Om Namo Bhagavate Sri Arunachalaramanaya

lunedì 17 aprile 2017

Perché ci è richiesto sforzo per approfondire la nostra pratica di auto-investigazione?

Michael James

16 Aprile 2017
Why is effort required for us to go deep in our practice of self-investigation?

Un amico mi ha scritto recentemente chiedendo:
La mia domanda riguardo l’Io-Solo è questa: rilassando l’attenzione dagli oggetti posso essere acutamente consapevole della mia esistenza come Sat Chit. Questo è senza sforzo, ma non è completamente ed esclusivamente ‘Io’-Sé-consapevole. Altri oggetti sono anche ‘conosciuti’.

Ma, oggi ho letto quello che hai scritto [in Il nostro fine dovrebbe essere sperimentare soltanto noi stessi, in completo isolamento da ogni altra cosa]: “Il nostro fine reale non dovrebbe essere solo una più lunga durata di auto-attentività ma dovrebbe essere auto-attentività più profonda, intensa e chiara – cioè, attentività che è focalizzata più acutamente ed esclusivamente soltanto su ‘io’, senza la minima traccia di qualsiasi consapevolezza di qualunque altra cosa.”

Prima di tutto, wow! La mia esperienza fino ad ora è che questo non è senza sforzo, ma un intenso ed attivamente impegnato ‘focalizzare in fondo’, per così dire, sul Sé.

Volevo solo chiederti se questo è giusto. Questo intenso e attivo focalizzare è richiesto.
Ciò che segue è adattato dalla risposta che gli ho dato:
  1. Noi siamo sempre auto-consapevoli, ma dobbiamo fare sforzo per essere attentivamente auto-consapevoli
  2. Upadēśa Undiyār verso 16: la nostra attenzione sarà ritirata da altre cose nella misura in cui è focalizzata su noi stessi
  3. Più siamo in grado di essere parzialmente auto-attentivi, più facile ci sarà essere acutamente auto-attentivi quando liberi da altre attività
  4. Lo sforzo è richiesto per superare la naturale resistenza del nostro ego ad essere auto-attentivo
  5. Il modo di procedere nella nostra auto-investigazione, si rivelerà gradualmente mentre procediamo


1. Noi siamo sempre auto-consapevoli, ma dobbiamo fare sforzo per essere attentivamente auto-consapevoli

Noi siamo sempre auto-consapevoli, perché l’auto-consapevolezza è la nostra vera natura (ciò che siamo realmente), così non abbiamo bisogno di compiere alcuno sforzo per essere auto-consapevoli. Tuttavia, sebbene siamo sempre auto-consapevoli, non siamo generalmente attentivamente auto-consapevoli, perché la maggior parte della nostra attenzione è assorbita nell’essere consapevole di altre cose, poiché troviamo più interessante e attraente essere consapevoli di altre cose che essere attentivamente consapevoli soltanto di noi stessi.

Questa auto-dimenticanza o mancanza di auto-attentività è ciò che è chiamato pramāda, ed è la radice di tutti i nostri problemi, perché è la vera natura dell’ego e il mezzo con cui l’ego sembra sorgere, reggersi e prosperare. Quindi tutti i nostri sforzi dovrebbero essere diretti verso l’essere auto-attentivi e quindi verso il superare il nostro pramāda.

2. Upadēśa Undiyār verso 16: la nostra attenzione sarà ritirata da altre cose nella misura in cui è focalizzata su noi stessi

Soltanto ritirare la nostra attenzione da altre cose (oggetti o fenomeni) non è auto-attentività e quindi non è un mezzo per distruggere l’ego, perché la nostra attenzione è ritirata da ogni altra cosa quando ci addormentiamo, ma per questo il nostro ego non è distrutto. Tuttavia, nella misura in cui la nostra attenzione è focalizzata su noi stessi, sarà ritirata da altre cose, così sebbene ritirare la nostra attenzione da altre cose non è sufficiente, è necessario, perché non possiamo essere esclusivamente auto-attentivi senza con questo ritirare interamente la nostra attenzione da ogni altra cosa.

Questo è il motivo per cui Bhagavan dice nel verso 16 di Upadēśa Undiyār:
வெளிவிட யங்களை விட்டு மனந்தன்
னொளியுரு வோர்தலே யுந்தீபற
வுண்மை யுணர்ச்சியா முந்தீபற.

veḷiviḍa yaṅgaḷai viṭṭu maṉantaṉ
ṉoḷiyuru vōrdalē yundīpaṟa
vuṇmai yuṇarcciyā mundīpaṟa
.

பதச்சேதம்: வெளி விடயங்களை விட்டு மனம் தன் ஒளி உரு ஓர்தலே உண்மை உணர்ச்சி ஆம்.

Padacchēdam (separazione delle parole): veḷi viḍayaṅgaḷai viṭṭu maṉam taṉ oḷi-uru ōrdalē uṇmai uṇarcci ām.

அன்வயம்: மனம் வெளி விடயங்களை விட்டு தன் ஒளி உரு ஓர்தலே உண்மை உணர்ச்சி ஆம்.

Anvayam (parole ridisposte in ordine naturale di prosa): maṉam veḷi viḍayaṅgaḷai viṭṭu taṉ oḷi-uru ōrdalē uṇmai uṇarcci ām.

Traduzione: Lasciando da parte viṣaya esterni [fenomeni], solo la conoscenza della mente della propria forma di luce è reale consapevolezza [vera conoscenza o conoscenza della realtà].
Il soggetto di questa frase è ‘மனம் தன் ஒளி உரு ஓர்தலே’ (maṉam taṉ oḷi-uru ōrdalē), ‘il conoscere della mente della propria forma di luce’, che significa essere acutamente auto-attentivi (attentivamente consapevoli della luce di consapevolezza che siamo realmente), mentre ‘வெளி விடயங்களை விட்டு’ (veḷi viḍayaṅgaḷai viṭṭu), ‘lasciando da parte fenomeni esterni’, che significa cessare di essere consapevoli di qualsiasi cosa diversa da noi stessi, è una proposizione avverbiale, che indica che essa è una precondizione per o un effetto di essere acutamente auto-attentivi. Di fatto è entrambe le cose, perché non possiamo essere interamente focalizzati su essere attentivamente auto-consapevoli se la nostra attenzione non è ritirata da ogni altra cosa, ma essa sarà ritirata da ogni altra cosa solo essendo acutamente focalizzata sulla sua ‘forma di luce’ (la pura auto-consapevolezza che siamo realmente).

Quindi il nostro unico fine investigando chi sono io dovrebbe essere l’essere così acutamente auto-attentivi che la nostra intera attenzione è focalizzata solo su noi stessi, essendo a causa di ciò ritirata completamente da ogni altra cosa.

3. Più siamo in grado di essere parzialmente auto-attentivi, più facile ci sarà essere acutamente auto-attentivi quando liberi da altre attività

Nel mezzo delle nostre attività quotidiane, la maggior parte di noi non è in grado di essere esclusivamente auto-attentiva, perché non siamo ancora in grado di vedere chiaramente che qualunque cosa è destinata ad accadere accadrà, sia che diamo ad essa attenzione o meno. Tuttavia, anche se non possiamo essere acutamente auto-attentivi finché sentiamo qualche bisogno di dare attenzione a qualsiasi altra cosa, possiamo almeno essere parzialmente auto-attentivi anche mentre siamo impegnati delle nostre attività di routine. Questa parziale auto-attentività è molto benefica, in modo particolare se siamo in grado di mantenerla relativamente chiara e ferma a prescindere alle attività in cui il nostro corpo, la nostra parola e la nostra mente possono essere impegnati, perché più siamo in grado di essere parzialmente auto-attentivi, più facile ci sarà focalizzare la nostra intera attenzione su noi stessi più acutamente quando non siamo impegnati in alcuna attività mentale o corporale.

Tuttavia, oltre a cercare di essere fermamente e almeno parzialmente auto-attentivi anche nel mezzo delle attività, dovremmo anche cercare, ogni volta è possibile, di affondare più profondamente in noi stessi tentando di essere acutamente ed esclusivamente auto-attentivi, perché in definitiva noi (questo ego) sprofonderemo completamente e ci dissolveremo per sempre nella nostra sorgente (l’auto-consapevolezza assolutamente chiara e pura che siamo realmente) solo essendo così acutamente auto-attentivi da escludere completamente ogni altra cosa dalla nostra consapevolezza.

4. Lo sforzo è richiesto per superare la naturale resistenza del nostro ego ad essere auto-attentivo

Riguardo la richiesta di sforzo, esso è richiesto solo perché – e nella misura in cui – resistiamo al permettere a noi stessi di essere auto-attentivi, e la ragione per cui resistiamo ad esserlo è che sappiamo istintivamente che come questo ego non possiamo sopravvivere senza dare attenzione ad altre cose, e che l’auto-attentività è quindi una minaccia diretta proprio alla nostra esistenza come questo ego. Poiché l’auto-attentività parziale non è una minaccia immediata alla sopravvivenza del nostro ego, essere parzialmente auto-attentivi richiede uno sforzo relativamente piccolo, mentre un’auto-attentività focalizzata più acutamente richiede molto più sforzo.

In altre parole, la quantità di sforzo che abbiamo bisogno di esercitare per essere auto-attentivi è proporzionale alla misura in cui resistiamo a permettere a noi stessi di essere auto-attentivi, e più acutamente e intensamente cerchiamo di essere auto-attentivi, più resisteremo a tali tentativi.

Per rendere questo più chiaro, l’analogia seguente può essere utile. Supponiamo di essere sulla cima di un’alta rupe con un parapetto protettivo sul bordo di essa. Se vogliamo vedere cosa c’è alla base della rupe, possiamo salire sul parapetto e, tenendoci saldamente ad esso, possiamo sporgerci per guardare giù. Se non soffriamo di vertigini, finché ci teniamo fermamente al parapetto non avremo paura di sporgerci, ma se ci azzardiamo ad allentare la presa, la paura ci prenderà immediatamente e velocemente stringeremo di nuovo la nostra presa.

L’auto-attentività parziale è come stringere fermamente il parapetto mentre ci sporgiamo per guardare di sotto, perché sebbene stiamo cercando di guardare noi stessi (la nostra auto-consapevolezza fondamentale), ci stiamo anche aggrappando alla nostra consapevolezza di altre cose, e quindi siamo ancora relativamente salvi e sicuri. Tuttavia, essere più acutamente auto-attentivi è come allentare la nostra presa sul parapetto, perché siamo così desiderosi di guardare noi stessi che iniziamo a lasciare andare la nostra consapevolezza di altre cose, e poiché questo è mettere la vita del nostro ego in immediato pericolo, il nostro impulso a dare attenzione ad altre cose naturalmente manifesterà sé stesso più fortemente.

In altre parole, più acutamente attendiamo a noi stessi e di conseguenza perdiamo la nostra presa sulla nostra consapevolezza di altre cose, più fortemente le nostre viṣaya-vāsanā (le nostre propensioni, inclinazioni, impulsi o desideri di essere consapevoli di qualsiasi cosa diversa da sé stessi) insorgeranno ribellandosi per proteggere il loro genitore e maestro, il nostro ego, e di conseguenza avremo bisogno di fare più sforzo per nuotare contro la potente corrente dell’impulso esteriorizzante che esse inducono.

Quindi hai ragione nel dire che ‘intenso e attivo focalizzare è richiesto’, purché ciò che intendi con ‘attivo’ richieda sforzo, perché come sono sicuro che ti rendi conto, essere acutamente auto-attentivi non è letteralmente un’azione o un’attività, ma è semplicemente uno stato di solo essere (summā iruppadu) – cioè, solo essere come sempre siamo realmente, che è auto-consapevolezza pura e quindi priva di azione.

5. Il modo di procedere nella nostra auto-investigazione, si rivelerà gradualmente mentre procediamo

Tuttavia, ogni volta che qualcuno mi descrive come pratica l’auto-investigazione (ātma-vicāra) e mi chiede se è il modo corretto, non posso mai dire con certezza in quale misura è corretto, perché nessuna parola può descrivere in modo adeguato questa pratica, e quindi come Bhagavan era solito dire, ciascuno di noi deve scoprire da solo cosa è realmente lo stato di pura auto-consapevolezza. Se lo avessimo scoperto perfettamente, non saremmo più consapevoli di noi stessi come qualcosa diversa da ciò che siamo realmente, così la nostra storia sarebbe già finita.

Questo è il motivo per cui Bhagavan chiamava questa pratica ‘ātma-vicāra’, che significa auto-investigazione, perché come ogni vera investigazione, il modo di procedere in essa si rivelerà gradualmente mentre si procede. Pensare profondamente e attentamente ai suoi insegnamenti, in modo particolare come da lui espressi nei suoi scritti originali (specialmente in Nāṉ Yār?, Uḷḷadu Nāṟpadu e Upadēśa Undiyār), forse con l’aiuto di spiegazioni di essi date da coloro che li hanno seguiti correttamente, ci rivelerà indizi molto sottili e preziosi, ma ciascuno di noi ha bisogno di mettere in pratica questi indizi da solo per scoprire ciò che ātma-vicāra è realmente, e quindi ciò che noi stessi siamo realmente.


In un commento scritto di seguito alla pubblicazione di questo articolo Michael James ha aggiunto:

Lo stesso amico a cui ho scritto la risposta in questo articolo mi ha scritto nuovamente dicendo:
“Avendo preso a cuore le tue parole, mi sono focalizzato in modo più esclusivo possibile su Io-solo. Improvvisamente c’è stata una potente spinta di attrazione dall’interno. Avevo pensato che quando Bhagavan parla del guru che attrae dall’interno fosse più metaforico. Ma no, era un urgente, intenso e molto veloce e potente movimento di attrazione interna. Ho notato che non c’era affatto paura, c’era solo eccitazione e amore e disponibilità e desiderio di andare. Le parole, ‘io sono pronto prendimi’, mi sono venute in mente ed erano autentiche e sincere. Ma tuttavia, dopo un po’ di tempo ho sentito l’attrazione attenuarsi. Ho mantenuto più possibile la focalizzazione sul sé, ma alla fine è svanita. Dopo sono stato molto deluso. Ho continuato a meditare ma non è avvenuto nuovamente.”
In risposta ho scritto:

Noi tutti vorremmo arrenderci a quella attrazione interna, ma la nostra attrazione non è ancora abbastanza forte e pura, e questo è il motivo per cui permettiamo a noi stessi di essere nuovamente attratti fuori.

Chi è l’’io’ che si è sentito molto deluso? Ovviamente è l’ego, e il fatto che esso ha sentito questa delusione mostra che non è ancora pronto a lasciarsi andare completamente, perché la delusione sorge a causa dell’insoddisfazione del suo stato attuale, e l’insoddisfazione esiste perché vogliamo che le cose siano diverse da come ora sono. Questa è la vera natura dell’ego, perché l’ego non può mai vedere quello che è perfetto come è, così vuole sempre qualcosa di più, mentre ciò di cui ha bisogno non è ottenere qualcosa ma di perdere ogni cosa, incluso sé stesso e la sua insoddisfazione.

Quindi il modo in cui l’ego si aggrappa per sopravvivere può essere molto sottile e ingannevole. Come possiamo allora superare questo aggrapparsi sottile e ingannevole? Il solo modo è di perseverare nell’investigare lo stesso ego per vedere se è davvero reale. Quando lo investighiamo abbastanza acutamente, vedremo che esso non esiste realmente, così non ci sarà nessuno per aggrapparsi a qualcosa, e dunque non ci sarà insoddisfazione o delusione.

16 Aprile 2017 12:23

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