nella visione dell’ego non-esistente, la sua conclusione logica può solo essere ajāta
  3. La verità definitiva è che nessuna apparenza illusoria ha mai avuto origine
  4. Secondo vivarta vāda sia il veggente (l’ego) che il visto (tutti i fenomeni) sono apparenze illusorie
  5. L’esperienza dell’ātma-jñāni è che l’ego e il mondo non sono mai sembrati esistere


1. Ciò che distingue ajāta vāda da vivarta vāda non riguarda ciò che esiste realmente ma solo ciò che non esiste realmente

Venkat, riguardo il tuo commento, in cui discuti la mia comprensione del significato di ajāta vāda, per determinare il suo significato corretto abbiamo bisogno di considerare ciò che lo distingue da vivarta vāda, e per questo abbiamo bisogno di iniziare considerando ciò su cui essi concordano.

Ciò che Bhagavan dice nella prima frase del settimo paragrafo di Nāṉ Yār?, vale a dire ‘யதார்த்தமா யுள்ளது ஆத்மசொரூப மொன்றே’ (yathārtham-āy uḷḷadu ātma-sorūpam oṉḏṟē), che significa ‘Ciò che esiste realmente è solo ātma-svarūpa [il nostro sé reale]’, è in accordo sia con vivarta vāda che con ajāta vāda, perché nessuno di essi sostiene che qualsiasi cosa diversa da ātma-svarūpa esiste realmente. Quindi ciò che distingue ajāta vāda da vivarta vāda non riguarda ciò che esiste realmente, così deve riguardare altre cose, che non esistono realmente.

Nella seconda frase dello stesso paragrafo Bhagavan si riferisce a tutte le altre cose, vale a dire ‘ஜக ஜீவ ஈச்வரர்கள்’ (jaga-jīva-īśvarargaḷ), ‘mondo, anima e Dio’, che sia secondo vivarta vāda che ajāta vāda non esistono realmente, e ciò che egli dice riguardo ad essi è ‘ஜக ஜீவ ஈச்வரர்கள், சிப்பியில் வெள்ளிபோல் அதிற் கற்பனைகள்’ (jaga-jīva-īśvarargaḷ, śippiyil veḷḷi pōl adil kaṟpaṉaigaḷ), che significa ‘Il mondo, l’anima e Dio sono kalpanaigaḷ [costruzioni, immaginazioni, creazioni mentali, illusioni o sovrapposizioni illusorie] in esso, come l’argento [illusorio] in una conchiglia’. In altre parole, egli dice che essi sono tutti solo illusioni o false apparenze, che è ciò che sostiene vivarta vāda, perche vivarta in questo contesto significa illusione o falsa apparenza.

Allora cosa sostiene ajāta vāda riguardo ogni cosa diversa da ciò che esiste realmente? Se sostenesse che esse sono solo illusioni o false apparenze, allora sarebbe esattamente uguale a vivarta vāda, e spero tu sia d’accordo che non è questo il caso, perché vivarta vāda e ajāta vāda sono sempre considerati due assunti distinti.

Come noi tutti sappiamo per esperienza personale, sebbene le apparenze illusorie sembrano esistere nella veglia e nel sogno, non sembrano esistere nel sonno, così esse compaiono e scompaiono. Un’apparenza illusoria non ha mai realmente origine, ma quando appare sembra avere origine. La sua comparsa o apparenza di avere origine è quindi la sua nascita. Quindi tutte le apparenze illusorie sono nate, almeno in senso metaforico, e questo ci dà un indizio su ciò che ajāta vāda sostiene riguardo ogni cosa diversa da ciò che esiste realmente, perché ajāta significa letteralmente non ancora nato o non nato. Cioè, ajāta vāda sostiene che niente è mai nato, che implica che niente mai appare o sembra avere origine.

Quindi ciò che distingue ajāta vāda da vivarta vāda è che mentre vivarta vāda ammette che cose diverse da ciò che esiste realmente almeno sembrano esistere e sono quindi solo apparenze illusorie, ajāta vāda non ammette affatto che qualcosa appaia o sembri esistere. Sia ajāta vāda che vivarta vāda concordano che niente altro che ātma-svarūpa esiste realmente, ma sostenendo che ogni cosa diversa da ātma-svarūpa è solo un’apparenza illusoria, vivarta vāda sta affermando che sebbene altre cose non esistono realmente, esse sembrano esistere, mentre sostenendo che niente è nato, ajāta vāda afferma che niente mai appare o sembra esistere.

È reale solo che esiste realmente, e qualunque cosa non esiste realmente ma solamente sembra esistere è irreale, così vivarta vāda concorda con ajāta vāda che niente altro che ātma-svarūpa è reale. Tuttavia, vivarta vāda concilia l’esistenza apparente di altre cose con l’assunto fondamentale che ciò che esiste realmente è solo ātma-svarūpa sostenendo che la loro esistenza apparente è solo un’apparenza illusoria e quindi irreale, mentre ajāta vāda sostiene che niente altro sembra esistere.

2. Poiché vivarta vāda sostiene che cose non-esistenti sembrano esistere solo nella visione dell’ego non-esistente, la sua conclusione logica può solo essere ajāta

Si potrebbe dedurre, quindi, che ajāta vāda è chiaramente confutato dalla nostra esperienza, perché nella nostra esperienza altre cose sembrano esistere. Tuttavia secondo Bhagavan, Sankara, Gaudapada e gli autori di diverse upaniṣad, ajāta è la verità definitiva, essendo ciò che solo il nostro sé reale sperimenta, come sapremo quando il nostro ego sarà consumato dalla chiara luce di pura auto-consapevolezza (ātma-jñāna). Come possiamo allora conciliare questo insegnamento con la nostra attuale esperienza?

Secondo vivarta vāda non solo tutti i fenomeni sono un’apparenza illusoria, ma lo è anche l’ego, che solo è ciò che percepisce tutte le apparenze illusorie. Un’apparenza illusoria è ciò che sembra esistere anche se non esiste realmente, così sebbene questo ego sembra esistere e sembra essere consapevole di tutti questi fenomeni, secondo vivarta vāda esso non esiste realmente, come Bhagavan dice che scopriremo se lo investigheremo abbastanza acutamente. Quindi ciò che vivarta vāda sostiene è che fenomeni non-esistenti sembrano esistere solo nella visione di un ego non-esistente.

Allora come questo ego non-esistente sembra esistere nella propria visione? Questo non può essere adeguatamente spiegato, ma secondo Bhagavan esso sembra esistere solo quando la sua attenzione è diretta lontano da sé stesso verso l’apparenza illusoria di altre cose, che sono tutte sue proiezioni, e quando la sua intera attenzione è diretta indietro solo verso sé stesso, esso cessa di esistere anche come un’apparenza illusoria. In altre parole, l’ego sembra esistere solo finché guarda altrove, e non sembra esistere quando guarda solo sé stesso. Quindi, se investighiamo cosa è questo ego rivolgendo la nostra intera attenzione verso di esso, scopriremo che non c’è una tale cosa, e mai c’è stata una tale cosa, come Bhagavan ci insegna nel verso 17 di Upadēśa Undiyār:
மனத்தி னுருவை மறவா துசாவ
மனமென வொன்றிலை யுந்தீபற
மார்க்கநே ரார்க்குமி துந்தீபற.

maṉatti ṉuruvai maṟavā dusāva
maṉameṉa voṉḏṟilai yundīpaṟa
mārgganē rārkkumi dundīpaṟa
.

பதச்சேதம்: மனத்தின் உருவை மறவாது உசாவ, மனம் என ஒன்று இலை. மார்க்கம் நேர் ஆர்க்கும் இது.

Padacchēdam (separazione delle parole): maṉattiṉ uruvai maṟavādu usāva, maṉam eṉa oṉḏṟu ilai. mārggam nēr ārkkum idu.

அன்வயம்: மறவாது மனத்தின் உருவை உசாவ, மனம் என ஒன்று இலை. இது ஆர்க்கும் நேர் மார்க்கம்.

Anvayam (parole ridisposte in ordine naturale di prosa): maṟavādu maṉattiṉ uruvai usāva, maṉam eṉa oṉḏṟu ilai. idu ārkkum nēr mārggam.

Traduzione: Quando si investiga [esamina o scrutina] la forma della mente senza dimenticanza, non esiste qualcosa chiamata ‘mente’. Questo è il sentiero diretto [sicuro o appropriato] per tutti.
Poiché l’essenza della mente è l’ego (il nostro pensiero primario chiamato ‘io’), come Bhagavan spiega nel verso successivo, quando egli dice in questo verso ‘மனம் என ஒன்று இலை’ (maṉam eṉa oṉḏṟu ilai), che significa letteralmente ‘qualcosa chiamata mente non è’, ‘qualcosa chiamata mente non esiste’ o ‘non c’è qualcosa chiamata mente’, quindi intendendo che una cosa come la ‘mente’ non esiste affatto, egli intende chiaramente che non c’è realmente una cosa come l’’ego’. Quindi, poiché questo ego non esiste, tutti i fenomeni che sembrano esistere solo nella sua visione ugualmente non esistono realmente.

Poiché l’ego non esiste realmente, e poiché esso sembra esistere solo nella propria visione, come può esso o qualsiasi altra cosa sembrare realmente esistere? Cioè, come può qualsiasi cosa sembrare esistere nella visione di qualcosa che non esiste? Quindi, quando investighiamo l’ego in modo sufficientemente acuto per vedere che esso non esiste realmente, la nostra esperienza non sarà che esso sembrava esistere nel passato e ora ha cessato di esistere, ma che non è mai sembrato esistere, perché non c’è mai stato qualcosa nella cui visione esso avrebbe potuto sembrare esistere. E poiché questo ego non è mai sembrato esistere, niente altro è sembrato esistere, perché altre cose potevano sembrare esistere solo se c’era un ego nella cui visione esse sembravano esistere.

Quindi sebbene ajāta sembra essere completamente contrario alla nostra esperienza attuale (cioè, all’esperienza di noi stessi come questo ego), esso è realmente la conclusione logica di vivarta vāda, perché vivarta vāda sostiene che qualunque cosa sembra esistere lo fa solo nella visione di questo ego, che esso stesso non esiste. Questo è il motivo per cui insegnando vivarta vāda saggi come Bhagavan, Sankara e Gaudapada spesso lasciavano sfuggire l’esortazione che la verità definitiva (pāramārthika satya) non è vivarta vāda ma solo ajāta, perché nessun ego o fenomeno è mai nato o ha avuto origine anche come apparenza illusoria.

3. La verità definitiva è che nessuna apparenza illusoria ha mai avuto origine

Questo spiega perché nella serie di versi che hai citato da Māṇḍukya Kārikā (2.30-33), esponendo vivarta vāda Gaudapada ha citato (come verso 32) un verso più antico che implica che solo ajāta è la verità definitiva:
न निरोधो न चोत्पत्तिर्न बद्धो न च साधकः ।
न मुमुक्षुर्न वै मुक्त इत्येषा परमार्थता ॥ ३२ ॥
na nirōdhō na cōtpattirna baddhō na ca sādhakaḥ |
na mumukṣurna vai mukta ityēṣā paramārthatā || 32 ||

पदच्छेद: न निरोधः, न च उत्पत्तिः; न बद्धः, न च साधकः; न मुमुक्षुः, न वै मुक्तः — इति एषा परमार्थता.

Padacchēda (separazione delle parole): na nirōdhaḥ, na ca utpattiḥ; na baddhaḥ, na ca sādhakaḥ; na mumukṣuḥ, na vai muktaḥ — iti ēṣā paramārthatā.

Traduzione: Non c’è distruzione, e nessun utpatti [nascita, origine, sorgere, accadimento, apparizione o avere origine], nessuno legato, e nessuno che compie sādhana, nessuno che cerca la liberazione, e anche nessun liberato. Questa è paramārthatā [la verità definitiva].
Questo verso appare in diverse upaniṣad, inclusa Amṛtabindōpaniṣad (verso 10) e Ātmōpaniṣad (2.31), ed è citata da Gaudapada in Māṇḍukya Kārikā (2.32) e da Sankara in Vivēkacūḍāmaṇi (vers0 574). Nella sua traduzione in prosa Tamil di Vivēkacūḍāmaṇi Bhagavan ha tradotto questo verso come segue:
உத்பத்தி யில்லை; நாசமில்லை; பத்தனில்லை; சாதகனில்லை; முமுக்ஷுவில்லை; முக்தனுமில்லை; இதுவே பரமார்த்தம்

utpatti-y-illai; nāśam-illai; baddhaṉ-illai; sādhakaṉ-illai; mumukṣu-v-illai; muktaṉ-um-illai; iduvē paramārttham.

Non c’è sorgere [nascita, origine, apparizione o avere origine]; né distruzione; nessuno legato; nessuno che compie sādhana; nessuno che cerca la liberazione; neppure uno che è liberato; questa è davvero paramārtha [la verità definitiva].
Poiché Bhagavan cita spesso questo verso, Muruganar ha composto di esso una traduzione Tamil, che è inclusa in Guru Vācaka Kōvai (verso 1227), e vedendo questo verso a quattro righe di Muruganar, Bhagavan ha condensato il suo significato come il seguente verso a due righe, che è incluso in Guru Vācaka Kōvai (B28) e anche in Upadēśa Taṉippākkaḷ (verso 24):
ஆதலழி வார்ப்பவிழ வாசைமுயல் வார்ந்தாரில்
ஈதுபர மார்த்தமென் றெண்.

ādalaṙi vārppaviṙa vāśaimuyal vārndāril
īdupara mārttameṉ ḏṟeṇ
.

பதச்சேதம்: ஆதல், அழிவு, ஆர்ப்பு, அவிழ ஆசை, முயல்வு, ஆர்ந்தார் இல்; ஈது பரமார்த்தம் என்று எண்.

Padacchēdam (separazione delle parole): ādal, aṙivu, ārppu, aviṙa āśai, muyalvu, ārndār il. īdu paramārttam eṉḏṟu eṇ.

Traduzione: Non c’è avere origine [succedere, accadere o divenire], distruzione, schiavitù, desiderio di liberarsi [dalla schiavitù], sforzo [fatto per la liberazione], [o] coloro che hanno ottenuto [la liberazione]. Sappi che questa è paramārtha [La verità definitiva].
Poiché questo verso nega categoricamente l’esistenza di qualsiasi उत्पत्ति (utpatti), che significa nascita, origine, sorgere, evento, apparizione o avere origine, esso nega in effetti che qualche vivarta (illusione o falsa apparenza) sia mai accaduta, sorta o abbia avuto origine, che non solo è il significato di ajāta vāda ma anche, come abbiamo visto sopra, la conclusione logica di vivarta vāda. Questo è fortemente enfatizzato da Sankara nella parte di Vivēkacūḍāmaṇi in cui egli cita questo verso (vale a dire nei versi 569-574), ed è reso particolarmente chiaro da Bhagavan nella sua traduzione di questa parte, che avviene nel quart’ultimo paragrafo della sua versione Tamil.

Traducendo Vivēkacūḍāmaṇi in prosa Tamil Bhagavan non ha tradotto ciascun verso separatamente o strettamente nella stessa sequenza dell’originale, perché in molti punti ha unito diversi versi insieme in una singola frase, e spesso ha ridisposto la sequenza di idee in modo tale che la connessione logica tra essi è stata messa in evidenza più chiaramente ed esplicitamente che nei versi originali, come ha fatto nella traduzione dei versi 569-572. Il seguente estratto dal quart’ultimo paragrafo della sua traduzione Tamil comprende il verso 569 fino al 574 e parte del 575 (secondo la numerazione dei versi nella maggior parte delle edizioni di Vivēkacūḍāmaṇi, sebbene in alcune edizioni questa numerazione è aumentata di uno), ma nella prima frase ho qui omesso molto della parte che corrisponde ai versi 572 e 571:
மித்யா ஸர்ப்பத்தின் தோற்றமும் நாசமும் ரஜ்ஜுவில் உண்மையில் இல்லாததுபோல, நாசரஹித நித்திய அசங்க அத்வைத கேவலஞானாத்ம வஸ்துவில் [...] மாயாகிருத பந்தமோக்ஷங்களு மில்லவேயில்லை. பிரஹ்மத்தி லன்யமா யெதுவு மின்மையின், ஆவரணத்தால் பந்தமென்றும் ஆவரண நாசத்தால் மோக்ஷமென்றுஞ் சொல்லக்கூடாது. சொல்லின், அத்வைதஹானியும் துவைதப் பிரதீதியும் சித்தியாகும். இது வேதங்களுக்கு சம்மத மாகாது. நிஷ்கள நிர்மல நிஷ்கிரிய நிரஞ்ஜனமாய், ஆகாசம்போலப் பூர்ணமாயிருக்கும் அவ்வதிசாந்த அத்விதீயப் பிரஹ்மத்தில் கற்பனை யெங்கிருக்கும்? ‘உத்பத்தி யில்லை; நாசமில்லை; பத்தனில்லை; சாதகனில்லை; முமுக்ஷுவில்லை; முக்தனுமில்லை; இதுவே பரமார்த்தம்’ எனச் சுருதியும் கோஷிக்கின்றது. ஸகல வேதாந்தத்தின் சித்தாந்தமாய், ரகசியங்களி லதிரகசியமான இது, சிஷ்யனே! என்னா லுனக்குத் தெரிவிக்கப்பட்டது.

mithyā sarppattiṉ tōṯṟam-um nāśam-um rajjuvil uṇmaiyil illādadu-pōla, nāśa-rahita nittiya asaṅga advaita kēvala-ñāṉātma vastuvil [...] māyā-kiruta bandha-mōkṣaṅgaḷum illavē-y-illai. birahmattil aṉyam-āy eduvum iṉmaiyiṉ, āvaraṇattāl bandham-eṉḏṟum āvaraṇa-nāśattāl mōkṣam-eṉḏṟuñ colla-k-kūḍādu. solliṉ, advaita-hāṉi-y-um duvaita-p piratīti-y-um siddhi-y-āhum. idu vēdaṅgaḷukku sammatam āhādu. niṣkaḷa nirmala niṣkiriya nirañjaṉam-āy, ākāśam-pōla-p pūrṇam-āy-irukkum a-vv-ati-śānta advitīya-p birahmattil kaṟpaṉai y-eṅgirukkum? ‘utpatti y-illai; nāśam-illai; baddhaṉ-illai; sādhakaṉ-illai; mumukṣu-v-illai; muktaṉ-um-illai; iduvē paramārttham’ eṉa-c śuruti-y-um ghōṣikkiṉḏṟadu. sakala vēdāntattiṉ siddhāntam-āy, rahasiyaṅgaḷil ati-rahasiyam-āṉa idu, śiṣyaṉē! eṉṉāl uṉakku-t terivikkappaṭṭadu.

Come l’apparenza e la distruzione di un serpente irreale non esistente in realtà nella corda, in kēvala-jñānātma-vastu [la sostanza che è sé stessi, che è pura (o isolata) consapevolezza], [che è] libera dalla distruzione, eterna, priva di legami e non-duale, non c’è assolutamente schiavitù prodotta da māyā né qualunque liberazione […]. A causa della non-esistenza di qualunque cosa come diversa (anya) da brahman, non può essere detto che la schiavitù [accade] a causa di āvaraṇa [coprire, velare, nascondere o oscurare] e che la liberazione [accade] a causa della distruzione di āvaraṇa. Se questo fosse detto, il fallimento dell’advaita e la prova del dvaita sarebbe raggiunta [cioè, se questo verso fosse il caso, questo significherebbe che advaita è falso e dvaita è vero]. Questo non è sammata [in armonia con, accettabile o conforme] ai Vēda. Nell’estremamente tranquillo brahman advitīya [senza secondo o senza altro], che esiste come niṣkala [senza forma, senza parte o indivisibile], nirmala [senza macchia o immacolato], niṣkriya [senza azione] e nirañjana [senza difetto o puro], e come pūrṇa [pieno, completo, intero, totale o infinito] come lo spazio, dove è [lo spazio per qualsiasi] kalpanā [costruzione, creazione mentale o immaginazione]? Non c’è utpatti [nascita, origine, sorgere, evento, apparizione o avere origine]; né distruzione; nessuno legato; nessuno che compie sādhana; nessuno che cerca la liberazione; neppure uno che è liberato; questa davvero è paramārtha [la verità definitiva]’: così proclama anche la śruti [i Vēda]. Questo, che è il più segreto tra i segreti; essendo il siddhānta [conclusione stabilita] di tutto il vēdānta, o discepolo, è stato fatto conoscere da me a te.
Dunque in questa parte di Vivēkacūḍāmaṇi (che in effetti è la sua conclusione finale, perché sebbene dopo questo ci sono cinque versi e mezzo, essi sono stati scritti solo per concludere il testo e non contengono alcun significato spirituale rilevante), Sankara spiega che la verità definitiva e la conclusione stabilita di tutto il vēdānta è che non c’è niente oltre a brahman, che quindi non c’è assolutamente schiavitù o liberazione, e che niente altro ha mai avuto origine. Quindi egli non lascia spazio al dubbio che nella sua visione ajāta sia la verità definitiva.

La parte che ho omesso dalla prima frase dell’estratto qui sopra è un’elaborata proposizione relativa che descrive la schiavitù e la liberazione, e l’ho omessa per evitare di distrarre l’attenzione del lettore dalla conclusione principale di quella frase, vale a dire ‘கேவலஞானாத்ம வஸ்துவில் [...] பந்தமோக்ஷங்களு மில்லவேயில்லை’ (kēvala-ñāṉātma vastuvil [...] bandha-mōkṣaṅgaḷum illavē-y-illai), che significa ‘in kēvala-jñānātma-vastu [la sostanza che è sé stessi, che è pura consapevolezza], […] non c’è assolutamente schiavitù e liberazione’. Tuttavia, per il bene della completezza, ciò che segue è l’intera frase, che è la traduzione di Bhagavan dal verso 569 al 572 e parte del 573:
மித்யா ஸர்ப்பத்தின் தோற்றமும் நாசமும் ரஜ்ஜுவில் உண்மையில் இல்லாததுபோல, நாசரஹித நித்திய அசங்க அத்வைத கேவலஞானாத்ம வஸ்துவில், உண்டு இல்லை யெனப்பட்ட தெல்லாம் புத்தியின் தர்மங்களன்றி உண்மையி லின்மையின் அப் புத்திகற்பிதமாய், மேகத்தால் வந்த தன் நேத்திராவரணத்தை அறியாதான் ஆதித்தனில் ஆரோபிப்பதுபோல மூடர்களால் விருதாவாயாரோபிக்கப்பட்ட மாயாகிருத பந்தமோக்ஷங்களு மில்லவேயில்லை.

mithyā sarppattiṉ tōṯṟam-um nāśam-um rajjuvil uṇmaiyil illādadu-pōla, nāśa-rahita nittiya asaṅga advaita kēvala-ñāṉātma vastuvil, uṇḍu illai y-eṉappaṭṭadu ellām buddhiyiṉ dharmaṅgaḷ-aṉḏṟi uṇmaiyil iṉmaiyiṉ a-p-buddhi-kaṟpitam-āy, mēghattāl vanda taṉ nēttirāvaraṇattai aṟiyādāṉ ādittaṉil ārōpippadu-pōla mūḍhargaḷāl virutā-v-āy-ārōpikkappaṭṭa māyā-kiruta bandha-mōkṣaṅgaḷum illavē-y-illai.

Come l’apparizione e la distruzione del serpente irreale non esistente in realtà nella corda, in kēvala-jñānātma-vastu [la sostanza che è sé stessi, che è pura consapevolezza], [che è] libera da distruzione, eterna, priva di legami e non-duale, non c’è assolutamente schiavitù prodotta da māyā né liberazione, che – essendo ciò che è costruito da buddhi [intelletto], poiché tutto quello che può essere detto ‘esso è’ o ‘esso non è’ non esiste in realtà ma solo come dharma (caratteristiche) del buddhi – sono erroneamente attribuiti [a (o sovrapposti su) quel kēvala-jñānātma-vastu] da persone confuse, come attribuire al sole, a causa dell’ignoranza, l’āvaraṇa [coprire, velare, nascondere o oscurare] di [esso da] i propri occhi che avviene a causa delle nuvole.
In questa traduzione la complessa proposizione relativa che descrive la schiavitù e la liberazione (vale a dire tutta la parte da ‘che – essendo ciò che è costruito dal buddhi’ in avanti) viene alla fine di questa frase, perché in Inglese una proposizione relativa deve venire dopo qualsiasi cosa essa descrive o definisce, ma in Tamil una proposizione relativa la precede sempre, e la proposizione principale di una frase viene sempre alla fine, così in questo caso la proposizione principale e quindi conclusiva è ‘பந்தமோக்ஷங்களு மில்லவே யில்லை’ (bandha-mōkṣaṅgaḷum illavē-y-illai), che significa ‘non c’è assolutamente schiavitù né liberazione’. ‘இல்லவே யில்லை’ (illa-v-ē-y-illai) è una negazione di esistenza intensificata e ripetuta, che significa letteralmente ‘non esiste, affatto’, ‘non c’è, affatto’ o ‘non c’è niente, nessuna cosa qualunque’ così è un modo estremamente enfatico di asserire che qualcosa non esiste affatto, e quindi terminando questa frase con una proposizione principale così fortemente espressa, Bhagavan dichiara enfaticamente che non c’è assolutamente schiavitù o liberazione, implicando quindi che solo ajāta è vero.

Sfortunatamente in Inglese la forza di questa frase espressa attentamente è in grande misura persa, non meno perché questa enfatica proposizione principale è inserita nel mezzo della frase, ed è seguita da una descrizione di schiavitù e liberazione, oscurando quindi il fatto che il vero scopo di questa frase è affermare che in realtà esse non esistono affatto. Poiché la proposizione relativa dice che schiavitù e liberazione sono costruiti da buddhi e sono erroneamente attribuiti a o sovrapposti su kēvala-jñānātma-vastu, e poiché nell’analogia delle nuvole che nascondono il sole essa usa il termine āvaraṇa (che significa coprire, velare, nascondere o oscurare), sta esprimendo il punto di vista di vivarta vāda. Tuttavia in Tamil questa proposizione relativa è seguita dalla proposizione principale, che in effetti dichiara che vivarta vāda è definitivamente falso, perché di fatto non c’è assolutamente schiavitù né liberazione, implicando quindi che non c’è assolutamente māyā, āvaraṇa, buddhi, costruzione, falsa attribuzione (o sovrapposizione) o qualsiasi altra cosa diversa da brahman, che è kēvala-jñānātma-vastu (e che è ciò a cui Bhagavan si riferisce come ātma-svarūpa, il nostro sé reale).

Questo è chiarito dalla struttura di questa frase in Tamil, perché l’enfatica negazione di esistenza, ‘இல்லவே யில்லை’ (illavē-y-illai), si applica non solo a schiavitù e a liberazione, ma anche a ‘மாயாகிருத’ (māyā-kiruta), ‘prodotta da māyā’, e all’intero contenuto della proposizione relativa che la precede. Tuttavia, possiamo anche comprendere che questo è il caso considerando che poiché Bhagavan dice nel verso 24 di Uḷḷadu Nāṟpadu che l’ego stesso è schiavitù, e poiché egli ha frequentemente spiegato che māyā non è niente altro che la nostra mente o ego, di cui il nostro intelletto (buddhi) è una funzione, e poiché egli dice nel verso 26 di Uḷḷadu Nāṟpadu che se questo ego non esiste niente altro esiste, quando egli scrive qui (esprimendo ciò che è dichiarato sia nel verso 569 che nel 573 di Vivēkacūḍāmaṇi), ‘கேவலஞானாத்ம வஸ்துவில் [...] மாயாகிருத பந்தமோக்ஷங்களு மில்லவேயில்லை’ (kēvala-ñāṉātma vastuvil [...] māyā-kiruta bandha-mōkṣaṅgaḷum illavē-y-illai), che significa ‘in kēvala-jñānātma-vastu [la sostanza che è sé stessi, che è pura consapevolezza], […] non c’è assolutamente schiavitù prodotta da māyā né liberazione’, ciò che egli intende chiaramente è che nell’unica sostanza reale, che è pura auto-consapevolezza, non c’è assolutamente ego e quindi niente altro.

4. Secondo vivarta vāda sia il veggente (l’ego) che il visto (tutti i fenomeni) sono apparenze illusorie

Nel paragrafo finale del tuo commento che ho citato all’inizio di questo articolo hai scritto: ‘La mia comprensione è che srsti-drsti vada dice che prima è creato il mondo e poi il jiva in seguito si sviluppa da esso. Poi, vivartha vada fa un passo indietro per dire che realmente la percezione del jiva crea il mondo. E ajata vada poi fa un ulteriore passo indietro per indicare che lo stesso jiva è un’illusione, una sovrapposizione sull’atman.’ Tuttavia, come il verso spesso citato che abbiamo considerato nella sezione precedente implica chiaramente (vale a dire ‘na nirōdhō na cōtpattirna baddhō na ca sādhakaḥ, na mumukṣurna vai mukta ityēṣā paramārthatā’), ajāta vāda non sostiene che il jīva è solo un’illusione ma che non esiste affatto, anche come un’illusione.

Ciò che tu sembri intendere è che vivarta vāda sostiene che solo il mondo (la totalità di tutti i fenomeni) è un’illusione e che il jīva (il nostro ego) che lo percepisce è in un certo senso reale, ma come Bhagavan chiarisce abbondantemente in molti dei suoi scritti originali e altrove, ciò che vivarta vāda sostiene realmente è che ogni cosa diversa dal nostro sé reale è un’illusione, così questo ego è tanto illusorio quanto qualsiasi fenomeno che esso percepisce. In altre parole, sia il veggente (l’ego) che il visto (tutti i fenomeni) sono apparenze illusorie.

Il veggente e il visto sono due dei tre fattori di சுட்டறிவு (suṭṭaṟivu), consapevolezza transitiva o cognizione oggettiva (cioè, consapevolezza o cognizione di qualsiasi cosa diversa da sé stessi), vale a dire il percettore (il ‘veggente’ o soggetto), il percepito (il ‘visto’ o l’oggetto) e la percezione (il vedere o la cognizione dell’oggetto da parte del soggetto). Nella filosofia advaita questi tre fattori sono chiamati in Sanscrito त्रिपुटि (tripuṭi) e in Tamil முப்புடி (muppuḍi), e di questi tre, il più fondamentale è il veggente, il percettore o chi ha cognizione, che è l’ego. Tuttavia, sebbene la loro radice è solo questo ego, esso non è più reale degli altri due, perché nessuno di essi può apparire senza gli altri due. Cioè, proprio come né la percezione né qualunque cosa percepita potrebbe sembrare esistere in assenza del percettore, il percettore (l’ego) non sembra esistere tranne quando percepisce qualcosa diversa da sé stesso.

Quindi secondo vivarta vāda il veggente, il visto e il vedere sono tutti ugualmente irreali, così sono tutti solo una falsa apparenza. Tuttavia, poiché essi appaiono solo nella visione del veggente (l’ego), dipendono da esso per la loro apparente esistenza, come Bhagavan indica nel verso 9 di Uḷḷadu Nāṟpadu:
இரட்டைகண் முப்புடிக ளென்றுமொன்று பற்றி
யிருப்பவா மவ்வொன்றே தென்று — கருத்தினுட்
கண்டாற் கழலுமவை கண்டவ ரேயுண்மை
கண்டார் கலங்காரே காண்.

iraṭṭaigaṇ muppuḍiga ḷeṉḏṟumoṉḏṟu paṯṟi
yiruppavā mavvoṉḏṟē teṉḏṟu — karuttiṉuṭ
kaṇḍāṯ kaṙalumavai kaṇḍava rēyuṇmai
kaṇḍār kalaṅgārē kāṇ
.

பதச்சேதம்: இரட்டைகள் முப்புடிகள் என்றும் ஒன்று பற்றி இருப்பவாம். அவ் ஒன்று ஏது என்று கருத்தின் உள் கண்டால், கழலும் அவை. கண்டவரே உண்மை கண்டார்; கலங்காரே. காண்.

Padacchēdam (separazione delle parole): iraṭṭaigaḷ muppuḍigaḷ eṉḏṟum oṉḏṟu paṯṟi iruppavām. a-vv-oṉḏṟu ēdu eṉḏṟu karuttiṉ-uḷ kaṇḍāl, kaṙalum avai. kaṇḍavarē uṇmai kaṇḍār; kalaṅgārē. kāṇ.

அன்வயம்: இரட்டைகள் முப்புடிகள் என்றும் ஒன்று பற்றி இருப்பவாம். அவ் ஒன்று ஏது என்று கருத்தின் உள் கண்டால், அவை கழலும். கண்டவரே உண்மை கண்டார்; கலங்காரே. காண்.

Anvayam (parole ridisposte in ordine naturale di prosa): iraṭṭaigaḷ muppuḍigaḷ eṉḏṟum oṉḏṟu paṯṟi iruppavām. a-vv-oṉḏṟu ēdu eṉḏṟu karuttiṉ-uḷ kaṇḍāl, avai kaṙalum. kaṇḍavarē uṇmai kaṇḍār; kalaṅgārē. kāṇ.

Traduzione: Diadi e triadi esistono aggrappandosi sempre a uno. Se si guarda all’interno della mente [per vedere] cosa è quell’uno, essi cesseranno di esistere. Solo coloro che hanno visto [questo] hanno visto la realtà. Vedi, essi non saranno confusi.
Qui ‘diadi’ è una traduzione di இரட்டை (iraṭṭai), che significa una coppia e in questo contesto implica un coppia di opposti (conosciuti in Sanscrito come dvaṁdva or dvandva), come conoscenza e ignoranza, consapevolezza e non-consapevolezza, esistenza e non-esistenza, realtà e illusione, felicità e infelicità, o schiavitù e liberazione, e ‘triadi’ è una traduzione di முப்புடி (muppuḍi), che come abbiamo visto sopra significa i tre fattori di qualsiasi esperienza soggetto-oggetto, vale a dire il soggetto che percepisce, l’oggetto percepito, e la percezione dell’oggetto da parte del soggetto. L’uno a cui sia le diadi che le triadi si aggrappano (cioè, l’uno da cui esse dipendono per la loro esistenza apparente) è l’ego, che è il soggetto, l’uno che solo è consapevole sia di sé sesso che di tutte le altre cose.

La ragione per cui le diadi e le triadi cesseranno tutte di esistere se si guarda dentro sé stessi per vedere cosa è realmente questo unico ego è che esso sembra esistere solo quando guarda da qualche altra parte (cioè, verso qualsiasi cosa diversa da sé stesso), e cesserà di esistere se guarda sé stesso, perché anche se sembra esistere quando guarda da qualche altra parte, esso non esiste realmente, e poiché ogni altra cosa (tutte le diadi e le triadi) dipendono dalla sua esistenza apparente per la loro esistenza apparente, quando esso svanisce a causa della propria acuta auto-attentività, ogni altra cosa svanirà insieme con esso.

5. L’esperienza dell’ātma-jñāni è che l’ego e il mondo non sono mai sembrati esistere

Questo è ciò che vivarta vāda sostiene, così in quale modo ajāta vāda differisce da questo? Poiché vivarta vāda sostiene che anche l’ego (il jīva), che è ciò che è consapevole di ogni altra cosa, è esso stesso un’apparenza illusoria, la differenza tra ajāta vāda e vivarta vāda non può essere che ‘ajata vada allora fa un ulteriore passo indietro per indicare che lo stesso jiva è un’illusione’, come tu suggerisci.

Poiché vivarta vāda sostiene che né l’ego né qualsiasi cosa percepita da esso esiste realmente, e che essi solo sembrano esistere, perché ciò che esiste realmente è solo il nostro sé reale (ātma-svarūpa), che è pura ed infinita auto-consapevolezza, e poiché ajāta vāda ugualmente sostiene che niente altro che il nostro sé reale esiste realmente, la differenza tra essi può solo essere riguardante la questione se l’ego e il mondo sembrano esistere o no. Mentre vivarta vāda ammette che essi sembrano esistere, almeno nella visione auto-ignorante di questo ego, ajāta vāda sostiene che essi non sembrano affatto esistere, perché come può qualsiasi cosa sembrare esistere nella visione di questo ego, che non esiste realmente?

Secondo Bhagavan l’esperienza dell’ātma-jñāni non è che l’ego e il mondo una volta sembravano esistere ed ora hanno cessato di esistere, ma che essi non sono mai sembrati esistere, perché ciò che esiste realmente è solo ātma-svarūpa, che è anādi (senza inizio), ananta (senza fine, senza limite o infinita) e akhaṇḍa (indivisa) sat-cit-ānanda (come egli dice nel verso 28 di Upadēśa Undiyār), così nella sua chiara visione niente altro potrebbe mai apparire o sembrare esistere. Quindi sebbene egli ha insegnato vivarta vāda come il fondamento teorico su cui la nostra pratica di auto-investigazione (ātma-vicāra) dovrebbe essere basata, e di conseguenza come la visione più benefica che possiamo adottare se desideriamo liberare noi stessi da questo ego illusorio, egli ha spiegato che la propria esperienza è stata solo ajāta, la verità definitiva che nessuna apparenza illusoria è mai ‘nata’ o ha mai avuto origine (o anche origine apparente).


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