Om Namo Bhagavate Sri Arunachalaramanaya

lunedì 27 ottobre 2014

C’è solo un ‘io’ e l’investigazione rivelerà che non è un ego limitato ma il sé infinito




Un amico mi ha scritto alcuni mesi fa dicendo che dopo aver letto gli insegnamenti di Sri Ramana e quelli di Nisargadatta fu confuso se l’ ‘io’ che dovremmo investigare nell’ ātma-vicāra (auto-investigazione) è l’ego (il jīvātman o il sé individuale limitato) o il nostro sé reale (l’ ātman o il sé infinito), e ha chiesto se c’è qualche differenza tra i loro rispettivi insegnamenti, e se forse Sri Ramana si riferisce al jīvātman mentre  Nisargadatta si riferisce all’ ātman. Ciò che   segue è adattato dalla risposta che gli ho scritto:

La tua osservazione di essere un po’ confuso riguardo all’ ‘io’ a cui ci si riferisce nell’ ātma-vicāra suggerisce che ci possa essere più di un ‘io’, che non è ovviamente il caso. Come ciascuno di noi sa per esperienza personale, e come Sri Ramana ha enfatizzato ripetutamente c’è solo un ‘io’ (per esempio, nei versi  21 e 33 di Uḷḷadu Nāṟpadu: ‘தான் ஒன்றால்’ (tāṉ oṉḏṟāl), ‘poiché il se stesso è uno’, e ‘தனை விடயம் ஆக்க இரு தான் உண்டோ? ஒன்று ஆய் அனைவர் அனுபூதி உண்மை ஆல்’ (taṉai viḍayam ākka iru tāṉ uṇḍō? oṉḏṟu āy aṉaivar aṉubhūti uṇmai āl), ‘Per rendere se stesso un oggetto conosciuto, ci sono due sé? Perché essere uno è la verità dell’esperienza di ognuno’). 
Quando questo unico ‘io’ sperimenta se stesso come è realmente, è chiamato sé o ātman, mentre quando sperimenta se stesso come qualcos’altro è chiamato ego,  jīva or jīvātman.

Proprio come la corda e il serpente non sono due oggetti differenti, così il sé e l’ego non sono due ‘io’ differenti. La corda è sempre solo una corda, anche quando è percepita erroneamente come un serpente, così il serpente non è mai qualcosa di diverso dalla corda. In modo simile, il sé è sempre solo il sé, anche quando è erroneamente percepito come un ego, così l’ ‘ego’ non è mai qualcosa di diverso dal sé.

Il Sé è l’unico e solo ‘io’ che c’è, o che mai ci possa essere, così quando pratichiamo ātma-vicāra (cioè, quando investighiamo l’ ‘io’ cercando di essere presenti solo a esso al fine di sperimentarlo come è realmente), l’ ‘io’ che stiamo investigando è solo il sé. Comunque, poiché ora sperimentiamo noi stessi come una persona o un ego, inizialmente ci sembra che stiamo investigando il nostro ego, ma se perseveriamo nella nostra investigazione, scopriremo che questo ‘ego’ non è nient’altro che il sé.

Questo può essere illustrato dall’analogia della corda e del serpente. Supponiamo di star camminando con Sri Ramana lungo un sentiero nella debole luce del crepuscolo, e che improvvisamente notiamo un serpente che si trova sul sentiero davanti a noi. Ci fermeremmo lasciando passare il serpente, ma Sri Ramana ci direbbe: ‘Non avere paura. Sebbene sembri essere un serpente è veramente solo una corda. Guardalo attentamente e vedi’. Sebbene possa ancora sembrarci un serpente, lo guarderemmo attentamente e vedremmo che di fatto è solo una corda.

Quando lo guardiamo attentamente, stiamo investigando il serpente o la corda? Potremmo dire entrambi. Inizialmente ci sembrerà di star guardando un serpente, ma quando lo guardiamo abbastanza attentamente vedremo che è solo una corda. In modo simile, inizialmente ci può sembrare che stiamo investigando questa entità limitata chiamata ‘ego’, ma quando lo esaminiamo abbastanza accuratamente scopriremo che è realmente solo l’unica realtà infinita, che è il nostro vero sé o ātman.  

 Tu chiedi, ‘Il processo di indagare nell’ ‘io’ fenomenico come conduce alla realizzazione della non-esistenza di questo io?’ A ciò si può rispondere considerandolo nei termini dell’analogia della corda e del serpente. Ciò che esiste realmente è solo la corda, mentre il serpente è un fenomeno che sembra esistere ma non è realmente ciò che sembra essere. Quindi se esaminiamo il serpente fenomenico, scopriremo che non esiste realmente come tale, perché ciò che sembrava essere un serpente è di fatto solo una corda.

Nello stesso modo, ciò che esiste realmente è solo il nostro sé reale (come Sri Ramana dice nella prima frase del diciassettesimo paragrafo di Nāṉ Yār?: ‘யதார்த்தமா யுள்ளது ஆத்மசொரூப மொன்றே’ (yathārtham-āy uḷḷadu ātma-sorūpam oṉḏṟē), ‘Ciò che esiste realmente è solo ātma-svarūpa [il nostro sé essenziale], mentre l’ego è un fenomeno che sembra esistere ma non è realmente ciò che sembra essere. Se esaminiamo questo ‘io’ fenomenico (l’ego), scopriremo che non esiste realmente come tale, perché ciò che sembrava essere un ego è di fatto solo il nostro sé reale. In altre parole, scoprire la non-esistenza dell’ego investigando cosa è (chi sono io) non è altro che scoprire l’unica esistenza del sé.

Tu dici che trovi più facile concentrare la tua attenzione su ‘io’ che su ‘chi sono io’, ma Sri Ramana non ha mai suggerito che le parole ‘chi sono io’ dovessero essere un oggetto della nostra meditazione o concentrazione. Egli ci ha solo consigliato di investigare chi sono io, non semplicemente chiedersi ‘chi sono io’ o concentrarsi su questa domanda,  e il solo modo per investigare chi sono io è focalizzare la nostra intera attenzione su ‘io’ (o ‘io sono’) solamente. Quindi, se stai concentrando la tua attenzione su ‘io sono’ (non semplicemente sulle parole ‘io sono’ ma sulla consapevolezza o esperienza di ‘io sono’), stai praticando l’investigazione chi sono io come da lui insegnata.

Dato che la domanda ‘chi sono io?’ consiste di parole, e poiché le parole originano dai pensieri, chiedere o dare attenzione a questa domanda è un’attività mentale: cioè, implica il pensare. Inoltre, dato che la domanda ‘chi sono io?’ è un prodotto dei pensieri, è qualcosa di diverso da ciò che io realmente sono, così dare attenzione a essa non può essere il mezzo corretto di investigare chi sono io.

Tu dici, ‘Focalizzarsi su ‘chi sono io’ conduce alla vacuità o a  un vuoto e poi chiedersi chi sta notando il vuoto conduce all’immobilità o quiete. Ma io o l’osservatore è ancora lì e non scompare o si fonde con l’osservato’.  Fino a che osserviamo qualcosa diversa da ‘io’, stiamo nutrendo l’illusione di essere un ego, un’entità limitata che è separata da altre cose, così stiamo quindi impedendo a noi stessi di fonderci nella nostra sorgente, che è il nostro sé reale. Quindi ciò che dovremmo osservare è solo ‘io’,  l’osservatore, poiché solo per mezzo della nostra attenta osservazione esso si fonderà nella sua sorgente (poiché è solo una falsa apparenza, come il serpente illusorio, che si fonde nella sua sorgente, la corda quando lo osserviamo attentamente).

Se sperimentiamo un vuoto, una vacuità, un'immobilità o una quiete che viene o va, non può essere ‘io’ perché ‘io’ è ciò che sperimentiamo permanentemente. Quindi se pensiamo di star sperimentando un vuoto o qualche fenomeno alieno del genere,  dovremmo rivolgere indietro la nostra attenzione verso l’ ‘io’, lo sperimentatore di qualsiasi cosa possiamo sperimentare. Ogni cosa che è temporanea – sperimentata in un momento ma non in tutti i momenti – non può essere ‘io’, ma anche non può essere sperimentata da qualcosa diversa da ‘io’, così questo dovrebbe ricordarci di rivolgere indietro la nostra attenzione all’ ‘io’.

Riguardo le tue domande sugli insegnamenti di Nisargadatta, non ne conosco abbastanza per essere in grado di dire se sono differenti da quelli di Sri Ramana o no. Dal poco che ho letto di essi, alcuni dei suoi insegnamenti sembrano essere almeno superficialmente simili a quelli di Sri Ramana, ma altri sembrano essere del tutto differenti. Comunque, non so se questo è dovuto a traduzioni scadenti o se egli insegnò realmente qualcosa di diverso, ma qualsiasi sia il caso, non penso che confrontare insegnamenti differenti sia utile per qualcuno il cui solo fine dovrebbe essere investigare e sperimentare ‘io’ come è realmente.

Gli insegnamenti di Sri Ramana sono semplici, chiari, logici e in accordo con l’esperienza di noi stessi in ciascuno dei tre stati di veglia, sogno e sonno, così essi dovrebbero essere sufficienti per convincere ogni sincero ricercatore della necessità di investigare chi sono io, ma non so se lo stesso può essere detto degli insegnamenti di Nisargadatta. Comunque, se abbiamo studiato e compreso gli insegnamenti di Sri Ramana, non dovremmo aver bisogno di confrontarli con altri insegnamenti, e ogni tentativo di fare tali confronti è soggetto a condurre in confusione e mancanza di chiarezza, come di fatto fa spesso.

Ciò che ho notato a questo proposito da domande che mi sono state rivolte frequentemente sugli insegnamenti di Sri Ramana è che le persone sono spesso confuse anche dopo aver letto solo i suoi insegnamenti (principalmente a causa di traduzioni inadeguate dei suoi scritti, imprecise registrazioni di ciò che disse, mancanza di comprensione che molte delle risposte che egli dava non erano i suoi reali insegnamenti ma sono state dette per adattarsi alla comprensione, agli interessi o alle aspirazioni limitate di chi gli poneva la domanda, e spiegazioni errate che in vari libri sono state scritte sui suoi insegnamenti), ma se essi hanno letto altri insegnamenti (o da insegnanti moderni come Nisargadatta o J Krishnamurti o da sorgenti più antiche come il Vedanta, l’Advaita, lo Yoga o i testi Buddhisti) e cercano di comprendere gli insegnamenti di Sri Ramana nei termini di quegli altri insegnamenti, essi tendono a essere ancora più confusi, o sono confusi in modi in cui non sarebbero se avessero letto solo gli insegnamenti di Sri Ramana.  

 Una ragione del perché gli insegnamenti di Sri Ramana sono così unici e preziosi è che egli ha presentato l’esatta essenza di tutti gli antichi insegnamenti di advaita, ma in termini molto più chiari e più semplici, e che nel fare questo ha tagliato e ridotto allo stretto necessario tutta la struttura estremamente complessa e concettuale in cui tali insegnamenti sono stati presentati nei testi iniziali. Non solo ci ha quindi tutelato dalla gran parte del vasto potenziale di confusione e fraintendimento che esiste nei testi antichi, ma in modo più importante ha chiarificato e illuminato il solo strumento con cui possiamo realmente esperimentare la realtà non-duale che quegli antichi testi indicavano, vale a dire la semplice pratica di investigare solo ‘io’. Quindi se invece di comprendere gli insegnamenti di Sri Ramana nella loro propria luce e nei loro propri termini cerchiamo di comprenderli nei termini di qualche altro antico testo, graveremo la nostra mente con molti dei concetti, dei credi e delle idee non necessarie e spesso molto complesse che Sri Ramana ha tagliato ed evitato nei suoi insegnamenti essenziali, e perciò inviteremo la confusione e il fraintendimento.

Sebbene nel rispondere a domande relative ad altri insegnamenti e testi antichi Sri Ramana qualche volta discusse alcuni dei concetti, dei credi e delle idee non necessarie che si trovano in tali insegnamenti e testi, nei suoi insegnamenti essenziali egli mantenne ogni cosa più semplice e più chiara possibile focalizzandosi solo sulla pratica di investigare ‘io’ e sulle ragioni per cui questa pratica è così necessaria. Questo è il motivo per cui quando studiamo i suoi insegnamenti dobbiamo distinguere attentamente e chiaramente i suoi insegnamenti essenziali  sull’auto-investigazione da tutte le risposte che egli diede relative ad altri soggetti e pratiche su cui gli fu chiesto di spiegare o chiarificare. 

Dato che gli insegnamenti essenziali di Sri Ramana – che sono espressi in termini molto chiari e semplici nei suoi originali scritti Tamil, e che possono anche essere trovati espressi più o meno chiaramente in almeno alcune parti dei vari libri che riportano i suoi insegnamenti orali (a condizione che tali libri siano letti con discriminazione e nella luce dei suoi scritti) – sono completi e  autonomi, essi forniscono una guida più che sufficiente per chiunque vuole seguire il sentiero dell’auto-investigazione (ātma-vicāra) e quindi sperimentare ‘io’ come è realmente. Non abbiamo quindi bisogno di leggere o studiare qualsiasi altro insegnamento, e se invece lo facciamo questo non solo tenderà a confonderci ma distrarrà la nostra attenzione lontano da ‘io’, che è tutto ciò che dovremmo investigare.

Quando investighiamo ‘io’,  l’effettiva esistenza della nostra mente o ego è quindi minacciata, perché una vigilante auto-investigazione la svelerà come un’illusione e  come tale non esistente. Quindi la nostra mente cercherà di trovare ogni mezzo con cui distrarre la nostra attenzione lontano dall’auto-investigazione, e studiare e confrontare insegnamenti differenti è solo uno dei molti modi in cui la nostra mente può distrarci. Se vogliamo sperimentare in modo autentico  ‘io’ come è realmente, possiamo ricevere in modo esaustivo una guida chiara dagli insegnamenti di Sri Ramana, così non abbiamo bisogno di essere distratti e di rischiare di essere confusi cercando di confrontarli con qualche altro insegnamento.

In riferimento alla tua domanda finale riguardo il jīvātman (il sé personale) e l’ atman (il sé), come ho spiegato sopra, Sri Ramana ci ha insegnato che c’è solo un atman o ‘io’, che ora sembra essere un jīva o ego, ma che è realmente solo l’infinito ātman (il nostro sé reale). Al fine di sperimentare ‘io’ come l’ātman che è realmente , dobbiamo investigarlo, e quando facciamo questo esso cesserà di apparire come se fosse un  jīvātman limitato.  Perciò è sbagliato suggerire che l’ ‘io’ che Sri Ramana ci chiede di investigare è solo il jīvātman e non l’ ātman, perché l’investigazione rivelerà che ‘io’ è effettivamente non l’ego o il jīvātman che ora sembra essere ma solo l’unico sé infinito o ātman.  

 Ora confondiamo ‘io’ come una persona limitata o ego, e se leggiamo troppi libri probabilmente diventeremo ancora più confusi riguardo la reale natura di questo ‘io’, così il solo modo per rimuovere tutta la nostra confusione è investigare questo ‘io’ cercando di essere presenti solo a esso, in completo isolamento da qualsiasi altra cosa, e quindi sperimentarlo come è realmente. Come Sri Ramana usava spesso enfatizzare (per esempio nel sedicesimo paragrafo di Nāṉ Yār?), non possiamo sperimentare ciò che ‘io’ è realmente studiando qualunque numero di libri, ma solo investigandolo con attenzione unidirezionata e perseveranza.




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