Om Namo Bhagavate Sri Arunachalaramanaya

venerdì 23 dicembre 2016

Qualunque esperienza può sorgere, dovremmo investigare a chi essa sorge

Michael James

23 Dicembre 2016
Whatever experience may arise, we should investigate to whom it arises

Un’amica mi ha scritto recentemente descrivendo un’esperienza che ha avuto, dicendo “Mentre stavo facendo i miei lavori domestici, è arrivata un’improvvisa ‘chiarezza’ che non c’era ‘io’ o ego solidificato. Che ‘io’ – il mio ‘ego’ – era solo un mucchio di sinapsi sparate nel cervello. Che esso era solo il risultato di esperienze condizionate e modelli abituali”, e come risultato di questa ‘chiarezza’ è sorta ‘una spontanea auto-indagine’, e poi ha spiegato la sua interpretazione di questa esperienza. Questo articolo è adattato dalle risposte che ho scritto a questo e da una email successiva.

Prima risposta

A chi è venuta questa chiarezza? Chi ha sperimentato questa chiarezza ‘che non c’era ‘io’ o ego solidificato’? Chi ha interpretato questa esperienza come ‘Quell’’io’ – il mio ego – era solo un mucchio di sinapsi sparate nel cervello’? Chi ha sperimentato un ‘’riconoscimento’ spontaneo che non c’era nessuno lì – nessuno ‘sperimentatore’? Chi è ora in grado di ricordare e descrivere questa esperienza? La risposta a tutte queste domande deve essere ‘io’ o ‘me’, e quell’’io’ o ‘me’ non è ciò che tu sei realmente ma solo il tuo ego.

Ciò che siamo realmente (il nostro sé reale) non sperimenta niente altro che sé stesso, così la sua esperienza è costante e immutabile. Ciò che sperimenta qualcosa che è nuova, qualcosa che viene o che va, qualcosa che muta in qualsiasi modo, qualcosa diversa dalla nostra semplice, fondamentale ed immutabile auto-consapevolezza, non è noi stessi come siamo realmente ma solo noi stessi come questo ego.

Poiché questo ego è ciò che sperimenta ogni cosa (cioè, ogni cosa diversa dalla pura auto-consapevolezza, che è ciò che siamo realmente), nessuna esperienza potrebbe precederlo, così esso non può essere il risultato di esperienze condizionate e modelli abituali’. È la causa prima, la causa originale per l’apparenza o esistenza apparente di ogni altra cosa.

Nello stesso modo ‘l’illusione di un’entità singolare, solidificata che era chiamata ‘me’’ non è creata dal corpo, come tu dici, perché il corpo è esso stesso un’illusione, e poiché è percepito solo da quella entità chiamata ‘me’ (vale a dire l’ego), non esiste indipendentemente da esso. Secondo Bhagavan l’ego è il creatore di ogni cosa perché ogni cosa sembra esistere solo nella sua visione, e quindi niente esiste indipendentemente da esso. Esso è la causa, la radice e il fondamento di ogni cosa, così quando esso non esiste niente altro esiste, come Bhagavan dice nel verso 26 di Uḷḷadu Nāṟpadu (versione kaliveṇbā):
                                    […] — கருவா
மகந்தையுண் டாயி னனைத்துமுண் டாகு
மகந்தையின் றேலின் றனைத்து — மகந்தையே
யாவுமா மாதலால் யாதிதென்று நாடலே
யோவுதல் யாவுமென வோர் […]

                                    […] — karuvā
mahandaiyuṇ ḍāyi ṉaṉaittumuṇ ḍāhu
mahandaiyiṉ ḏṟēliṉ ḏṟaṉaittu — mahandaiyē
yāvumā mādalāl yādideṉḏṟu nādalē
yōvudal yāvumeṉa vōr
[…]

பதச்சேதம்: கரு ஆம் அகந்தை உண்டாயின், அனைத்தும் உண்டாகும்; அகந்தை இன்றேல், இன்று அனைத்தும். அகந்தையே யாவும் ஆம். ஆதலால், யாது இது என்று நாடலே ஓவுதல் யாவும் என ஓர்.

Padacchēdam (separazione delle parole): karu ām ahandai uṇḍāyiṉ, aṉaittum uṇḍāhum; ahandai iṉḏṟēl, iṉḏṟu aṉaittum. ahandai-y-ē yāvum ām. ādalāl, yādu idu eṉḏṟu nādal-ē ōvudal yāvum eṉa ōr.

அன்வயம்: கரு ஆம் அகந்தை உண்டாயின், அனைத்தும் உண்டாகும்; அகந்தை இன்றேல், அனைத்தும் இன்று. யாவும் அகந்தையே ஆம். ஆதலால், யாது இது என்று நாடலே யாவும் ஓவுதல் என ஓர்.

Anvayam (parole ridisposte in ordine naturale di prosa): karu ām ahandai uṇḍāyiṉ, aṉaittum uṇḍāhum; ahandai iṉḏṟēl, aṉaittum iṉḏṟu. yāvum ahandai-y-ē ām. ādalāl, yādu idu eṉḏṟu nādal-ē yāvum ōvudal eṉa ōr.

Traduzione: Se l’ego, che è l’embrione [utero o causa efficiente], ha origine, ogni cosa ha origine; se l’ego non esiste, ogni cosa non esiste. [Quindi] l’ego è ogni cosa. Perciò, sappi che solo investigare cosa è questo [ego] è rinunciare a ogni cosa.
Quindi tutto ciò che hai descritto è stato sperimentato dal tuo ego (cioè, da te come questo ego e non come tu sei realmente), così non è un’esperienza di non-dualità. Qualsiasi esperienza che viene e che va, qualsiasi cosa di cui non siamo consapevoli in tutti i momenti e in tutti gli stati senza alcun cambiamento, è qualcosa diversa da noi stessi, così è un oggetto della nostra esperienza e noi (questo ego) siamo il soggetto che è consapevole di esso. La distinzione tra il soggetto e l’oggetto è una dualità fondamentale, così finché qualsiasi esperienza comporta un soggetto (noi stessi, questo ego) e un oggetto (qualcosa diversa da noi stessi), non è un’esperienza di non-dualità (advaita).

Questo non significa che ciò che hai sperimentato non è stata una qualche forma di chiarezza, ma la tua interpretazione di essa non è corretta. Così finché sperimentiamo qualsiasi cosa che è viśēṣa (cioè, distintiva, speciale, nuova o ciò che non abbiamo sempre sperimentato), essa è una creazione della nostra mente, così dovremmo rivolgere la nostra attenzione verso noi stessi, quello che è consapevole di essa. Il nostro sé reale è nirviśēṣa, perché è ciò di cui siamo costantemente consapevoli, senza alcuna interruzione e in tutti i tre stati, così quello solo (e non qualsiasi viśēṣa) è ciò che dovremmo ricercare.

Quindi qualunque esperienza può sorgere, dovremmo prenderla come un promemoria per noi che essa appare perché ne siamo consapevoli, così ciò di cui ci dovremmo interessare e a cui dovremmo attendere non è ciò che è sperimentato ma solo noi stessi, lo sperimentatore. In questo modo dobbiamo cercare costantemente di andare sempre più profondamente dentro noi stessi finché ci fondiamo nella nostra sorgente, che è la nostra auto-consapevolezza sempre presente e sempre risplendente, e non dovremmo permettere a noi stessi di essere distratti da qualsiasi esperienza che può sorgere lungo la via, non importa quanto sublime possa sembrare essere.

Seconda risposta

In risposta a questo la mia amica ha scritto, “Da ciò che hai detto, comprendo che non è un’’esperienza’ non-duale. Comunque, desidero chiarire, se questa non è stata una comprensione di qualche genere. Il motivo per cui dico questo è perché tutto è stato caratterizzato da una pace profonda e silenzio e soprattutto da una chiarezza. Le parole sono inadatte e sto trovando estremamente difficile esprimerlo”, a cui ho risposto:

Come ho scritto nella mia prima risposta, ‘Questo non significa che ciò che hai sperimentato non è stata una qualche forma di chiarezza, ma la tua interpretazione di essa non è corretta’. Ho detto che la tua interpretazione non è corretta perché (come qualsiasi esperienza diversa dalla pura auto-consapevolezza, che è anādi (senza inizio) ananta (senza fine, illimitata o infinita) akhaṇḍa (ininterrotta, indivisa, non frammentata, senza parti o intera) sat-cit-ānanda, come Bhagavan dice nel verso 28 di Upadēśa Undiyār) è stato sperimentato da te come l’ego e non come sei realmente, così non è stata un’esperienza di non-dualità.

Tuttavia, non posso dire quale sarebbe una interpretazione corretta, perché la conosce solo Bhagavan, ma interpretare tali esperienze non è realmente necessario, perché tutto ciò che Bhagavan ci chiede di fare è di investigare noi stessi, quello a cui qualsiasi esperienza può sorgere. Quindi il modo più utile di interpretarla è dire che (come qualsiasi altra esperienza) è sorta per ricordarci di guardare indietro verso noi stessi, chi la sperimenta.

Come tu dici, può essere stato un qualche genere di comprensione o chiarezza, ma puoi fare uso di essa solo prendendola come un promemoria per rivolgere la tua attenzione verso te stessa.

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