Om Namo Bhagavate Sri Arunachalaramanaya

martedì 11 novembre 2014

Perché dovremmo credere che ‘il Sé’ è come lo crediamo essere?



 



In un commento a un mio articolo precedente, La nostra memoria di ‘io’ nel sonno, un amico di nome Joel ha scritto:

Perché parli del Sé che ricorda se stesso? Esso E’ se stesso, così cosa c’è da ricordare? Il concetto del Sé ‘che ricorda’ il Sé durante il sonno profondo quando ora è sveglio è solamente una creazione della mente per giustificare una continuità nei tre stati che effettivamente non ha bisogno di giustificazione, perché oltre alla mente non ci sono tre stati. 

Ciò che segue è la mia risposta a questo commento:

Uno degli errori che stai facendo qui, Joel, è che prendi un argomento, presupponendo la sua conclusione come vera, e affermando che l’argomento è quindi non necessario. Ma senza l’argomento, quale ragione hai per credere che la sua conclusione sia vera? Se crediamo a una certa affermazione come vera, ma non abbiamo ragione per crederci, il nostro credo in essa è ingiustificato. Un argomento è semplicemente una ragione o una serie di ragioni per credere in una certa affermazione o idea come vera, così quando consideriamo se un certo credo sia vero, giustificato o no, abbiamo bisogno di considerare se gli argomenti o ragioni per credere in esso sono validi.

Tu stai esprimendo un certo credo riguardo ‘il Sé’ (qualsiasi cosa intendi con questo termine), ma quale giustificazione hai per tale credo? Hai effettivamente sperimentato questo ‘Sé’ come è realmente? Se no, devi avere qualche ragione per credere che esso è come tu credi che sia. La tua ragione può essere la fede negli insegnamenti di Sri Ramana, ma egli mai ci chiese di credere nei suoi insegnamenti arbitrariamente e ciecamente (piuttosto che credere arbitrariamente e ciecamente a qualsiasi altra visione metafisica, basata sulla religione, sulla filosofia o sulla scienza). Le persone sostengono così tante visioni metafisiche, perché quindi dovremmo scegliere una tale visione in preferenza alle altre?

Se Sri Ramana non ci avesse dato buone ragioni (argomenti validi) almeno per provare a credere che ciò che ha insegnato è vero,  i suoi insegnamenti non sarebbero migliori di ognuna delle numerose religioni che già esistono in questo mondo. La sola ragione che può essere data per credere nella maggior parte delle dottrine religiose, in modo particolare quelle concernenti o relative a questioni metafisiche, è che esse sono ciò che è insegnato in un certo libro sacro o da una certa persona santa, ma stando così le cose, in che libro sacro o a che persona santa dovremmo credere? Dovremmo credere nella Bibbia, nell’Antico Testamento, nel Nuovo Testamento, nel Talmud, nel Corano, nei Veda, nelle Upanishad, nella Bhagavad Gita, nel Canone Pali, negli Agama Jaina, nel Tao Te Ching o nel Guru Granth Sahib, e dovremmo credere nel Buddha, in Mahavira, in Krishna, in Sankara, in Ramanuja, in Madhavacharya, in Patanjali, in Confucio, in Lao Tse, in Gesù, in Maometto o in Guru Nanak? Se i loro insegnamenti fossero gli stessi, potremmo credere in tutti, ma i loro insegnamenti sono in conflitto e spesso si contraddicono l’un l’altro, perciò in cosa o in chi dovremmo credere?

Perché scegliamo di credere negli insegnamenti di Sri Ramana piuttosto che in qualsiasi altro insegnamento spirituale o religioso? Quale ragione abbiamo per credere in ciò che egli insegna piuttosto che in ciò che insegna qualsiasi altra persona o religione?

Siamo sufficientemente giustificati nel credere nei suoi insegnamenti in preferenza a tutte le altre numerose filosofie, dottrine, religioni o scienze alle quali potremmo credere in alternativa? Io credo che lo siamo, perché egli non affermò solamente che ciò che ha insegnato è ciò che ha sperimentato (proprio come molte altre sante persone o mistici affermano che ciò che hanno insegnato è ciò che hanno sperimentato personalmente, o ciò che fu loro divinamente rivelato), ma ha focalizzato i suoi insegnamenti interamente su ‘io’, la nostra esperienza di noi stessi, e sulla base di un’analisi chiara e logica dell'esperienza di noi stessi nei tre stati di veglia, sogno e sonno egli ci diede valide ragioni per credere che io non sono la persona, il corpo o la mente che ora sembro essere, e che io quindi ho bisogno di investigare me stesso per sperimentare ciò che sono realmente (chi sono io). 

 Se siamo onesti con noi stessi, dobbiamo ammettere che siamo metafisicamente ignoranti: non conosciamo cosa siamo esattamente, o cosa è reale; non siamo in grado con alcun grado di certezza di distinguere la realtà dall’apparenza; non conosciamo con certezza se il mondo che percepiamo esiste indipendentemente dalla nostra esperienza di esso, o se è solo una creazione mentale, come un sogno. Ogni religione fornisce le proprie risposte a tali domande, ma senza fornirci ragioni adeguate per credere alle sue risposte piuttosto che a qualsiasi altra alternativa, e per migliaia di anni i filosofi hanno cercato di trovare risposte soddisfacenti affidandosi interamente al ragionamento, ma senza mai trovare realmente una soluzione convincente a ognuno dei numerosi dubbi che sono sorti nelle menti umane riguardo  a questioni metafisiche, e senza scoprire alcun mezzo empirico con il quale si possano risolvere tali questioni.

Comunque, Sri Ramana ci ha insegnato che il solo modo per rimuovere la nostra ignoranza metafisica (ajñāna) è sperimentare noi stessi come siamo realmente. Ma perché dovremmo credere in ciò? Dobbiamo avere qualche ragione per credere in ciò, e una semplice preferenza o desiderio è arbitrario (come la scommessa di Pascal) e quindi non è una buona ragione per credere in qualsiasi cosa. Di conseguenza Sri Ramana ci ha dato una serie di argomenti ragionevoli che dimostrano che ciò che chiamiamo ‘io’ (noi stessi) non può essere il corpo o la mente che ora confondiamo come noi stessi e che perciò abbiamo bisogno di investigare noi stessi per sperimentare come siamo realmente, e altri argomenti che dimostrano che tutta l’esperienza e la conoscenza di qualsiasi cosa diversa da ‘io’ è dipendente dall’erronea esperienza di noi stessi come un corpo e una mente.

Sri Ramana diede tali argomenti perché pensassimo attentamente e profondamente su essi e quindi ci formassimo una forte convinzione nella verità dei suoi insegnamenti e un profondo interesse e passione per cercare di sperimentare noi stessi come siamo realmente. Ciò che ho scritto nel mio articolo precedente erano di conseguenza alcune riflessioni sul suo argomento che nel sonno sperimentiamo noi stessi in assenza della nostra mente, e ho scritto queste riflessioni perché un altro amico ha posto alcune ragionevoli domande  su come ricordiamo di aver sperimentato noi stessi nel sonno, poiché la memoria è generalmente una funzione della mente, che in quel momento non esisteva per sperimentare o ricordare qualsiasi cosa.

Tranne l’accettare che ricordiamo di aver dormito (cioè, uno stato in cui la nostra mente era assente e in cui non abbiamo quindi sperimentato niente altro che noi stessi), quale ragione avremmo per affermare che in tale stato sperimentavamo noi stessi? E tranne l’ammettere che riconoscevamo noi stessi nel sonno, quale ragione avremmo per credere che siamo qualcosa di più che questa mente, o che  esistevamo nel sonno nella sua assenza?


Chiedi riguardo a ciò che chiami ‘il Sé’: ‘Esso E’ se stesso, così cosa c’è da ricordare?’ Presumo che ciò che intendi con ‘il Sé’ è ciò che siamo realmente, caso in cui ‘Esso E’ se stesso’ significa semplicemente che noi siamo ciò che siamo realmente, che è ovviamente vero e che quindi nessuno potrebbe ragionevolmente discutere, ma questo allora fa sorgere la domanda: cosa siamo realmente (o in altre parole, chi sono io)? Essenzialmente siamo qualcosa che è auto-consapevole, così essere noi stessi implica conoscere o sperimentare noi stessi, come Sri Ramana dice nel verso 26 di Upadēśa Undiyār:

தானா யிருத்தலே தன்னை யறிதலாந் தானிரண் டற்றதா லுந்தீபற
      தன்மய நிட்டையீ துந்தீபற.

tāṉā yiruttalē taṉṉai yaṟidalān
tāṉiraṇ ḍaṯṟadā lundīpaṟa
      taṉmaya niṭṭhaiyī dundīpaṟa
.

பதச்சேதம்: தானாய் இருத்தலே தன்னை அறிதல் ஆம், தான் இரண்டு அற்றதால். தன்மய நிட்டை ஈது.
Padacchēdam (separazione delle parole): tāṉ-āy iruttal-ē taṉṉai aṟidal ām, tāṉ iraṇḍu aṯṟadāl. taṉmaya niṭṭhai īdu. 

Traduzione: Solo essere se stesso è conoscere se stesso, poiché se stesso è privo di due. Questo è tanmaya-niṣṭha [lo stato di essere fermamente stabilito come tat, ‘esso’ o ‘quello’, l’unica realtà assoluta chiamata brahman].

Proprio come essere noi stessi implica conoscere noi stessi, ciò implica anche ricordare noi stessi, poiché la nostra auto-consapevolezza non è limitata o legata in alcun modo dal tempo, dato che sperimentiamo noi stessi con un’esperienza di tempo nella veglia e nel sogno e senza alcuna esperienza di tempo nel sonno. Comunque, quando ricordiamo la nostra esistenza, non stiamo ricordando un’esperienza che è ora passata, ma stiamo ricordando la nostra unica esperienza che è sempre presente, così la  memoria di noi stessi non è come ogni altra memoria, come ho cercato di spiegare nel mio articolo precedente.

Un altro errore che fai nel tuo commento è che sottintendi che io stavo scrivendo sul ‘Sé che ricorda se stesso’, mentre di fatto stavo scrivendo solo su noi che ricordiamo noi stessi, e non ho mai fatto alcuna menzione del ‘Sé’. Di fatto, sebbene questo termine ‘il Sé’ (con l’articolo determinativo e la ‘S’ maiuscola) è usato nella maggior parte delle traduzioni Inglesi degli insegnamenti di Sri Ramana e nei commentari su essi, io evito di usarlo, poiché credo che sia un termine potenzialmente ingannevole e rappresenta male i termini da lui usati mentre scriveva o parlava in Tamil.

In Tamil e in altri linguaggi Indiani, non ci sono lettere maiuscole e neppure articoli determinativi (come ‘il’ in Inglese), così nella maggior parte dei casi quando è riportato in Inglese che Sri Ramana si riferiva a ‘il Sé’, la parola Tamil che egli probabilmente usò sarà stata தான் (tāṉ), che significa se stesso, me stesso, tu stesso, lui stesso, lei stessa, esso stesso o (nel senso in cui egli spesso lo usò) solo sé o se stesso,  benché in alcuni casi può essere stata ஆன்மா (āṉmā) o ஆத்மா (ātmā), che hanno più o meno lo stesso significato di தான் (tāṉ), ma che egli generalmente usò per riferirsi specificatamente a ciò che siamo realmente piuttosto che a ciò che solo sembriamo essere. Come ‘se stesso’, ‘me stesso’, o ‘noi stessi’ in Inglese, in Tamil தான் (tāṉ) può riferirsi sia a ciò che siamo realmente (il nostro sé reale) sia a ciò che sembriamo essere (il nostro ego), secondo il contesto. In alcuni contesti può riferirsi specificatamente al nostro sé reale e in altri contesti può riferirsi specificatamente all’ego, ma in molti contesti non è necessario e può essere anche sbagliato specificare a cosa si riferisce, perché siamo sempre uno, sia che sperimentiamo noi stessi come siamo realmente sia come l’ego che ora sembriamo essere.

Una ragione per cui credo che ‘il Sé’ è un termine potenzialmente ingannevole è che l’articolo determinativo e la ‘S’ maiuscola sembrano suggerire che sia qualcosa di diverso da noi stessi – un qualche oggetto distante in qualche modo divino o superiore a noi stessi. Proprio come il termine Sanscrito paramātman (che è un nome superlativo che significa letteralmente il sé più distante, il più remoto, il più alto, assoluto o supremo) è spesso usato o compreso nel significato di Supremo Spirito o Dio piuttosto che di nostro sé, il termine ‘il Sé’ è facilmente confuso attribuendogli il significato di qualcosa distante o superiore che possiamo raggiungere solo nel futuro o che può essere sperimentato solo da pochi privilegiati, piuttosto che il nostro più intimo sé – ciò che siamo realmente e  che sperimentiamo realmente qui e ora come ‘io’.

 Quando leggiamo o ci è detto che non siamo ciò che sembriamo essere, se non pensiamo profondamente e criticamente a questa idea, tendiamo a pensare superficialmente al nostro sé reale e al nostro falso sé come se fossero due cose separate, mentre di fatto sono la medesima cosa. Cioè, ciò che ora sperimentiamo come il nostro falso sé o ego è realmente solo il nostro sé reale che sembra essere qualcosa di diverso da ciò che è realmente. Il nostro falso sé è una solamente un’illusione, così la distinzione dualistica tra esso e il nostro sé reale è nello stesso modo solo un’illusione, ma questa distinzione illusoria è sottilmente rinforzata quando usiamo termini come paramātman o ‘il Sé’ per riferirci a ciò che siamo realmente. Se ciò che intendiamo come ‘il Sé’ è semplicemente ciò che siamo realmente, perché dovremmo in modo abituale usare la ‘s’ iniziale maiuscola e oggettivarlo facendolo precedere dall’articolo determinativo ‘il’ invece di riferirsi a esso solo come ‘noi stessi’?

L’abitudine di tradurre தான் (tāṉ) o ஆத்மா (ātmā) come ‘il Sé’ è risultata dalla tendenza a pensare a noi stessi in termini dualistici, come se avessimo due distinti sé, un sé reale e un falso sé, e tale abitudine tende a perpetuare la tendenza a pensare in tali termini dualistici. Pertanto se vogliamo superare le nostre tendenze dualistiche e i modelli di pensiero e imparare invece a pensare alla distinzione tra il sé reale e il  sé illusorio in un modo più sfumato, dovremmo evitare la goffa abitudine di porre in maiuscolo la ‘s’ iniziale in ‘sé’ ogni volta che pensiamo che esso si riferisca al sé reale piuttosto che al sé apparente.

Se distinguere il sé reale dal  sé apparente fosse appropriato in ogni caso, usare ‘Sé’ con la ‘S’ maiuscola per indicare il sé reale forse non causerebbe troppa confusione, ma in molti casi fare questa distinzione non è appropriato. Per esempio, se prendiamo ‘Sé’ con la ‘S’ maiuscola per intendere solo il sé reale come opposto all’ego, e se traduciamo i termini ātma-vicāra o taṉṉāṭṭam (தன்னாட்டம், taṉ-nāṭṭam, un termine Tamil spesso usato da Sri Ramana che ha lo stesso significato di ātma-vicāra) come ‘investigazione del Sé’ o ‘indagine del Sé’, implicherebbe che ciò che stiamo investigando non è l’ego ma solo il sé reale.  In ogni caso, dato che il sé reale è ciò che ora sembra essere un ego, in pratica non possiamo investigare il sé reale senza iniziare dall’investigare ciò che sembra essere un ego,  proprio come non possiamo guardare attentamente una corda che confondiamo con un serpente senza iniziare a guardare attentamente il serpente illusorio che sembra essere.

Quando investighiamo chi sono io, ovviamente non importa se consideriamo l’ ‘io’ che stiamo investigando come il sé reale o l’ego, poiché c’è solo un ‘io’, che è realmente il sé reale ma che ora sembra essere l’ego, così per evitare di sottintendere che dovremmo investigare solo il sé reale e non l’ego (come se fossero due entità separate), è più appropriato tradurre ātma-vicāra o taṉṉāṭṭam come ‘investigazione del sé’ (o ‘indagine del sé’) con la ‘s’ minuscola piuttosto che la ‘S’ maiuscola. 
In modo simile, ci sono molti altri contesti in cui la parola ‘sé’ è usata negli insegnamenti di Sri Ramana per indicare noi stessi in generale piuttosto che in modo specifico il nostro sé reale o il nostro sé apparente. Comunque, se usiamo ‘Sé’ con ‘S’ maiuscola per indicare il sé reale, questo implica che ogni volta che usiamo ‘sé’ con ‘s’ minuscola indichiamo solo il sé non reale (il nostro ego), così per evitare di causare confusione nei molti contesti in cui nessuna distinzione dovrebbe essere fatta tra il sé reale e l’ego, è necessario evitare di usare ‘Sé’ con ’S’ maiuscola in qualunque contesto.

Quando chiedi, ‘Perché tu parli del Sé che ricorda se stesso? Esso E’ se stesso, così cosa c’è da ricordare?’ sembri intendere che noi (il nostro sé reale) non ricordiamo noi stessi, che è assurdo. Ricordiamo sempre noi stessi (almeno nel senso che mai dimentichiamo noi stessi), benché come ho spiegato nel mio articolo precedente la nostra memoria di noi stessi è del tutto differente dalla nostra memoria di qualsiasi altra cosa, poiché ricordando noi stessi non stiamo ricordano un’esperienza che è ora passata ma un’esperienza che è sempre presente. La memoria di noi stessi non è quindi niente altro che la consapevolezza di noi stessi, poiché siamo sempre consapevoli di noi stessi, ed essendo sempre consapevoli di noi stessi stiamo sempre, per così dire, ricordando noi stessi.

La memoria abitualmente comporta il richiamare qualche esperienza o informazione immagazzinata nel passato, ma noi (il nostro sé reale) siamo sempre presenti, così non siamo mai il passato, e quindi la nostra costante consapevolezza di noi stessi non è una memoria nel senso usuale della parola. Veramente, dato che siamo sempre presenti e sempre consapevoli di noi stessi, non abbiamo bisogno di ricordare noi stessi nello stesso senso in cui ricordiamo altre cose che abbiamo sperimentato o conosciuto nel passato. Comunque, dato che siamo sempre consapevoli  che io sono, non possiamo dire di aver mai dimenticato che io sono, di conseguenza dato che essere sempre consapevoli che io sono comporta il mai dimenticare che io sono,  in questo senso si può dire ricordare costantemente che io sono.  Quindi, quando parliamo di ricordare noi stessi o della nostra memoria di noi stessi, dovremmo comprendere in un modo più sfumato il senso specifico in cui i termini ‘ricordare’ e ‘memoria’ sono usati in questo contesto. 

 Sembra anche che tu intendi in qualche modo sbagliato dire che ricordiamo noi stessi nello stato che chiamiamo sonno, perché tu dici che ‘a parte la mente non ci sono tre stati’. E’ vero che l’apparenza dei tre stati alternanti di veglia, sogno e sonno è una creazione della mente, ma la mente sperimenta realmente solo due di questi tre stati, poiché ciò che chiamiamo sonno è uno stato in cui la mente è interamente affondata e quindi non sta sperimentando nulla. Cioè, mentre la veglia e il sogno sono creati dalla presenza della mente, il sonno è creato dalla temporanea assenza della mente negli intervalli tra gli altri due stati in cui essa sembra esistere, di conseguenza benché il sonno sembra (dalla prospettiva della mente) essere un terzo stato, è realmente lo stato di sfondo in cui la veglia e il sogno appaiono e scompaiono temporaneamente. Dato che sperimentiamo la comparsa e la scomparsa della veglia e del sogno, sperimentiamo anche lo stato di sfondo in cui essi appaiono e scompaiono, così sebbene la nostra mente non sperimenta il sonno, lo sperimentiamo come uno stato in cui la nostra mente è assente, e siamo in grado di ricordare di averlo sperimentato dopo che ci siamo svegliati da esso (cioè dopo che la nostra mente è sorta da esso).

Dato che la mente era in quel momento affondata, ciò che sperimentava la nostra esistenza nel sonno non era la mente ma solo il nostro sé reale, ma paradossalmente ciò che ora ricorda di aver sperimentato la nostra esistenza nel sonno è la mente, che in quel momento era assente. Come è possibile? E’ possibile solo perché ciò che ora sembriamo essere (la nostra mente o ego) è realmente niente altro che ciò che siamo realmente (il nostro sé reale), proprio come ciò che una corda sembra essere (un serpente) è realmente niente altro che ciò che realmente è (una corda).  Noi come siamo realmente (il nostro sé reale) abbiamo sperimentato la nostra esistenza nel sonno, e noi come ciò che al momento sembriamo essere (la nostra mente o ego) ora ricordiamo di avere sperimentato ciò.

Cioè, la nostra mente o ego è una mescolanza confusa di ciò che siamo realmente e varie aggiunte estranee – cose come il corpo che ora sembriamo essere ma che non sono ciò che siamo realmente. L’elemento auto-consapevole della nostra mente (l’elemento che è consapevole della propria esistenza, ‘io sono’) è ciò che siamo realmente, e tutti gli altri elementi sono solo aggiunte estrenee, che non sono auto-consapevoli. Mentre tutti gli altri elementi della mente sorgono e permangono solo durante la veglia e il sogno, ma sprofondano e cessano di esistere nel sonno, l’elemento auto-consapevole della nostra mente permane sempre: in tutti gli stati, in tutti i momenti e anche quando il tempo non sembra esistere. E’ l’elemento auto-consapevole (il nostro sé reale) ad aver sperimentato se stesso nell’assenza di qualsiasi altra cosa nel sonno, ed è a causa di questo elemento auto-consapevole (l’elemento essenziale della nostra mente) che la mente è in grado di ricordare ‘io esistevo ed ero consapevole di esistere nel sonno’.

In altre parole, sebbene la mente come tale non esiste nel sonno, essa esiste come il nostro sé reale, che è la sua essenza. E’ quindi questo elemento essenziale della nostra mente, che solo permane nel sonno, che ha sperimentato la propria esistenza nel sonno, e che ora sembra essere la mente e quindi la rende in grado di ricordare la propria esistenza nel sonno. Sebbene la reale memoria di essere stati in sonno appartiene solo a ciò che realmente siamo (il nostro sé reale), ciò che ora è in grado di richiamare quella memoria è ciò che ora sembriamo essere (il nostro ego o mente).

Questo è il motivo per cui cercare di comprendere la sottile distinzione tra ciò che realmente siamo (il nostro sé reale) e ciò che ora sembriamo essere (il nostro ego o mente)  nei termini semplicistici della dualità, come se fossero due cose interamente separate (e come se potessero essere sempre facilmente distinguibili semplicemente mettendo in maiuscolo o minuscolo la ‘s’ iniziale della parola ‘sé’), non può mai essere soddisfacente. Questo è il motivo per cui abbiamo quindi bisogno di comprendere questa distinzione in un modo più sfumato, non come due cose interamente separate ma come una cosa sola che sperimenta se stessa o come è realmente (il nostro sé reale) o come qualcos’altro che solamente sembra essere (il nostro sé apparente, l’ego o mente).  Sia che sperimentiamo noi stessi come siamo realmente sia come la mente che ora sembriamo essere, siamo sempre l’unico e solo sé o ‘io’, e non c’è sé (o Sé) diverso da noi stessi.

Nel tuo secondo commento al mio articolo precedente hai scritto:

Volevo dire che proprio la nozione che ci sono tre stati è una creazione della mente nello stato a cui ci riferiamo come lo stato di veglia. Non c’è stato di veglia, né stato di sogno, né sonno profondo, eccetto come un’idea nella mente proprio ora. Così il tentativo di dire che il Sé è presente durante il sonno profondo è solo un’idea della mente nello stato di veglia, essendo anche lo stato di veglia un’idea della mente proprio ora. Non c’è linea di tempo oltre la mente durante la quale questi stati stanno in successione. 

 Benché come tu dici i tre stati di veglia, sogno e sonno sono idee create dalla  mente, sono stati che sembriamo sperimentare realmente, così fino a che li sperimentiamo, abbiamo bisogno di analizzare la nostra esperienza di noi stessi in ciascuno di essi, poiché solo quando facciamo questo saremo in grado di ammettere per esperienza diretta che non possiamo essere il corpo o la mente che ora sembriamo essere, dato che nel sonno sperimentiamo noi stessi senza ne l’uno né l’altro, e nel sogno senza il nostro attuale corpo.

Secondo Sri Ramana, qualsiasi cosa sperimentiamo diversa dal puro sé senza attributi, ‘io sono’, è solo un’idea nella mente, ma ciò che sperimenta tutte queste idee è solo la nostra idea primaria chiamata ‘io’, l’ego, che è una mescolanza dell’ ‘io’ reale e di varie aggiunte. Sebbene l’ ‘io’ reale non è un’idea, quando è mescolato e confuso con aggiunte, che sono tutte idee, sembra essere anch’esso un’idea. Quindi, benché la veglia, il sogno e il sonno sono solo idee dalla prospettiva della mente, fino a che sperimentiamo noi stessi come questa mente essi sembrano essere reali, e ciò che è più significativo è che in ciascuno di essi sperimentiamo noi stessi come qualcosa di differente. Dato che non possiamo essere qualsiasi cosa che non sperimentiamo permanentemente, come il corpo o la mente, le contrastanti esperienze di noi stessi in questi tre stati ci forniscono una prova preziosa che non siamo ciò che ora sembriamo essere, e che dovremmo quindi investigare noi stessi per scoprire ciò che siamo realmente.

Sebbene sperimentiamo tutti questi tre stati, ciò che rende il sonno speciale è che mentre durante la veglia e il sogno sperimentiamo noi stessi come la mente, durante il sonno sperimentiamo noi stessi nell’assenza della mente. Quindi, sebbene il sonno come un terzo stato distinto dalla veglia e dal sogno è creato dalla mente, ciò che sperimentiamo nel sonno è noi stessi privi della mente – e quindi privi di tutte le idee. Così l’esperienza di noi stessi in sonno è la sola prova a noi disponibile che non siamo questa mente che ora sembriamo essere, né ognuna delle sue idee.

Da ciò che scrivi in questo tuo secondo commento, sembra che credi di non sperimentare alcuna cosa diversa dalla tua mente e dalle sue idee. Se non sei in grado di riconoscere e quindi non credi che hai sperimentato te stesso nel sonno in assenza della tua mente e delle sue idee, quale prova hai che qualsiasi cosa diversa dalla tua mente e le sue idee esiste? Se sperimenti sempre solo la tua mente e le sue idee, quale ragione hai per credere nell’esistenza del ‘Sé’ di cui parli, o per credere che esso è come tu credi che sia?

Se credi di non aver mai sperimentato te stesso come qualsiasi cosa diversa dalla tua mente, quale ragione hai per supporre che tu sei realmente qualsiasi cosa diversa da essa? Se tu parli del ‘Sé’ senza alcuna prova della tua esperienza che sei qualcosa diversa dalla tua mente, ‘il Sé’ di cui parli può solo essere o la tua mente o qualche credo sostenuto dalla tua mente senza alcuna ragione o giustificazione adeguata.

Ora sperimentiamo noi stessi come la nostra mente, e la sola prova che, come questa mente, abbiamo di essere realmente qualcos’altro che questa mente è l’esperienza di noi stessi nel sonno. Quindi, se tu neghi che sperimentiamo noi stessi nel sonno o che ricordiamo che abbiamo sperimentato noi stessi nel sonno, non hai nessuna ragione adeguata per credere che tu non sei solo questa mente. Questo è il motivo per cui è estremamente importante che pensiamo profondamente e attentamente all’insegnamento di Sri Ramana che nel sonno, in assenza della mente, sperimentiamo noi stessi  e che siamo in grado di ricordare l’esperienza di noi stessi in questo stato.

Riconoscere che nel sonno in assenza della mente sperimentiamo noi stessi  non solo ci fornisce una valida prova che non siamo questa mente, ma ci aiuta anche a comprendere più chiaramente e accuratamente la natura dello stato di pura auto-consapevolezza libera dal pensiero che intendiamo sperimentare quando investighiamo noi stessi cercando di essere consapevoli di niente altro che ‘io’.  Cioè, questo ci aiuta a comprendere come la pura auto-consapevolezza è priva anche della minima consapevolezza di qualsiasi cosa diversa da noi stessi, e questo a sua volta ci aiuta nel cercare di investigare noi stessi focalizzando l’intera attenzione solo su noi stessi ad esclusione di qualsiasi altra cosa.



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