23 Dicembre 2016
Whatever experience may arise, we should investigate to whom it arises
Un’amica mi ha scritto recentemente descrivendo un’esperienza che ha avuto, dicendo “Mentre stavo facendo i miei lavori domestici, è arrivata un’improvvisa ‘chiarezza’ che non c’era ‘io’ o ego solidificato. Che ‘io’ – il mio ‘ego’ – era solo un mucchio di sinapsi sparate nel cervello. Che esso era solo il risultato di esperienze condizionate e modelli abituali”, e come risultato di questa ‘chiarezza’ è sorta ‘una spontanea auto-indagine’, e poi ha spiegato la sua interpretazione di questa esperienza. Questo articolo è adattato dalle risposte che ho scritto a questo e da una email successiva.
Prima risposta
A chi è venuta questa chiarezza? Chi ha sperimentato questa chiarezza ‘che non c’era ‘io’ o ego solidificato’? Chi ha interpretato questa esperienza come ‘Quell’’io’ – il mio ego – era solo un mucchio di sinapsi sparate nel cervello’? Chi ha sperimentato un ‘’riconoscimento’ spontaneo che non c’era nessuno lì – nessuno ‘sperimentatore’? Chi è ora in grado di ricordare e descrivere questa esperienza? La risposta a tutte queste domande deve essere ‘io’ o ‘me’, e quell’’io’ o ‘me’ non è ciò che tu sei realmente ma solo il tuo ego.
Ciò che siamo realmente (il nostro sé reale) non sperimenta niente altro che sé stesso, così la sua esperienza è costante e immutabile. Ciò che sperimenta qualcosa che è nuova, qualcosa che viene o che va, qualcosa che muta in qualsiasi modo, qualcosa diversa dalla nostra semplice, fondamentale ed immutabile auto-consapevolezza, non è noi stessi come siamo realmente ma solo noi stessi come questo ego.
Poiché questo ego è ciò che sperimenta ogni cosa (cioè, ogni cosa diversa dalla pura auto-consapevolezza, che è ciò che siamo realmente), nessuna esperienza potrebbe precederlo, così esso non può essere il risultato di esperienze condizionate e modelli abituali’. È la causa prima, la causa originale per l’apparenza o esistenza apparente di ogni altra cosa.
Nello stesso modo ‘l’illusione di un’entità singolare, solidificata che era chiamata ‘me’’ non è creata dal corpo, come tu dici, perché il corpo è esso stesso un’illusione, e poiché è percepito solo da quella entità chiamata ‘me’ (vale a dire l’ego), non esiste indipendentemente da esso. Secondo Bhagavan l’ego è il creatore di ogni cosa perché ogni cosa sembra esistere solo nella sua visione, e quindi niente esiste indipendentemente da esso. Esso è la causa, la radice e il fondamento di ogni cosa, così quando esso non esiste niente altro esiste, come Bhagavan dice nel verso 26 di Uḷḷadu Nāṟpadu (versione kaliveṇbā):
[…] — கருவாQuindi tutto ciò che hai descritto è stato sperimentato dal tuo ego (cioè, da te come questo ego e non come tu sei realmente), così non è un’esperienza di non-dualità. Qualsiasi esperienza che viene e che va, qualsiasi cosa di cui non siamo consapevoli in tutti i momenti e in tutti gli stati senza alcun cambiamento, è qualcosa diversa da noi stessi, così è un oggetto della nostra esperienza e noi (questo ego) siamo il soggetto che è consapevole di esso. La distinzione tra il soggetto e l’oggetto è una dualità fondamentale, così finché qualsiasi esperienza comporta un soggetto (noi stessi, questo ego) e un oggetto (qualcosa diversa da noi stessi), non è un’esperienza di non-dualità (advaita).
மகந்தையுண் டாயி னனைத்துமுண் டாகு
மகந்தையின் றேலின் றனைத்து — மகந்தையே
யாவுமா மாதலால் யாதிதென்று நாடலே
யோவுதல் யாவுமென வோர் […]
[…] — karuvā
mahandaiyuṇ ḍāyi ṉaṉaittumuṇ ḍāhu
mahandaiyiṉ ḏṟēliṉ ḏṟaṉaittu — mahandaiyē
yāvumā mādalāl yādideṉḏṟu nādalē
yōvudal yāvumeṉa vōr […]
பதச்சேதம்: கரு ஆம் அகந்தை உண்டாயின், அனைத்தும் உண்டாகும்; அகந்தை இன்றேல், இன்று அனைத்தும். அகந்தையே யாவும் ஆம். ஆதலால், யாது இது என்று நாடலே ஓவுதல் யாவும் என ஓர்.
Padacchēdam (separazione delle parole): karu ām ahandai uṇḍāyiṉ, aṉaittum uṇḍāhum; ahandai iṉḏṟēl, iṉḏṟu aṉaittum. ahandai-y-ē yāvum ām. ādalāl, yādu idu eṉḏṟu nādal-ē ōvudal yāvum eṉa ōr.
அன்வயம்: கரு ஆம் அகந்தை உண்டாயின், அனைத்தும் உண்டாகும்; அகந்தை இன்றேல், அனைத்தும் இன்று. யாவும் அகந்தையே ஆம். ஆதலால், யாது இது என்று நாடலே யாவும் ஓவுதல் என ஓர்.
Anvayam (parole ridisposte in ordine naturale di prosa): karu ām ahandai uṇḍāyiṉ, aṉaittum uṇḍāhum; ahandai iṉḏṟēl, aṉaittum iṉḏṟu. yāvum ahandai-y-ē ām. ādalāl, yādu idu eṉḏṟu nādal-ē yāvum ōvudal eṉa ōr.
Traduzione: Se l’ego, che è l’embrione [utero o causa efficiente], ha origine, ogni cosa ha origine; se l’ego non esiste, ogni cosa non esiste. [Quindi] l’ego è ogni cosa. Perciò, sappi che solo investigare cosa è questo [ego] è rinunciare a ogni cosa.
Questo non significa che ciò che hai sperimentato non è stata una qualche forma di chiarezza, ma la tua interpretazione di essa non è corretta. Così finché sperimentiamo qualsiasi cosa che è viśēṣa (cioè, distintiva, speciale, nuova o ciò che non abbiamo sempre sperimentato), essa è una creazione della nostra mente, così dovremmo rivolgere la nostra attenzione verso noi stessi, quello che è consapevole di essa. Il nostro sé reale è nirviśēṣa, perché è ciò di cui siamo costantemente consapevoli, senza alcuna interruzione e in tutti i tre stati, così quello solo (e non qualsiasi viśēṣa) è ciò che dovremmo ricercare.
Quindi qualunque esperienza può sorgere, dovremmo prenderla come un promemoria per noi che essa appare perché ne siamo consapevoli, così ciò di cui ci dovremmo interessare e a cui dovremmo attendere non è ciò che è sperimentato ma solo noi stessi, lo sperimentatore. In questo modo dobbiamo cercare costantemente di andare sempre più profondamente dentro noi stessi finché ci fondiamo nella nostra sorgente, che è la nostra auto-consapevolezza sempre presente e sempre risplendente, e non dovremmo permettere a noi stessi di essere distratti da qualsiasi esperienza che può sorgere lungo la via, non importa quanto sublime possa sembrare essere.
Seconda risposta
In risposta a questo la mia amica ha scritto, “Da ciò che hai detto, comprendo che non è un’’esperienza’ non-duale. Comunque, desidero chiarire, se questa non è stata una comprensione di qualche genere. Il motivo per cui dico questo è perché tutto è stato caratterizzato da una pace profonda e silenzio e soprattutto da una chiarezza. Le parole sono inadatte e sto trovando estremamente difficile esprimerlo”, a cui ho risposto:
Come ho scritto nella mia prima risposta, ‘Questo non significa che ciò che hai sperimentato non è stata una qualche forma di chiarezza, ma la tua interpretazione di essa non è corretta’. Ho detto che la tua interpretazione non è corretta perché (come qualsiasi esperienza diversa dalla pura auto-consapevolezza, che è anādi (senza inizio) ananta (senza fine, illimitata o infinita) akhaṇḍa (ininterrotta, indivisa, non frammentata, senza parti o intera) sat-cit-ānanda, come Bhagavan dice nel verso 28 di Upadēśa Undiyār) è stato sperimentato da te come l’ego e non come sei realmente, così non è stata un’esperienza di non-dualità.
Tuttavia, non posso dire quale sarebbe una interpretazione corretta, perché la conosce solo Bhagavan, ma interpretare tali esperienze non è realmente necessario, perché tutto ciò che Bhagavan ci chiede di fare è di investigare noi stessi, quello a cui qualsiasi esperienza può sorgere. Quindi il modo più utile di interpretarla è dire che (come qualsiasi altra esperienza) è sorta per ricordarci di guardare indietro verso noi stessi, chi la sperimenta.
Come tu dici, può essere stato un qualche genere di comprensione o chiarezza, ma puoi fare uso di essa solo prendendola come un promemoria per rivolgere la tua attenzione verso te stessa.
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