Om Namo Bhagavate Sri Arunachalaramanaya

giovedì 13 luglio 2017

La non-esistenza dell’ego, del corpo e del mondo in manōlaya è solo temporanea, mentre in manōnāśa è permanente

Michael James

7 Luglio 2017
The non-existence of the ego, body and world in manōlaya is only temporary, whereas in manōnāśa it is permanent

In un commento ad uno dei miei articoli recenti, Non c’è assolutamente differenza tra il sonno e la pura auto-consapevolezza (ātma- jñāna), un amico di nome Roger mi ha chiesto perché, se non c’è differenza tra il sonno e l’auto-consapevolezza, Gaudapada dice nel Māṇḍukya Kārikā 3.44 (nelle parole di Roger) ‘quando durante la meditazione la mente diviene inattiva nell’oblio (susupti/sonno) la mente dovrebbe essere risvegliata di nuovo, proprio lo stesso come se la mente è distratta’. Da questo verso e dal commentario di Sankara ad esso Roger ha dedotto che ‘Sembra che tu insegni che il sonno è lo stato più alto, il tuo intero insegnamento è orientato su questo, ma Sankara diffida questo esplicitamente’. Quindi questo articolo è scritto in risposta a questo e a un successivo commento di Roger.
  1. A parte il sonno di cui necessitiamo, dovremmo evitare di rimanere in manōlaya, perché non possiamo distruggere la nostra mente tranne che nella veglia o nel sogno
  2. Insegnandoci che non c’è differenza tra il sonno e la pura auto-consapevolezza Bhagavan ci ha dato un indizio prezioso e ci ha incitato a cambiare la nostra prospettiva
  3. Upadēśa Undiyār verso 13: dalla prospettiva dell’ego nella veglia o nel sogno la distinzione tra manōlaya and manōnāśa è in effetti reale
  4. Il solo fine utile è la non-esistenza permanente di qualsiasi ego, corpo o mondo in manōnāśa, e non la loro non-esistenza temporanea in manōlaya
  5. Anche se l’ego o mente sembra esistere, non esiste realmente, così possiamo distruggerlo solo guardandolo abbastanza attentamente da vedere ciò che è realmente


1. A parte il sonno di cui necessitiamo, dovremmo evitare di rimanere in manōlaya, perché non possiamo distruggere la nostra mente tranne che nella veglia o nel sogno

Roger, prima di tutto dovrei indicare che non ho alcun ‘insegnamento’ mio, e ciò che sto facendo in questo blog è semplicemente condividere le mie traduzioni e comprensioni degli insegnamenti di Bhagavan con chiunque è interessato ad esse, e generalmente supporto le mie spiegazioni con riferimenti ai suoi scritti originali Tamil ed altre sorgenti affidabili.

Ciò che Gaudapada dice nel Māṇḍukya Kārikā 3.44 è che se la mente sprofonda in laya (dissolvimento o sospensione temporanea) si dovrebbe risvegliarla, e se è dispersa (da pensieri o consapevolezza di molteplicità) si dovrebbe riportarla indietro a uno stato di quiete, ma se essa ha raggiunto uno stato di equilibrio (stabilmente in equilibrio tra essere dispersa e sprofondare in laya) non si dovrebbe lasciarla muovere (verso la dispersione o verso laya). Se diamo attenzione a qualsiasi cosa diversa da noi stessi, stiamo permettendo alla nostra mente di essere dispersa, mentre se siamo acutamente auto-attentivi, stiamo impedendo alla nostra mente non solo di essere dispersa ma anche di sprofondare in qualsiasi tipo di laya, così la pratica che Gaudapada descrive in questo verso è di conseguenza la stessa pratica di auto-investigazione (ātma-vicāra) insegnata da Bhagavan, come egli conferma nel verso successivo, il 3.45, in cui dice che se la mente esce dallo stato di immobilità, dovrebbe nuovamente fare lo sforzo di divenire una (con sé stessa, ātman).

In questo contesto laya significa ovviamente manōlaya (dissolvimento temporaneo della mente), e ogni stato di manōlaya, sia esso provocato da stanchezza, shock, anestesia, morte, qualsiasi tipo di pratica spirituale o qualsiasi altro mezzo, è in effetti solo uno stato di sonno (suṣupti), come Sankara intende nel suo commentario a questo verso (se la traduzione di Nikhilananda rispetto a questo è precisa), così anche se esso è chiamato con nomi elaborati come nirvikalpa samādhi, nessuno stato di manōlaya è più benefico del sonno, come Bhagavan era solito illustrare raccontando la storia di uno yōgi sulle rive del Ganga che una volta rimase in nirvikalpa samādhi per trecento anni e tuttavia ne uscì senza alcun avanzamento spirituale.

Poiché l’ego o mente esiste solo nella veglia e nel sogno, può essere distrutto solo in uno di questi due stati, così rimanere nel sonno o qualsiasi altro stato di manōlaya non può aiutarci nello sforzo di distruggere la mente. Tuttavia, questo non significa che c’è qualcosa di intrinsecamente sbagliato nell’essere addormentati in qualsiasi tipo di manōlaya, o che in un tale stato c’è qualche difetto oltre al fatto che prima o poi ne usciremo. Tutto ciò che esso significa è che se siamo intenti a distruggere la mente per mezzo dell’auto-investigazione non dovremmo rimanere in manōlaya più di quanto è necessario alla mente per recuperare la sua energia in modo che possiamo ancora una volta riprendere il nostro sforzo persistente di essere acutamente e stabilmente auto-attentivi.

2. Insegnandoci che non c’è differenza tra il sonno e la pura auto-consapevolezza Bhagavan ci ha dato un indizio prezioso e ci ha incitato a cambiare la nostra prospettiva

Quando Bhagavan ci ha insegnato che non c’è assolutamente differenza tra il sonno e la pura auto-consapevolezza (ātma-jñāna), stava ovviamente parlando dalla prospettiva della pura auto-consapevolezza, e non intendeva negare che dalla prospettiva dell’ego o mente nella veglia e nel sogno il sonno sembra essere qualcosa diversa dallo stato eterno e ininterrotto di pura auto-consapevolezza. La ragione per cui egli ci ha insegnato che non c’è assolutamente differenza tra il sonno e la pura auto-consapevolezza era in primo luogo per darci un indizio importante riguardo la natura della pura auto-consapevolezza, vale a dire che è priva anche della minima consapevolezza di qualsiasi altra cosa, come sperimentiamo ogni giorno nel sonno, e in secondo luogo perché il suo fine è indurci a cambiare la nostra prospettiva, cosa che possiamo effettivamente fare solo investigando noi stessi e quindi sradicando l’ego o mente.

L’indizio che egli ci ha dato è estremamente prezioso perché ci aiuta a comprendere che qualsiasi cosa di cui non eravamo consapevoli nel sonno non è ciò che siamo realmente, che è solo pura auto-consapevolezza, così qualunque altra cosa può apparire nella nostra consapevolezza, dovremmo cercare di rivolgere indietro la nostra attenzione per fissarla fermamente su noi stessi, l’auto-consapevolezza fondamentale che sottende e sostiene l’apparenza di ogni altra cosa. Se perseveriamo nel cercare in questo modo di essere auto-attentivi più acutamente possibile, la nostra attuale prospettiva, che è la prospettiva dell’ego o mente, si dissolverà, e la prospettiva che rimarrà sarà quella della pura auto-consapevolezza, nella chiara visione della quale non c’è assolutamente differenza tra sé stessi e ciò che sperimentiamo ogni giorno nel sonno.

3. Upadēśa Undiyār verso 13: dalla prospettiva dell’ego nella veglia o nel sogno la distinzione tra manōlaya and manōnāśa è in effetti reale

Come sappiamo dalla nostra esperienza nel sonno ogni giorno, nello stato di pura auto-consapevolezza non ci sono assolutamente differenze o distinzioni di qualsiasi tipo. Tuttavia, dalla prospettiva dell’ego o mente nella veglia o nel sogno differenze e distinzioni sembrano esistere, così esse sono in effetti reali finché noi sembriamo essere questo ego o mente. Dalla prospettiva dell’ego una distinzione importante è la differenza tra manōlaya (dissolvimento temporaneo della mente) e manōnāśa (permanente distruzione della mente), come indicato da Bhagavan nel verso 13 di Upadēśa Undiyār: இலயமு நாச மிரண்டா மொடுக்க
மிலயித் துளதெழு முந்தீபற
வெழாதுரு மாய்ந்ததே லுந்தீபற.

ilayamu nāśa miraṇḍā moḍukka
milayit tuḷadeṙu mundīpaṟa
veṙāduru māyndadē lundīpaṟa
.

பதச்சேதம்: இலயமும் நாசம் இரண்டு ஆம் ஒடுக்கம். இலயித்து உளது எழும். எழாது உரு மாய்ந்ததேல்.

Padacchēdam (separazione delle parole): ilayam-um nāśam iraṇḍu ām oḍukkam. ilayittu uḷadu eṙum. eṙādu uru māyndadēl.

அன்வயம்: ஒடுக்கம் இலயமும் நாசம் இரண்டு ஆம். இலயித்து உளது எழும். உரு மாய்ந்ததேல் எழாது.

Anvayam (parole ridisposte in ordine naturale di prosa): oḍukkam ilayam-um nāśam iraṇḍu ām. ilayittu uḷadu eṙum. uru māyndadēl eṙādu.

Traduzione: Lo sprofondamento [della mente] è [di] due [tipi]: laya e nāśa. Ciò che giace [o è dissolto in laya] sorgerà. Se [la sua] forma muore [in nāśa], non sorgerà . Dalla prospettiva dell’ego o mente nella veglia o nel sogno sembriamo essere sorti dal sonno, così da questa prospettiva il sonno è solo uno stato di manōlaya, e finché rimaniamo in manōlaya non possiamo realizzare manōnāśa. Questo è il motivo per cui Gaudapada, Sankara e Bhagavan ci hanno insegnato che se la mente sprofonda in laya come risultato di qualsiasi tipo di pratica spirituale dovremmo risvegliarla e cercare di fissarla fermamente nell’auto-attentività. Cioè, come Gaudapada intendeva nel Māṇḍukya Kārikā 3.44 (a cui ti sei riferito nel primo commento), abbiamo bisogno di rimanere così stabilmente bilanciati nello stato di acuta auto-attentività da evitare sia di essere distratti da qualsiasi pensiero (qualsiasi consapevolezza di qualsiasi cosa diversa da noi stessi) che di sprofondare in laya.

Questo non significa che dovremmo cercare di evitare di dormire completamente, perché la nostra mente necessita di sprofondare periodicamente nella sua sorgente per recuperare la sua energia, che è dispersa dalla sua attività nella veglia e nel sogno. Tuttavia, questo significa che abbiamo bisogno di evitare il nirvikalpa samādhi o ogni altro tipo di manōlaya prodotto da qualsiasi tipo di pratica spirituale, perché il nostro fine dovrebbe essere distruggere la mente, e possiamo distruggerla solo quando essa sembra esistere, che non è in laya ma solo nella veglia e nel sogno.

La natura dell’ego o mente è quella di dare attenzione a cose diverse da sé stesso, ed esso può sopravvivere solo finché fa questo, perché se cerca di attendere a sé stesso abbastanza acutamente, sprofonderà e scomparirà per sempre, poiché sembra esistere solo finché dà attenzione ad altre cose. Cioè, proprio come un serpente illusorio cesserà di esistere appena si guarda ad esso abbastanza attentamente da vedere che è realmente solo una corda, l’ego che ora noi sembriamo essere cesserà di esistere appena guardiamo noi stessi abbastanza attentamente da vedere ciò che siamo realmente, che è solo pura auto-consapevolezza, per sempre incontaminata da ogni consapevolezza di qualsiasi altra cosa.

4. Il solo fine utile è la non-esistenza permanente di qualsiasi ego, corpo o mondo in manōnāśa, e non la loro non-esistenza temporanea in manōlaya

Nel tuo secondo commento parli di uno stato di ‘non ego, non corpo, non mondo’, che equipari al sonno e al nirvikalpa samādhi, che sono entrambi stati di manōlaya, ma ti lasci sfuggire il fatto che anche manōnāśa è uno stato di ‘non ego, non corpo, non mondo’. In manōlaya la non-esistenza dell’ego, del corpo e del mondo è solo temporanea, perché essi riappaiono appena sorgiamo come questo ego nella veglia o nel sogno, mentre in manōnāśa essi non solo non riappaiono ma in primo luogo non sono mai apparsi, perché manōnāśa avviene sono quando investighiamo questo ego e scopriamo che esso non è mai realmente esistito.

Quindi manōlaya di ogni tipo è al massimo solo una soluzione temporanea ai nostri problemi, così non è un fine utile, mentre manōnāśa è la soluzione permanente a tutti i problemi, inclusa la loro radice, l’ego, così è il solo fine realmente utile. Tuttavia, la scelta è nostra: saggi come Gaudapada, Sankara e Bhagavan non ci costringeranno mai a cercare manōnāśa, ma hanno spiegato molto chiaramente perché esso è il solo fine utile, così se siamo saggi seguiremo il loro consiglio e cercheremo con persistenza di investigare noi stessi essendo acutamente auto-attentivi fino a che perdiamo per sempre noi stessi (questo ego) nell’assoluta chiarezza della pura auto-consapevolezza, che è ciò che sempre siamo realmente.

5. Anche se l’ego o mente sembra esistere, non esiste realmente, così possiamo distruggerlo solo guardandolo abbastanza attentamente da vedere ciò che è realmente

Se l’ego o mente esistesse realmente, ci potrebbero essere forse vari modi per ucciderlo, ma poiché esso non esiste realmente ma solamente sembra esistere, il solo modo per distruggerlo è l’auto-investigazione (ātma-vicāra), che comporta che esso guardi molto attentamente sé stesso per vedere ciò che è realmente. Poiché la sola cosa che esiste realmente è ātma-svarūpa (la ‘forma propria’ o reale natura di sé stessi), come Bhagavan dice nella prima frase del settimo paragrafo di Nāṉ Yār?, ciò che sembra essere l’ego o mente è solo ātma-svarūpa, così quando noi (come questo ego) guardiamo attentamente noi stessi per vedere cosa siamo realmente, vedremo che siamo solo ātma-svarūpa, che è pura auto-consapevolezza, e quindi non confonderemo più noi stessi come l’ego o mente.

Quindi, proprio come il solo modo per ‘uccidere’ un serpente illusorio è guardarlo abbastanza attentamente da vedere che è solo una corda, il solo modo per distruggere l’ego o mente è di guardalo abbastanza attentamente da vedere che è solo pura auto-consapevolezza. Quindi se comprendiamo gli insegnamenti di Gaudapada, Sankara e Bhagavan abbastanza chiaramente e siamo di conseguenza fermamente convinti che manōnāśa è il solo fine utile, saremo naturalmente attratti al sentiero di auto-investigazione e non saremo interessati a perseguire qualsiasi altra pratica spirituale, perché tutte le pratiche spirituali diverse dall’auto-investigazione comportano il dare attenzione a qualcosa diversa da noi stessi, che perpetua necessariamente l’illusione che siamo questo ego, la falsa consapevolezza che è consapevole di altre cose.

Altre pratiche possono avere altri benefici, così esse possono essere adatte per coloro che cercano altri benefici, ma tutti gli altri benefici possono solo essere per l’ego, la realtà del quale Bhagavan ci ha insegnato a dubitare e quindi a investigare. Nella nostra visione questo può sembrare ‘piuttosto inflessibile e ristretto’ come dici nel tuo secondo commento, ma è possibile per noi distruggere noi stessi, questo ego, se la nostra messa a fuoco sull’essere auto-attentivi non è estremamente ristretta (uni focalizzata) ed inflessibile (ferma e persistente)?


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