Om Namo Bhagavate Sri Arunachalaramanaya

giovedì 9 febbraio 2017

Come possiamo vedere l’inazione nell’azione?

Michael James

6 Febbraio 2017
How can we see inaction in action?

Un amico mi ha scritto recentemente chiedendomi di spiegare la Bhagavad Gītā 4.18, in cui Krishna dice che chiunque vede l’inazione (akarma) nell’azione (karma) e l’azione nell’inazione è saggio (buddhimān), e come mettere questo in pratica nel contesto degli insegnamenti di Bhagavan, così ciò che segue è un’elaborazione della mia risposta a lui:

L’azione o il fare costante (almeno con la mente, e spesso anche con la parola e il corpo) è la natura dell’ego, mentre essere senza azione è la natura di noi stessi come siamo realmente. Quindi possiamo vedere l’inazione solo se vediamo noi stessi come siamo realmente, e quando vedremo noi stessi in questo modo, vedremo che eravamo sempre realmente inattivi anche quando, come l’ego, sembravamo essere attivi. Questo è ciò che Krishna definisce vedere l’inazione nell’azione.

Se vediamo che ciò che sembra essere un serpente è realmente solo una corda, si potrebbe dire che stiamo vedendo la corda nel serpente, e poiché di conseguenza vedremmo che la corda è la posizione in cui il serpente era visto, si potrebbe anche dire che stiamo vedendo il serpente nella corda. Nello stesso modo, se vediamo che ciò che sembra essere un ego attivo è realmente solo consapevolezza senza azione, si potrebbe dire che stiamo vedendo consapevolezza senza azione nell’ego attivo, e poiché di conseguenza vedremmo che solo la consapevolezza senza azione è la posizione in cui l’ego attivo sembrava esistere, si potrebbe anche dire che stiamo vedendo l’ego attivo nella consapevolezza senza azione.

Tuttavia, se riconosciamo che ciò che sembrava essere un serpente è realmente solo una corda, ciò che in quel momento stiamo vedendo realmente non è alcun serpente ma solo una corda, così se fosse detto che in quel momento stiamo vedendo la corda nel serpente, o il serpente nella corda, sarebbe solo un modo metaforico di dire che ciò che persone illuse confondono come un serpente è ciò che noi riconosciamo come una corda. Nello stesso modo, quando Krishna dice che il saggio vede l’inazione nell’azione e l’azione nell’inazione, non intende che l’ātma-jñāni vede qualche azione, ma solo che ciò che gli ajñāni vedono come azione è ciò che il jñāni vede come inazione.

Circa la tua domanda riguardo a come mettere questo in pratica, possiamo farlo solo cercando costantemente di vedere noi stessi come la pura consapevolezza senza azione che siamo realmente. Quindi finché attendiamo a qualsiasi cosa diversa da noi stessi, sembriamo essere attivi, ma nella misura in cui ci impegniamo ad attendere solo a noi stessi, la nostra mente attiva sprofonderà insieme con la sua radice, l’ego, nella consapevolezza inattiva che siamo realmente, e dunque nel mezzo delle nostre attività esteriori (che sembrano esistere solo nella visione auto-ignorante dell’ego rivolto all’esterno) possiamo vedere noi stessi come il centro o cuore sempre inattivo, che è come l’immobile asse delle ruote di un carro.

Cioè, come Bhagavan dice nel verso 9 di Upadēśa Undiyār:
பாவ பலத்தினாற் பாவனா தீதசற்
பாவத் திருத்தலே யுந்தீபற
பரபத்தி தத்துவ முந்தீபற.

bhāva balattiṉāṯ bhāvaṉā tītasaṯ
bhāvat tiruttalē yundīpaṟa
parabhatti tattuva mundīpaṟa
.

பதச்சேதம்: பாவ பலத்தினால் பாவனாதீத சத் பாவத்து இருத்தலே பரபத்தி தத்துவம்.

Padacchēdam (separazione delle parole): bhāva balattiṉāl bhāvaṉātīta sat-bhāvattu iruttalē para-bhatti tattuvam.

Traduzione: Per la forza della meditazione, essere in sat-bhāva, che trascende bhāvana, è certamente para-bhakti tattva.

Traduzione elaborata: Per la forza [intensità, fermezza o stabilità] di [questa] meditazione [ananya-bhāva o auto-attentività], essere in sat-bhāva [il proprio ‘stato di essere’ o ‘essere reale’], che trascende [tutto il] bhāvana [pensiero, immaginazione o meditazione], certamente [o solo] è para-bhakti tattva [l’essenza reale o vero stato di devozione suprema].
La bhāva (meditazione) a cui Bhagavan si riferisce qui quando dice ‘பாவ பலத்தினால்’ (bhāva balattiṉāl), ‘per la forza [intensità fermezza o stabilità] della meditazione’, è ananya-bhāva (‘meditazione senza altro’ o ‘meditazione su ciò che non è altro’), che ha detto nel verso precedente è ‘அனைத்தினும் உத்தமம்’ (aṉaittiṉum uttamam), ‘migliore fra tutte’, intendendo che è la migliore tra tutte le forme di meditazione, tutte le pratiche di devozione (bhakti) e tutte gli altri tipi di pratica spirituale. Poiché ananya significa ‘non altro’ e in questo contesto implica ‘non altro che sé stesso’, ananya-bhāva significa meditazione su sé stessi, auto-contemplazione o auto-attentività.

Meditare su o attendere a qualsiasi cosa diversa da noi stessi è un’azione (karma), perché comporta un movimento della propria mente o attenzione lontano da noi stessi e verso quell’altra cosa, ma meditare su sé stessi non è un’azione, perché non comporta movimenti della propria mente o attenzione lontano da noi stessi e verso qualsiasi altra cosa. Quindi più intensamente attendiamo soltanto a noi stessi, più la nostra mente sprofonderà nel nostro stato naturale di solo essere, che è ciò che Bhagavan descrive in questo verso come ‘பாவனாதீத சத் பாவம்’ (bhāvaṉātīta sat-bhāvam), ‘lo stato di essere, che trascende la meditazione’.

La meditazione (bhāvana) che lo stato di essere (sat-bhāvam) trascende non è ananya-bhāva (meditazione su niente altro che sé stessi) ma solo anya-bhāva (meditazione su qualsiasi cosa diversa da noi stessi), perché la meditazione su noi stessi comporta semplicemente essere attentivamente auto-consapevoli, così poiché l’auto-consapevolezza perfettamente attentiva è la nostra reale natura, essa non è niente altro che il nostro essere (sat). Quindi è solo attendendo soltanto a noi stessi che possiamo sprofondare ed essere nel nostro stato naturale di essere senza azione.

In questo verso Bhagavan dice che essere nel nostro stato naturale di essere (sat-bhāvam) per l’intensità della nostra auto-attentività è para-bhakti tattva, la reale essenza o vero stato di devozione suprema, e nel verso successivo (verso 10 di Upadēśa Undiyār) egli intende che essa è il culmine e il fine di tutti i tipi di pratica spirituale:
உதித்த விடத்தி லொடுங்கி யிருத்த
லதுகன்மம் பத்தியு முந்தீபற
வதுயோக ஞானமு முந்தீபற.

uditta viḍatti loḍuṅgi irutta
ladukaṉmam bhattiyu mundīpaṟa
vaduyōga ñāṉamu mundīpaṟa
.

பதச்சேதம்: உதித்த இடத்தில் ஒடுங்கி இருத்தல்: அது கன்மம் பத்தியும்; அது யோகம் ஞானமும்.

Padacchēdam (separazione delle parole): uditta iḍattil oḍuṅgi iruttal: adu kaṉmam bhatti-y-um; adu yōgam ñāṉam-um.

Traduzione: Sprofondare ed essere nel luogo da cui uno è sorto: questo è karma e bhakti; questo è yōga e jñāna.
Il ‘luogo da cui uno è sorto’ (uditta iḍam) è il proprio stato naturale di essere (sat-bhāvam), e poiché uno sorge da esso come l’ego attendendo all’apparenza di cose diverse da sé stesso (che è ciò che Bhagavan chiama ‘afferrare la forma’ nel verso 25 di Uḷḷadu Nāṟpadu), uno può sprofondare ed essere in esso solo attendendo a sé stesso. Poiché l’attenzione a qualsiasi cosa diversa da noi stessi è un’azione, per compiere ogni tipo di pratica spirituale diversa dal solo essere auto-attentivi dobbiamo sorgere come l’ego, ma paradossalmente il fine ultimo di tutte le pratiche spirituali è sprofondare ed essere nella sorgente da cui siamo sorti, così essere semplicemente auto-attentivi e quindi non sorgere a compiere qualsiasi cosa è il culmine e la realizzazione di tutte le altre pratiche spirituali.

La prima azione e la radice di tutte le altre azioni è il sorgere di noi stessi come l’ego, così non possiamo sperimentare l’inazione se non sprofondiamo e dimoriamo nello stato di essere da cui ora sembriamo essere sorti. Tuttavia, il nostro sorgere come l’ego è solo un’apparenza illusoria, così non è reale, e dunque anche quando sembriamo essere impegnati nell’azione non siamo realmente niente altro che essere esternamente senza azione (sat). Quindi quando vedremo noi stessi come siamo realmente, vedremo che ciò che è realmente esistito nel mezzo dell’apparenza dell’azione (karma) è solo l’inazione (akarma), e ugualmente che il luogo in cui tutte le azioni sembravano avvenire è solo nell’auto-consapevolezza senza azione, che è il nostro stato naturale di solo essere (sat-bhāvam).

Vedere che solo l’auto-consapevolezza senza azione è ciò che esiste realmente nel mezzo dell’apparenza dell’azione è ciò che Krishna ha chiamato ‘vedere l’inazione (akarma) nell’azione (karma)’, e vedere che il luogo in cui tutta l’azione sembra avvenire è solo nell’auto-consapevolezza senza azione è chiamato ‘vedere l’azione (karma) nell’inazione (akarma)’.


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