Om Namo Bhagavate Sri Arunachalaramanaya

martedì 31 gennaio 2017

Ciò che è consapevole di qualsiasi cosa diversa da noi stessi è solo l’ego e non noi stessi come siamo realmente

Michael James

15 Gennaio 2017
What is aware of everything other than ourself is only the ego and not ourself as we actually are


In un commento ad uno dei miei articoli recenti, Perché Bhagavan qualche volta dice che l’ātma-jñāni è consapevole del corpo e del mondo?, un amico di nome Ken ha scritto, ‘Ramana afferma: “L’ego funziona come il nodo tra il Sé che è Pura Coscienza e il corpo fisico che è inerte e insenziente.” Quindi, non c’è niente che può sperimentare oltre al Sé. […] poiché il corpo è insenziente (non può sperimentare), e solo il Sé può sperimentare, allora qualsiasi esperienza che accade, può solo essere sperimentata dal Sé’, ma contrariamente a ciò che egli deduce in questo commento e in diversi altri, ciò che sperimenta ogni cosa (tutte le forme ed i fenomeni) non è ‘il Sé’ (noi stessi come siamo realmente) ma solo noi stessi come questo ego, come cercherò di spiegare in questo articolo.
  1. Essendo cit-jaḍa-granthi, l’ego è una mescolanza confusa di consapevolezza (cit) e assenza di sensazione (jaḍa), così è consapevole di ogni cosa insenziente
  2. Uḷḷadu Nāṟpadu verso 4: il nostro sé reale è consapevolezza infinita (e quindi senza forma), così non può vedere qualsiasi forma finita
  3. Uḷḷadu Nāṟpadu verso 26: ogni cosa sembra esistere solo nella visione dell’ego, così per la sua esistenza apparente essa dipende dall’esistenza apparente dell’ego
  4. Uḷḷadu Nāṟpadu verso 23: ogni altra cosa sorge solo dopo che l’ego sorge, e se investighiamo questo ego esso scomparirà
  5. Nāṉ Yār? paragrafo 4: quando vedremo noi stessi come siamo realmente, non saremo consapevoli di alcun mondo
  6. Nāṉ Yār? paragrafo 3: non possiamo essere consapevoli di noi stessi come siamo realmente se non cessiamo di essere consapevoli di qualsiasi mondo
  7. Nāṉ Yār? paragrafo 5: senza l’ego (il pensiero chiamato ‘io’ o prima persona), nessun fenomeno (nessun altro pensiero o seconda e terza persona) esiste
  8. Uḷḷadu Nāṟpadu verso 5: se non sperimentiamo noi stessi come un corpo, non c’è un mondo che possiamo vedere
  9. Guru Vācaka Kōvai verso 98: se non sperimentiamo noi stessi come ‘io sono questo corpo’, non appare niente altro che noi stessi
  10. Uḷḷadu Nāṟpadu verso 6: solo la mente percepisce il mondo, così se non fosse per la mente, non ci sarebbe mondo
  11. Uḷḷadu Nāṟpadu verso 7: il mondo è illuminato o reso percepibile dalla consapevolezza che la mente ha di esso
  12. Uḷḷadu Nāṟpadu verso 22 (versione kaliveṇbā): il nostro sé reale dà luce alla mente, la quale vede ogni cosa
  13. Guru Vācaka Kōvai verso 114: nella luce brillante della pura auto-consapevolezza, la falsa apparenza dell’ego, il mondo e Dio svaniranno
  14. Uḷḷadu Nāṟpadu verso 9: se guardiamo all’interno per vedere cosa è questo ego, tutte le diadi e le triadi cesseranno di esistere
  15. Uḷḷadu Nāṟpadu verso 11: quando conosceremo la non-esistenza dell’ego, conoscenza ed ignoranza di ogni altra cosa cesseranno
  16. Uḷḷadu Nāṟpadu verso 12: la reale consapevolezza è il nostro vero sé, che risplende senza qualsiasi altra cosa da conoscere o da fare conoscere
  17. Uḷḷadu Nāṟpadu verso 13: ciò che è consapevole della molteplicità non è reale consapevolezza ma solo ignoranza
  18. Uḷḷadu Nāṟpadu verso 31: quando l’ego è distrutto da tanmayānanda, ciò che rimane non è consapevole di qualsiasi cosa diversa da sé stesso
  19. Uḷḷadu Nāṟpadu verso 14: le seconde e terze persone non esistono tranne che nella visione della prima persona, l’’io’ che è consapevole di sé stesso come un corpo
  20. Uḷḷadu Nāṟpadu verso 18: per il jñāni, ciò che è reale non è il mondo come tale ma solo la sua ādhāra senza forma
  21. Guru Vācaka Kōvai verso 54: vedendo con l’occhio infinito di sat-cit-āṉanda, il jñāni non può vedere niente altro che quello
  22. Solo come questo ego, che non è ciò che esso è realmente, brahman o ātman vede qualsiasi cosa diversa da sé stesso


1. Essendo cit-jaḍa-granthi, l’ego è una mescolanza confusa di consapevolezza (cit) e assenza di sensazione (jaḍa), così è consapevole di ogni cosa insenziente

Ken, come tu indichi, l’ego è cit-jaḍa-granthi, il nodo (granthi) formato dall’apparente groviglio di cit (pura consapevolezza, che è noi stessi come siamo realmente) e jaḍa (che è insenziente, vale a dire il corpo), ma ciò che è consapevole di altre cose (vale a dire tutte le forme o fenomeni, che sono tutti insenzienti) non è la stessa pura consapevolezza ma solo questo nodo apparente, perché la pura consapevolezza è intransitiva, così non è consapevole che di sé stessa, e il corpo (che include non solo il corpo fisico ma tutte le cinque guaine, come Bhagavan spiega nel verso 5 di Uḷḷadu Nāṟpadu) non è consapevole di alcuna cosa, poiché tutte le cinque guaine che lo costituiscono non sono solo jaḍa (insenziente o non-cosciente) ma anche asat (irreale o non realmente esistente), come egli spiega nel verso 22 di Upadēśa Undiyār. Poiché né citjaḍa possono essere consapevoli di qualche forma o fenomeno, ciò che è consapevole di tutto questo è solo l’ego, il nodo formato come una mescolanza apparente di cit e jaḍa.

Quando argomenti, ‘poiché il corpo è insenziente (non può sperimentare), e solo il Sé può sperimentare, allora qualsiasi esperienza che accade, può solo essere sperimentata dal Sé’, stai supponendo che ci sono solo due possibili candidati per il ruolo di sperimentatore, vale a dire il corpo e ‘il Sé’, dei quali solo il secondo ha la qualificazione necessaria di essere consapevole o senziente, ma stai trascurando la terza entità nell’equazione, vale a dire l’ego, che attinge e combina caratteristiche sia del ‘Sé’, che è consapevolezza (cit), sia del corpo, che è insenziente (jaḍa). Sebbene questo ego sembra essere limitato alla forma e alle dimensioni di qualunque corpo attualmente sperimenta come sé stesso, diversamente da questo corpo è consapevole, perché è cidābhāsa (un riflesso o apparenza di cit), poiché è una mescolanza confusa di cit e jaḍa, e come tale è consapevole dell’apparente esistenza sia di sé stesso che di tutte le altre cose (vale a dire tutte le forme o fenomeni), che sono tutti insenzienti.

2. Uḷḷadu Nāṟpadu verso 4: il nostro sé reale è consapevolezza infinita (e quindi senza forma), così non può vedere qualsiasi forma finita

Questo è inteso chiaramente da Bhagavan in molti dei suoi scritti originali, come nel verso 4 di Uḷḷadu Nāṟpadu:
உருவந்தா னாயி னுலகுபர மற்றா
முருவந்தா னன்றே லுவற்றி — னுருவத்தைக்
கண்ணுறுதல் யாவனெவன் கண்ணலாற் காட்சியுண்டோ
கண்ணதுதா னந்தமிலாக் கண்.

uruvandā ṉāyi ṉulahupara maṯṟā
muruvandā ṉaṉḏṟē luvaṯṟi — ṉuruvattaik
kaṇṇuṟudal yāvaṉevaṉ kaṇṇalāṯ kāṭciyuṇḍō
kaṇṇadutā ṉantamilāk kaṇ
.

பதச்சேதம்: உருவம் தான் ஆயின், உலகு பரம் அற்று ஆம்; உருவம் தான் அன்றேல், உவற்றின் உருவத்தை கண் உறுதல் யாவன்? எவன்? கண் அலால் காட்சி உண்டோ? கண் அது தான் அந்தம் இலா கண்.

Padacchēdam (separazione delle parole): uruvam tāṉ āyiṉ, ulahu param aṯṟu ām; uruvam tāṉ aṉḏṟēl, uvaṯṟiṉ uruvattai kaṇ uṟudal yāvaṉ? evaṉ? kaṇ alāl kāṭci uṇḍō? kaṇ adu tāṉ antam-ilā kaṇ.

அன்வயம்: தான் உருவம் ஆயின், உலகு பரம் அற்று ஆம்; தான் உருவம் அன்றேல், உவற்றின் உருவத்தை யாவன் கண் உறுதல்? எவன்? கண் அலால் காட்சி உண்டோ? கண் அது தான் அந்தம் இலா கண்.

Anvayam (parole ridisposte in ordine naturale di prosa): tāṉ uruvam āyiṉ, ulahu param aṯṟu ām; tāṉ uruvam aṉḏṟēl, uvaṯṟiṉ uruvattai yāvaṉ kaṇ uṟudal? evaṉ? kaṇ alāl kāṭci uṇḍō? kaṇ adu tāṉ antam-ilā kaṇ.

Traduzione: Se il sé stesso è una forma, il mondo e Dio lo saranno ugualmente; se il sé stesso non è una forma, chi può vedere la loro forma, e come [farlo]? Può ciò che è visto essere diverso [in natura] dall’occhio [che lo vede]? L’occhio [reale] è sé stesso, l’occhio infinito.
Ciò che egli intende qui dicendo ‘se sé stesso è una forma’ è se noi siamo l’ego, perché sorgiamo, ci reggiamo e prosperiamo come questo ego solo ‘afferrando la forma’ (cioè, proiettando e quindi essendo consapevoli di forme o fenomeni, il primo dei quali è qualunque corpo attualmente sperimentiamo come noi stessi), come egli spiega nel verso 25 di Uḷḷadu Nāṟpadu, così ciò che egli intende nella prima frase di questo verso è che finché sorgiamo e ci reggiamo come questo ego (come nella veglia e nel sogno) il mondo e Dio sembreranno essere forme, e ciò che intende nella seconda frase è che se non sorgiamo e ci reggiamo come questo ego (come nel sonno) non ci sarà nessuno a vederli come forme, e nessun mezzo per farlo. Quindi ciò che sperimenta forme o fenomeni è solo noi stessi come questo ego e non noi stessi come siamo realmente.

Come siamo realmente, siamo ciò che egli descrive qui come ‘அந்தமிலா கண்’ (antam-ilā kaṇ), ‘l’occhio senza fine [illimitato o infinito]’, in cui கண் (kaṇ) o ‘occhio’ è una metafora per consapevolezza. Poiché ogni forma ha un confine o limite, la consapevolezza illimitata che siamo realmente non è una forma, e quindi come tale non possiamo essere consapevoli di qualsiasi forma, ma possiamo solo essere consapevoli di noi stessi, l’unico tutto infinito, oltre al quale niente può esistere o anche sembrare esistere.

Cioè, secondo il principio che egli esprime nella penultima frase di questo verso, ‘கண் அலால் காட்சி உண்டோ?’ ( kaṇ alāl kāṭci uṇḍō?), che significa ‘Può ciò che è visto essere diverso [in natura] dall’occhio [che lo vede]?’, ciò che è infinito (vale a dire il nostro sé reale) può vedere solo ciò che è infinito (e quindi senza forma), e ciò che è finito (vale a dire il nostro ego) può vedere solo ciò che è finito (vale a dire forme e fenomeni). L’’occhio’ infinito che siamo realmente (vale a dire pura consapevolezza) non può mai vedere qualsiasi forma finita, e l’’occhio’ finito che sembriamo essere (vale a dire questo ego legato ad un corpo) non può mai vedere la consapevolezza infinita che esso è realmente.

3. Uḷḷadu Nāṟpadu verso 26: ogni cosa sembra esistere solo nella visione dell’ego, così per la sua esistenza apparente essa dipende dall’esistenza apparente dell’ego

Quindi ‘il Sé’ (noi stessi come siamo realmente) non è mai consapevole di qualcosa diversa da sé stesso, così noi sembriamo essere consapevoli di altre cose solo quando sembriamo essere questo ego. Questo è ciò che Bhagavan dice nel verso 26 di Uḷḷadu Nāṟpadu
அகந்தையுண் டாயி னனைத்துமுண் டாகு
மகந்தையின் றேலின் றனைத்து — மகந்தையே
யாவுமா மாதலால் யாதிதென்று நாடலே
யோவுதல் யாவுமென வோர்.

ahandaiyuṇ ḍāyi ṉaṉaittumuṇ ḍāhu
mahandaiyiṉ ḏṟēliṉ ḏṟaṉaittu — mahandaiyē
yāvumā mādalāl yādideṉḏṟu nādalē
yōvudal yāvumeṉa vōr
.

பதச்சேதம்: அகந்தை உண்டாயின், அனைத்தும் உண்டாகும்; அகந்தை இன்றேல், இன்று அனைத்தும். அகந்தையே யாவும் ஆம். ஆதலால், யாது இது என்று நாடலே ஓவுதல் யாவும் என ஓர்.

Padacchēdam (separazione delle parole): ahandai uṇḍāyiṉ, aṉaittum uṇḍāhum; ahandai iṉḏṟēl, iṉḏṟu aṉaittum. ahandai-y-ē yāvum ām. ādalāl, yādu idu eṉḏṟu nādal-ē ōvudal yāvum eṉa ōr.

அன்வயம்: அகந்தை உண்டாயின், அனைத்தும் உண்டாகும்; அகந்தை இன்றேல், அனைத்தும் இன்று. யாவும் அகந்தையே ஆம். ஆதலால், யாது இது என்று நாடலே யாவும் ஓவுதல் என ஓர்.

Anvayam (parole ridisposte in ordine naturale di prosa): ahandai uṇḍāyiṉ, aṉaittum uṇḍāhum; ahandai iṉḏṟēl, aṉaittum iṉḏṟu. yāvum ahandai-y-ē ām. ādalāl, yādu idu eṉḏṟu nādal-ē yāvum ōvudal eṉa ōr.

Traduzione: Se l’ego ha origine, ogni cosa ha origine; se l’ego non esiste, ogni cosa non esiste. [Perciò] l’ego è ogni cosa. Quindi, sappi che solo investigare ciò che è questo [ego] è rinunciare a ogni cosa.
Poiché ciò che esiste realmente è solo ātma-svarūpa, la nostra reale natura, come Bhagavan dice nella prima frase del settimo paragrafo di Nāṉ Yār?, ‘யதார்த்தமா யுள்ளது ஆத்மசொரூப மொன்றே’ (yathārtham-āy uḷḷadu ātma-sorūpam oṉḏṟē), né l’ego né qualsiasi altra cosa esiste realmente, così quando egli dice in questo verso, ‘அகந்தை உண்டாயின், அனைத்தும் உண்டாகும்’ (ahandai uṇḍāyiṉ, aṉaittum uṇḍāhum), ‘Se l’ego ha origine, ogni cosa ha origine’, ciò che intende è che se l’ego sembra avere origine, ogni altra cosa sembra avere origine.

Qualunque cosa sembra esistere deve sembrare esistere nella visione di qualcosa che ne è consapevole, così in assenza di qualunque cosa che sia consapevole della sua apparente esistenza, qualunque cosa che sembra esistere non sembrerebbe e non potrebbe sembrare esistere. Di conseguenza, poiché ogni cosa (tutte le forme o fenomeni) sembra esistere solo nella visione di noi stessi come questo ego, quando non sembriamo essere questo ego (in manōnāśa o in qualsiasi stato di manōlaya come il sonno) niente altro sembra esistere. Questo è il motivo per cui Bhagavan dice nella seconda frase di questo verso, ‘அகந்தை இன்றேல், இன்று அனைத்தும்’ (ahandai iṉḏṟēl, iṉḏṟu aṉaittum), che significa ‘Se l’ego non esiste, ogni cosa non esiste’.

Non solo tutte le forme o fenomeni sembrano esistere solo nella visione di questo ego, ma così anche questo ego sembra esistere solo nella propria visione, perché è solo una errata conoscenza di noi stessi (una confusa consapevolezza di noi stessi come qualcosa diversa da ciò che siamo realmente), così esso non sembra esistere nella chiara visione della pura auto-consapevolezza che siamo realmente. Quindi l’ego e tutte le miriadi di fenomeni di cui è consapevole sono solo apparenze illusorie che sembrano esistere solo nella propria visione auto-illusa, e quindi esso solo è la causa, la radice, il fondamento e l’unica sostanza di tutto ciò che sembra esistere. In altre parole, ogni cosa di cui esso è consapevole è solo un’espansione di sé stesso, così nella terza frase di questo verso Bhagavan dice: ‘அகந்தையே யாவும் ஆம்’ ( ahandai-y-ē yāvum ām), che significa ‘L’ego è ogni cosa’.

Poiché l’ego non esiste realmente, esso sembra esistere solo quando guarda (attende a, e quindi è consapevole di) cose diverse da sé stesso, e cessa di esistere quando guarda solo sé stesso. Questo è il motivo per cui Bhagavan ha detto nel verso precedente (il verso 25 di Uḷḷadu Nāṟpadu): ‘தேடினால் ஓட்டம் பிடிக்கும்’ ( tēḍiṉāl ōṭṭam piḍikkum), che significa ‘Se cercato [esaminato o investigato], esso prenderà il volo’.

Quindi, poiché ogni altra cosa sembra esistere solo quando l’ego sembra esistere, e poiché l’ego cessa di esistere quando guarda sé stesso, nell’ultima frase di questo verso egli dice: ‘ஆதலால், யாது இது என்று நாடலே ஓவுதல் யாவும் என ஓர்’ ( ādalāl, yādu idu eṉḏṟu nādal-ē ōvudal yāvum eṉa ōr), che significa ‘Quindi, sappi che solo investigare cosa è questo [ego] è rinunciare a ogni cosa’. Se qualsiasi altra cosa esistesse o sembrasse esistere nella chiara visione di noi stessi come siamo realmente, non saremmo in grado di rinunciare ad essere consapevoli di esso solamente investigando questo ego, ma poiché ogni altra cosa sembra esistere solo nella visione limitata, distorta e illusa di questo ego, non possiamo investigare e conoscere cosa è realmente questo ego senza rinunciare per sempre ad essere consapevoli di ogni altra cosa.

4. Uḷḷadu Nāṟpadu verso 23: ogni altra cosa sorge solo dopo che l’ego sorge, e se investighiamo questo ego esso scomparirà

Poiché ogni altra cosa appare solo dopo che l’ego appare, e poiché niente altro appare quando l’ego non appare, l’apparente esistenza di ogni cosa dipende dall’apparente esistenza di questo ego. Quindi poiché questo ego sembra esistere solo quando non investiga acutamente sé stesso, e scompare quando investiga abbastanza acutamente sé stesso, il solo mezzo con cui possiamo liberare noi stessi da ogni cosa è investigare questo ego con un potere di attenzione acutamente focalizzato, come Bhagavan ci istruisce di fare nel verso 23 di Uḷḷadu Nāṟpadu:
நானென்றித் தேக நவிலா துறக்கத்து
நானின்றென் றாரு நவில்வதிலை — நானொன்
றெழுந்தபி னெல்லா மெழுமிந்த நானெங்
கெழுமென்று நுண்மதியா லெண்.

nāṉeṉḏṟid dēha navilā duṟakkattu
nāṉiṉḏṟeṉ ḏṟāru navilvadilai — nāṉoṉ
ḏṟeṙundapi ṉellā meṙuminda nāṉeṅ
geṙumeṉḏṟu nuṇmatiyā leṇ
.

பதச்சேதம்: ‘நான்’ என்று இத் தேகம் நவிலாது. ‘உறக்கத்தும் நான் இன்று’ என்று ஆரும் நவில்வது இலை. ‘நான்’ ஒன்று எழுந்த பின், எல்லாம் எழும். இந்த ‘நான்’ எங்கு எழும் என்று நுண் மதியால் எண்.

Padacchēdam (separazione delle parole): ‘nāṉ’ eṉḏṟu id-dēham navilādu. ‘uṟakkattum nāṉ iṉḏṟu’ eṉḏṟu ārum navilvadu ilai. ‘nāṉ’ oṉḏṟu eṙunda piṉ, ellām eṙum. inda ‘nāṉ’ eṅgu eṙum eṉḏṟu nuṇ matiyāl eṇ.

அன்வயம்: இத் தேகம் ‘நான்’ என்று நவிலாது. ‘உறக்கத்தும் நான் இன்று’ என்று ஆரும் நவில்வது இலை. ‘நான்’ ஒன்று எழுந்த பின், எல்லாம் எழும். இந்த ‘நான்’ எங்கு எழும் என்று நுண் மதியால் எண்.

Anvayam (parole ridisposte in ordine naturale di prosa): id-dēham ‘nāṉ’ eṉḏṟu navilādu. ‘uṟakkattum nāṉ iṉḏṟu’ eṉḏṟu ārum navilvadu ilai. ‘nāṉ’ oṉḏṟu eṙunda piṉ, ellām eṙum. inda ‘nāṉ’ eṅgu eṙum eṉḏṟu nuṇ matiyāl eṇ.

Traduzione: Questo corpo non dice ‘io’. Nessuno dice ‘Nel sonno io non esisto’. Dopo che un ‘io’ sorge, ogni cosa sorge. Investiga [considera, determina o scopri] con una mente sottile dove sorge questo ‘io’.
La connessione logica tra ciascuna delle quattro frasi di questo verso non sono affermate esplicitamente, così dobbiamo considerare attentamente l’intero verso per dedurre tutte le connessioni logiche che sono in esso implicate. La prima frase, ‘நான் என்று இத் தேகம் நவிலாது’ ( nāṉ eṉḏṟu id-dēham navilādu), significa letteralmente ‘Questo corpo non dice io’, che è un modo metaforico di dire che non è consapevole di sé stesso, perché ciò che è consapevole di questo corpo come ‘io’ non è questo stesso corpo ma solo il nostro ego. La frase successiva, ‘உறக்கத்தும் நான் இன்று என்று ஆரும் நவில்வது இலை’ ( uṟakkattum nāṉ iṉḏṟu eṉḏṟu ārum navilvadu ilai), significa letteralmente ‘Non c’è qualcuno che dica: nel sonno io non esisto’, che implica che nessuno è inconsapevole del fatto ‘io esistevo nel sonno’, poiché non possiamo essere stati nel sonno se in quel momento non esistevamo.

Tuttavia, sebbene nel sonno esistevamo, in quel momento esistevamo senza essere consapevoli di questo corpo, così la consapevolezza ‘io sono questo corpo’ non è reale, perché se fosse reale persisterebbe nel tempo. Cioè, poiché siamo consapevoli della nostra esistenza nel sonno senza essere consapevoli di questo o di qualche altro corpo come ‘io’, nessun corpo può essere ciò che siamo realmente. Quindi c’è una distinzione chiara tra noi stessi, l’’io’ duraturo di cui siamo consapevoli permanentemente in ciascuno dei tre stati, e l’’io’ transitorio che appare come ‘io sono questo corpo’ nella veglia e nel sogno ma scompare nel sonno.

Questo ‘io’ transitorio è ciò a cui Bhagavan si riferisce nella terza frase quando dice, ‘நான் ஒன்று எழுந்த பின், எல்லாம் எழும்’ ( nāṉ oṉḏṟu eṙunda piṉ, ellām eṙum), che significa ‘Dopo che un ‘io’ sorge, ogni cosa sorge’. Qui il termine ‘நான் ஒன்று’ ( nāṉ oṉḏṟu), che significa ‘un io’, si riferisce all’ego, l’unico ‘io’ che appare nella veglia e nel sogno come l’auto-consapevolezza legata ad aggiunte ‘io sono questo corpo’. Il reale ‘io’ che siamo realmente (vale a dire la pura auto-consapevolezza senza aggiunte ‘io sono’) esiste permanentemente, così essa mai sorge (appare) o sprofonda (scompare), e quindi l’unico ‘io’ che sorge non è ciò che siamo realmente.

Poiché nel sonno niente altro che il reale ‘io’ che siamo realmente (la pura auto-consapevolezza senza aggiunte ‘io sono’) esiste o anche sembra esistere, in questa frase Bhagavan indica il fatto ovvio che solo dopo che l’’io’ sorgente (l’ego) appare ogni altra cosa appare. Il verso che egli usa in entrambe le proposizioni di questa frase è எழு ( eṙu), che significa sorgere, ascendere, alzarsi, apparire o originarsi, ma in questo contesto non significa solamente apparire nel senso di divenire visibile o percepibile ma nel senso di avere origine, perché secondo Bhagavan niente altro che ātma-svarūpa (la nostra reale natura) esiste realmente, così qualunque altra cosa sembra non esistere indipendentemente dalla nostra percezione di esso.

Quindi ciò che egli intende in questa frase, ‘நான் ஒன்று எழுந்த பின், எல்லாம் எழும்’ ( nāṉ oṉḏṟu eṙunda piṉ, ellām eṙum), ‘Dopo che un ‘io’ sorge, ogni cosa sorge’, è ciò che afferma più esplicitamente nella prima frase del verso 26, vale a dire ‘அகந்தை உண்டாயின், அனைத்தும் உண்டாகும்’ ( ahandai uṇḍāyiṉ, aṉaittum uṇḍāhum), ‘Se l’ego ha origine, ogni cosa ha origine’. In altre parole, ogni altra cosa sembra esistere solo quando l’ego sembra esistere, come enfatizza nella seconda frase del verso 26 dicendo, ‘அகந்தை இன்றேல், இன்று அனைத்தும்’ ( ahandai iṉḏṟēl, iṉḏṟu aṉaittum), ‘Se l’ego non esiste, ogni cosa non esiste’.

Perché dovrebbe essere così? Perché altre cose non dovrebbero esistere quando l’ego non esiste? Per la semplice ragione che esse sembrano esistere solo nella visione di questo ego. Se esse sembrassero esistere nella visione di qualsiasi cosa diversa dal nostro ego, potrebbero sembrare esistere anche quando non sorgiamo come questo ego, come nel sonno. Quindi quando Bhagavan dice che ogni cosa appare solo quando sorgiamo come questo ego, intende chiaramente che esse esistono solo nella visione di noi stessi come questo ego e non nella visione di noi stessi come siamo realmente.

Poiché l’apparente esistenza di ogni altra cosa dipende dal nostro sorgere come questo ego, la consapevolezza legata ad aggiunte ‘io sono questo corpo’, piuttosto che cercare di conoscere qualsiasi altra cosa dovremmo prima di tutto cercare di conoscere cosa siamo realmente noi stessi. Poiché questo ego appare e scompare nella nostra consapevolezza, esso non è ovviamente ciò che siamo realmente, così noi dobbiamo essere la sorgente da cui esso sorge. Quindi nella frase finale di questo verso Bhagavan dice, ‘இந்த நான் எங்கு எழும் என்று நுண் மதியால் எண்’ ( inda nāṉ eṅgu eṙum eṉḏṟu nuṇ matiyāl eṇ), che significa ‘Investiga [considera, determina o scopri] con una mente sottile dove sorge questo io’.

Ciò che egli intende con la frase ‘நுண் மதியால்’ ( nuṇ matiyāl), che significa letteralmente ‘con una mente sottile [raffinata, affilata, acuta o tagliente]’, è un’attenzione acutamente focalizzata, così poiché noi stessi siamo la sorgente da cui sorgiamo come questo ego, ciò che egli ci istruisce a fare in questa frase è investigare noi stessi focalizzando la nostra intera attenzione acutamente soltanto su noi stessi. Cioè, poiché questo ego sorge come ‘io sono questo corpo’ attendendo a cose diverse da sé stesso, iniziando con qualunque corpo attualmente confondiamo come noi stessi, esso sprofonderà nella sua sorgente nella misura in cui attende acutamente soltanto a sé stesso, così se riesce a focalizzare la sua attenzione su sé stesso così accuratamente da cessare di essere consapevole di qualsiasi altra cosa, esso cesserà di esistere.

Questo è inteso chiaramente da Bhagavan nella versione kaliveṇbā di questo verso, in cui ha esteso questa frase cambiando la parola finale எண் ( eṇ) in எண்ண ( eṇṇa) e aggiungendo நழுவும் ( naṙuvum). எண் ( eṇ) è la radice di un verbo che significa pensare, considerare, ponderare, meditare, valutare, calcolare, determinare o in questo caso investigare, ed è usato qui come un imperativo. எண்ண ( eṇṇa) è la forma infinita dello stesso verbo, e in contesti come questo l’infinito è usato come un condizionale, così qui significa ‘quando uno investiga’. நழுவும் ( naṙuvum) significa ‘esso si allontanerà alla chetichella [sgattaiolerà, sfuggirà o evaderà]’, così la versione estesa di questa frase, ‘இந்த நான் எங்கு எழும் என்று நுண் மதியால் எண்ண, நழுவும்’ ( inda nāṉ eṅgu eṙum eṉḏṟu nuṇ matiyāl eṇṇa, naṙuvum), significa ‘Quando uno investiga con una mente sottile dove sorge questo io, esso se la svignerà’.

Quindi, poiché ogni altra cosa sorge solo dopo che questo ‘io’ sorge, e poiché di conseguenza niente altro esiste quando esso non sorge, quando Bhagavan dice che esso se la svignerà quando uno investiga accuratamente dove esso sorge, chiaramente intende che ogni altra cosa cesserà di conseguenza di esistere. Tuttavia, nel caso in cui qualcuno di noi abbia qualche dubbio se questo è ciò che intendeva realmente nelle ultime due frasi di questo verso, egli lo ha affermato ancora più esplicitamente ed inequivocabilmente nel verso 26.

5. Nāṉ Yār? paragrafo 4: quando vedremo noi stessi come siamo realmente, non saremo consapevoli di alcun mondo

Ciò a cui Bhagavan si riferisce come ‘ogni cosa’ ( ellām, aṉaittum e yāvum) nei versi 23 e 26 ovviamente include qualunque mondo possiamo vedere nel nostro stato attuale o in qualche altro sogno, e la ragione per cui qualunque mondo appare solo quando sorgiamo come questo ego (che è la radice e l’essenza della mente) è spiegato da Bhagavan nella seguente parte del quarto paragrafo di Nāṉ Yār?:
நினைவுகளைத் தவிர்த்து ஜகமென்றோர் பொருள் அன்னியமா யில்லை. தூக்கத்தில் நினைவுகளில்லை, ஜகமுமில்லை; ஜாக்ர சொப்பனங்களில் நினைவுகளுள, ஜகமும் உண்டு. சிலந்திப்பூச்சி எப்படித் தன்னிடமிருந்து வெளியில் நூலை நூற்று மறுபடியும் தன்னுள் இழுத்துக் கொள்ளுகிறதோ, அப்படியே மனமும் தன்னிடத்திலிருந்து ஜகத்தைத் தோற்றுவித்து மறுபடியும் தன்னிடமே ஒடுக்கிக்கொள்ளுகிறது. மனம் ஆத்ம சொரூபத்தினின்று வெளிப்படும்போது ஜகம் தோன்றும். ஆகையால், ஜகம் தோன்றும்போது சொரூபம் தோன்றாது; சொரூபம் தோன்றும் (பிரகாசிக்கும்) போது ஜகம் தோன்றாது.

niṉaivugaḷai-t tavirttu jagam-eṉḏṟōr poruḷ aṉṉiyam-āy illai. tūkkattil niṉaivugaḷ illai, jagam-um illai; jāgra-soppaṉaṅgaḷil niṉaivugaḷ uḷa, jagam-um uṇḍu. silandi-p-pūcci eppaḍi-t taṉṉiḍamirundu veḷiyil nūlai nūṯṟu maṟupaḍiyum taṉṉuḷ iṙuttu-k-koḷḷugiṟadō, appaḍiyē maṉam-um taṉṉiḍattilirundu jagattai-t tōṯṟuvittu maṟupaḍiyum taṉṉiḍamē oḍukki-k-koḷḷugiṟadu. maṉam ātma-sorūpattiṉiṉḏṟu veḷippaḍum-pōdu jagam tōṉḏṟum. āhaiyāl, jagam tōṉḏṟum-pōdu sorūpam tōṉḏṟādu; sorūpam tōṉḏṟum (pirakāśikkum) pōdu jagam tōṉḏṟādu.

Ad esclusione dei pensieri, non c’è separatamente qualcosa come il mondo. Nel sonno non ci sono pensieri, e [di conseguenza] anche non c’è mondo; nella veglia e nel sogno ci sono pensieri, e [di conseguenza] anche c’è un mondo. Proprio come un ragno allunga il filo da dentro sé stesso e di nuovo lo ritira in sé stesso, così la mente proietta il mondo da dentro sé stessa e di nuovo lo dissolve in sé stessa. Quando la mente esce da ātma-svarūpa, il mondo appare. Quindi quando il mondo appare, svarūpa [noi stessi come siamo realmente] non appare; quando svarūpa appare (risplende) il mondo non appare.
Ciò che Bhagavan intende con il termine நினைவுகள் ( niṉaivugaḷ), che significa letteralmente ‘pensieri’ o ‘idee’, è fenomeno mentale di qualunque tipo, così poiché ciò che percepiamo come il mondo è solo una serie di impressioni sensorie, e poiché tutte queste impressioni sono fenomeni mentali (proprio come tutte le impressioni sensorie che sperimentiamo in un sogno), egli dice che il mondo non è altro che pensieri o idee. Proprio come qualunque mondo che sperimentiamo in un sogno è solo una moltitudine di pensieri proiettati dalla nostra mente, così anche è il mondo che ora sperimentiamo, e quindi egli dice: ‘மனமும் தன்னிடத்திலிருந்து ஜகத்தைத் தோற்றுவித்து மறுபடியும் தன்னிடமே ஒடுக்கிக்கொள்ளுகிறது’ ( maṉamum taṉṉiḍattilirundu jagattai-t tōṯṟuvittu maṟupaḍiyum taṉṉiḍamē oḍukki-k-koḷḷugiṟadu), che significa ‘la mente proietta [o causa l’apparizione de] il mondo da dentro sé stessa e di nuovo lo dissolve in sé stessa’.

Quindi nella frase successiva egli dice, , ‘மனம் ஆத்ம சொரூபத்தினின்று வெளிப்படும்போது ஜகம் தோன்றும்’ ( maṉam ātma-sorūpattiṉiṉḏṟu veḷippaḍum-pōdu jagam tōṉḏṟum), ‘Quando la mente esce da ātma-svarūpa, il mondo appare’, intendendo quindi che il mondo appare solo nella visione della mente (che in questo caso significa l’ego, che è la sua radice ed essenza, essendo il solo elemento di esso che è consapevole di qualsiasi cosa). Questa implicazione è resa più chiara nelle due frasi successive: ‘ஆகையால், ஜகம் தோன்றும்போது சொரூபம் தோன்றாது; சொரூபம் தோன்றும் (பிரகாசிக்கும்) போது ஜகம் தோன்றாது’ ( āhaiyāl, jagam tōṉḏṟum-pōdu sorūpam tōṉḏṟādu; sorūpam tōṉḏṟum (pirakāśikkum) pōdu jagam tōṉḏṟādu), che significa ‘Quindi quando il mondo appare, svarūpa [la nostra reale natura, noi stessi come siamo realmente] non appare; quando svarūpa appare (risplende), il mondo non appare’.

Poiché ātma-svarūpa (la nostra vera natura o sé reale) è sempre chiaramente consapevole di sé stesso come è realmente, nella sua chiara visione non c’è mai alcun momento in cui esso non appare e risplende come è, così solo la seconda di queste due frasi, ‘சொரூபம் தோன்றும் (பிரகாசிக்கும்) போது ஜகம் தோன்றாது’ (sorūpam tōṉḏṟum (pirakāśikkum) pōdu jagam tōṉḏṟādu), ‘quando svarūpa [noi stessi come siamo realmente] appare (risplende), il mondo non appare’, si applica ad esso. Quindi, poiché esso risplende sempre come è realmente, ciò che Bhagavan intende chiaramente in questa frase è che nella sua visione nessun mondo mai appare.

Ciò che non è chiaramente consapevole di sé stesso come è realmente è solo questo ego, così la prima di queste due frasi, ‘ஆகையால், ஜகம் தோன்றும்போது சொரூபம் தோன்றாது’ (āhaiyāl, jagam tōṉḏṟum-pōdu sorūpam tōṉḏṟādu), ‘Quindi quando il mondo appare, svarūpa [noi stessi come siamo realmente] non appare’, si applica solo ad esso. Cioè poiché l’ego è una conoscenza errata di noi stessi (una consapevolezza sbagliata di noi stessi come qualcosa diversa da ciò che siamo realmente), nella sua visione auto-illusa ātma-svarūpa non appare come è realmente, e quindi appare un mondo.

Tuttavia, se noi, che siamo ora sorti come questo ego e siamo di conseguenza consapevoli di un mondo, rivolgiamo la nostra intera attenzione all’interno per essere accuratamente consapevoli soltanto di noi stessi, sprofonderemo nella nostra sorgente e saremo chiaramente consapevoli di noi stessi come siamo realmente (cioè, senza alcuna aggiunta), e quindi cesseremo di sorgere come questo ego. Quindi, poiché allora risplenderemo chiaramente come ātma-svarūpa, nella nostra visione nessun mondo apparirà.

In altre parole, ciò che Bhagavan intende dicendo ‘ஆகையால், ஜகம் தோன்றும்போது சொரூபம் தோன்றாது; சொரூபம் தோன்றும் (பிரகாசிக்கும்) போது ஜகம் தோன்றாது’ (āhaiyāl, jagam tōṉḏṟum-pōdu sorūpam tōṉḏṟādu; sorūpam tōṉḏṟum (pirakāśikkum) pōdu jagam tōṉḏṟādu), ‘Quindi quando il mondo appare, svarūpa non appare; quando svarūpa appare (risplende), il mondo non appare’, è che quando percepiamo qualche mondo non siamo consapevoli di noi stessi come siamo realmente, e quando siamo consapevoli di noi stessi come siamo realmente non percepiamo alcun mondo.

6. Nāṉ Yār? paragrafo 3: non possiamo essere consapevoli di noi stessi come siamo realmente se non cessiamo di essere consapevoli di qualsiasi mondo

Questo è anche spiegato chiaramente da Bhagavan in termini non ambigui nel terzo paragrafo di Nāṉ Yār?:
சர்வ அறிவிற்கும் சர்வ தொழிற்குங் காரண மாகிய மன மடங்கினால் ஜகதிருஷ்டி நீங்கும். கற்பித ஸர்ப்ப ஞானம் போனா லொழிய அதிஷ்டான ரஜ்ஜு ஞானம் உண்டாகாதது போல, கற்பிதமான ஜகதிருஷ்டி நீங்கினா லொழிய அதிஷ்டான சொரூப தர்சன முண்டாகாது.

sarva aṟiviṟkum sarva toṙiṟkum kāraṇam-āhiya maṉam aḍaṅgiṉāl jaga-diruṣṭi nīṅgum. kaṟpita sarppa-ñāṉam pōṉāl oṙiya adhiṣṭhāṉa rajju-ñāṉam uṇḍāhādadu pōla, kaṟpitamāṉa jaga-diruṣṭi nīṅgiṉāl oṙiya adhiṣṭhāṉa sorūpa-darśaṉam uṇḍāhādu.

Se la mente, che è la causa di tutta la consapevolezza [di cose diverse da sé stessi] e di tutta l’attività, sprofonda, jagad-dṛṣṭi [la percezione del mondo] cesserà. Proprio come se l’inutile consapevolezza del serpente immaginario non cessa, la consapevolezza della corda, che è l’ adhiṣṭhāna [base o fondamento], non sorgerà, se la percezione del mondo, che è una kalpita [una costruzione o invenzione dell’immaginazione] non cessa, il vedere svarūpa, che è l’ adhiṣṭhāna, non sorgerà.
Quindi non possiamo vedere noi stessi come siamo realmente finché percepiamo qualche mondo, proprio come non possiamo vedere una corda come è realmente finché la confondiamo come un serpente, e quando vediamo noi stessi come siamo realmente, non percepiremo alcun mondo, proprio come quando vediamo una corda come è realmente non vedremo alcun serpente. Questo ancora una volta implica che come siamo realmente (cioè, come ‘il Sé’) non siamo consapevoli di alcun mondo, così siamo consapevoli di qualche mondo solo perché siamo sorti come questo ego.

7. Nāṉ Yār? paragrafo 5: senza l’ego (il pensiero chiamato ‘io’ o prima persona), nessun fenomeno (nessun altro pensiero o seconda e terza persona) esiste

Ogni cosa diversa dall’ego è solo un pensiero o idea proiettata o sperimentata da esso, così l’ego è la causa radice per l’apparenza di ogni altra cosa, e quindi senza di esso niente altro può apparire o sembrare esistere, come Bhagavan afferma inequivocabilmente nelle quattro frasi finali del quinto paragrafo di Nāṉ Yār?:
மனதில் தோன்றும் நினைவுக ளெல்லாவற்றிற்கும் நானென்னும் நினைவே முதல் நினைவு. இது எழுந்த பிறகே ஏனைய நினைவுகள் எழுகின்றன. தன்மை தோன்றிய பிறகே முன்னிலை படர்க்கைகள் தோன்றுகின்றன; தன்மை யின்றி முன்னிலை படர்க்கைக ளிரா.

maṉadil tōṉḏṟum niṉaivugaḷ ellāvaṯṟiṟkum nāṉ-eṉṉum niṉaivē mudal niṉaivu. idu eṙunda piṟahē ēṉaiya niṉaivugaḷ eṙugiṉḏṟaṉa. taṉmai tōṉḏṟiya piṟahē muṉṉilai paḍarkkaigaḷ tōṉḏṟugiṉḏṟaṉa; taṉmai y-iṉḏṟi muṉṉilai paḍarkkaigaḷ irā.

Di tutti i pensieri che appaiono [o sorgono] nella mente, solo il pensiero chiamato ‘io’ è il pensiero primo [primario, basilare, originale o causale]. Solo dopo che questo sorge altri pensieri sorgono. Solo dopo che la prima persona [l’ego] appare seconde e terze persone [tutte le altre cose] appaiono; senza la prima persona le seconde e terze persone non esistono.
Ciò a cui Bhagavan si riferisce qui come ‘நானென்னும் நினைவு’ ( nāṉ-eṉṉum niṉaivu), il pensiero chiamato ‘io’, e come ‘தன்மை’ ( taṉmai), la prima persona, e ciò a cui si riferisce come ‘ஏனைய நினைவுகள்’ (ēṉaiya niṉaivugaḷ), altri pensieri, e come ‘முன்னிலை படர்க்கைகள்’ (muṉṉilai paḍarkkaigaḷ), è ogni altra cosa (tutti i fenomeni), così qui ancora una volta egli intende che tutti i fenomeni appaiono solo nella visione dell’ego, e perciò senza di esso essi non esistono affatto.

8. Uḷḷadu Nāṟpadu verso 5: se non sperimentiamo noi stessi come un corpo, non c’è un mondo che possiamo vedere

In aggiunta ai tre versi che abbiamo considerato sopra, vale a dire i versi 4, 23 e 26, ci sono molti altri versi di Uḷḷadu Nāṟpadu in cui Bhagavan intende chiaramente che ciò che è consapevole di ogni altra cosa non è noi stessi come siamo realmente ma solo noi stessi come questo ego. Per esempio, dopo aver spiegato nel verso 4 che il mondo e Dio sembreranno essere forme solo se sé stesso (l’’occhio’ che li percepisce) è una forma, e che se sé stesso non è una forma non ci sarà nessuno a vederli come forme, perché la natura di ciò che è visto non può essere diversa dall’’occhio’ che lo vede, nel verso 5 egli dice:
உடல்பஞ்ச கோச வுருவதனா லைந்து
முடலென்னுஞ் சொல்லி லொடுங்கு — முடலன்றி
யுண்டோ வுலக முடல்விட் டுலகத்தைக்
கண்டா ருளரோ கழறு.

uḍalpañca kōśa vuruvadaṉā laindu
muḍaleṉṉuñ colli loḍuṅgu — muḍalaṉḏṟi
yuṇḍō vulaha muḍalviṭ ṭulahattaik
kaṇḍā ruḷarō kaṙaṟu
.

பதச்சேதம்: உடல் பஞ்ச கோச உரு. அதனால், ஐந்தும் ‘உடல்’ என்னும் சொல்லில் ஒடுங்கும். உடல் அன்றி உண்டோ உலகம்? உடல் விட்டு, உலகத்தை கண்டார் உளரோ? கழறு.

Padacchēdam (separazione delle parole): uḍal pañca kōśa uru. adaṉāl, aindum ‘uḍal’ eṉṉum sollil oḍuṅgum. uḍal aṉḏṟi uṇḍō ulaham? uḍal viṭṭu, ulahattai kaṇḍār uḷarō? kaṙaṟu.

அன்வயம்: உடல் பஞ்ச கோச உரு. அதனால், ‘உடல்’ என்னும் சொல்லில் ஐந்தும் ஒடுங்கும். உடல் அன்றி உலகம் உண்டோ? உடல் விட்டு உலகத்தைக் கண்டார் உளரோ? கழறு.

Anvayam (parole ridisposte in ordine naturale di prosa): uḍal pañca kōśa uru. adaṉāl, ‘uḍal’ eṉṉum sollil aindum oḍuṅgum. uḍal aṉḏṟi ulaham uṇḍō? uḍal viṭṭu, ulahattai kaṇḍār uḷarō? kaṙaṟu.

Traduzione: Il corpo è una forma di cinque guaine. Quindi tutte cinque sono incluse nel termine ‘corpo’. Senza un corpo, c’è un mondo? Dimmi, lasciando il corpo, c’è qualcuno che ha visto un mondo?
Qualunque corpo attualmente sperimentiamo come noi stessi, nella veglia o nel sogno, non è solo una forma fisica ma consiste di cinque kōśa (guaine o coperture), che oscurano la nostra consapevolezza di noi stessi come siamo realmente, vale a dire il corpo fisico (che sebbene apparentemente fisico è realmente solo una proiezione mentale, come tutte le altre forme fisiche), il prāṇa o vita che lo anima (manifestandosi in esso come respiro e tutti i suoi altri processi fisiologici), la mente, l’intelletto e l’oscurità dell’auto-ignoranza, che sorge come una caratteristica fondamentale dell’ego e gli permette di proiettare e percepire i fenomeni, proprio come l’oscurità in un cinema permette alle immagini di essere proiettate e viste sullo schermo.

Ogni volta che sorgiamo come questo ego, lo facciamo proiettando e avvolgendo noi stessi nell’auto-ignoranza e nelle altre quattro guaine, che tutte confondiamo come noi stessi. Solo quando sperimentiamo in questo modo noi stessi come questa ‘பஞ்ச கோச உரு’ ( pañca kōśa uru) o ‘forma di cinque guaine’ siamo in grado di proiettare e percepire un mondo, che ugualmente consiste di forme, alcune delle quali sembrano essere fisiche e altre sembrano essere più sottili, come tutte le idee, i concetti, le emozioni, i desideri, le paure e i significati che vediamo manifestati nelle e attraverso le persone attorno a noi.

Poiché percepiamo tutti i fenomeni grossolani (o fisici) e sottili (o non fisici) che costituiscono questo o qualche altro mondo solo quando sperimentiamo noi stessi come un corpo costituito di cinque guaine, Bhagavan in questo verso pone due domande retoriche, vale a dire ‘உடல் அன்றி உலகம் உண்டோ?’ ( uḍal aṉḏṟi uṇḍō ulaham?), che significa ‘Senza un corpo, c’è un mondo?’, intendendo quindi che nessun mondo esisterebbe se non sperimentassimo noi stessi come un corpo, e ‘உடல் விட்டு, உலகத்தை கண்டார் உளரோ?’ ( uḍal viṭṭu, ulahattai kaṇḍār uḷarō?), che significa ‘Lasciando il corpo, c’è qualcuno che ha visto un mondo?’, intendendo quindi nello stesso modo che non possiamo percepire qualche mondo quando cessiamo di sperimentare noi stessi come un corpo, come sappiamo dalla nostra esperienza nel sonno.

Poiché ciò che sorge come ‘io sono questo corpo’ è solo l’ego, ciò che Bhagavan intende chiaramente in questo verso è che nessun mondo esiste indipendentemente da questo ego racchiuso in un corpo, e che ogni volta che questo ego sprofonda (in manōlaya o in manōnāśa) non possiamo essere consapevoli di qualche mondo. Dunque in questo verso egli esprime in termini leggermente differenti ciò che ha espresso nel verso precedente, vale a dire che possiamo vedere il mondo come una moltitudine di forme e fenomeni solo quando sperimentiamo noi stessi come la forma di un corpo.

Poiché la percezione del mondo come una diversa moltitudine di fenomeni e di forme dipende dal percettore che sperimenta sé stesso come un corpo costituito di cinque guaine, e poiché il nostro sé reale mai sperimenta sé stesso come qualcuna di queste guaine, in questo verso Bhagavan intende chiaramente che come siamo realmente (cioè, come pura, infinita e indivisibile auto-consapevolezza, che non può mai essere avvolta o nascosta da qualsiasi guaina) non possiamo essere consapevoli di qualche mondo come qualcosa diversa dal nostro sé senza nome e senza forma.

9. Guru Vācaka Kōvai verso 98: se non sperimentiamo noi stessi come ‘io sono questo corpo’, non appare niente altro che noi stessi

Questo è anche spiegato da Bhagavan nel verso 98 di Guru Vācaka Kōvai:
சரீரமே நானாச் சரித்தாலே யன்றிச்
சராசரமா மன்னியஞ்சா ராதேல் — பராபரமாத்
தோன்று மயல்விடய சூனியத்தா லான்மாதான்
ஏன்றகரி யென்ற லிழுக்கு.

śarīramē nāṉāc carittālē yaṉḏṟic
carācaramā maṉṉiyañcā rādēl — parāparamāt
tōṉḏṟu mayalviḍaya śūṉiyattā lāṉmādāṉ
ēṉḏṟagari yeṉḏṟa liṙukku
.

பதச்சேதம்: ‘சரீரமே நான்’ ஆ சரித்தாலே அன்றி, சராசரம் ஆம் அன்னியம் சாராதேல், பராபரம் ஆ தோன்றும் அயல் விடய சூனியத்தால், ஆன்மா தான் ஏன்ற கரி என்றல் இழுக்கு.

Padacchēdam (separazione delle parole): ‘śarīram-ē nāṉ’ ā carittāl-ē aṉḏṟi, cara-acaram ām aṉṉiyam sārādēl, para-aparam ā tōṉḏṟum ayal viḍaya śūṉiyattāl, āṉmā tāṉ ēṉḏṟa kari eṉḏṟal iṙukku.

Traduzione: Poiché [ogni] altra cosa che è in moto o immobile non appare se uno non vive come ‘solo il corpo è io’, [e] a causa della non-esistenza [nella chiara visione di noi stessi come siamo realmente] di [ogni] viṣaya [fenomeno] alieno che sembra essere para-apara [superiore o inferiore, lontano o vicino, prima o dopo, causa o effetto], non è corretto dire che ātman [noi stessi come siamo realmente] è il reale testimone.
Come Bhagavan spiega chiaramente nella prima proposizione di questo verso, non possiamo essere consapevoli di qualsiasi cosa diversa da noi stessi se non siamo consapevoli di noi stessi come ‘io sono questo corpo’, e come egli intende nella seconda proposizione, questo è perché niente altro che noi stessi esiste realmente nella chiara visione di noi stessi come siamo realmente. Quindi, come egli dice nella proposizione finale, non è corretto dire che ciò che noi siamo realmente è effettivamente il ‘testimone’ o percettore di qualsiasi cosa. Dunque egli intende chiaramente che ciò che è consapevole di ogni cosa diversa da noi stessi non è il nostro sé reale (‘il Sé’), che è pura auto-consapevolezza, ma solo l’ego, la forma di auto-consapevolezza legata ad aggiunte che sorge e si regge come ‘io sono questo corpo’.

Questo è il motivo per cui egli ha spesso spiegato che quando è detto che il nostro sé reale è il ‘testimone’, questo non dovrebbe essere inteso in senso letterale, perché il nostro sé reale non è consapevole di qualsiasi cosa diversa da sé stesso, ma dovrebbe essere compreso come una metafora nel significato che esso è la consapevolezza fondamentale alla presenza della quale ogni altra cosa appare, perché è la luce che illumina la mente e quindi le permette di vedere ogni cosa.

10. Uḷḷadu Nāṟpadu verso 6: solo la mente percepisce il mondo, così se non fosse per la mente, non ci sarebbe mondo

Sebbene nel verso 5 di Uḷḷadu Nāṟpadu Bhagavan ha chiesto retoricamente, உடல் அன்றி உலகம் உண்டோ? உடல் விட்டு, உலகத்தை கண்டார் உளரோ?’ ( uḍal aṉḏṟi uṇḍō ulaham? uḍal viṭṭu, ulahattai kaṇḍār uḷarō?), che significa ‘Senza un corpo, c’è un mondo? Lasciando il corpo, c’è qualcuno che ha visto un mondo?’, egli non intendeva con questo che il corpo è ciò che percepisce il mondo, perché sebbene il corpo ed i suoi sensi sono gli strumenti con cui il mondo è percepito, ciò che realmente percepisce il mondo non è il corpo ma solo l’ego, il fantasma senza forma che afferra la forma del corpo come ‘io’. Poiché questo ego è la radice e l’essenza della mente, essendo il solo elemento sperimentante in esso, nel verso 6 di Uḷḷadu Nāṟpadu si riferisce all’ego come ‘mente e dice:
உலகைம் புலன்க ளுருவேறன் றவ்வைம்
புலனைம் பொறிக்குப் புலனா — முலகைமன
மொன்றைம் பொறிவாயா லோர்ந்திடுத லான்மனத்தை
யன்றியுல குண்டோ வறை.

ulahaim pulaṉga ḷuruvēṟaṉ ḏṟavvaim
pulaṉaim poṟikkup pulaṉā — mulahaimaṉa
moṉḏṟaim poṟivāyā lōrndiḍuda lāṉmaṉattai
yaṉḏṟiyula kuṇḍō vaṟai
.

பதச்சேதம்: உலகு ஐம் புலன்கள் உரு; வேறு அன்று. அவ் ஐம் புலன் ஐம் பொறிக்கு புலன் ஆம். உலகை மனம் ஒன்று ஐம் பொறிவாயால் ஓர்ந்திடுதலால், மனத்தை அன்றி உலகு உண்டோ? அறை.

Padacchēdam (separazione delle parole): ulahu aim pulaṉgaḷ uru; vēṟu aṉḏṟu. a-vv-aim pulaṉ aim poṟikku pulaṉ ām. ulahai maṉam oṉḏṟu aim poṟi-vāyāl ōrndiḍudalāl, maṉattai aṉḏṟi ulahu uṇḍō? aṟai.

அன்வயம்: உலகு ஐம் புலன்கள் உரு; வேறு அன்று. அவ் ஐம் புலன் ஐம் பொறிக்கு புலன் ஆம். மனம் ஒன்று உலகை ஐம் பொறிவாயால் ஓர்ந்திடுதலால், மனத்தை அன்றி உலகு உண்டோ? அறை.

Anvayam (parole ridisposte in ordine naturale di prosa): ulahu aim pulaṉgaḷ uru; vēṟu aṉḏṟu. a-vv-aim pulaṉ aim poṟikku pulaṉ ām. maṉam oṉḏṟu ulahai aim poṟi-vāyāl ōrndiḍudalāl, maṉattai aṉḏṟi ulahu uṇḍō? aṟai.

Traduzione: Il mondo è una forma [composta] di cinque [tipi di] informazioni sensorie, niente altro. Quei cinque [tipi di] informazioni sensorie sono fenomeni sensoriali [collegati] ai cinque sensi. Poiché solo la mente percepisce il mondo per mezzo dei cinque sensi, dimmi, c’è [qualche] mondo oltre a [ad esclusione di, se non per, separato da, diverso da o senza] la mente?
Sebbene il mondo ci sembra qualcosa di esterno a noi stessi e quindi indipendente da noi stessi, ciò che percepiamo come il mondo (nella veglia o nel sogno) è realmente solo un conglomerato di cinque tipi di informazioni sensorie, che sembriamo percepire attraverso i canali dei nostri cinque sensi. Tuttavia, poiché il mondo come lo percepiamo non è niente altro che questi cinque tipi di informazioni sensorie, non c’è prova nella nostra esperienza che giustifichi la nostra supposizione che queste informazioni sensorie siano causate da qualcosa di esterno o indipendente dalla nostra mente.

Qualunque mondo sperimentiamo in un sogno ci sembra esterno finché stiamo sognando, ma appena ci svegliamo da quel sogno riconosciamo che era solo una proiezione mentale e quindi non esisteva realmente al di fuori o indipendente dalla nostra mente. Cioè, finché sperimentavamo noi stessi come un corpo in quel sogno, il mondo sembrava essere esterno e indipendente da noi stessi, ma appena abbiamo cessato di sperimentare noi stessi come quel corpo, ci è stato chiaro che sia quel corpo che quel mondo erano solo una creazione della nostra mente e sembravano esistere solo perché noi li percepivamo.

Nello stesso modo, sebbene il mondo che ora percepiamo ci sembra esterno (cioè, al di fuori o indipendente dalla nostra mente), sembra essere in questo modo solo finché siamo consapevoli di noi stessi come questo corpo, così perché dovremmo credere che il nostro stato attuale non è solo un altro sogno e che questo corpo e questo mondo sono solo una creazione della nostra mente? Poiché è solo la nostra mente che percepisce sia questo corpo che questo mondo, proprio come essa percepiva qualunque corpo e mondo che sperimentavamo in uno sogno, questo corpo o questo mondo esistono indipendentemente dalla nostra mente?

Quando Bhagavan ci pone questa domanda in questo verso, chiedendo ‘உலகை மனம் ஒன்று ஐம் பொறிவாயால் ஓர்ந்திடுதலால், மனத்தை அன்றி உலகு உண்டோ?’ ( ulahai maṉam oṉḏṟu aim poṟi-vāyāl ōrndiḍudalāl, maṉattai aṉḏṟi ulahu uṇḍō?), che significa ‘Poiché solo la mente percepisce il mondo passando per i cinque sensi, c’è [qualche] mondo oltre a [ad esclusione di, se non per, separato da, diverso da o senza] la mente?’, lo fa retoricamente, intendendo con questo che nessun mondo esiste indipendentemente dalla mente che lo percepisce. Come egli spiega nell’estratto dal quarto paragrafo di Nāṉ Yār? che abbiamo considerato sopra nella sezione 5, il mondo è solo una proiezione della mente, così esso sembra esistere solo quando la mente sembra uscire da ātma-svarūpa (noi stessi come siamo realmente), e poiché possiamo sembrare uscire come questa mente solo quando non vediamo noi stessi come siamo realmente, ‘சொரூபம் தோன்றும் (பிரகாசிக்கும்) போது ஜகம் தோன்றாது’ ( sorūpam tōṉḏṟum (pirakāśikkum) pōdu jagam tōṉḏṟādu), ‘quando svarūpa appare (risplende) [cioè, quando vediamo noi stessi come siamo realmente], il mondo non appare’.

Poiché non c’è mondo indipendentemente dalla mente che lo percepisce, quando la nostra mente sprofonda temporaneamente nel sonno (o in qualche altro stato di manōlaya) per la chiara esperienza di pura auto-consapevolezza ( ātma-jñāna) nessun mondo sembrerà esistere. Inoltre, poiché la nostra mente o ego è solo una conoscenza errata di noi stessi come siamo realmente, nella chiara visione libera dalla mente del nostro sé reale (‘il Sé’) non c’è assolutamente mondo, neppure c’è una qualche apparenza di qualche mondo, perché non c’è mente a proiettarlo o percepirlo.

11. Uḷḷadu Nāṟpadu verso 7: il mondo è illuminato o reso percepibile dalla consapevolezza che la mente ha di esso

Il fatto che il mondo (nella veglia o nel sogno) sembra esistere solo perché noi sembriamo essere sorti come questa mente o ego, e che esso quindi non appare nella chiara visione del nostro sé infinito, che mai appare o scompare, è anche enfatizzato da Bhagavan nel verso 7 di Uḷḷadu Nāṟpadu:
உலகறிவு மொன்றா யுதித்தொடுங்கு மேனு
முலகறிவு தன்னா லொளிரு — முலகறிவு
தோன்றிமறை தற்கிடனாய்த் தோன்றிமறை யாதொளிரும்
பூன்றமா மஃதே பொருள்.

ulahaṟivu moṉḏṟā yudittoḍuṅgu mēṉu
mulahaṟivu taṉṉā loḷiru — mulahaṟivu
tōṉḏṟimaṟai daṟkiḍaṉāyt tōṉḏṟimaṟai yādoḷirum
pūṉḏṟamā maḵdē poruḷ
.

பதச்சேதம்: உலகு அறிவும் ஒன்றாய் உதித்து ஒடுங்கும் ஏனும், உலகு அறிவு தன்னால் ஒளிரும். உலகு அறிவு தோன்றி மறைதற்கு இடன் ஆய் தோன்றி மறையாது ஒளிரும் பூன்றம் ஆம் அஃதே பொருள்.

Padacchēdam (separazione delle parole): ulahu aṟivum oṉḏṟāy udittu oḍuṅgum ēṉum, ulahu aṟivu-taṉṉāl oḷirum. ulahu aṟivu tōṉḏṟi maṟaidaṟku iḍaṉ-āy tōṉḏṟi maṟaiyādu oḷirum pūṉḏṟam ām aḵdē poruḷ.

அன்வயம்: உலகு அறிவும் ஒன்றாய் உதித்து ஒடுங்கும் ஏனும், உலகு அறிவு தன்னால் ஒளிரும். உலகு அறிவு தோன்றி மறைதற்கு இடன் ஆய் தோன்றி மறையாது ஒளிரும் அஃதே பூன்றம் ஆம் பொருள்.

Anvayam (parole ridisposte in ordine naturale di prosa): ulahu aṟivum oṉḏṟāy udittu oḍuṅgum ēṉum, ulahu aṟivu-taṉṉāl oḷirum. ulahu aṟivu tōṉḏṟi maṟaidaṟku iḍaṉ-āy tōṉḏṟi maṟaiyādu oḷirum aḵdē pūṉḏṟam ām poruḷ.

Traduzione: Sebbene il mondo e la mente sorgono e sprofondano simultaneamente, il mondo risplende per mezzo della mente. Solo quello che risplende senza apparire o scomparire come la base per la comparsa e la scomparsa del mondo e della mente è poruḷ [la reale sostanza], che è pūṉḏṟam [il tutto infinito o pūrṇa].
Il termine che Bhagavan usa qui per riferirsi alla mente o ego è அறிவு ( aṟivu), che significa letteralmente conoscenza o consapevolezza, ma poiché la sola consapevolezza che sorge e sprofonda è la mente o ego, questo è ciò che egli intende chiaramente con questo termine in questo contesto.

Ciò che egli intende dicendo ‘உலகு அறிவு தன்னால் ஒளிரும்’ ( ulahu aṟivu-taṉṉāl oḷirum), ‘il mondo risplende per mezzo della mente’, è che l’esistenza apparente del mondo è illuminata o resa percepibile dalla consapevolezza che la mente ha di esso, o in altre parole, che esso sembra esistere solo essendo percepito dalla mente. Quindi, poiché esso risplende per mezzo della mente, non risplende o sembra esistere in assenza della mente. Poiché esso è solo un’apparenza illusoria, non esiste realmente, ma sembra esistere solo perché noi (come questo ego o mente) lo vediamo.

Tuttavia, non solo questo mondo è soltanto un’apparenza illusoria, ma lo è anche questo ego o mente, perché come qualunque mondo che esso percepisce, sorge (appare) e sprofonda (scompare), così è solo temporaneo e quindi non reale. Ciò che è reale è solo quello che non compare o scompare, e che quindi la sola base o fondamento per la comparsa e la scomparsa dell’ego e di tutto ciò che esso percepisce, come Bhagavan dice nella frase finale di questo verso: ‘உலகு அறிவு தோன்றி மறைதற்கு இடன் ஆய் தோன்றி மறையாது ஒளிரும் பூன்றம் ஆம் அஃதே பொருள்’ ( ulahu aṟivu tōṉḏṟi maṟaidaṟku iḍaṉ-āy tōṉḏṟi maṟaiyādu oḷirum pūṉḏṟam ām aḵdē poruḷ), ‘Solo quello che risplende senza apparire o scomparire come la base per l’apparizione e la scomparsa del mondo e della mente è poruḷ [la reale sostanza], che è pūṉḏṟam [il tutto infinito o pūrṇa]’.

12. Uḷḷadu Nāṟpadu verso 22 (versione kaliveṇbā): il nostro sé reale dà luce alla mente, la quale vede ogni cosa

Sebbene la mente è ciò che illumina l’apparenza sia di sé stessa che del mondo, essa non risplende di luce propria ma solo per la luce del nostro sé reale, come Bhagavan indica nel verso 22 di Uḷḷadu Nāṟpadu:
                              […] எவையுங் — காணு
மதிக்கொளி தந்தம் மதிக்கு ளொளிரு
மதியினை யுள்ளே மடக்கிப் — பதியிற்
பதித்திடுத லன்றிப் பதியை மதியான்
மதித்திடுக லெங்ஙன் மதியாய் […]

                              […]evaiyuṅ — kāṇu
matikkoḷi tandam matikku ḷoḷiru
matiyiṉai yuḷḷē maḍakkip — patiyiṯ
padittiḍuda laṉḏṟip patiyai matiyāṉ
matittiḍuda leṅṅaṉ matiyāy
[...]

பதச்சேதம்: எவையும் காணும் மதிக்கு ஒளி தந்து, அம் மதிக்குள் ஒளிரும் மதியினை உள்ளே மடக்கி பதியில் பதித்திடுதல் அன்றி, பதியை மதியால் மதித்திடுதல் எங்ஙன்? மதியாய்.

Padacchēdam (separazione delle parole): evaiyum kāṇum matikku oḷi tandu, am-matikkuḷ oḷirum matiyiṉai uḷḷē maḍakki patiyil padittiḍudal aṉḏṟi, patiyai matiyāl matittiḍudal eṅṅaṉ? matiyāy.

அன்வயம்: எவையும் காணும் மதிக்கு ஒளி தந்து, அம் மதிக்குள் ஒளிரும் பதியில் மதியினை உள்ளே மடக்கி பதித்திடுதல் அன்றி, பதியை மதியால் மதித்திடுதல் எங்ஙன்? மதியாய்.

Anvayam (parole ridisposte in ordine naturale di prosa): evaiyum kāṇum matikku oḷi tandu, am-matikkuḷ oḷirum patiyil matiyiṉai uḷḷē maḍakki padittiḍudal aṉḏṟi, patiyai matiyāl matittiḍudal eṅṅaṉ? matiyāy.

Traduzione: Considera, tranne che rivolgendo la mente all’interno [e con questo] immergendola completamente in Dio, che risplende dentro quella mente dando luce alla mente, che vede ogni cosa, come conoscere Dio con la mente?
Ciò a cui Bhagavan si riferisce in questo verso come மதி ( mati), che significa mente o intelletto, è ciò a cui egli si riferisce nel verso 6 come மனம் ( maṉam), la mente, nel verso 7 come அறிவு ( aṟivu), la consapevolezza che sorge e sprofonda, nel verso 23 come ‘நான் ஒன்று’ ( nāṉ oṉḏṟu), ‘un io’, nel verso 24 come ‘நான் ஒன்று’ ( nāṉ oṉḏṟu), ‘un io’, சித்சடக்கிரந்தி ( cit-jaḍa-granthi), il nodo formato dal groviglio della consapevolezza con ciò che è insenziente, சீவன் ( jīvaṉ), l’anima, அகந்தை ( ahandai), l’ego, மனம் ( maṉam), la mente, e così via, e nei versi 25 e 26 come அகந்தை ( ahandai), l’ego.

In questa versione kaliveṇbā del verso 22, prima della prima parola, மதிக்கு ( matikku), che significa ‘alla mente’, egli ha aggiunto una proposizione relativa, ‘எவையும் காணும்’ ( evaiyum kāṇum), che significa ‘che vede ogni cosa’, affermando quindi esplicitamente che questa mente o ego è ciò che vede, o è consapevole di ogni cosa. Ogni cosa che essa vede è insenziente ( jaḍa), e il motivo per cui essa è in grado di vedere ogni cosa è che essa stessa è una mescolanza aggrovigliata di consapevolezza ( cit) e aggiunte insenzienti, come qualunque corpo essa attualmente sperimenta come sé stessa, che è il motivo per cui è chiamata cit-jaḍa-granthi, il nodo ( granthi) formato dal groviglio di questi due elementi contrari, cit e jaḍa.

Se non fossimo consapevoli di noi stessi come una forma jaḍa, non saremmo consapevoli di alcun fenomeno, perché tutti i fenomeni sono forme jaḍa, e come Bhagavan chiede retoricamente nel verso 4, ‘உருவம் தான் அன்றேல், உவற்றின் உருவத்தை கண் உறுதல் யாவன்? எவன்?’ ( uruvam tāṉ aṉḏṟēl, uvaṯṟiṉ uruvattai kaṇ uṟudal yāvaṉ? evaṉ?), ‘Se sé stesso non è una forma, chi può vedere le loro forme, e come [farlo]?’ Ciò che è consapevole di noi stessi come la forma di un corpo jaḍa non è noi stessi come siamo realmente ma solo noi stessi come questo ego, così è solo come questo ego che possiamo essere consapevoli di qualsiasi forma o fenomeno – cioè, ogni cosa diversa da noi stessi. Come siamo realmente, non siamo consapevoli di nient’altro che noi stessi, perché siamo senza forma e quindi non possiamo vedere alcuna forma.

Per vedere noi stessi come siamo realmente, abbiamo bisogno di rivolgere la nostra mente (la nostra attenzione) all’interno e di immergerla completamente nella nostra sorgente, che è ciò che siamo realmente, vale a dire pura auto-consapevolezza, e che è ciò a cui Bhagavan si riferisce in questo verso come பதி ( pati), Signore o Dio. Quando immergiamo in tal modo la nostra mente nella pura auto-consapevolezza, essa annegherà e sarà perduta per sempre, e poiché essa solo è ciò che vede ogni cosa, da allora in poi non saremo mai più consapevoli di qualsiasi cosa diversa da noi stessi.

La consapevolezza o ‘luce’ con cui, come questa mente o ego, vediamo ogni cosa è chiamata cidābhāsa, una copia, somiglianza, riflesso o falsa apparenza di consapevolezza, perché essa non è la nostra consapevolezza originale ( cit) ma solo un riflesso o una somiglianza di essa. Per mezzo di questa luce riflessa siamo in grado di vedere ogni cosa diversa da noi stessi, ma non possiamo vedere ciò che siamo realmente, perché ciò che siamo realmente è la luce originale della quale questa mente è solo un riflesso, così se rivolgiamo la nostra mente all’interno per vedere noi stessi, la sorgente dalla quale essa deriva la luce, questa mente si dissolverà e scomparirà nella sua sorgente, proprio come un raggio di sole riflesso da uno specchio in una caverna oscura scomparirà appena la luce brillante del sole risplenderà direttamente nella caverna.

13. Guru Vācaka Kōvai verso 114: nella luce brillante della pura auto-consapevolezza, la falsa apparenza dell’ego, il mondo e Dio svaniranno

Cioè, sebbene il nostro sé reale ( ātma-svarūpa) è la luce di consapevolezza originale che dà alla mente la consapevolezza riflessa con la quale essa vede ogni cosa, il nostro sé reale non vede qualsiasi cosa diversa da sé stesso, perché essendo ciò che è reale, può vedere solo ciò che è reale, e ciò che è reale è solo sé stesso come è realmente e non sé stesso come tutte le forme o fenomeni illusori che sembra essere nella visione illusa di noi stessi come questo ego o mente. Quindi quando la luce riflessa della nostra mente si rivolge all’interno per vedere la propria sorgente e a causa di ciò affoga e si fonde per sempre nella luce infinita di pura auto-consapevolezza, la percezione di ogni altra cosa cesserà, proprio come l’apparenza di immagini su uno schermo cinematografico scomparirebbero se la luce brillante del sole inondasse l’interno del cinema, inghiottendo sia la luce limitata del proiettore sia lo sfondo di oscurità in cui essa stava risplendendo, come Bhagavan dice nel verso 114 di Guru Vācaka Kōvai:
சின்னவொளி பேரொளியிற் சேர்ந்தொழியி லவ்வொளியிற்
றுன்னுபடக் காட்சி தொலைந்தாங்கே — மன்னியமெய்ச்
சித்தொளியிற் சித்தவொளி சேர்ந்தொழியிற் றீர்ந்தொழியும்
முத்திறப்பொய்க் காட்சி முடிந்து.

ciṉṉavoḷi pēroḷiyiṯ cērndoṙiyi lavvoḷiyiṟ
ṟuṉṉupaḍak kāṭci tolaindāṅgē — maṉṉiyameyc
cittoḷiyiṯ cittavoḷi sērndoṙiyiṯ ṟīrndoṙiyum
muttiṟappoyk kāṭci muḍindu
.

பதச்சேதம்: சின்ன ஒளி பேர் ஒளியில் சேர்ந்து ஒழியில், அவ் ஒளியில் துன்னு படக் காட்சி தொலைந்து ஆங்கே, மன்னிய மெய் சித்து ஒளியில் சித்த ஒளி சேர்ந்து ஒழியில், தீர்ந்து ஒழியும் முத்திறப் பொய் காட்சி முடிந்து.

Padacchēdam (separazione delle parole): ciṉṉa oḷi pēr oḷiyil sērndu oṙiyil, a-vv-oḷiyil tuṉṉu paḍa-k-kāṭci tolaindu āṅgē, maṉṉiya mey cittu oḷiyil citta oḷi sērndu oṙiyil, tīrndu oṙiyum mu-t-tiṟa-p poy kāṭci muḍindu.

அன்வயம்: சின்ன ஒளி பேர் ஒளியில் சேர்ந்து ஒழியில், அவ் ஒளியில் துன்னு படக் காட்சி தொலைந்து ஆங்கே, மன்னிய மெய் சித்து ஒளியில் சித்த ஒளி சேர்ந்து ஒழியில், முத்திறப் பொய் காட்சி முடிந்து தீர்ந்து ஒழியும்.

Anvayam (parole ridisposte in ordine naturale di prosa): ciṉṉa oḷi pēr oḷiyil sērndu oṙiyil, a-vv-oḷiyil tuṉṉu paḍa-k-kāṭci tolaindu āṅgē, maṉṉiya mey cittu oḷiyil citta oḷi cērndu oṙiyil, mu-t-tiṟa-p poy kāṭci muḍindu tīrndu oṙiyum.

Traduzione: Proprio come se la piccola luce [da un proiettore cinematografico] si fonde e muore nella vasta luce [del sole], la rappresentazione di immagini che appariva in quella [piccola] luce cesserà, se la luce della mente si fonde e muore nella reale luce di consapevolezza permanente, i tre tipi di falsa apparenza [vale a dire l’anima, il mondo e Dio] finiranno, cesseranno e moriranno.
Per enfatizzare e chiarire che dicendo questo Bhagavan intendeva farci comprendere che la falsa apparenza dell’ego, del mondo e di Dio saranno completamente e permanentemente annientati dalla brillante luce della pura auto-consapevolezza, nella proposizione finale di questo verso Muruganar ha usato tre verbi, vale a dire ‘முடிந்து தீர்ந்து ஒழியும்’ ( muḍindu tīrndu oṙiyum), che tutti significano più o meno lo stesso, vale a dire finire, cessare, sparire, perire, espirare, morire, essere distrutto, essere annientato, essere terminato o divenire estinto, da cui possiamo dedurre che ogni cosa diversa dal nostro sé reale ( ātma-svarūpa), che è la reale luce di consapevolezza, appare solo nella luce limitata della consapevolezza mischiata ad aggiunte dell’ego e non nella luce infinita della pura consapevolezza.

14. Uḷḷadu Nāṟpadu verso 9: se guardiamo all’interno per vedere cosa è questo ego, tutte le diadi e le triadi cesseranno di esistere

Ogni fenomeno (cioè, ogni cosa diversa dalla pura auto-consapevolezza che siamo realmente) ha certe caratteristiche che lo definiscono e lo distinguono da ogni altro fenomeno, e ogni caratteristica ha un opposto, così la totalità di tutti i fenomeni consiste di innumerevoli coppie di opposti o ‘diadi’, che sono chiamate द्वंद्व ( dvaṁdva) o द्वन्द्व ( dvandva) in Sanscrito e இரட்டை ( iraṭṭai) in Tamil. Poiché tutte queste diadi e i fenomeni che sono costituiti da esse sono percepiti in un modo o in un altro, la percezione o consapevolezza di essi comporta tre fattori, vale a dire un percettore (il soggetto percipiente), ciò che è percepito (l’oggetto percepito) e la percezione del secondo da parte del primo, che insieme formano una ‘triade’, che è chiamata त्रिपुटि ( tripuṭi) in Sanscrito e முப்புடி ( muppuḍi) in Tamil.

Poiché nessun fenomeno potrebbe essere percepito senza un percettore, l’apparenza di tutte queste diadi e triadi dipendono dall’ego, che è il percettore di esse, e quindi se l’ego cessa di esistere tutte queste diadi e triadi e i fenomeni che sono da esse costituiti anche cesseranno di esistere, come Bhagavan dice nel verso 9 di Uḷḷadu Nāṟpadu:
இரட்டைகண் முப்புடிக ளென்றுமொன்று பற்றி
யிருப்பவா மவ்வொன்றே தென்று — கருத்தினுட்
கண்டாற் கழலுமவை கண்டவ ரேயுண்மை
கண்டார் கலங்காரே காண்.

iraṭṭaigaṇ muppuḍiga ḷeṉḏṟumoṉḏṟu paṯṟi
yiruppavā mavvoṉḏṟē teṉḏṟu — karuttiṉuṭ
kaṇḍāṯ kaṙalumavai kaṇḍava rēyuṇmai
kaṇḍār kalaṅgārē kāṇ
.

பதச்சேதம்: இரட்டைகள் முப்புடிகள் என்றும் ஒன்று பற்றி இருப்பவாம். அவ் ஒன்று ஏது என்று கருத்தின் உள் கண்டால், கழலும் அவை. கண்டவரே உண்மை கண்டார்; கலங்காரே. காண்.

Padacchēdam (separazione delle parole): iraṭṭaigaḷ muppuḍigaḷ eṉḏṟum oṉḏṟu paṯṟi iruppavām. a-vv-oṉḏṟu ēdu eṉḏṟu karuttiṉ-uḷ kaṇḍāl, kaṙalum avai. kaṇḍavarē uṇmai kaṇḍār; kalaṅgārē. kāṇ.

அன்வயம்: இரட்டைகள் முப்புடிகள் என்றும் ஒன்று பற்றி இருப்பவாம். அவ் ஒன்று ஏது என்று கருத்தின் உள் கண்டால், அவை கழலும். கண்டவரே உண்மை கண்டார்; கலங்காரே. காண்.

Anvayam (parole ridisposte in ordine naturale di prosa): iraṭṭaigaḷ muppuḍigaḷ eṉḏṟum oṉḏṟu paṯṟi iruppavām. a-vv-oṉḏṟu ēdu eṉḏṟu karuttiṉ-uḷ kaṇḍāl, avai kaṙalum. kaṇḍavarē uṇmai kaṇḍār; kalaṅgārē. kāṇ.

Traduzione: Le diadi e le triadi esistono aggrappandosi sempre a uno. Se uno guarda all’interno della mente [per vedere] ciò che uno è, esse cesseranno di esistere. Solo coloro che hanno visto [questo] hanno visto la realtà. Vedi, essi non saranno confusi.
L’’uno’ ( oṉḏṟu) a cui Bhagavan si riferisce qui è l’ego, che è ciò che percepisce ogni altra cosa, ma se noi (questo ego) guardiamo all’interno di noi stessi per vedere cosa siamo realmente, cesseremo di esistere come questo ego, e quindi ogni altra cosa (tutte le diadi e le triadi) anche cesseranno di esistere, e ciò che allora rimarrà sarà solo l’infinita auto-consapevolezza che siamo realmente, che come Bhagavan dice nel verso 7 ‘risplende senza apparire o scomparire come la base per la comparsa e la scomparsa del mondo e della mente’. Solo vedere noi stessi come questa fondamentale auto-consapevolezza è vedere ciò che è reale, e quando vediamo questo non saremo mai più confusi, illusi o disturbati dall’apparenza illusoria di qualsiasi diade o triade, come Bhagavan intende qui quando dice, ‘கண்டவரே உண்மை கண்டார்; கலங்காரே’ ( kaṇḍavarē uṇmai kaṇḍār; kalaṅgārē), che significa, ‘Solo color che hanno visto [questo] hanno visto la realtà; essi non saranno confusi [disorientati, agitati o disturbati]’.

Poiché la percezione o consapevolezza di qualsiasi cosa diversa da noi stessi (qualsiasi forma o fenomeno) comporta la triade di base ( tripuṭi) di noi stessi come il percettore, un’altra cosa come ciò che è percepito, e la propria percezione di esso, quando Bhagavan dice in questo verso ‘அவ் ஒன்று ஏது என்று கருத்தின் உள் கண்டால், கழலும் அவை’ ( a-vv-oṉḏṟu ēdu eṉḏṟu karuttiṉ-uḷ kaṇḍāl, kaṙalum avai), ‘Se uno guarda all’interno della mente [per vedere] cosa è quell’uno [l’ego], esse [tutte le diadi e le triadi] cesseranno di esistere’, egli intende chiaramente che quando l’ego è annientato dall’auto-investigazione, ogni altra cosa che era prima percepita e la percezione di tutte queste cose cesseranno di esistere insieme con esso. Senza questa triadi di percettore, percepito e percezione, niente altro che sé stesso può esistere, così poiché noi come siamo realmente non possiamo essere un membro di tale triade transitoria – perché noi solo siamo ciò che esiste realmente ed esistiamo per sempre, a differenza del percettore, che appare e scompare insieme con qualunque cosa esso percepisce – ci dovrebbe essere chiaro che il percettore di qualsiasi cosa diversa da noi stessi può solo essere noi stessi come questo ego transitorio e non noi stessi come siamo realmente.

15. Uḷḷadu Nāṟpadu verso 11: quando conosceremo la non-esistenza dell’ego, conoscenza ed ignoranza di ogni altra cosa cesseranno

Una delle diadi o coppie di opposti più fondamentale è conoscenza (consapevolezza) e ignoranza (non-consapevolezza) di qualsiasi fenomeno particolare, perché appena giungiamo a conoscere o ad essere consapevoli di qualsiasi cosa diversa da noi stessi, anche giungiamo a conoscere che prima eravamo ignoranti o non consapevoli di ciò. Quindi, come Bhagavan dice nel verso 10 di Uḷḷadu Nāṟpadu, ‘அறியாமை விட்டு, அறிவு இன்று ஆம்; அறிவு விட்டு, அவ் வறியாமை இன்று ஆகும்’ ( aṟiyāmai viṭṭu, aṟivu iṉḏṟu ām; aṟivu viṭṭu, a-vv-aṟiyāmai iṉḏṟu āhum), ‘Senza ignoranza, la conoscenza non esiste; senza conoscenza, quell’ignoranza non esiste’ poiché nessun fenomeno esiste indipendentemente dalla nostra consapevolezza di esso, e quindi la nostra ignoranza di esso (il fatto che prima non eravamo consapevoli di esso) ha origine solo quando la nostra conoscenza o consapevolezza di esso ha origine, e la nostra conoscenza di esso non potrebbe avere origine senza che la nostra precedente ignoranza di esso abbia origine simultaneamente.

Poiché ciò che conosce o è consapevole di qualsiasi fenomeno è solo l’ego, la conoscenza e l’ignoranza di essi è una caratteristica solo di questo ego e non del nostro sé reale, nella cui chiara visione nessun fenomeno esiste per essere conosciuto o non conosciuto. Tuttavia, nonostante possa conoscere o non conoscere qualunque altra, questo ego non conosce ciò che esso stesso è, e non conoscere questo è reale ignoranza, come Bhagavan spiega nel verso 11 di Uḷḷadu Nāṟpadu:
அறிவுறுந் தன்னை யறியா தயலை
யறிவ தறியாமை யன்றி — யறிவோ
வறிவயற் காதாரத் தன்னை யறிய
வறிவறி யாமை யறும்.

aṟivuṟun taṉṉai yaṟiyā dayalai
yaṟiva daṟiyāmai yaṉḏṟi — yaṟivō
vaṟivayaṟ kādhārat taṉṉai yaṟiya
vaṟivaṟi yāmai yaṟum
.

பதச்சேதம்: அறிவு உறும் தன்னை அறியாது அயலை அறிவது அறியாமை; அன்றி அறிவோ? அறிவு அயற்கு ஆதார தன்னை அறிய, அறிவு அறியாமை அறும்.

Padacchēdam (separazione delle parole): aṟivu-uṟum taṉṉai aṟiyādu ayalai aṟivadu aṟiyāmai; aṉḏṟi aṟivō? aṟivu ayaṟku ādhāra taṉṉai aṟiya, aṟivu aṟiyāmai aṟum.

Traduzione: Non conoscendo sé stesso, che conosce, conoscere altre cose è ignoranza; tranne [quello], può ciò essere conoscenza? Quando uno conosce sé stesso, la base per la conoscenza e l’altra [l’ignoranza], conoscenza e ignoranza cesseranno.
Ciò a cui Bhagavan si riferisce qui come ‘அறிவு உறும் தன்னை’ ( aṟivu-uṟum taṉṉai), ‘sé stesso che conosce’, è l’ego, perché in questo contesto ‘che conosce’ implica ‘che conosce altre cose’, e ciò che conosce qualsiasi cosa diversa da sé stesso è solo l’ego. Nello stesso modo, ciò a cui egli si riferisce come அறிவு அயற்கு ஆதார தன்னை’ ( aṟivu ayaṟku ādhāra taṉṉai), ‘sé stesso, la base per la conoscenza e l’altra [l’ignoranza]’, è di nuovo l’ego, perché esso solo è l’ ādhāra o base sia per la conoscenza che per l’ignoranza di altre cose, poiché tali conoscenza e ignoranza sembrano esistere solo nella sua visione auto-ignorante.

Quindi il motivo per cui egli dice, ‘அறிவு அயற்கு ஆதார தன்னை அறிய, அறிவு அறியாமை அறும்’ ( aṟivu ayaṟku ādhāra taṉṉai aṟiya, aṟivu aṟiyāmai aṟum), che significa ‘Quando uno conosce sé stesso, la base per la conoscenza e l’altra [l’ignoranza], conoscenza e ignoranza cesseranno’, è che quando conosciamo la non-esistenza dell’ego investigando ciò che siamo realmente, conoscenza ed ignoranza di altre cose cesseranno di esistere, perché esse sembrano esistere solo nella visione auto-illusa di noi stessi come questo ego e non nella chiara visione di noi stessi come siamo realmente, come egli spiega nel verso successivo.

16. Uḷḷadu Nāṟpadu verso 12: la reale consapevolezza è il nostro vero sé, che risplende senza qualsiasi altra cosa da conoscere o da fare conoscere

Come siamo realmente, siamo solo pura consapevolezza – cioè, consapevolezza che è incontaminata dalla consapevolezza di qualsiasi cosa diversa da sé stessa, perché nella sua chiara visione niente altro che sé stessa esiste o anche sembra esistere per essere da essa conosciuto, come Bhagavan spiega nel verso 12 di Uḷḷadu Nāṟpadu:
அறிவறி யாமையு மற்றதறி வாமே
யறியும துண்மையறி வாகா — தறிதற்
கறிவித்தற் கன்னியமின் றாயவிர்வ தாற்றா
னறிவாகும் பாழன் றறி.

aṟivaṟi yāmaiyu maṯṟadaṟi vāmē
yaṟiyuma duṇmaiyaṟi vāhā — daṟitaṟ
kaṟivittaṟ kaṉṉiyamiṉ ḏṟāyavirva dāṯṟā
ṉaṟivāhum pāṙaṉ ṟaṟi
.

பதச்சேதம்: அறிவு அறியாமையும் அற்றது அறிவு ஆமே. அறியும் அது உண்மை அறிவு ஆகாது. அறிதற்கு அறிவித்தற்கு அன்னியம் இன்றாய் அவிர்வதால், தான் அறிவு ஆகும். பாழ் அன்று. அறி.

Padacchēdam (separazione delle parole): aṟivu aṟiyāmaiyum aṯṟadu aṟivu āmē. aṟiyum adu uṇmai aṟivu āhādu. aṟidaṟku aṟivittaṟku aṉṉiyam iṉḏṟāy avirvadāl, tāṉ aṟivu āhum. pāṙ aṉḏṟu. aṟi.

Traduzione: Quello che è privo di conoscenza e ignoranza o realmente conoscenza. Quello che conosce non è reale conoscenza [o consapevolezza]. Poiché esso risplende senza un altro da conoscere o da rendere conosciuto, sé stesso è [reale] conoscenza [o consapevolezza]. Sappi che non è un vuoto.

Come Bhagavan dice nella prima frase del settimo paragrafo di Nāṉ Yār?, ‘யதார்த்தமா யுள்ளது ஆத்மசொரூப மொன்றே’ ( yathārtham-āy uḷḷadu ātma-sorūpam oṉḏṟē), ‘Ciò che esiste realmente è solo ātma-svarūpa [il nostro sé reale]’, così quando siamo consapevoli di noi stessi come siamo realmente, siamo consapevoli soltanto di noi stessi, poiché niente altro esiste di cui possiamo essere consapevoli. E’ solo quando sorgiamo come questo ego che altre cose sembrano esistere, e finché esse sembrano esistere, possiamo conoscere o essere ignoranti di ciascuna di esse.

Quindi conoscenza e ignoranza di altre cose sono possibili per noi solo come l’ego e non per noi come siamo realmente, perché per noi come siamo realmente non c’è niente altro da conoscere o non conoscere. Quindi ciò a cui Bhagavan si riferisce nella prima frase di questo verso come ‘அறிவு அறியாமையும் அற்றது’ ( aṟivu aṟiyāmaiyum aṯṟadu), ‘quello che è privo di conoscenza e ignoranza’, è il nostro sé reale ( ātma-svarūpa), che egli dice è realmente conoscenza o consapevolezza, intendendo quindi che solo esso è reale conoscenza o consapevolezza.

La consapevolezza di qualsiasi cosa diversa da noi stessi è ciò che Bhagavan chiamava சுட்டறிவு ( suṭṭaṟivu), che significa letteralmente consapevolezza che ‘indica’ o che ‘mostra’ e che quindi implica una consapevolezza transitiva o conoscitrice di oggetti. Quindi ciò che egli intende in questa prima frase è che la reale consapevolezza ( aṟivu) è solo pura consapevolezza intransitiva – cioè, consapevolezza intransitiva che è priva di qualsiasi consapevolezza transitiva e perciò di ogni ignoranza transitiva (cioè, consapevolezza e non-consapevolezza di qualsiasi cosa diversa da sé stessi).

Per enfatizzare questo punto, nella versione kaliveṇbā di questo verso egli ha esteso la prima frase aggiungendo all’inizio l’avverbio intensificato அறவே ( aṟavē), che significa completamente, assolutamente o interamente, e che qualifica அற்றது (aṯṟadu), ‘quello che è privo di’. Perciò la forma estesa di questa frase ‘அறவே அறிவு அறியாமையும் அற்றது அறிவு ஆமே’ ( aṟavē aṟivu aṟiyāmaiyum aṯṟadu aṟivu āmē), che significa ‘Quello che è completamente privo di conoscenza e ignoranza è realmente conoscenza [o consapevolezza]’, e che quindi implica che la reale consapevolezza o conoscenza è completamente priva di qualsiasi conoscenza o ignoranza (consapevolezza o non-consapevolezza) di qualsiasi cosa diversa da sé stessa, poiché niente altro che sé stessa esiste realmente perché essa sia consapevole o non consapevole di ciò (come egli dice nella terza frase, che in seguito considereremo in maggiore dettaglio).

Poi nella seconda frase egli dice, ‘அறியும் அது உண்மை அறிவு ஆகாது’ (aṟiyum adu uṇmai aṟivu āhādu), che significa ‘Quello che conosce non è reale conoscenza [o consapevolezza]’. In questo contesto ciò che egli intende con ‘அறியும் அது’ (aṟiyum adu), che significa ‘quello che conosce’ o ‘quello che è consapevole’, è ‘சுட்டறியும் அது’ (suṭṭaṟiyum adu), ‘quello che è transitivamente consapevole’ o ‘quello che conosce cose diverse da sé stesso’. Poiché ciò che è transitivamente consapevole (cioè, consapevole di qualsiasi cosa diversa da sé stesso) è solo l’ego, l’implicazione di questa frase è che l’ego non è vera conoscenza o reale consapevolezza. Questo è il motivo per cui esso è chiamato cidābhāsa, una copia, somiglianza, riflesso o falsa apparenza di consapevolezza.

Il fatto che solo la pura consapevolezza intransitiva è reale consapevolezza è enfatizzato da Bhagavan anche più esplicitamente nella terza frase: ‘அறிதற்கு அறிவித்தற்கு அன்னியம் இன்றாய் அவிர்வதால், தான் அறிவு ஆகும்’ ( aṟidaṟku aṟivittaṟku aṉṉiyam iṉḏṟāy avirvadāl, tāṉ aṟivu āhum), che significa ‘Poiché essa risplende senza un altro da conoscere o da rendere conosciuto, sé stesso è [reale] conoscenza [o consapevolezza]’. Cioè, come siamo realmente noi solo esistiamo, così niente altro esiste per poterlo conoscere o per renderlo conosciuto, che implica che ciò che causa la conoscenza di altre cosa da parte dell’ego non è il nostro sé reale ma solo l’auto-ignoranza dell’ego. In effetti, poiché niente altro esiste nella chiara consapevolezza che siamo realmente, non c’è solo niente altro da conoscere ma anche niente altro – nessun ego – per conoscere qualsiasi altra cosa o per essere indotto a conoscere qualsiasi altra cosa.

Tuttavia, sebbene la reale consapevolezza che siamo realmente è completamente priva di qualsiasi conoscenza o ignoranza di qualunque cosa diversa da sé stessa, incluso qualsiasi ego per conoscere o per essere ignorante di qualunque altra cosa, Bhagavan dice che esso non è un vuoto. Ciò che è vuoto o non esistente è solo l’ego e tutte le altre cose che sembrano esistere solo nella sua visione, perché ciò che siamo realmente è l’infinita e indivisibile pienezza di sat-cit-ānanda – essere, consapevolezza e beatitudine – poiché questo solo esiste e risplende eternamente come è.

17. Uḷḷadu Nāṟpadu verso 13: ciò che è consapevole della molteplicità non è reale consapevolezza ma solo ignoranza

Poiché niente altro che la reale consapevolezza esiste realmente, essa non è consapevole di alcuna cosa tranne che è stessa, come Bhagavan spiega nella terza frase del verso precedente: ‘அறிதற்கு அறிவித்தற்கு அன்னியம் இன்றாய் அவிர்வதால், தான் அறிவு ஆகும்’ ( aṟidaṟku aṟivittaṟku aṉṉiyam iṉḏṟāy avirvadāl, tāṉ aṟivu āhum), ‘Poiché esso risplende senza un altro da conoscere o da fare conoscere, sé stesso è [reale] conoscenza [o consapevolezza]’. Quindi ciò che è consapevole di qualsiasi cosa diversa da sé stesso non è reale consapevolezza ma solo ignoranza, come egli intende nel verso 13 di Uḷḷadu Nāṟpadu:
ஞானமாந் தானேமெய் நானாவா ஞானமஞ்
ஞானமாம் பொய்யாமஞ் ஞானமுமே — ஞானமாந்
தன்னையன்றி யின்றணிக டாம்பலவும் பொய்மெய்யாம்
பொன்னையன்றி யுண்டோ புகல்.

ñāṉamān tāṉēmey nāṉāvā ñāṉamañ
ñāṉamām poyyāmañ ñāṉamumē — ñāṉamān
taṉṉaiyaṉḏṟi yiṉḏṟaṇika ḍāmpalavum poymeyyām
poṉṉaiyaṉḏṟi yuṇḍō puhal
.

பதச்சேதம்: ஞானம் ஆம் தானே மெய். நானா ஆம் ஞானம் அஞ்ஞானம் ஆம். பொய் ஆம் அஞ்ஞானமுமே ஞானம் ஆம் தன்னை அன்றி இன்று. அணிகள் தாம் பலவும் பொய்; மெய் ஆம் பொன்னை அன்றி உண்டோ? புகல்.

Padacchēdam (separazione delle parole): ñāṉam ām tāṉē mey. nāṉā ām ñāṉam aññāṉam ām. poy ām aññāṉamumē ñāṉam ām taṉṉai aṉḏṟi iṉḏṟu. aṇikaḷ tām palavum poy; mey ām poṉṉai aṉḏṟi uṇḍō? puhal.

Traduzione: Solo il sé, che è jñāna [conoscenza o consapevolezza], è reale. La conoscenza [o consapevolezza] che è molti è ignoranza. Anche l’ignoranza, che è irreale, non esiste oltre al sé, che è conoscenza [o consapevolezza]. Tutti i molti ornamenti sono irreali; dimmi, essi esistono oltre all’oro, che è reale?
Come Bhagavan intende nella prima frase di questo verso, c’è solo una cosa che è reale, vale a dire noi stessi, e ciò che noi siamo realmente è solojñāna, che in questo contesto significa consapevolezza, ma poiché noi solo siamo reali, noi siamo la consapevolezza che è consapevole solo di sé stessa e non di qualsiasi altra cosa, perché ciò che è reale può conoscere solo ciò che è reale, e ciò che è irreale può conoscere solo ciò che è irreale. Poiché la consapevolezza di qualsiasi altra cosa comporta almeno due cose, vale a dire soggetto (ciò che è consapevole di quell’altra cosa) e un oggetto (l’altra cosa di cui esso è consapevole), Bhagavan si riferisce a questa consapevolezza come ‘நானாவாம் ஞானம்’ ( nāṉā-v-ām ñāṉam), che significa ‘jñāna [conoscenza o consapevolezza] che è molti’.

Ciò che è consapevole di più di quell’unica cosa è solo l’ego, così sia esso che la sua consapevolezza di altre cose sono ciò che Bhagavan descrive qui come ‘நானாவாம் ஞானம்’ ( nāṉā-v-ām ñāṉam), ‘consapevolezza che è molti’, che egli dice è ignoranza (ajñāna), intendendo con questo che essa non è reale consapevolezza ( jñāna o cit) ma solo un’immagine di essa: cidābhāsa.

In una prima versione di questo verso, che è ora il verso 12 di Upadēśa Taṉippākkaḷ, invece di ‘நானாவாம் ஞானம்’ ( nāṉā-v-ām ñāṉam), ‘consapevolezza che è molti’, Bhagavan ha usato il termine ‘நானாவாய் காண்கின்ற ஞானம்’ (nāṉā-v-āy kāṇgiṉḏṟa ñāṉam), che significa ‘consapevolezza (jñāna) che vede come molti’, ed egli dice che l’ignoranza (ajñāna) non è niente altro che quello. La ‘consapevolezza che vede come molti’ è l’ego, e ciò che esso vede come molti è solo noi stessi, che siamo pura consapevolezza, perché niente altro che noi stessi esiste realmente perché esso lo veda come molti.

Così in questo verso (il verso 12 di Upadēśa Taṉippākkaḷ e il verso 13 di Uḷḷadu Nāṟpadu) Bhagavan dice inequivocabilmente che ciò che è reale è solo noi stessi, che è jñāna (consapevolezza), e che ciò che vede questa unica cosa reale come molti è quindi non la reale consapevolezza ma solo l’ignoranza. Dicendo questo così chiaramente, egli non lascia spazio al dubbio che secondo lui ciò che è consapevole della molteplicità (ogni cosa diversa dall’unica consapevolezza reale che siamo realmente) non è noi stessi come siamo realmente ma solo noi stessi come questo ego che ora sembriamo essere.

18. Uḷḷadu Nāṟpadu verso 31: quando l’ego è distrutto da tanmayānanda, ciò che rimane non è consapevole di qualsiasi cosa diversa da sé stesso

Il fatto che come la reale consapevolezza che siamo realmente non siamo consapevoli di qualsiasi cosa diversa da noi stessi è anche inteso chiaramente da lui nel verso 31 di Uḷḷadu Nāṟpadu:
தன்னை யழித்தெழுந்த தன்மயா னந்தருக்
கென்னை யுளதொன் றியற்றுதற்குத் — தன்னையலா
தன்னிய மொன்று மறியா ரவர்நிலைமை
யின்னதென் றுன்ன லெவன்.

taṉṉai yaṙitteṙunda taṉmayā ṉandaruk
keṉṉai yuḷadoṉ ḏṟiyaṯṟudaṟkut — taṉṉaiyalā
taṉṉiya moṉḏṟu maṟiyā ravarnilaimai
yiṉṉadeṉ ḏṟuṉṉa levaṉ
.

பதச்சேதம்: தன்னை அழித்து எழுந்த தன்மயானந்தருக்கு என்னை உளது ஒன்று இயற்றுதற்கு? தன்னை அலாது அன்னியம் ஒன்றும் அறியார்; அவர் நிலைமை இன்னது என்று உன்னல் எவன்?

Padacchēdam (separazione delle parole): taṉṉai aṙittu eṙunda taṉmaya-āṉandarukku eṉṉai uḷadu oṉḏṟu iyaṯṟudaṟku? taṉṉai alādu aṉṉiyam oṉḏṟum aṟiyār; avar nilaimai iṉṉadu eṉḏṟu uṉṉal evaṉ?

அன்வயம்: தன்னை அழித்து எழுந்த தன்மயானந்தருக்கு இயற்றுதற்கு என்னை ஒன்று உளது? தன்னை அலாது அன்னியம் ஒன்றும் அறியார்; அவர் நிலைமை இன்னது என்று உன்னல் எவன்?

Anvayam (parole ridisposte in ordine naturale di prosa): taṉṉai aṙittu eṙunda taṉmaya-āṉandarukku iyaṯṟudaṟku eṉṉai oṉḏṟu uḷadu? taṉṉai alādu aṉṉiyam oṉḏṟum aṟiyār; avar nilaimai iṉṉadu eṉḏṟu uṉṉal evaṉ?

Traduzione: Per coloro che sono [beatamente immersi e come] tanmayānanda [‘felicità composta di quello’, vale a dire il nostro sé reale], che è sorto [come ‘io sono io’] distruggendo loro stessi [l’ego], quale singola [azione] esiste da fare? Essi non conoscono [o sperimentano] qualsiasi cosa diversa da loro stessi; [così] chi può [o come] concepire il loro stato come ‘esso è tale’?
Sebbene in questo verso Bhagavan usa le forme plurali தன்மயானந்தர் (taṉmayāṉandar), che è un sostantivo personale formato da tanmayānanda e che quindi significa ‘coloro che sono tanmayānanda’ o ‘coloro che sono beatamente immersi in e come tanmayānanda’, அறியார் ( aṟiyār), che significa ‘essi non conoscono’, e அவர் ( avar), che significa ‘essi’ ma che in questo caso è usato nel senso di ‘loro’, egli non li usa in un senso plurale ma come un singolare onorifico, come è abitudine in Tamil, perché quando l’ego è distrutto ciò che rimane è solo l’unica reale auto-consapevolezza, che (come egli indica nella seconda frase di questo verso) non è mai consapevole di qualsiasi altro, poiché essa sola esiste realmente.

Ciò che gode tanmayānanda, che significa letteralmente ‘felicità composta di quello’ (in cui tat o ‘quello’ si riferisce a brahman, che è noi stessi come siamo realmente), non è niente altro che la stessa tanmayānanda, perché tanmayānanda è la nostra reale natura, che è pura auto-consapevolezza o sat-cit-ānanda. Sebbene l’infinita tanmayānanda è ciò che siamo realmente, essa sembra oscurata finché sperimentiamo noi stessi come questo ego limitato, così Bhagavan la descrive qui usando la proposizione relativa ‘தன்னை அழித்து எழுந்த’ (taṉṉai aṙittu eṙunda), che significa ‘che è sorto distruggendo sé stesso’, in cui ‘தன்னை’ (taṉṉai), ‘sé stesso’ o (in questo caso per adattarsi alla forma plurale ma senso singolare di taṉmayāṉandar), ‘essi stessi’, si riferisce all’ego.

Quando l’ego è distrutto vedendo sé stesso come tanmayānanda, ciò che rimane è solo tanmayānanda, e per tanmayānanda non c’è niente da fare, perché non c’è niente altro che sé stesso, così nella prima frase di questo verso Bhagavan chiede retoricamente: ‘தன்னை அழித்து எழுந்த தன்மயானந்தருக்கு என்னை உளது ஒன்று இயற்றுதற்கு?’ (taṉṉai aṙittu eṙunda taṉmaya-āṉandarukku eṉṉai uḷadu oṉḏṟu iyaṯṟudaṟku?), ‘Per coloro che sono [immersi in e come] tanmayānanda, che è sorto distruggendo loro stessi, quale singola [azione] esiste da fare?’

Nella seconda frase, che è la più significativa nel contesto di questo articolo, egli dice inequivocabilmente: ‘தன்னை அலாது அன்னியம் ஒன்றும் அறியார்’ (taṉṉai alādu aṉṉiyam oṉḏṟum aṟiyār), che significa ‘Essi non conoscono [o non sono consapevoli di] qualsiasi cosa diversa da loro stessi’. In questo contesto ‘essi’ si riferisce direttamente a ‘coloro che sono [immersi in e come] tanmayānanda’, e quindi implicitamente si riferisce a brahman, che è la nostra vera natura o sé reale (ātma-svarūpa), perché tanmayānanda è la natura di brahman, e ciò che sperimenta brahman è solo lo stesso brahman, come Bhagavan intende quando dice nel verso 26 di Upadēśa Undiyār:
தானா யிருத்தலே தன்னை யறிதலாந்
தானிரண் டற்றதா லுந்தீபற
தன்மய நிட்டையீ துந்தீபற.

tāṉā yiruttalē taṉṉai yaṟidalān
tāṉiraṇ ḍaṯṟadā lundīpaṟa
taṉmaya niṭṭhaiyī dundīpaṟa
.

பதச்சேதம்: தானாய் இருத்தலே தன்னை அறிதல் ஆம், தான் இரண்டு அற்றதால். தன்மய நிட்டை ஈது.

Padacchēdam (separazione delle parole): tāṉ-āy iruttal-ē taṉṉai aṟidal ām, tāṉ iraṇḍu aṯṟadāl. taṉmaya niṭṭhai īdu.

அன்வயம்: தான் இரண்டு அற்றதால், தானாய் இருத்தலே தன்னை அறிதல் ஆம். ஈது தன்மய நிட்டை.

Anvayam (parole ridisposte in ordine naturale di prosa): tāṉ iraṇḍu aṯṟadāl, tāṉ-āy iruttal-ē taṉṉai aṟidal ām. īdu taṉmaya niṭṭhai.

Traduzione: Solo essere sé stessi è conoscere sé stessi, perché sé stessi non è due. Questo è tanmaya-niṣṭha [lo stato di essere fermamente stabiliti come tat, ‘esso’ o ‘quello’, l’unica realtà fondamentale chiamata brahman].
Cioè, essendo noi stessi stiamo conoscendo (o essendo consapevoli di) noi stessi, e conoscendo noi stessi stiamo essendo noi stessi, così ciò che è consapevole di noi stessi come siamo realmente è solo noi stessi come siamo realmente. Quindi l’ātma-jñāni (colui che è immerso in e come tanmayānanda) non è una persona ma solo il nostro sé reale (ātma-svarūpa), che è pura auto-consapevolezza (prajñāna), così quando Bhagavan dice in questo verso (il verso 31 di Uḷḷadu Nāṟpadu), ‘தன்னை அலாது அன்னியம் ஒன்றும் அறியார்’ (taṉṉai alādu aṉṉiyam oṉḏṟum aṟiyār), ‘Essi [coloro che sono immersi in e come tanmayānanda] non conoscono [o non sono consapevoli di] qualsiasi cosa diversa da essi stessi’, egli intende chiaramente che ciò che siamo realmente non è consapevole di qualsiasi cosa diversa da sé stesso.

Finché siamo consapevoli di noi stessi come questo ego limitato, la cui natura è di essere costantemente consapevole di cose diverse da sé stesso, la nostra visione è di conseguenza limitata, così non possiamo concepire o comprendere in modo adeguato lo stato dell’ ātma-jñāni, che non è consapevole di niente altro che sé stesso, e perciò Bhagavan conclude questo verso chiedendo retoricamente: ‘அவர் நிலைமை இன்னது என்று உன்னல் எவன்?’ ( avar nilaimai iṉṉadu eṉḏṟu uṉṉal evaṉ?), ‘Chi può [o come] concepire il loro stato come ‘esso è tale’?’

Tuttavia, sebbene non possiamo afferrare o comprendere cosa è realmente lo stato dell’ātma-jñāni, possiamo almeno comprendere il semplice fatto che l’ātma-jñāni non è consapevole di qualsiasi cosa diversa da sé stesso, come Bhagavan afferma categoricamente in questo verso, e che implicitamente il nostro sé reale (ātma-svarūpa), che è ciò che l’ātma-jñāni è realmente, è quindi non consapevole di qualsiasi cosa diversa da sé stesso.

19. Uḷḷadu Nāṟpadu verso 14: seconde e terze persone non esistono tranne che nella visione della prima persona, l’’io’ che è consapevole di sé stesso come un corpo

Finché sperimentiamo noi stessi come se fossimo questo ego, in relazione a ogni altra cosa noi sperimentiamo noi stessi come la prima persona (il soggetto) ed ogni altra cosa come seconde e terze persone (oggetti), e come Bhagavan dice nella parte del quinto paragrafo di Nāṉ Yār? che ho citato nella sezione 7, ‘தன்மை தோன்றிய பிறகே முன்னிலை படர்க்கைகள் தோன்றுகின்றன; தன்மை யின்றி முன்னிலை படர்க்கைக ளிரா’ (taṉmai tōṉḏṟiya piṟahē muṉṉilai paḍarkkaigaḷ tōṉḏṟugiṉḏṟaṉa; taṉmai y-iṉḏṟi muṉṉilai paḍarkkaigaḷ irā), che significa ‘Solo dopo che la prima persona [l’ego] appare le seconde e terze persone [tutti i fenomeni] appaiono; senza la prima persona le seconde e terze persone non esistono’. Nello stesso modo, nel verso 14 di Uḷḷadu Nāṟpadu egli dice:
தன்மையுண்டேன் முன்னிலைப டர்க்கைக டாமுளவாந்
தன்மையி னுண்மையைத் தானாய்ந்து — தன்மையறின்
முன்னிலைப டர்க்கை முடிவுற்றொன் றாயொளிருந்
தன்மையே தன்னிலைமை தான்.

taṉmaiyuṇḍēṉ muṉṉilaipa ḍarkkaiga ḍāmuḷavān
taṉmaiyi ṉuṇmaiyait tāṉāyndu — taṉmaiyaṟiṉ
muṉṉilaipa ḍarkkai muḍivuṯṟoṉ ḏṟāyoḷirun
taṉmaiyē taṉṉilaimai tāṉ
.

பதச்சேதம்: தன்மை உண்டேல், முன்னிலை படர்க்கைகள் தாம் உள ஆம். தன்மையின் உண்மையைத் தான் ஆய்ந்து தன்மை அறின், முன்னிலை படர்க்கை முடிவு உற்று, ஒன்றாய் ஒளிரும் தன்மையே தன் நிலைமை தான்.

Padacchēdam (separazione delle parole): taṉmai uṇḍēl, muṉṉilai paḍarkkaigaḷ tām uḷa-v-ām. taṉmaiyiṉ uṇmaiyai-t tāṉ āyndu taṉmai aṟiṉ, muṉṉilai paḍarkkai muḍivu uṯṟu, oṉḏṟāy oḷirum taṉmaiyē taṉ nilaimai tāṉ.

Traduzione: Se la prima persona esiste, le seconde e terze persone esisteranno. Se la prima persona cessa di esistere [per mezzo] del proprio investigare la verità della prima persona, le seconde e terze persone giungeranno a una fine, e il taṉmai [realtà o vera ‘assenza di ego’] che risplende come uno [indiviso dall’apparenza di queste tre persone] sarà solo sé stesso, il proprio stato [reale].
Il termine Tamil per la prima persona è தன்மை ( taṉmai), che significa letteralmente ‘senza ego’ e significa anche natura, essenza, realtà, stato, condizione o modo, così sebbene le prime tre occorrenze di questa parola in questo verso si riferiscono alla prima persona (l’ego), l’occorrenza finale di essa nell’ultima proposizione, ‘ஒன்றாய் ஒளிரும் தன்மையே தன் நிலைமை தான்’ ( oṉḏṟāy oḷirum taṉmaiyē taṉ nilaimai tāṉ), che significa ‘il taṉmai che risplende come uno è solo sé stesso, il proprio stato [reale]’, si riferisce all’unica realtà che siamo realmente.

Nella versione kaliveṇbā di questo verso Bhagavan ha esteso la prima frase aggiungendo all’inizio di essa la proposizione relativa ‘உடல் நான் என்னும்’ (uḍal nāṉ eṉṉum), che significa letteralmente ‘che dice il corpo è io’ ma implica ‘che è chiamato ‘il corpo è io’’, e che può essere interpretato con il significato di ‘che appare come ‘il corpo è io’’ o ‘che è consapevole di sé stesso come ‘il corpo è io’’, seguito dalla particella அ (a), che significa ‘quello’, così la forma estesa della prima frase è ‘உடல் நான் என்னும் அத் தன்மை உண்டேல், முன்னிலை படர்க்கைகள் தாம் உள ஆம்’ (uḍal nāṉ eṉṉum a-t-taṉmai uṇḍēl, muṉṉilai paḍarkkaigaḷ tām uḷa-v-ām), che significa ‘Se quella prima persona chiamata ‘il corpo è io’ esiste, le seconde e terze persone esisteranno’. Dunque ciò che egli intende in questa frase è che l’ego, la falsa auto-consapevolezza legata ad aggiunte ‘io sono questo corpo’, esiste, ogni altra cosa anche esisterà, come egli poi dice nuovamente nella terza frase del verso 23, ‘நான் ஒன்று எழுந்த பின், எல்லாம் எழும்’ (nāṉ oṉḏṟu eṙunda piṉ, ellām eṙum), che significa ‘Dopo che un ‘io’ sorge, ogni cosa sorge’, e nella prima frase del verso 26, ‘அகந்தை உண்டாயின், அனைத்தும் உண்டாகும்’ (ahandai uṇḍāyiṉ, aṉaittum uṇḍāhum), ‘Se l’ego ha origine, ogni cosa ha origine’.

Nella seconda fra del verso 26 egli dice, ‘அகந்தை இன்றேல், இன்று அனைத்தும்’ (ahandai iṉḏṟēl, iṉḏṟu aṉaittum), che significa ‘Se l’ego non esiste, ogni cosa non esiste’, e nello stesso modo intende questo nelle prime due proposizioni della seconda frase di questo verso (verso 14), ‘தன்மையின் உண்மையைத் தான் ஆய்ந்து தன்மை அறின், முன்னிலை படர்க்கை முடிவு உற்று’ (taṉmaiyiṉ uṇmaiyai-t tāṉ āyndu taṉmai aṟiṉ, muṉṉilai paḍarkkai muḍivu uṯṟu), che significa ‘Se la prima persona cessa di esistere [per mezzo] del proprio investigare la verità della prima persona, le seconde e terze persone giungeranno a una fine’.

Quindi la chiara implicazione del verso 14 e del verso 26 (e in misura minore del verso 23) è che ogni cosa diversa da noi stessi (tutti i fenomeni o seconde e terze persone) sembrano esistere solo quando l’ego (il soggetto percipiente o prima persona) sembra esistere, e che niente altro che noi stessi sembra esistere quando l’ego non sembra esistere. Perché dovrebbe essere così? Per la semplice ragione che ciò che percepisce o che è consapevole dell’esistenza apparente di ogni altra cosa è solo noi stessi come questo ego, così quando non sorgiamo o ci reggiamo come questo ego, niente altro sembra esistere.

Se qualsiasi cosa diversa da noi stessi potesse essere percepita da noi stessi come siamo realmente, esso potrebbe sembrare esistere anche in assenza del nostro ego, ma poiché Bhagavan dice che se l’ego non esiste niente altro esiste, ciò che egli intende chiaramente è che niente altro che noi stessi è percepito da noi stessi come siamo realmente. Ciò che esiste realmente è solo noi stessi come siamo realmente, ma quando sorgiamo apparentemente come questo ego proiettando ed afferrando la forma di un corpo come noi stessi, simultaneamente proiettiamo nella nostra consapevolezza l’apparenza di numerose altre forme, così ciò che stiamo vedendo come tutte queste forme o fenomeni è solo noi stessi, anche se realmente non siamo molti ma solo uno.

Questo è il motivo per cui egli ha detto nel verso 13: ‘ஞானம் ஆம் தானே மெய். நானா ஆம் ஞானம் அஞ்ஞானம் ஆம்’ (ñāṉam ām tāṉē mey. nāṉā ām ñāṉam aññāṉam ām), ‘Solo il sé, che è consapevolezza, è reale. La consapevolezza che è molti [cioè, la consapevolezza che vede questa unica realtà come molte forme] è ignoranza’. Tuttavia, poiché noi solo siamo ciò che è reale, anche questa ignoranza non potrebbe esistere indipendentemente da noi come diversa da noi, come egli dice nella frase successiva, ‘பொய் ஆம் அஞ்ஞானமுமே ஞானம் ஆம் தன்னை அன்றி இன்று’ (poy ām aññāṉamumē ñāṉam ām taṉṉai aṉḏṟi iṉḏṟu), ‘Anche l’ignoranza, che è irreale, non esiste oltre al sé, che è consapevolezza’.

Cioè, poiché la consapevolezza della molteplicità è ignoranza (ajñāna), e poiché l’ignoranza è irreale, essa non esiste realmente, anche se sembra esistere nella visione dell’ego irreale, così la sua esistenza apparente è completamente dipendente dall’effettiva esistenza di noi stessi, che soli siamo reali. Tuttavia, sebbene noi siamo la sola realtà che sottende e sostiene l’apparenza irreale dell’ignoranza (la consapevolezza della molteplicità), questa ignoranza non sembra esistere nella visione di noi stessi come siamo realmente ma solo nella visione di noi stessi come questo ego, la prima persona, che sorge e si regge come ‘io sono questo corpo’, perché se il nostro sé reale fosse consapevole della molteplicità esso sarebbe ignoranza (ajñāna) e quindi non reale consapevolezza (jñāna), che è una e indivisibile.

20. Uḷḷadu Nāṟpadu verso 18: per il jñāni, ciò che è reale non è il mondo come tale ma solo la sua ādhāra senza forma

Sebbene Bhagavan qualche volta ha detto che il mondo è reale anche per l’ātma-jñāni, ha spiegato che ciò che intende con questo non è che il jñāni vede le forme del mondo come reali, ma che ciò che noi vediamo come il mondo è ciò che il jñāni vede come l’unica realtà senza forma, che è ciò che noi e ogni altra cosa siamo realmente. Come egli dice nel verso 18 di Uḷḷadu Nāṟpadu:
உலகுண்மை யாகு முணர்வில்லார்க் குள்ளார்க்
குலகளவா முண்மை யுணரார்க் — குலகினுக்
காதார மாயுருவற் றாருமுணர்ந் தாருண்மை
யீதாகும் பேதமிவர்க் கெண்.

ulahuṇmai yāhu muṇarvillārk kuḷḷārk
kulahaḷavā muṇmai yuṇarārk — kulahiṉuk
kādhāra māyuruvaṯ ṟārumuṇarn dāruṇmai
yīdāhum bhēdamivark keṇ
.

பதச்சேதம்: உலகு உண்மை ஆகும், உணர்வு இல்லார்க்கு, உள்ளார்க்கு. உலகு அளவு ஆம் உண்மை உணரார்க்கு; உலகினுக்கு ஆதாரமாய் உரு அற்று ஆரும் உணர்ந்தார் உண்மை. ஈது ஆகும் பேதம் இவர்க்கு. எண்.

Padacchēdam (separazione delle parole): ulahu uṇmai āhum, uṇarvu illārkku, uḷḷārkku. ulahu aḷavu ām uṇmai uṇarārkku; ulahiṉukku ādhāram-āy uru aṯṟu ārum uṇarndār uṇmai. īdu āhum bhēdam ivarkku. eṇ.

அன்வயம்: உணர்வு இல்லார்க்கு, உள்ளார்க்கு உலகு உண்மை ஆகும். உணரார்க்கு உண்மை உலகு அளவு ஆம்; உணர்ந்தார் உண்மை உலகினுக்கு ஆதாரமாய் உரு அற்று ஆரும். ஈது இவர்க்கு பேதம் ஆகும். எண்.

Anvayam (parole ridisposte in ordine naturale di prosa): uṇarvu illārkku, uḷḷārkku ulahu uṇmai āhum. uṇarārkku uṇmai ulahu aḷavu ām; uṇarndār uṇmai ulahiṉukku ādhāram-āy uru aṯṟu ārum. īdu ivarkku bhēdam āhum. eṇ.

Traduzione: Sia per coloro che non hanno conoscenza sia per coloro che ce l’hanno, il mondo è reale. Per coloro che non conoscono, la realtà è [limitata a] la dimensione del mondo, [mentre] per coloro che hanno conosciuto, la realtà pervade priva di forma come l’ ādhāra [il supporto, il substrato o il fondamento] per il mondo. Questa è la differenza tra essi. Considera.
உணர்வு ( uṇarvu), conoscenza o consapevolezza, a cui Bhagavan si riferisce nella prima riga di questo verso quando dice ‘உணர்வு இல்லார்க்கு, உள்ளார்க்கு’ (uṇarvu illārkku, uḷḷārkku), ‘per coloro che non hanno uṇarvu [conoscenza o consapevolezza] e per coloro che ce l’hanno’, è auto-conoscenza (ātma-jñāna), che è chiara consapevolezza di sé stesso come uno è realmente, così ciò che egli intende con ‘per coloro che non hanno uṇarvu e per coloro che ce l’hanno’ è ‘per l’ajñāni e il jñāni’. Per entrambi, egli dice, ‘உலகு உண்மை ஆகும்’ (ulahu uṇmai āhum), il mondo è reale.

Tuttavia, ciò che egli intende dicendo questo è spiegato da lui nelle due frasi successive: ‘உலகு அளவு ஆம் உண்மை உணரார்க்கு; உலகினுக்கு ஆதாரமாய் உரு அற்று ஆரும் உணர்ந்தார் உண்மை’ (ulahu aḷavu ām uṇmai uṇarārkku; ulahiṉukku ādhāram-āy uru aṯṟu ārum uṇarndār uṇmai), che significa ‘Per coloro che non conoscono, la realtà è [solo] la dimensione [o misura] del mondo, [mentre] per coloro che hanno conosciuto, la realtà pervade priva di forma come l’ādhāra per il mondo’. Cioè, per l'ajñāni, che vede il mondo come un vasto conglomerato di forme (fenomeni) di vario tipo, la realtà è limitata alla dimensione o misura di quelle forme, mentre per il jñāni, che non vede nient’altro che auto-consapevolezza senza forma, che sola è reale, la realtà risplende priva di forma e quindi senza ogni limite come l’infinito ādhāra (supporto, substrato o fondamento) per l’apparenza illusoria del mondo.

Una corda è l’ādhāra per l’apparenza illusoria di un serpente, perché essa è la base che sostiene (permette e sorregge) quella apparenza, poiché senza di essa nessun serpente sembrerebbe esistere. Nello stesso modo la pura auto-consapevolezza (ātma-jñāna), che sola è reale, è l’ādhāra per l’apparenza illusoria del mondo, perché se noi (questo ego) non fossimo auto-consapevoli, non potremmo essere consapevoli dell’esistenza apparente di tutte le forme che costituiscono qualunque mondo possiamo vedere.

Comunque, poiché la nostra reale natura è senza forma, se fossimo consapevoli di noi stessi come siamo realmente, non saremmo consapevoli di alcuna forma, così tutte le forme di questo mondo sembrano esistere nella nostra visione solo perché abbiamo limitato la nostra auto-consapevolezza alla forma di qualunque corpo attualmente sperimentiamo come noi stessi. Poiché noi solo siamo ciò che è reale, ogni volta (nella veglia o nel sogno) che sperimentiamo la forma di un corpo come se fosse noi stessi, esso sembra reale, e poiché è una parte del vasto conglomerato di forme che costituisce qualunque mondo in quel momento percepiamo, tutte le forme di quel mondo anche sembrano reali. Tuttavia, sebbene questo corpo e questo mondo sembrano essere reali (nella visione di noi stessi come questo ego), ciò che è effettivamente reale è solo la pura auto-consapevolezza senza forma che siamo realmente.

Poiché il jñāni non è niente altro che auto-consapevolezza senza forma, non è consapevole di qualsiasi forma, così ciò che vediamo come le forme di questo mondo è ciò che il jñāni vede come auto-consapevolezza senza forma, proprio come ciò che una persona illusa vede come un serpente è ciò che una persona non illusa vede come una corda. Se la persona illusa dice, ‘Vedi, questo serpente è reale’, la persona non illusa può essere d’accordo, dicendo, ‘Sì, è reale’, ma ciò che la persona non illusa intende quando dice questo non è che il serpente è reale come un serpente, ma solo che è reale come la corda che è realmente. Nello stesso mondo, quando Bhagavan è d’accordo con noi, dicendo che nella sua visione anche il mondo è reale, ciò che intende non è che esso è reale come il mondo (cioè, come tutte le forme che lo vediamo essere), ma solo che è reale come l’auto-consapevolezza senza forma che esso è realmente. Questo è ciò che intende quando dice qui: ‘உலகினுக்கு ஆதாரமாய் உரு அற்று ஆரும் உணர்ந்தார் உண்மை’ (ulahiṉukku ādhāram-āy uru aṯṟu ārum uṇarndār uṇmai), ‘Per coloro che hanno conosciuto, la realtà pervade priva di forma come l’ādhāra per il mondo’.

21. Guru Vācaka Kōvai verso 54: vedendo con l’occhio infinito di sat-cit-āṉanda, il jñāni non può vedere niente altro che quello

Questo è anche spiegato chiaramente da Bhagavan nel verso 54 di Guru Vācaka Kōvai:
சேட்டையற லாற்சச் சிதானந்த மாத்தீர்ந்த
நாட்டமுறக் காணுமெய்ஞ் ஞானிக்கு — நாட்டமுறும்
கண்ணலாற் காட்சியிலாக் காரணத்தா லன்னதே
திண்ணமா யிவ்வுலகுந் தேர்.

cēṭṭaiyaṟa lāṯcac cidāṉanda māttīrnda
nāṭṭamuṟak kāṇumeyñ ñāṉikku — nāṭṭamuṟum
kaṇṇalāṯ kāṭciyilāk kāraṇattā laṉṉadē
tiṇṇamā yivvulakun tēr
.

பதச்சேதம்: சேட்டை அறலால் சத் சித் ஆனந்தமா தீர்ந்த நாட்டம் உற காணும் மெய்ஞ்ஞானிக்கு, நாட்டம் உறும் கண் அலால் காட்சி இலா காரணத்தால் அன்னதே திண்ணமாய் இவ்வுலகும் தேர்.

Padacchēdam (separazione delle parole): cēṭṭai aṟalāl sat-cit-āṉandam-ā tīrnda nāṭṭam uṟa kāṇum mey-ñ-ñāṉikku, nāṭṭam uṟum kaṇ alāl kāṭci ilā kāraṇattāl aṉṉadē tiṇṇamāy i-vv-ulahum tēr.

அன்வயம்: நாட்டம் உறும் கண் அலால் காட்சி இலா காரணத்தால், சேட்டை அறலால் சத் சித் ஆனந்தமா தீர்ந்த நாட்டம் உற காணும் மெய்ஞ்ஞானிக்கு, இவ்வுலகும் திண்ணமாய் அன்னதே தேர்.

Anvayam (parole ridisposte in ordine naturale di prosa): nāṭṭam uṟum kaṇ alāl kāṭci ilā kāraṇattāl, cēṭṭai aṟalāl sat-cit-āṉandam-ā tīrnda nāṭṭam uṟa kāṇum mey-ñ-ñāṉikku, i-vv-ulahum tiṇṇamāy aṉṉadē tēr.

Traduzione: Poiché [la natura di] ciò che è visto non può essere diversa da [la natura de] l’occhio che vede, sappi che per il mey-jñāni [il conoscitore di ciò che è reale] che vede con l’occhio che è terminato come sat-cit-ānanda a causa della cessazione di cēṣṭā [attività o malizia della mente], questo mondo è certamente solo così [vale a dire sat-cit-ānanda].
In questo verso la proposizione ‘நாட்டம் உறும் கண் அலால் காட்சி இலா காரணத்தால்’ (nāṭṭam uṟum kaṇ alāl kāṭci ilā kāraṇattāl), che significa letteralmente ‘poiché ciò che è visto non può essere diverso [o in altro modo] dall’occhio che vede’, si riferisce al principio che Bhagavan ha affermato nella penultima frase del verso 4 di Uḷḷadu Nāṟpadu, vale a dire ‘கண் அலால் காட்சி உண்டோ?’ (kaṇ alāl kāṭci uṇḍō?), che significa letteralmente ‘Può ciò che è visto essere diverso [o in altro modo] dall’occhio?’. Poiché அலால் (alāl) è un’abbreviazione poetica di அல்லால் (allāl), che significa tranne, oltre a, diverso da o senza, questa domanda retorica potrebbe essere intesa superficialmente nel significato che ciò che è visto non esiste senza o oltre all’occhio che lo vede, ma come Bhagavan ha spiegato a Lakshmana Sarma e ad altri, ciò che egli intendeva è che (come Lakshmana Sarma ha spiegato nel suo commentario Tamil al verso 4 di Uḷḷadu Nāṟpadu) la natura di ciò che è visto non può essere diversa dalla natura dell’occhio che lo vede. Questo è chiarito anche da Muruganar nella sua பொழிப்புரை ( poṙippurai) o parafrasi esplicativa di questo verso in Guru Vācaka Kōvai, in cui egli ha parafrasato la proposizione ‘நாட்டம் உறும் கண் அலால் காட்சி இலா காரணத்தால்’ (nāṭṭam uṟum kaṇ alāl kāṭci ilā kāraṇattāl), ‘poiché ciò che è visto non può essere diverso dall’occhio che vede’, come ‘காணும் கண்ணியல்பை யன்றிக் காணப்படுங் காட்சி யியல்பு வேறாகாக் காரணத்தால்’ (kāṇum kaṇ-ṇ-iyalbai y-aṉḏṟi-k kāṇa-p-paḍum kāṭci y- iyalbu vēṟāhā-k kāraṇattāl), che significa ‘poiché la natura della visione che è vista non può essere differente dalla natura dell’occhio che vede’.

Come ho spiegato nella sezione 2, in questo contesto ‘occhio’ è una metafora per consapevolezza nel senso di ciò che è consapevole, così se la consapevolezza è consapevole di sé stessa come una forma (come nel caso dell’ego o mente), essa sarà consapevole di forme, mentre se è consapevole di sé stessa come senza forma e indivisibile sat-cit-ānanda (essere, consapevolezza e beatitudine), essa non sarà consapevole di niente altro che quella. Quindi, poiché l'ātma-jñāni non è altro che ātma-svarūpa, la nostra vera natura o sé reale, che è solo anādi (senza inizio), ananta (senza fine o infinita) e akhaṇḍa (ininterrotta) sat-cit-ānanda (come Bhagavan dice nel verso 28 di Upadēśa Undiyār), e che è quindi indivisa dall’apparenza di qualsiasi forma, essa non può vedere o essere consapevole di qualsiasi forma ma solo dell’unica, eterna, immutabile, infinita, indivisibile e quindi senza forma sat-cit-ānanda, vale a dire sé stessa.

22. Solo come questo ego, che non è ciò che esso è realmente, brahman o ātman vede qualsiasi cosa diversa da sé stesso

In un altro commento, rispondendo ad uno in cui Sanjay ha scritto che nella visione di ātma-svarūpa ‘non c’è apparenza di questo mondo’, tu hai commentato: ‘Ogni altra cosa nel tuo ultimo post è corretta, tranne quest’ultima. Ramana ha sempre detto che nella sua visione, c’è solo il Sé, e il mondo è visto con il Sé’. Poiché sei d’accordo che nella visione di ātma-svarūpa, che è ciò che tu chiami ‘il Sé’, c’è solo sé stesso, e che esso quindi vede il mondo come sé stesso, stai intendendo esattamente ciò che stai cercando di contraddire, perché se solo ātma-svarūpa esiste e quindi vede il mondo solo come sé stessa, allora nella sua visione non c’è apparenza del mondo come un mondo (un’apparenza di miriadi di nomi e di forme costantemente in cambiamento) poiché ciò che noi (come questo ego che ora sembriamo essere) vediamo come mondo di nomi e di forme è ciò che noi (come l’ātma-svarūpa che siamo realmente) vediamo come il nostro sé senza nome e senza forma.

Se vediamo una corda come un serpente, non la stiamo vedendo come una corda, e se la vediamo come una corda, non la stiamo vedendo come un serpente, così non la possiamo vedere simultaneamente come una corda (che è ciò che essa è realmente) e come un serpente (che è ciò che essa sembra essere solo nella visione di una persona illusa che non riconosce che è solo una corda). Nello stesso modo, se vediamo il mondo come un’apparenza transitoria costituita di nomi e forme, non lo stiamo vedendo come ātma-svarūpa, perché ātma-svarūpa è senza nome e senza forma e non appare o scompare, e se lo vediamo come ātma-svarūpa, non lo stiamo vedendo come nomi e forme, così non lo possiamo vedere simultaneamente come ātma-svarūpa (che è ciò che esso è realmente) e come nomi e forme (che è ciò che esso sembra essere solo nella visione di questo ego, che non è in grado di riconoscere che esso è solo l’unica ātma-svarūpa, infinita, indivisibile e quindi senza forma.

In un commento successivo hai scritto che ‘il Sé’ è ‘consapevole di ogni cosa che succede, specialmente poiché esso È la consapevolezza che include l’ego (ed è annodato alle aggiunte)’, ma ciò che è annodato o legato alle aggiunte non è noi stessi come siamo realmente (vale a dire ātma-svarūpa) ma solo noi stessi come questo ego, perché schiavitù e aggiunte esistono solo nella visione del nostro ego e non nella chiara visione di noi stessi come siamo realmente. Inoltre, ciò che include l’ego non è solo la pura consapevolezza che siamo realmente ma quella consapevolezza apparentemente mischiata e confusa con aggiunte, afferrando le quali essa ha origine, si regge e prospera.

Come una mescolanza confusa di pura consapevolezza e aggiunte illusorie, questo ego non è la nostra reale consapevolezza (cit) come è realmente ma è solo un’immagine o ritratto distorto di essa, e quindi è chiamato cidābhāsa. Poiché esso non è reale ma solo un’apparenza illusoria, secondo il principio affermato da Bhagavan nel verso 4 di Uḷḷadu Nāṟpadu, vale a dire che la natura di ciò che è visto non può essere diversa dalla natura di ciò che lo vede, questo ego non può vedere ciò che è reale (vale a dire noi stessi come siamo realmente) ma può solo vedere apparenze illusorie (vale a dire forme o fenomeni). Al contrario, la reale consapevolezza che siamo realmente non può vedere alcuna apparenza illusoria ma può solo vedere sé stessa come è realmente, perché solo essa è ciò che è reale.

Quindi, contrariamente a ciò che hai scritto, ‘il Sé’ come tale non è ‘consapevole di ogni cosa che accade’. Tuttavia, sebbene come siamo realmente noi (‘il Sé’) non siamo consapevoli di qualsiasi cosa diversa da noi stessi, come questo ego siamo consapevoli di qualsiasi cosa diversa da noi stessi. Cioè, poiché solo noi (come ātma-svarūpa, che è ciò che siamo realmente) esistiamo realmente, qualunque altra cosa può sembrare esistere è in sostanza niente altro che noi stessi, così sia questo ego (che è ciò che vede ogni altra cosa) sia ogni cosa che è vista sono in realtà solo noi stessi come siamo realmente, come Bhagavan dice nella frase finale del verso 1 di Uḷḷadu Nāṟpadu: ‘நாம உரு சித்திரமும், பார்ப்பானும், சேர்படமும், ஆர் ஒளியும் — அத்தனையும் தான் ஆம் அவன்’ ( nāma uru cittiramum, pārppāṉum, sērpaḍamum, ār oḷiyum — attaṉaiyum tāṉ ām avaṉ), ‘L’immagine di nomi e forme [qualunque mondo può essere visto], colui che vede [esso], lo schermo coesivo [su cui esso appare], e la luce pervadente [di consapevolezza che lo illumina] – tutti questi sono[l’unica cosa originale], che è sé stessi’.

Tuttavia, sebbene la sostanza ultima di ogni cosa è noi stessi come siamo realmente, la sostanza di ogni cosa più immediata è noi stessi come questo ego, come Bhagavan indica nel verso 26 di Uḷḷadu Nāṟpadu: ‘அகந்தை உண்டாயின், அனைத்தும் உண்டாகும்; அகந்தை இன்றேல், இன்று அனைத்தும். அகந்தையே யாவும் ஆம்’ ( ahandai uṇḍāyiṉ, aṉaittum uṇḍāhum; ahandai iṉḏṟēl, iṉḏṟu aṉaittum. ahandai-y-ē yāvum ām), ‘Se l’ego ha origine, ogni cosa ha origine; se l’ego non esiste, ogni cosa non esiste. [Quindi] l’ego è ogni cosa’. Quindi niente altro può sembrare esistere se non sperimentiamo noi stessi come questo ego, perché è solo come questo ego che vediamo qualsiasi altra cosa.

Cioè, sebbene ‘நாம உரு சித்திரம்’ (nāma uru cittiram), l’’immagine di nomi e forme’ (vale a dire qualunque mondo possiamo vedere), e ‘பார்ப்பான்’ ( pārppāṉ), il ‘veggente’ o ‘quello che vede [esso]’ (vale a dire l’ego), sono entrambi in realtà niente altro che noi stessi come siamo realmente, proprio come un serpente illusorio è in realtà niente altro che una corda, non è come siamo realmente ma solo come questo ego che vediamo qualsiasi cosa diversa da noi stessi. Quando rimaniamo come siamo realmente, nessuna immagine di nomi e forme (nāma uru cittiram) appare nella nostra consapevolezza, e neppure lo fa alcun veggente (pārppāṉ), perché come siamo realmente non siamo consapevoli di niente altro che noi stessi come siamo realmente, così è solo quando sorgiamo come questo ego che ogni immagine di nomi e forme appare nella nostra consapevolezza e che di conseguenza vediamo noi stessi come il veggente di esse. Ciò che siamo realmente è solo pura auto-consapevolezza, che sola è ciò che è reale, così sebbene la pura auto-consapevolezza è la sostanza ultima che appare sia come l’immagine di nomi e forme che il veggente di esse, né l’immagine di nomi e forme né il veggente di esse sono la pura auto-consapevolezza come è realmente, perché sono entrambi mere apparenze.

Questo è uno dei principi fondamentali degli insegnamenti di Bhagavan, ed è affermato, inteso e spiegato da lui in così tanti modi in Uḷḷadu Nāṟpadu e Nāṉ Yār? (come abbiamo visto nei vari versi e brani che abbiamo considerato in questo articolo) e anche qui e lì in alcuni dei suoi altri scritti originali e nei suoi insegnamenti orali, in modo particolare in Guru Vācaka Kōvai. Comprendere chiaramente questo principio – il principio che ciò che è consapevole di qualsiasi cosa diversa da sé stesso (qualsiasi forma o fenomeno) non è noi stessi come siamo realmente ma solo noi stessi come questo ego – è per noi estremamente importante nella nostra pratica di auto-investigazione (ātma-vicāra), perché non possiamo essere consapevoli di noi stessi come siamo realmente finché siamo consapevoli di qualsiasi altra cosa, così è solo focalizzando la nostra intera attenzione soltanto su noi stessi così acutamente da cessare di essere consapevoli di qualsiasi altra cosa, proprio come lo siamo nel sonno, che possiamo essere consapevoli di noi stessi come siamo realmente.

In nessuno dei testi più antichi di advaita vēdānta questo importante principio è stato reso chiaro come ha fatto Bhagavan nei suoi insegnamenti, in modo particolare in Uḷḷadu Nāṟpadu e in misura minore in Nāṉ Yār?, e questa è una delle ragioni per cui ciò che la pratica corretta di ātma-vicāra è realmente è stata così ampiamente fraintesa prima che egli venisse a chiarirla, ed è ancora ampiamente fraintesa da coloro che non hanno studiato attentamente i suoi scritti originali.

In molti dei tuoi commenti, per esempio, hai citato brani da una traduzione Inglese (vale a dire quella che appare in The Collected Works of Sri Ramana Maharshi, che non è una traduzione molto soddisfacente ma è sfortunatamente la sola completa disponibile) della traduzione in prosa Tamil di Bhagavan del Vivēkacūḍāmaṇi che sembra sostenere la tua convinzione che ‘il Sé’ (noi stessi come siamo realmente) è ciò che percepisce il mondo, ed è vero che molti dei versi di Vivēkacūḍāmaṇi (e anche di molti altri testi antichi) possono facilmente essere fraintesi nel significato che sia così, e per secoli essi sono stati ampiamente fraintesi in questo modo. Molta di questa confusione sorge a causa dei diversi fraintendimenti del termine ātman, che è abitualmente tradotto in Inglese come ‘il Sé’ e che è generalmente interpretato in un senso simile da molti studiosi di vēdānta.

Ciò che ātman significa realmente è sé stessi (e sebbene in forma singolare maschile, può servire come un pronome in riferimento a un sostantivo di qualche numero o genere, così può significare me stesso, tu stesso, lui stesso, lei stessa, sé stesso, noi stessi, voi stessi o essi stessi), così in molti casi si riferisce a sé stessi in generale, ma in certi contesti può per implicazione riferirsi più specificatamente a sé stesso come uno è realmente (che è qualche volta distinto come paramātman) o a sé stesso come uno sembra essere, vale a dire l’ego (che è qualche volta distinto come jīvātman). Tuttavia, poiché uno dei quattro mahāvākya o ‘grandi detti’ dei Veda è ‘ ayam ātmā brahma’, che significa ‘questo ātman [sé stessi] è brahman’ (Māṇḍūkya Upaniṣad 2 e Bṛhadāraṇyaka Upaniṣad 4.4.5), molte persone erroneamente intendono con questo che il termine ‘ātman’ si riferisce sempre a brahman, che non è chiaramente così, perché se lo fosse, potremmo applicare la stessa logica al mahāvākyaahaṁ brahmāsmi’, che significa ‘io sono brahman’ (Bṛhadāraṇyaka Upaniṣad 1.4.10), e quindi dedurre che questo implichi che il termine ‘io’ si riferisce a brahman, che sarebbe un’affermazione assurda, perché noi tutti sappiamo che nella maggioranza dei casi esso si riferisce a qualunque persona sembriamo essere.

Proprio come in Inglese i pronomi ‘io’ e ‘me stesso’ (o ‘uno’ e ‘sé stesso’) si riferiscono entrambi a sé stessi senza fare alcuna distinzione esplicita tra sé stessi come si è realmente e sé stessi come si sembra essere, in Sanscrito ‘ aham’e ‘ātman’ si riferiscono entrambi a sé stessi senza fare alcuna distinzione esplicita tra sé stessi come si è realmente (vale a dire brahman) e sé stessi come si sembra essere (vale a dire l’ego). Quindi, proprio come sarebbe sbagliato in Inglese interpretare i termini ‘sé stesso’, ‘me stesso’ o ‘noi stessi’ in tutti i casi in riferimento a noi stessi come siamo realmente, è ugualmente sbagliato interpretare ‘ātman’ in tutti i casi in riferimento a brahman, che è ciò che siamo realmente. Poiché ‘ātman’ funge in Inglese da pronome generico spesso nello stesso modo come ‘uno’ o ‘sé stesso’, in molti casi esso si riferisce a sé stessi in generale piuttosto che in modo specifico a sé stessi come si è realmente o a sé stessi come questo ego che ora sembriamo essere.

Se tu sostituissi ‘il Sé’ con ‘sé stessi’ in tutti i brani da quella traduzione Inglese di Vivēkacūḍāmaṇi che hai citato nei tuoi commenti, vedresti che essi danno un significato del tutto differente da quello che hai supposto, perché in quella versione ‘il Sé’ è una traduzione ingannevole di ātman, che in molti casi si riferisce a noi stessi in generale piuttosto che in modo specifico a noi stessi come siamo realmente.

Naturalmente noi siamo solo un sé, e ciò che noi (questo unico sé) realmente siamo è solo brahman, l’unica realtà fondamentale, la cui natura è anādi (senza inizio), ananta (senza fine o infinita) e akhaṇḍa (ininterrotta) sat-cit-ānanda (come Bhagavan dice nel verso 28 di Upadēśa Undiyār).Tuttavia, sebbene noi siamo realmente brahman, siamo ora consapevoli di noi stessi come una persona, ma questo non significa che brahman sia questa persona che ora sembriamo essere, o che sia consapevole di sé stesso come questa persona. Solo quando sorgiamo come l’ego sembriamo essere questa o qualche altra persona, così ciò che sembra essere una persona è l’ego, e ciò che sembra essere l’ego è brahman.

Comunque, come è realmente brahman non è consapevole di questo ego o di qualsiasi altra cosa, perché esso solo esiste e risplende, infinito e indivisibile, e quindi senza alcun altro. Quindi è solo nella visione di noi stessi come questo ego che noi (brahman) sembriamo essere questo ego, e che noi siamo di conseguenza consapevoli dell’apparenza illusoria di cose diverse da noi stessi.

Sebbene ora sembriamo essere questo ego, questo non è ciò che siamo realmente, così per vedere noi stessi come siamo realmente e quindi per distruggere l’illusione di essere questo ego, dobbiamo investigare noi stessi cercando costantemente di osservare accuratamente o attendere soltanto a noi stessi, a completa esclusione di ogni altra cosa. Cioè, dobbiamo cercare di essere così attentivamente consapevoli soltanto di noi stessi da cessare di essere consapevoli di qualsiasi altra cosa, poiché solo allora trapasseremo e dissolveremo per sempre l’illusione di essere questo ego, la falsa consapevolezza legata ad aggiunte che è consapevole di tutte queste forme o fenomeni illusori, sia sottili che grossolani.


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