Om Namo Bhagavate Sri Arunachalaramanaya

giovedì 22 dicembre 2016

È possibile per noi vedere qualcosa diversa da noi stessi come ‘il Sé’?

Michael James

14 dicembre 2016
Is it possible for us to see anything other than ourself as ‘the Self’?


Ad uno dei miei articoli recenti, L’osservatore è l’osservato solo quando osserviamo soltanto noi stessi, un amico di nome Zubin ha scritto un commento che ha terminato dicendo:
Penso anche che è possibile (e non dico questo per essere orgoglioso, è solo ciò che sperimento) che qualsiasi aggiunta dell’ego può essere vista come il Sé, e come tale è ancora auto-presenza. Per esempio, posso vedere scorrere un pensiero (frustrazione, tristezza, ecc.) e posso vedere immediatamente che quel pensiero-sensazione è infuso, costituito di consapevolezza/coscienza, e sprofonda in consapevolezza/coscienza quando è guardato direttamente.

Penso che guardare la rabbia come rabbia dà vita all’ego, ma guardare il Sé in ogni cosa, inclusa la rabbia è, spero, ancora auto-indagine.
Ciò che vede le aggiunte o qualsiasi altro fenomeno è solo l’ego, e poiché l’ego è una consapevolezza errata di noi stessi, come può mai esso vedere ‘il Sé’ (noi stessi come siamo realmente)? Se esso vedesse ‘il Sé’ anche per un momento, cesserebbe di essere l’ego e quindi cesserebbe di vedere qualsiasi aggiunta o altri fenomeni.
Quindi in questo articolo cercherò di spiegare a Zubin l’errore nella convinzione che ha espresso in questo commento.
  1. Vedere qualsiasi cosa diversa da noi stessi come noi stessi è l’illusione fondamentale dalla quale abbiamo bisogno di liberarci
  2. Poiché ‘il Sé’ è noi stessi come siamo realmente, come possiamo vedere qualsiasi altra cosa come ‘il Sé’ quando non vediamo neppure noi stessi come ‘il Sé’?
  3. ’Vedere il mondo come sé stessi’ è un modo metaforico per dire di vedere sé stessi come sé stessi, perché solo sé stessi esiste
  4. Non possiamo conoscere ciò che siamo realmente e quindi abbandonare il nostro ego immaginando che stiamo vedendo qualsiasi fenomeno come ‘il Sé’
  5. Se cerchiamo di vedere qualcosa diversa da noi stessi come ‘il Sé’, stiamo con questo nutrendo e sostenendo il nostro ego
  6. Uḷḷadu Nāṟpadu verso 25: attendere a qualsiasi fenomeno è ‘afferrare la forma’ e quindi nutrire l’ego
  7. Qualunque fenomeno possiamo percepire è solo un pensiero, così se non diamo spazio al sorgere di qualsiasi pensiero non vedremo alcun fenomeno
  8. Upadēśa Undiyār verso 28: la natura de ‘il Sé’ è diametralmente opposta alla natura dei fenomeni
  9. Nāṉ Yār? paragrafi 3 e 4: non possiamo vedere ‘il Sé’ finché vediamo qualsiasi mondo, e quando vediamo ‘il Sé’ non vediamo alcun mondo
  10. Non c’è ‘ritorno al mercato’, perché il ‘mercato’ sembra esistere solo nella visione dell’ego


1. Vedere qualsiasi cosa diversa da noi stessi come noi stessi è l’illusione fondamentale dalla quale abbiamo bisogno di liberarci

Zubin, l’asserzione fondamentale che esprimi nella parte del tuo commento che ho citato sopra è che ‘è possibile che qualsiasi aggiunta dell’ego può essere vista come il Sé’, ma per asserire se questo è corretto o meno abbiamo bisogno prima di tutto di chiarire il significato dei termini che hai usato.

In primo luogo, cosa intendi esattamente con ‘qualsiasi aggiunta dell’ego’? Nel senso in cui Bhagavan ha usato il termine upādhi, che è ciò che viene tradotto abitualmente come ‘aggiunta’, significa qualcosa che non è realmente noi stessi ma ciò che confondiamo come noi stessi, come un corpo, o qualsiasi attributo di una tale cosa. Per esempio, se diciamo ‘ho cinquant’anni, 180 cm., sono un Indiano, un Hindu, una persona educata, soffro di mal di testa, mi sento affamato, sono felice che mio figlio si sta comportando bene nella vita’, tutte queste aggiunte che apponiamo a ‘io sono’, confondendole come ciò che siamo realmente, sono upādhi.

Ti riferisci a pensieri come frustrazione e tristezza come se fossero aggiunte, ma come fenomeni che appaiono nella nostra consapevolezza essi non sono di per sé upādhi, ma divengono upādhi solo quando ci identifichiamo con essi, sentendo ‘io sono frustrato’, ‘io sono triste’ o ‘io sto pensando questi pensieri’. Frustrazione e tristezza sono fenomeni che possiamo vedere in altri quando guardiamo il mondo attorno a noi, e come tali essi sono solo oggetti nella nostra consapevolezza, ma quando sentiamo ‘io sono una persona che è frustrata e triste’, stiamo identificando noi stessi con questi fenomeni, prendendoli come ciò che siamo, e come tali essi sono upādhi o aggiunte. Nessun fenomeno è noi stessi, ma quando confondiamo qualche fenomeno come noi stessi o come un attributo o caratteristica di noi stessi, è un upādhi o aggiunta, qualcosa che sembriamo essere anche se non lo siamo.

Sia che ciò che intendi con ‘qualsiasi aggiunta dell’ego’ è qualsiasi fenomeno che l’ego prende come sé stesso o qualsiasi fenomeno più generalmente, un’aggiunta è per definizione qualcosa che è aggiunta o unita a qualcos’altro, così un’aggiunta dell’ego è qualcosa che è aggiunta all’ego e quindi non è l’ego. Ugualmente il termine Sanscrito upādhi significa un sostituto, rimpiazzo, travestimento, inganno, apparenza, fantasma, aggiunta, attributo, limitazione o qualificazione, che significano che un upādhi è qualcosa diversa da ciò di cui è un upādhi. In altre parole, un upādhi o aggiunta di sé stessi è qualcosa diversa da sé stessi, così quando scrivi che ‘è possibile che qualsiasi aggiunta dell’ego può essere vista come il Sé’ stai in effetti dicendo che è per noi possibile vedere cose diverse da noi stessi come noi stessi.

Questo è certamente vero, perché la vera natura dell’ego è di vedere altre cose come sé stesso, ma sebbene come questo ego siamo in grado di vedere altre cose (aggiunte) come noi stessi, il nostro fare in questo modo non è vera conoscenza ma solo ignoranza. Cioè, confondere qualsiasi cosa diversa da noi stessi come noi stessi è l’illusione fondamentale da cui abbiamo bisogno di liberarci, così vedere ‘qualsiasi aggiunta dell’ego’ come ‘il Sé’ non è ciò che dovremmo cercare di raggiungere, ma è al contrario precisamente ciò che dovremmo cercare di evitare.

2. Poiché ‘il Sé’ è noi stessi come siamo realmente, come possiamo vedere qualsiasi altra cosa come ‘il Sé’ quando non vediamo neppure noi stessi come ‘il Sé’?

In secondo luogo, ciò a cui ti riferisci come ‘il Sé’ è noi stessi come siamo realmente. L’uso dell’articolo ‘il’ è la ‘s’ iniziale maiuscola tendono a dare l’impressione che ‘il Sé’ è un qualche tipo di oggetto, un fenomeno o una cosa, qualcosa diversa da noi stessi, così come tale può essere un termine in qualche modo ingannevole, materializzando o oggettivando ciò che siamo realmente. Sebbene ‘il Sé’ è un termine che è usato spesso in traduzioni degli insegnamenti di Bhagavan, nel Tamil, nel Sanscrito o in qualsiasi altro linguaggio Indiano non c’è effettivamente un termine equivalente, perché in questi linguaggi non c’è un equivalente all’articolo ‘il’ e non ci sono lettere maiuscole. In Tamil o in Sanscrito, in certi contesti si potrebbe dire ‘questo sé’ o ‘quel sé’, ma non ‘il sé’.

La parola Tamil usata più frequentemente da Bhagavan e che è spesso tradotta come ‘il Sé’ è தான் (tāṉ), che è un pronome generico che significa ‘uno’ o ‘sé stessi’, ma nello stesso senso egli ha anche usato spesso altri termini di origine Sanscrita come ஆத்மா (ātmā), ஆன்மா (āṉmā), சொரூபம் (sorūpam [una forma Tamil di svarūpa]), ஆத்மசொரூபம் (ātma-sorūpam) e ஆன்மசொரூபம் (āṉma-sorūpam). Generalmente egli usava ஆத்மசொரூபம் (ātma-sorūpam) e ஆன்மசொரூபம் (āṉma-sorūpam) per riferirsi specificatamente a noi stessi come siamo realmente, e quando usava சொரூபம் (sorūpam) per riferirsi a noi stessi (la nostra ‘forma propria’ o natura fondamentale) piuttosto che alla natura fondamentale di qualsiasi altra cosa, come la mente, egli lo usava nello stesso senso, vale a dire per riferirsi specificatamente a noi stessi come siamo realmente. Tuttavia egli usava தான் (tāṉ) sia per riferirsi a noi stessi come siamo realmente sia per riferirsi a noi stessi come questo ego, e in molti casi lo usava per riferirsi a noi stessi in generale, in contesti dove distinguere il nostro sé reale dal nostro ego non sarebbe stato appropriato, così abbiamo bisogno di comprendere da ciascun contesto in cui lo ha usato se si stava riferendo a noi stessi in generale o specificatamente a noi stessi come siamo realmente o a noi stessi come questo ego. Poiché siamo uno, in molti casi non c’è bisogno di specificare se தான் (tāṉ) o ‘sé stessi’ si riferisce a noi stessi come siamo realmente o a noi stessi come questo ego.

Qui si trova un altro problema nell’usare il termine ‘il Sé’ con la ‘S’ maiuscola, perché la ‘S’ maiuscola implica che si riferisce a noi stessi come siamo realmente, e di conseguenza se la ‘s’ iniziale non è maiuscola questo significherebbe che ‘sé’ si riferisce a noi stessi come questo ego, ma in molti casi non è necessario o è inappropriato fare questa distinzione. Per esempio, nel termine ‘ātma-vicāra’ o ‘auto-investigazione’, non dovremmo specificare che ‘ātman’ o ‘sé si riferisce solo a noi stessi come siamo realmente o solo a noi stessi come questo ego, perché la ragione per cui investighiamo noi sessi è che ora sembriamo essere questo ego e quindi abbiamo bisogno di scoprire cosa siamo realmente.

Se confondiamo una corda con un serpente, se veniamo consigliati di guardarlo attentamente per vedere cosa è realmente, inizieremo la nostra investigazione guardando ciò che sembra essere un serpente e finiremmo con il riconoscere che è solo una corda. Ugualmente, quando investighiamo noi stessi, ciò a cui stiamo cercando di attendere acutamente sembra inizialmente un ego limitato, ma in definitiva riconosciamo che non è ciò che sembrava essere ma è solo l’unica consapevolezza infinita che siamo realmente. Quindi nel termine ‘ātma-vicāra’, ‘ātman’ si riferisce a noi stessi in generale e non specificatamente al nostro sé reale o al nostro ego, così se usiamo ‘Sé’ con la ‘S’ maiuscola per distinguere il nostro sé reale dal nostro ego, tradurre ‘ātma-vicāra’ ‘investigazione di Sé’ [Auto-investigazione] o ‘indagine di Sé’ [Auto-indagine] implicherebbe che esso significa investigare il nostro sé reale e non il nostro ego, mentre tradurlo come ‘investigazione di sé’ [auto-investigazione] o ‘indagine di sé’ [auto-indagine] implicherebbe l’opposto, e nessuna di queste traduzioni sarebbe corretta. Quindi nel contesto degli insegnamenti di Bhagavan usare il termine ‘Sé’ con la ‘S’ maiuscola è soggetto a creare confusione in molti casi, poiché esso implica una dualità che non è intesa né in Tamil né in Sanscrito, come se il nostro sé reale e il nostro ego fossero due cose interamente differenti, piuttosto che solo una cosa che è vista come è o come sembra essere.

Tuttavia, poiché in Inglese il termine ‘il Sé’ implica noi stessi come siamo realmente, presumo che quando dici che ‘è possibile che qualsiasi aggiunta dell’ego può essere vista come il Sé’, intendi che qualsiasi aggiunta può essere vista come il nostro sé reale. Se questo è ciò che intendi, come possiamo vedere qualsiasi cosa come il nostro sé reale quando non vediamo nemmeno noi stessi come il nostro sé reale? Finché confondiamo noi stessi come questo ego, non siamo consapevoli di noi stessi come siamo realmente, così ovviamente non possiamo vedere qualsiasi altra cosa come il nostro sé reale. Prima di tutto abbiamo bisogno di essere consapevoli di noi stessi come siamo realmente, e solo poi, forse, sarà possibile vedere qualsiasi altra cosa come ciò che siamo realmente

3. ’Vedere il mondo come sé stessi’ è un modo metaforico per dire di vedere sé stessi come sé stessi, perché solo sé stessi esiste

Tuttavia, secondo Bhagavan ciò che vede o è consapevole di qualsiasi altra cosa è solo questo ego, così noi sembriamo essere consapevoli di altre cose solo quando siamo consapevoli di noi stessi come questo ego (come nella veglia o nel sogno), e quando non siamo consapevoli di noi stessi come questo ego (come nel sonno) non siamo consapevoli di alcuna cosa diversa da noi stessi. Quindi quando siamo consapevoli di noi stessi come siamo realmente, non saremo consapevoli di qualsiasi altra cosa.

Quindi quando è detto che l’ātma-jñāni è consapevole di ogni cosa come sé stesso (o come ‘lui stesso’ o ‘lei stessa’), questo non significa che è consapevole di qualsiasi cosa diversa da sé stesso, ma solo che ciò che noi vediamo come miriadi di fenomeni è visto dal jñāni come l’unica auto-consapevolezza infinita (ātma-jñāna) che siamo realmente. Questo può essere illustrato dall’analogia corda-serpente. Se è detto che qualcuno vede una corda come un serpente, questo significa che ciò che quella persona sta vedendo realmente è solo una corda ma che la vede erroneamente come un serpente. Tuttavia, se è detto che qualcun altro vede quel serpente come una corda, questo non significa che ciò che questa seconda persona sta vedendo realmente è un serpente ma che la vede erroneamente come una corda; ciò che questo significa è che essi non stanno vedendo realmente alcun serpente ma solo una corda, perché ciò che realmente si trova lì a terra non è un serpente ma solo una corda, così tutto ciò che essi stanno vedendo è solo una corda, ed essi la riconoscono essere ciò che è realmente.

La ragione per cui è detto che questa persona non illusa ‘vede il serpente come una corda’ è che la persona illusa confonde la corda come un serpente, così ciò che la persona illusa vede come un serpente è visto da questa altra persona solo come una corda, che è ciò che è realmente. Quindi, poiché ciò che esiste realmente è solo noi stessi, vedere ogni cosa come noi stessi significa vedere solo noi stessi e niente altro. Ciò che un ajñāni (una persona auto-ignorante) vede come ‘ogni cosa’ (tutti questi fenomeni molteplici) è visto dall’ātma-jñāni essere niente altro che noi stessi, l’unica auto-consapevolezza infinita, oltre alla quale niente esiste.

Cioè, se diciamo che qualcuno sta vedendo una corda come un serpente, questa affermazione è vera in senso letterale, perché ciò che c’è realmente è solo una corda, ma è confusa come un serpente. Tuttavia, se diciamo che qualcun altro sta vedendo quel serpente come una corda, questa affermazione non è vera in senso letterale ma solo in senso metaforico, perche lì non c’è realmente un serpente da vedere come una corda, così ciò che quella persona sta realmente vedendo è solo una corda come una corda.

Nello stesso modo, quando è detto che stiamo vedendo noi stessi come tutte le miriadi di fenomeni che costituiscono qualunque mondo stiamo attualmente percependo (nella veglia o nel sogno), questo è vero in senso letterale, perché ciò che esiste realmente è solo noi stessi, ma quando sorgiamo come questo ego proiettiamo fenomeni all’interno della nostra consapevolezza (la nostra mente) e di conseguenza confondiamo ciò che esiste realmente (vale a dire noi stessi) come sia il soggetto (questo ego) sia gli oggetti (qualunque fenomeno stiamo attualmente proiettando). Tuttavia, quando è detto che l’ātma-jñāni vede il mondo come sé stesso (‘il Sé’), questo non è vero in senso letterale ma solo in senso metaforico, perché non c’è realmente nessun un mondo (nessun fenomeno) nella chiara visione dell’ātma-jñāni (pura auto-consapevolezza), così ciò che il jñāni sta vedendo realmente è solo sé stesso come sé stesso.

4. Non possiamo conoscere ciò che siamo realmente e quindi abbandonare il nostro ego immaginando che stiamo vedendo qualsiasi fenomeno come ‘il Sé’

Quindi se tu credi di star vedendo qualsiasi fenomeno come ‘il Sé’, questa è solo un’immaginazione e non reale consapevolezza del tuo sé reale. Se vogliamo vedere ogni cosa come il nostro sé reale, dobbiamo prima vedere noi stessi come siamo realmente, e non possiamo vedere noi stessi come siamo realmente per mezzo di un qualsiasi atto della nostra immaginazione. Finché siamo consapevoli di qualsiasi fenomeno (cioè, qualsiasi cosa diversa da noi stessi soltanto), siamo consapevoli di noi stessi solo come questo ego (il soggetto che è consapevole di queste cose) e non come siamo realmente, così per vedere noi stessi come siamo realmente dobbiamo rivolgere la nostra intera attenzione soltanto verso noi stessi, ritirandola quindi da tutte le altre cose.

Immaginare che stiamo vedendo qualche altro o tutti i fenomeni come ‘il Sé’ o come ‘infusi, costituiti di, consapevolezza/coscienza’ non è auto-attentività. Perché siamo auto-attentivi solo nella misura in cui la nostra attenzione è focalizzata acutamente soltanto su noi stessi, escludendo quindi tutti i fenomeni dalla nostra consapevolezza. Fino al momento finale in cui vediamo noi stessi come siamo realmente, la nostra auto-attentività non è ancora perfetta, così siamo ancora più o meno consapevoli di altre cose, non importa quanto possono essere sottili, ma durante la nostra pratica dovremmo cercare di essere auto-attentivi più acutamente possibile, così non dovremmo dare spazio al sorgere di qualsiasi immaginazione come l’idea che stiamo vedendo qualsiasi fenomeno come ‘il Sé’ o come ‘infuso, costituito di consapevolezza/coscienza’, perche queste immaginazioni sono solo un altro inganno usato dal nostro ego per distrarre la nostra attenzione lontano da esso.

La pratica di auto-investigazione (ātma-vicāra) comporta il mantenere la nostra attenzione fissata solamente su noi stessi, come Bhagavan spiega nel sedicesimo paragrafo di Nāṉ Yār?:
சதாகாலமும் மனத்தை ஆத்மாவில் வைத்திருப்பதற்குத் தான் ‘ஆத்மவிசார’ மென்று பெயர்.

sadā-kālam-um maṉattai ātmāvil vaittiruppadaṟku-t tāṉ ‘ātma-vicāram’ eṉḏṟu peyar.

Il nome ‘ātma-vicāra’ [si riferisce] solo a [la pratica di] mantenere la mente sempre in [o su] ātmā [sé stessi].
Ciò che egli descrive come ‘மனத்தை ஆத்மாவில் வைத்திருப்பது’ (maṉattai ātmāvil vaittiruppadu), ‘mantenere la mente in [o su] sé stessi’ in questa frase, è ciò che egli descrive come ‘ஆன்மசிந்தனையைத் தவிர வேறு சிந்தனை கிளம்புவதற்குச் சற்று மிடங்கொடாமல் ஆத்மநிஷ்டாபரனா யிருப்பது’ (āṉma-cintaṉaiyai-t tavira vēṟu cintaṉai kiḷambuvadaṟku-c caṯṟum iḍam-koḍāmal ātma-niṣṭhā-paraṉ-āy iruppadu), ‘essere ātma-niṣṭhāparaṉ [uno che è fermamente fissato in sé stesso], non dando anche il minimo spazio al sorgere di qualsiasi cintana [pensiero] diverso da ātma-cintana [pensiero di sé stessi]’ nella prima frase del tredicesimo paragrafo:
ஆன்மசிந்தனையைத் தவிர வேறு சிந்தனை கிளம்புவதற்குச் சற்று மிடங்கொடாமல் ஆத்மநிஷ்டாபரனா யிருப்பதே தன்னை ஈசனுக் களிப்பதாம்.

āṉma-cintaṉaiyai-t tavira vēṟu cintaṉai kiḷambuvadaṟku-c caṯṟum iḍam-koḍāmal ātma-niṣṭhāparaṉ-āy iruppadē taṉṉai īśaṉukku aḷippadām.

Solo essere ātma-niṣṭhāparaṉ [uno che fermamente fissato in sé stesso], non dando anche il minimo spazio al sorgere di qualsiasi cintana [pensiero] diverso da ātma-cintana [pensiero di sé stessi], è donare sé stessi a Dio.
Sebbene ātma-cintana significa letteralmente ‘pensiero di sé stessi’, ciò che esso implica chiaramente è auto-attentività, così ciò che Bhagavan ci insegna in questa frase è che il mezzo per arrendere o abbandonare il nostro ego è di essere così acutamente auto-attentivi da non dare assolutamente spazio al sorgere di qualsiasi pensiero riguardo qualsiasi altra cosa. Questo è ciò che egli descrive meravigliosamente nelle ultime due righe del verso 27 di Bhagavad Gītā Sāram (che è una traduzione di Bhagavad Gītā 6.25):
சித்தத்தை யான்மாவிற் சேர்த்திடுக மற்றெதுவு
மித்தனையு மெண்ணிடா தே.

cittattai yāṉmāviṟ cērttiḍuka maṯṟeduvu
mittaṉaiyu meṇṇiḍā dē
.

பதச்சேதம்: சித்தத்தை ஆன்மாவில் சேர்த்திடுக; மற்று எதுவும் இத்தனையும் எண்ணிடாதே.

Padacchēdam (separazione delle parole): cittattai āṉmāvil sērttiḍuka; maṯṟu eduvum ittaṉaiyum eṇṇiḍādē.

Traduzione: Fissa la mente [la tua attenzione] in [o su] ātman [te stesso]; non pensare anche minimamente a qualsiasi altra cosa.
Per vedere (o piuttosto immaginare che stiamo vedendo) qualsiasi fenomeno come ‘il Sé’ ovviamente abbiamo bisogno di dare attenzione a quei fenomeni, e finché diamo attenzione a qualsiasi cosa diversa da noi stessi, la nostra mente non è fissata in modo esclusivo su noi stessi e non stiamo non dando spazio al sorgere di altri pensieri. Di fatto, poiché tutti i fenomeni sono solo pensieri, dando attenzione a fenomeni e immaginando che li stiamo vedendo come ‘il Sé’ non solo stiamo dando spazio alla moltiplicazione dei pensieri ma li stiamo realmente incoraggiando. Quindi se vogliamo seguire il semplice sentiero di auto-investigazione che Bhagavan ci ha insegnato, non dovremmo dare assolutamente spazio al sorgere di tali immaginazioni.

5. Se cerchiamo di vedere qualcosa diversa da noi stessi come ‘il Sé’, stiamo con questo nutrendo e sostenendo il nostro ego

Ciò a cui ti riferisci come ‘il Sé’ è noi stessi come siamo realmente, e noi stessi è ciò a cui ci riferiamo come ‘io’, o come நான் (nāṉ) in Tamil. Quindi quando dici che è possibile vedere fenomeni come pensieri, frustrazione, tristezza o rabbia come ‘il Sé’, questo significa che è possibile vederli come ‘io’ – cioè, che è possibile vedere ‘io sono questo pensiero’, ‘io sono questa frustrazione’, ‘io sono questa tristezza’ o ‘io sono questa rabbia’.

Tuttavia, vedere qualsiasi fenomeno come ‘io' non è vera conoscenza ma solo ignoranza, perché come Bhagavan spesso ha spiegato, ciò che sperimenta sé stesso come ‘நான் இது’ (nāṉ idu), ‘io sono questo’, o ‘நான் அது’ (nāṉ adu), ‘io sono quello’, è solo l’ego, perché il nostro sé reale sperimenta sé stesso come niente altro che sé stesso, così la sua esperienza della propria identità è solo ‘நான் நான்’ (nāṉ nāṉ), ‘io sono io’, e non ‘நான் இது’ (nāṉ idu) o ‘நான் அது’ (nāṉ adu), ‘io sono questo’ o ‘io sono quello’. Poiché in questo contesto ‘இது’ (idu) o ‘அது’ (adu), ‘questo’ o ‘quello’, si riferiscono a qualcosa diversa da sé stessi , ‘io sono questo’ o ‘io sono quello’ esprime una falsa identificazione di sé stessi con qualcos’altro. Poiché non possiamo mai essere qualcosa diversa da noi stessi, essere consapevoli di noi stessi come ‘io sono questo’ o ‘io sono quello’ è solo ignoranza e non vera conoscenza di ciò che siamo realmente.

Quindi anche se fosse possibile per noi vedere noi stessi come fenomeni come pensieri, frustrazione, tristezza o rabbia, questa non sarebbe consapevolezza di noi stessi come siamo realmente, ma sarebbe solo un’altra forma di auto-illusione. Quindi ti sbagli quando dici, ‘io penso che guardare la rabbia come rabbia dà vita all’ego, ma guardare il Sé in ogni cosa, inclusa la rabbia è, spero, ancora auto-indagine’, perché l’ego ha origine, si regge e prospera identificando sé stesso come forme o fenomeni (come Bhagavan dice nel verso 25 di Uḷḷadu Nāṟpadu), così identificare ogni fenomeno come noi stessi è solo un mezzo per nutrire e sostenere il nostro ego

6. Uḷḷadu Nāṟpadu verso 25: attendere a qualsiasi fenomeno è ‘afferrare la forma’ e quindi nutrire l’ego

Auto-indagine o auto-investigazione (ātma-vicāra) non è immaginare qualsiasi fenomeno essere noi stessi (‘il Sé’), o immaginare noi stessi essere in ogni cosa, ma è solo guardare molto acutamente soltanto noi stessi per vedere ciò che siamo realmente. Finché stiamo attendendo a (o siamo consapevoli di) qualsiasi fenomeno, anche in grado minimo, stiamo ‘afferrando forma’, e ‘afferrare forma’ è il mezzo con cui l’ego sopravvive e prospera, come Bhagavan dice nel verso 25 di Uḷḷadu Nāṟpadu:
உருப்பற்றி யுண்டா முருப்பற்றி நிற்கு
முருப்பற்றி யுண்டுமிக வோங்கு — முருவிட்
டுருப்பற்றுந் தேடினா லோட்டம் பிடிக்கு
முருவற்ற பேயகந்தை யோர்.

uruppaṯṟi yuṇḍā muruppaṯṟi niṟku
muruppaṯṟi yuṇḍumiha vōṅgu — muruviṭ
ṭuruppaṯṟun tēḍiṉā lōṭṭam piḍikku
muruvaṯṟa pēyahandai yōr
.

பதச்சேதம்: உரு பற்றி உண்டாம்; உரு பற்றி நிற்கும்; உரு பற்றி உண்டு மிக ஓங்கும்; உரு விட்டு, உரு பற்றும்; தேடினால் ஓட்டம் பிடிக்கும், உரு அற்ற பேய் அகந்தை. ஓர்.

Padacchēdam (separazione delle parole): uru paṯṟi uṇḍām; uru paṯṟi niṟkum; uru paṯṟi uṇḍu miha ōṅgum; uru viṭṭu, uru paṯṟum; tēḍiṉāl ōṭṭam piḍikkum, uru aṯṟa pēy ahandai. ōr.

அன்வயம்: உரு அற்ற பேய் அகந்தை உரு பற்றி உண்டாம்; உரு பற்றி நிற்கும்; உரு பற்றி உண்டு மிக ஓங்கும்; உரு விட்டு, உரு பற்றும்; தேடினால் ஓட்டம் பிடிக்கும். ஓர்.

Anvayam (parole ridisposte in ordine naturale di prosa): uru aṯṟa pēy ahandai uru paṯṟi uṇḍām; uru paṯṟi niṟkum; uru paṯṟi uṇḍu miha ōṅgum; uru viṭṭu, uru paṯṟum; tēḍiṉāl ōṭṭam piḍikkum. ōr.

Traduzione: Afferrando la forma, il fantasma-ego senza forma ha origine; afferrando la forma si regge; afferrando e nutrendosi di forma cresce [si diffonde, si espande, aumenta, si innalza o prospera] abbondantemente; lasciando [una] forma, esso afferra [un’altra] forma. Se cercato [esaminato o investigato], esso prenderà il volo. Investiga [o conosci di conseguenza].
Poiché l’ego sorge, si regge e prospera ‘afferrando forma’ (cioè, attendendo a, o essendo consapevole di qualsiasi cosa diversa da sé stesso), esso cesserà di esistere solo quando cercherà di afferrare soltanto sé stesso, come Bhagavan intende quando dice, ‘தேடினால் ஓட்டம் பிடிக்கும்’ (tēḍiṉāl ōṭṭam piḍikkum), ‘Se cercato [esaminato o investigato], esso prenderà il volo’. Questo è il motivo per cui egli ha ripetuto così spesso che dovremmo attendere solo a noi stessi e quindi non dare spazio al sorgere di qualsiasi pensiero riguardo qualsiasi altra cosa.

7. Qualunque fenomeno possiamo percepire è solo un pensiero, così se non diamo spazio al sorgere di qualsiasi pensiero non vedremo alcun fenomeno

In un commento successivo hai scritto: ‘Io posso vedere il Sé, quell’unica cosa che infonde ogni cosa, nelle forme o nelle sensazioni, ogni volta che fermo i pensieri e guardo profondamente qualcosa, ma non sono realizzato né liberato’. Tuttavia, poiché ‘il Sé’ significa ciò che realmente siamo, e poiché essere ‘realizzati’ o liberati significa vedere ciò che siamo realmente, quando dici ‘io non sono realizzato né liberato’ questo significa che tu non vedi ‘il Sé’ (cioè, non sei consapevole di ciò che sei realmente), così stai contraddicendo te stesso quando dici nella stessa frase ‘io possono vedere il Sé’.

Stai anche contraddicendo te stesso quando parli di vedere forme e sensazioni quando fermi i pensieri, perché ogni forma e ogni sensazione è solo un pensiero, così quando tutti i pensieri si fermano (come nel sonno) non ci sono forme o sensazioni da essere viste. Cioè, è impossibile per noi fermare tutti i pensieri e guardare profondamente qualcosa diversa da noi stessi, perché ogni cosa diversa da noi stessi è solo un pensiero o idea proiettata dalla nostra mente, come Bhagavan indica chiaramente nel quarto e nel quattordicesimo paragrafo Nāṉ Yār?:
நினைவுகளைத் தவிர்த்து ஜகமென்றோர் பொருள் அன்னியமா யில்லை.

niṉaivugaḷai-t tavirttu jagam-eṉḏṟōr poruḷ aṉṉiyamāy illai.

Ad esclusione dei pensieri [o idee], non c’è separatamente una cosa come il mondo.

ஜக மென்பது நினைவே.

jagam eṉbadu niṉaivē.

Ciò che è chiamato il mondo è solo pensiero.
Tutti i fenomeni sono mentali, e i fenomeni mentali sono ciò che Bhagavan intende con il termine ‘நினைவுகள்’ (niṉaivugaḷ), ‘pensieri’ o ‘idee’. Presumibilmente quando dici ‘ogni volta che fermo i pensieri’, ciò che intendi con ‘pensieri’ è solo il chiacchierio mentale, ma secondo Bhagavan questo è solo uno dei molti e differenti tipi di pensiero, e ciò a cui abbiamo bisogno di non dare spazio è il sorgere di ogni tipo di pensiero.

Quando pensi che stai vedendo ‘il Sé, quell’unica cosa che infonde ogni cosa, nelle forme o nelle sensazioni’, questo è esso stesso un pensiero, e poiché è un pensiero concettuale, deve comportare qualche tipo di chiacchierio mentale. Se tu potessi evitare di dare spazio a qualsiasi concetto o chiacchierio mentale (cioè, a qualsiasi pensiero concettuale) mentre guardi qualsiasi forma, sensazione o altri fenomeni (che sono pensieri percettivi), non staresti fermando tutti i pensieri ma almeno staresti evitando l’idea errata che stai vedendo ‘il Sé’ in quei fenomeni, perché quell’idea è solo un concetto.

8. Upadēśa Undiyār verso 28: la natura de ‘il Sé’ è diametralmente opposta alla natura dei fenomeni

Inoltre, quando dici che puoi vedere ‘il Sé’ in ogni cosa, quale genere di idea hai riguardo la natura de ‘il Sé’? Ovviamente la tua idea di esso è in qualche modo differente da ciò che Bhagavan ci ha insegnato nel verso 28 di Upadēśa Undiyār:
தனாதியல் யாதெனத் தான்றெரி கிற்பின்
னனாதி யனந்தசத் துந்தீபற
வகண்ட சிதானந்த முந்தீபற.

taṉādiyal yādeṉat tāṉḏṟeri hiṯpiṉ
ṉaṉādi yaṉantasat tundīpaṟa
vakhaṇḍa cidāṉanda mundīpaṟa
.

பதச்சேதம்: தனாது இயல் யாது என தான் தெரிகில், பின் அனாதி அனந்த சத்து அகண்ட சித் ஆனந்தம்.

Padacchēdam (separazione delle parole): taṉādu iyal yādu eṉa tāṉ terihil, piṉ aṉādi aṉanta sattu akhaṇḍa cit āṉandam.

அன்வயம்: தான் தனாது இயல் யாது என தெரிகில், பின் அனாதி அனந்த அகண்ட சத்து சித் ஆனந்தம்.

Anvayam (parole ridisposte in ordine naturale di prosa): tāṉ taṉādu iyal yādu eṉa terihil, piṉ aṉādi aṉanta akhaṇḍa sattu cit āṉandam.

Traduzione: Se si conosce cosa è la natura di sé stessi, allora [ciò che esisterà e risplenderà sarà solo] anādi [senza inizio], ananta [senza fine, illimitato o infinito] e akhaṇḍa [ininterrotto, indiviso o non frammentato] sat-cit-ānanda [essere-consapevolezza-beatitudine].
Poiché tutti i fenomeni compaiono e scompaiono, nessuno di essi è anādi (senza inizio) o ananta (senza fine). E poiché ogni fenomeno è una forma di un tipo o un altro, e ogni forma ha certi limiti ed è quindi limitata, nessuna forma o fenomeno può essere ananta nel senso di ‘senza fine’ o nel senso di ‘illimitato’ o ‘infinito’. Inoltre, i limiti di ciascun fenomeno lo separano o dividono da qualunque cosa è oltre i suoi limiti, così divisione o frammentazione è la vera natura dei fenomeni, quindi nessun fenomeno può essere akhaṇḍa (ininterrotto, indiviso o non frammentato).

Poiché tutti i fenomeni sono solo apparenze transitorie, nessuno di essi può essere sat, ciò che esiste realmente, perché ciò che esiste realmente deve esistere sempre, e quindi nessuno ha origine (appare) o cessa di esistere (scompare). E poiché nessun fenomeno è consapevole di sé stesso o di qualsiasi altra cosa, essi sembrano esistere solo perché appaiono nel suṭṭaṟivu (sguardo esteriore, conoscenza oggettiva o consapevolezza transitiva) dell’ego, e quindi nessuno di essi può essere cit, ciò che è realmente consapevole. Inoltre, poiché essi non sono consapevoli, nessuno di essi può essere ānanda, felicità, perché essere felici è un’esperienza che comporta essere consapevoli. Poiché la felicità che la nostra reale natura è senza inizio, senza fine, infinita e indivisibile, non possiamo trovare in essa alcun fenomeno, come Bhagavan dice nel quattordicesimo paragrafo di Nāṉ Yār?:
சுகமென்பது ஆத்மாவின் சொரூபமே; சுகமும் ஆத்மசொரூபமும் வேறன்று. ஆத்மசுகம் ஒன்றே யுள்ளது; அதுவே ஸத்யம். பிரபஞ்சப்பொருள் ஒன்றிலாவது சுகமென்பது கிடையாது. அவைகளிலிருந்து சுகம் கிடைப்பதாக நாம் நமது அவிவேகத்தால் நினைக்கின்றோம்.

sukham-eṉbadu ātmāviṉ sorūpamē; sukhamum ātma-sorūpamum vēṟaṉḏṟu. ātmasukham oṉḏṟē y-uḷḷadu; aduvē satyam. pirapañca-p-poruḷ oṉḏṟil-āvadu sukham-eṉbadu kiḍaiyādu. avaigaḷilirundu sukham kiḍaippadāha nām namadu avivēkattāl niṉaikkiṉḏṟōm.

Ciò che è chiamata felicità è solo la svarūpa di ātmā [la ‘forma propria’ o reale natura di sé stessi]; felicità e ātma-svarūpa [il proprio sé reale] non sono differenti. Solo ātma-sukha [la felicità che è sé stessi] esiste; quella sola è reale. La felicità non è trovata in [o ottenuta da] qualunque oggetto del mondo. Noi pensiamo che la felicità è ottenuta da essi a causa della nostra avivēka [mancanza di giudizio o discriminazione].
Quindi la natura dei fenomeni è la vera antitesi della natura del nostro sé reale (‘il Sé’) rispetto a ciascuna delle sei caratteristiche definite che Bhagavan menziona in questo verso, così come è possibile per chiunque (un ajñāni o l’ātma-jñāni) vedere il nostro sé reale in qualcuno o in tutti i fenomeni?

9. Nāṉ Yār? paragrafi 3 e 4: non possiamo vedere ‘il Sé’ finché vediamo qualsiasi mondo, e quando vediamo ‘il Sé’ non vediamo alcun mondo

Il fatto che non possiamo vedere il nostro sé reale (‘il Sé’) finché vediamo qualche fenomeno, e che non vedremo alcun fenomeno quando vedremo il nostro sé reale è dichiarato inequivocabilmente da Bhagavan nel terzo e quarto paragrafo di Nāṉ Yār?:
சர்வ அறிவிற்கும் சர்வ தொழிற்குங் காரண மாகிய மன மடங்கினால் ஜகதிருஷ்டி நீங்கும். கற்பித ஸர்ப்ப ஞானம் போனா லொழிய அதிஷ்டான ரஜ்ஜு ஞானம் உண்டாகாதது போல, கற்பிதமான ஜகதிருஷ்டி நீங்கினா லொழிய அதிஷ்டான சொரூப தர்சன முண்டாகாது.

sarva aṟiviṟkum sarva toṙiṟkum kāraṇam-āhiya maṉam aḍaṅgiṉāl jaga-diruṣṭi nīṅgum. kaṯpita sarppa-ñāṉam pōṉāl oṙiya adhiṣṭhāṉa rajju-ñāṉam uṇḍāhādadu pōla, kaṯpitamāṉa jaga-diruṣṭi nīṅgiṉāl oṙiya adhiṣṭhāṉa sorūpa-darśaṉam uṇḍāhādu.

Se la mente, che è la causa di tutta la consapevolezza [di cose diverse da sé stessi] e di tutta l’attività, sprofonda, jagad-dṛṣṭi [la percezione del mondo] cesserà. Proprio come se non cessa l’inutile consapevolezza del serpente immaginario, la consapevolezza della corda, che è l’adhiṣṭhāna [la base che sottende e supporta l’apparenza illusoria del serpente], non sorgerà, se la percezione del mondo, che è una kalpita [una costruzione, una creazione mentale o un’invenzione dell’immaginazione], non cessa, svarūpa-darśana [vedere ‘la propria forma’ – ciò che si è realmente], che è l’adhiṣṭhāna [la base o fondamento che sottende e supporta l’apparenza immaginaria di questo mondo] non sorgerà.

சிலந்திப்பூச்சி எப்படித் தன்னிடமிருந்து வெளியில் நூலை நூற்று மறுபடியும் தன்னுள் இழுத்துக் கொள்ளுகிறதோ, அப்படியே மனமும் தன்னிடத்திலிருந்து ஜகத்தைத் தோற்றுவித்து மறுபடியும் தன்னிடமே ஒடுக்கிக்கொள்ளுகிறது. மனம் ஆத்ம சொரூபத்தினின்று வெளிப்படும்போது ஜகம் தோன்றும். ஆகையால், ஜகம் தோன்றும்போது சொரூபம் தோன்றாது; சொரூபம் தோன்றும் (பிரகாசிக்கும்) போது ஜகம் தோன்றாது.

silandi-p-pūcci eppaḍi-t taṉṉiḍamirundu veḷiyil nūlai nūṯṟu maṟupaḍiyum taṉṉuḷ iṙuttu-k-koḷḷugiṟadō, appaḍiyē maṉam-um taṉṉiḍattilirundu jagattai-t tōṯṟuvittu maṟupaḍiyum taṉṉiḍamē oḍukki-k-koḷḷugiṟadu. maṉam ātma sorūpattiṉiṉḏṟu veḷippaḍum-pōdu jagam tōṉḏṟum. āhaiyāl, jagam tōṉḏṟum-pōdu sorūpam tōṉḏṟādu; sorūpam tōṉḏṟum (pirakāśikkum) pōdu jagam tōṉḏṟādu.

Proprio come un ragno allunga il filo da dentro sé stesso e di nuovo lo ritira in sé stesso, così la mente proietta il mondo da dentro sé stessa e di nuovo lo dissolve in sé stessa. Quando la mente esce da ātma-svarūpa, il mondo appare. Quindi quando il mondo appare, svarūpa [noi stessi come siamo realmente] non appare; quando svarūpa appare (risplende), il mondo non appare.
Poiché ciò a cui Bhagavan si riferisce come svarūpa o ātma-svarūpa in questi due brani è noi stessi come siamo realmente, che è ciò a cui ti riferisci come ‘il Sé’, egli rende molto chiaro che non possiamo vedere ‘il Sé’ finché vediamo qualsiasi mondo, e quando vediamo ‘il Sé’ non vedremo alcun mondo. Quindi da questo solo possiamo dedurre senza alcun dubbio che, contrariamente a quanto credi, non è ‘possibile che qualsiasi aggiunta dell’ego può essere vista come il Sé’, e che non è corretto dire ‘io posso vedere il Sé, quell’unica cosa che infonde ogni cosa, nelle forme e sensazioni’.

10. Non c’è ‘ritorno al mercato’, perché il ‘mercato’ sembra esistere solo nella visione dell’ego

In riferimento a ciò che hai scritto nel tuo primo commento (quello che ho citato all’inizio di questo articolo), un altro amico di nome Mouna ha scritto un commento in cui ha detto:
Questa è una affermazione interessante. C’è una corrente di pensiero in questi giorni negli insegnamenti spirituali collegati a Bhagavan e al Vedanta che indica che dopo la realizzazione /liberazione, uno inizia a vedere il “sé in ogni cosa”. Alcune persone anche lo chiamano “il ritorno al mercato”. Un po’ come dire che vediamo la diversità nell’unità o vice versa, o come includere la dualità nel non-duale (poiché l’assoluto include ogni cosa, deve anche includere la dualità).

Io stesso, entro i limiti della mia comprensione degli insegnamenti di Bhagavan, metto in discussione quella visione […] mi stavo chiedendo, Michael, se hai (dalla tua esperienza o secondo gli insegnamenti di Bhagavan) qualche commento su questo argomento come presentato in questo post?
Mouna, hai ragione nel credere che dopo che il nostro ego è stato annientato non c’è ‘ritorno al mercato’, perché il ‘mercato’ (la totalità di tutti i fenomeni) è proiettato dal nostro ego e percepito solo da esso, così quando il nostro ego (la radice e l’essenza della nostra mente) è sradicato dall’auto-consapevolezza assolutamente chiara (ātma-jñāna) non ci possono essere fenomeni né qualcuno che veda qualche fenomeno, come Bhagavan spiega molto chiaramente nei due brani di Nāṉ Yār? che ho citato nella sezione precedente.

Questo è il motivo per egli spesso diceva (come, per esempio, nel verso 114 di Guru Vācaka Kōvai) che la brillante luce di ātma-jñāna consumerà l’intera apparenza di tutti i mondi, proprio come la luce solare che inonda l’interno di un cinema consumerebbe tutte le immagini sullo schermo. Questo è ciò che egli ha descritto come la luce della grazia che inghiotte ogni cosa nel verso 27 di Śrī Aruṇācala Akṣaramaṇamālai e nel verso 1 di Śrī Aruṇācala Pañcaratnam:
சகலமும் விழுங்குங் கதிரொளி யினமன
சலச மலர்த்தியி டருணாசலா.

sakalamum viṙuṅguṅ kadiroḷi yiṉamaṉa
jalaja malarttiyi ḍaruṇācalā
.

பதச்சேதம்: சகலமும் விழுங்கும் கதிர் ஒளி இன மன சலசம் அலர்த்தியிடு அருணாசலா

Padacchēdam (separazione delle parole): sakalamum viṙuṅgum kadir oḷi iṉa, maṉa-jalajam alartti-y-iḍu aruṇācalā.

Traduzione: Arunachala, sole di raggi brillanti che inghiottono ogni cosa, fai fiorire la [mia] mente di loto.

அருணிறை வான வமுதக் கடலே
விரிகதிரால் யாவும் விழுங்கு — மருண
கிரிபரமான் மாவே கிளருளப்பூ நன்றாய்
விரிபரிதி யாக விளங்கு.

aruṇiṟai vāṉa vamudak kaḍalē
virikadirāl yāvum viṙuṅgu — maruṇa
giriparamāṉ māvē kiḷaruḷappū naṉḏṟāy
viriparidhi yāha viḷaṅgu
.

பதச்சேதம்: அருள் நிறைவு ஆன அமுத கடலே விரி கதிரால் யாவும் விழுங்கும் அருணகிரி பரமான்மாவே கிளர் உள பூ நன்றாய் விரி பரிதி ஆக விளங்கு.

Padacchēdam (separazione delle parole): aruḷ niṟaivu āṉa amuda-k-kaḍalē, viri kadirāl yāvum viṙuṅgum aruṇagiri paramāṉmāvē, kiḷar uḷa-p-pū naṉḏṟāy viri paridhi āha viḷaṅgu.

Traduzione: O Oceano di amṛta [l’ambrosia di immortalità], che è la pienezza della grazia, O Supremo Sé, Arunagiri, che inghiotti ogni cosa con il [tuo] diffondere raggi [di pura auto-consapevolezza], risplendi come il sole che fa fiorire pienamente il [mio] germogliante cuore di loto.
Un’altra analogia che egli usa in questo contesto è il potere distruttivo della bomba atomica, come ha fatto il 22 Novembre 1945 (un po’ di mesi dopo che le bombe atomiche sono state sganciate su Hiroshima e Nagasaki), che è stata registrata da Devaraja Mudaliar in Day by Day with Bhagavan (22-11-45 Pomeriggio: 2002 edizione, pagina 49) come segue:
La scintilla di jñāna consumerà facilmente tutta la creazione come se fosse un cumulo di cotone. Tutte le decine di milioni di mondi essendo costruiti sulla debole (o meno) fondazione dell’ego, cadono giù quando la bomba atomica di jñāna scende su di essi.
Il ‘mercato’ è solo un’apparenza illusoria che sembra esistere solo nella visione di noi stessi come questo ego, così quando questo ego scompare nella chiara luce della pura auto-consapevolezza (ātma-jñāna) il ‘mercato’ scomparirà insieme con esso. Quindi dopo la distruzione dell’ego non ci sarà ‘mercato’ a cui ritornare e nessuno che ritorni ad esso.

La ragione per cui ci siamo imbarcati in questo sentiero spirituale è perché abbiamo iniziato a stancarci di sorgere come un ego e di sperimentare fenomeni senza fine, così aspiriamo a liberare noi stessi da questo ‘mercato’, poiché alla fine abbiamo compreso che è una sorgente di costante preoccupazione e sofferenza e che gli effimeri piaceri che sembriamo ottenere da esso non sono la reale e illimitata felicità di cui siamo sempre alla ricerca. Dal momento che è così, perché dovremmo continuare ad accogliere qualsiasi desiderio per questo ‘mercato’, e in modo anche più pertinente, perché dovremmo sperare di ritornarci dopo che ci siamo liberati di esso?

Come ho spiegato nella terza sezione, ‘vedere sé stessi in ogni cosa’ o ‘vedere ogni cosa come sé stessi’ è un modo metaforico di dire ‘vedere soltanto sé stessi’, perché come Bhagavan dice nella prima frase del settimo paragrafo di Nāṉ Yār?:
யதார்த்தமா யுள்ளது ஆத்மசொரூப மொன்றே.

yathārtham-āy uḷḷadu ātma-sorūpam oṉḏṟē.

Ciò che esiste realmente è solo ātma-svarūpa [il nostro sé reale].
Poiché solo noi esistiamo realmente, non c’è niente diverso da noi stessi che possiamo vedere come noi stessi o in cui vedere noi stessi. Poiché siamo la sola cosa, ‘ogni cosa' significa solo noi stessi, così ‘vedere ogni cosa come noi stessi’ è una metafora che significa vedere noi stessi come noi stessi, e ‘vedere noi stessi in ogni cosa’ è una metafora che significa vedere noi stessi in noi stessi

Poiché Bhagavan dice nel verso 26 di Upadēśa Undiyār, ‘தானாய் இருத்தலே தன்னை அறிதல் ஆம்’ (tāṉ-āy iruttal-ē taṉṉai aṟidal ām), ‘Solo essere sé stessi è conoscere sé stessi’, vedere noi stessi come siamo realmente comporta solo essere come siamo realmente, così quando vediamo il nostro sé reale (ātma-svarūpa) non vedremo niente altro che quello, e poiché quello solo è ciò che esiste realmente, esso non vede alcuna cosa diversa da sé stesso. Quindi se qualcuno afferma che dopo aver sperimentato ātma-jñāna noi ‘ritorneremo al mercato’, intendendo che ancora una volta vedremo le miriadi di fenomeni che costituiscono questo o qualsiasi altro mondo, questo implicherebbe che il nostro sé reale, che è brahman, inizierà a vedere fenomeni, che è chiaramente una proposizione assurda. Quindi coloro che fanno tali affermazioni rivelano il fatto che essi credono che l’ātma-jñāni non è solo brahman ma è ancora una persona, un soggetto o percettore individuale, e in questo modo espongono la loro ignoranza.

Siamo tutti di fronte ad una semplice scelta: o vediamo noi stessi come siamo realmente, e quindi non vediamo fenomeni di qualunque genere, o vediamo noi stessi come questo ego, e quindi vediamo numerosi generi di fenomeni. Finché continuiamo ad essere infatuati dei fenomeni, come siamo al momento, continueremo a fare la scelta sbagliata, e se la nostra infatuazione di essi è particolarmente forte, possiamo anche essere portati a credere che continueremo ad essere consapevoli di essi anche dopo che siamo stati consumati nel fuoco di ātma-jñāna. Solo quando il nostro amore (bhakti) per essere consapevoli di noi stessi come siamo realmente diviene più forte della nostra preferenza ad essere consapevoli di qualsiasi altra cosa saremo in grado di fare la scelta giusta, e poiché fare quella scelta comporta semplicemente rivolgere la nostra intera attenzione soltanto verso noi stessi, escludendo quindi ogni altra cosa dalla nostra consapevolezza, appena facciamo quella scelta ci fonderemo per sempre come il nostro sé reale, e quindi non sorgeremo più per vedere qualsiasi fenomeno.

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