Om Namo Bhagavate Sri Arunachalaramanaya

lunedì 16 marzo 2015

Auto-attentività e auto-consapevolezza

Michael James

14 Marzo 2015
Self-attentiveness and self-awareness

Un amico mi ha scritto recentemente tre emails in cui ha posto una serie di domande riguardo la pratica di auto-investigazione (ātma-vicāra), e ciò che segue è tratto ed ampliato dalle risposte che ho scritto a ognuna delle sue domande:
  1. Qual’è la differenza tra attenzione e consapevolezza?
  2. Noi siamo uno, così possiamo sperimentarci come siamo realmente solo quando sperimentiamo soltanto noi stessi
  3. Dovremmo cercare di dare attenzione solo a noi stessi e non a qualsiasi altra cosa
  4. Essere auto-attentivi nel mezzo del lavoro
  5. Il nostro ego si nutre e si sostiene dando attenzione ai pensieri
  6. Il pensiero distrae la nostra attenzione da noi stessi, così dovremmo cercare di dare attenzione soltanto a noi stessi


1. Qual’è la differenza tra attenzione e consapevolezza?

La prima domanda posta dal mio amico era ‘Qual è la differenza tra l’attenzione e la consapevolezza?’, a cui ho risposto:

L’attenzione è consapevolezza usata selettivamente. Cioè, è la nostra capacità di selezionare o scegliere ciò di cui vogliamo essere consapevoli, e conseguentemente di focalizzare la nostra consapevolezza su una cosa piuttosto che un’altra.

Il significato esatto di consapevolezza varia secondo il contesto in cui è usata, ma nel contesto degli insegnamenti di Sri Ramana essa significa generalmente ciò che è consapevole, vale a dire noi stessi. Cioè, poiché noi solo siamo consapevoli di noi stessi e di tutte le altre cose, noi solo siamo consapevolezza (in questo senso di ciò che è consapevole).

Sia che siamo consapevoli di qualsiasi altra cosa o no, siamo sempre consapevoli di noi stessi, perché l’auto-consapevolezza è proprio la nostra natura – ciò che siamo realmente. Tuttavia, finché non siamo consapevoli soltanto di noi stessi, la nostra auto-consapevolezza sembrerà essere oscurata e confusa con la consapevolezza di altre cose. Inoltre, anche se nel sonno siamo consapevoli di nient’altro che noi stessi, dalla prospettiva della nostra mente nella veglia la nostra auto-consapevolezza nel sonno sembra essere oscurata e quindi non perfettamente chiara, perché in questo stato la nostra mente in qualche modo copre se stessa, per così dire, con una coperta protettiva di auto-ignoranza, e questo è il motivo per cui è in grado di sorgere nuovamente dopo che è rimasta a sufficienza nel sonno.

Quindi, per essere consapevoli di noi stessi come siamo realmente, e quindi per distruggere per sempre l’illusione di essere questa mente o ego, abbiamo bisogno di essere consapevoli soltanto di noi stessi, e dunque di cercare di ritirare la nostra attenzione da qualunque altra cosa e di focalizzarla interamente soltanto su noi stessi. Questo tentativo di essere chiaramente consapevoli soltanto di noi stessi è ciò che è chiamata auto-attentività o auto-attenzione, e solo essa è la pratica corretta di auto-investigazione o ātma-vicāra come insegnata da Sri Ramana.

Cioè, benché siamo consapevoli di noi stessi anche quando siamo consapevoli di altre cose, la nostra consapevolezza di altre cose oscura la nostra naturale chiarezza di auto-consapevolezza, facendoci confondere noi stessi con qualcuna delle altre cose che sperimentiamo, come un corpo e una mente. Quindi per essere chiaramente consapevoli soltanto di noi stessi, abbiamo bisogno non solo di essere auto-consapevoli (come siamo realmente) ma attentivamente auto-consapevoli. In altre parole, abbiamo bisogno di focalizzare la nostra intera attenzione o consapevolezza soltanto su noi stessi, escludendo ogni altra cosa dalla nostra consapevolezza.

2. Noi siamo uno, così possiamo sperimentarci come siamo realmente solo quando sperimentiamo soltanto noi stessi

La seconda domanda posta dal mio amico nella stessa email era: ‘Ci viene consigliato di focalizzare la nostra intera attenzione interiormente, così la mia domanda è se questo potere di attenzione è la mente o il sé?’, a cui ho risposto:

Noi siamo uno, e non due cose differenti, una mente e un sé. Quando sperimentiamo noi stessi come siamo realmente (come facciamo nel sonno), non sperimentiamo una mente o qualsiasi altra cosa, ma quando sperimentiamo noi stessi come questa mente (come facciamo nella veglia e nel sogno), sperimentiamo non solo noi stessi ma anche molte altre cose. Quindi ogni volta che sperimentiamo qualsiasi cosa diversa da noi stessi, ci stiamo sperimentando come se fossimo questa mente, mentre quando sperimentiamo soltanto noi stesi, ci stiamo sperimentando come siamo realmente.

Quindi, quando dirigiamo esteriormente la nostra consapevolezza o potere di attenzione (cioè, verso qualsiasi cosa diversa da noi stessi), è il noi stessi come questa mente che sta dando attenzione a cose esteriori, mentre quando dirigiamo la nostra consapevolezza o potere di attenzione all’interno (cioè, verso soltanto noi stessi), è il noi stessi come siamo realmente che sta dando attenzione a noi stessi.

Tuttavia, poiché siamo stati a lungo avvezzi a sperimentare noi stessi come questa mente, non siamo ancora in grado di separaci interamente da essa, così quando cerchiamo di dare attenzione soltanto a noi stessi, non siamo ancora in grado di farlo perfettamente. Quindi quando iniziamo a fare uno sforzo per volgere la nostra attenzione all’interno, è il noi stessi come questa mente che sta facendo lo sforzo, ma più intensamente focalizziamo la nostra attenzione solo su noi stessi (cioè, più vicino arriviamo ad essere consapevoli soltanto di noi stessi), più la nostra mente sprofonderà, ed infine quando riusciamo a dare attenzione soltanto a noi stessi, la nostra mente sarà sprofondata completamente e si fonderà nella sua sorgente (noi stessi), così, ciò che allora sarà consapevole soltanto di noi stessi sarà soltanto noi stessi e non la nostra mente. In altre parole, nella misura in cui riusciamo a dare attenzione soltanto a noi stessi, in quella misura a dare attenzione non è la nostra mente ma solo noi stessi.

3. Dovremmo cercare di dare attenzione solo a noi stessi e non a qualsiasi altra cosa

La domanda finale che il mio amico ha posto nella sua prima email era riguardo l’osservare o ‘testimoniare’ i pensieri o le sensazioni. Egli ha iniziato dicendo di credere che ‘ogni cosa su cui si mette l’attenzione cresce’, ma poi ha riferito il consiglio dato da alcune persone che dovremmo osservare o testimoniare qualunque pensiero o sensazione possa sorgere, e ha chiesto se osservare, notare, riconoscere o testimoniare i pensieri sia differente da mettere attenzione su di essi, e se non lo è, ‘allora se mettiamo attenzione sui pensieri essi cresceranno o diminuiranno?’, a cui ho risposto:

Sì, qualsiasi cosa a cui diamo attenzione cresce di rilievo nella nostra esperienza o consapevolezza. Quindi più cerchiamo di dare attenzione soltanto a noi stessi, più cresceremo di rilievo nella nostra consapevolezza – in altre parole, più chiaramente diventeremo consapevoli di noi stessi come siamo realmente, in isolamento dal nostro corpo, dalla mente e da altre aggiunte che ora confondiamo come noi stessi.

Tuttavia, se guardiamo, osserviamo, testimoniamo o diamo attenzione a qualsiasi pensiero, sensazione o qualunque altra cosa diversa da noi stessi, quella cosa crescerà di rilievo nella nostra consapevolezza, e quindi rinforzeremo l’illusione che siamo questa mente piuttosto che ciò che siamo realmente. Questo è il motivo per cui Sri Ramana ci ha sempre consigliato di dare attenzione solo a noi stessi e quindi di ignorare ogni altra cosa, incluso qualsiasi pensiero o sensazione che possa sorgere.

In relazione a questo ti invito a leggere ciò che segue: La legge fondamentale dell’esperienza, la sesta sezione di ‘La necessità di manana e vivēka: riflessione, pensiero critico, discriminazione e giudizio’: Gli insegnamenti di Sri Ramana e Nisargadatta sono significativamente diversi e Il segreto cruciale rivelato da Sri Ramana: il solo strumento per assoggettare la nostra mente in modo permanente. Come vedrai, se leggi ciò che ti ho indicato, Sri Ramana non ci consigliò mai di osservare o testimoniare alcun pensiero o sensazione, perché facendo questo alimenteremo e nutriremo la nostra mente o ego, e poiché il nostro ego è la radice di tutti i nostri altri pensieri, dando attenzione a qualsiasi pensiero non stiamo solo nutrendo e sostenendo il nostro ego ma attraverso di esso stiamo anche nutrendo e sostenendo la nostra tendenza a pensare ad altri pensieri.

Questo è uno dei principi più importanti e fondamentali che Sri Ramana ci ha insegnato: dando attenzione a qualsiasi pensiero – cioè, a qualsiasi cosa diversa da solo noi stessi – stiamo nutrendo e sostenendo l’illusione che siamo questo ego che ora sembriamo essere, e quindi il solo modo per privare il nostro ego o mente del nutrimento che richiede per sopravvivere è cercare di dare attenzione solo a noi stessi. Questo principio fu da lui dichiarato chiaramente e con enfasi nel verso 25 di Uḷḷadu Nāṟpadu:
உருப்பற்றி யுண்டா முருப்பற்றி நிற்கு
முருப்பற்றி யுண்டுமிக வோங்கு — முருவிட்
டுருப்பற்றுந் தேடினா லோட்டம் பிடிக்கு
முருவற்ற பேயகந்தை யோர்.

uruppaṯṟi yuṇḍā muruppaṯṟi niṟku
muruppaṯṟi yuṇḍumiha vōṅgu — muruviṭ
ṭuruppaṯṟun tēḍiṉā lōṭṭam piḍikku
muruvaṯṟa pēyahandai yōr.


பதச்சேதம்: உரு பற்றி உண்டாம்; உரு பற்றி நிற்கும்; உரு பற்றி உண்டு மிக ஓங்கும்; உரு விட்டு, உரு பற்றும்; தேடினால் ஓட்டம் பிடிக்கும், உரு அற்ற பேய் அகந்தை. ஓர்.

Padacchēdam (separazione delle parole): uru paṯṟi uṇḍām; uru paṯṟi niṯkum; uru paṯṟi uṇḍu miha ōṅgum; uru viṭṭu, uru paṯṟum; tēḍiṉāl ōṭṭam piḍikkum, uru aṯṟa pēy ahandai. ōr.

அன்வயம்: உரு அற்ற பேய் அகந்தை உரு பற்றி உண்டாம்; உரு பற்றி நிற்கும்; உரு பற்றி உண்டு மிக ஓங்கும்; உரு விட்டு, உரு பற்றும்; தேடினால் ஓட்டம் பிடிக்கும். ஓர்.

Anvayam (parole ridisposte in ordine naturale di prosa): uru aṯṟa pēy ahandai uru paṯṟi uṇḍām; uru paṯṟi niṯkum; uru paṯṟi uṇḍu miha ōṅgum; uru viṭṭu, uru paṯṟum; tēḍiṉāl ōṭṭam piḍikkum. ōr.

Traduzione: Afferrando la forma, il fantasma dell’ego senza forma ha origine; afferrando la forma si mantiene [o resiste]; afferrando e nutrendosi di forma cresce [o fiorisce] abbondantemente; lasciando [una] forma, afferra [un’altra] forma. Se cercato [esaminato o investigato], esso fugge. Investiga [o conosci di conseguenza].
Qui உரு (uru) o ‘forma’ significa qualsiasi pensiero – cioè, qualsiasi cosa che ha qualche caratteristica che lo distingue da noi stessi, che la sperimentiamo. Quindi dando attenzione a qualsiasi pensiero stiamo ‘afferrando la forma’ e ‘nutrendoci di forma’, mentre se cerchiamo di dare attenzione solo a noi stessi, l’ego che normalmente da attenzione a cose diverse da noi stessi, cesseremo di afferrare qualsiasi altra cosa, e quindi il nostro ego ‘fuggirà’ – cioè, sprofonderà e scomparirà – e ciò che allora rimarrà sarà solo noi stessi come siamo realmente.

Sia che parliamo di osservare, notare, riconoscere, testimoniare, guardare, esaminare o mettere attenzione sui pensieri, tutto questo significa la stessa cosa, e comporta ‘afferrare la forma’ e ‘nutrirsi di forma’, così è l’esatto opposto di dare attenzione solo a noi stessi, come Sri Ramana ci consiglia di fare. Testimoniare, guardare o osservare non è differente da dare attenzione, e se testimoniamo, guardiamo, osserviamo o diamo attenzione a qualsiasi pensiero esso non decrescerà e non sbiadirà ma crescerà solamente più forte.

Quindi il nostro fine non dovrebbe essere quello di testimoniare o essere consapevoli di qualunque pensiero, ma solo testimoniare o essere consapevoli soltanto di noi stessi. Solo cercare di fare questo è la pratica corretta di auto-investigazione (ātma-vicāra) come insegnata da Sri Ramana.

4. Essere auto-attentivi nel mezzo del lavoro

Nella sua seconda email, che ha scritto dopo aver ricevuto la mia risposta alle sue prime domande, il mio amico ha iniziato dicendo di essere un chirurgo e che quindi deve interagire costantemente con i suoi pazienti, analizzare i loro problemi di salute, fare ricerca e così via, ma che egli è anche incline alla spiritualità, così ha chiesto: ‘Come equilibrare entrambi i mondi? Come posso essere consapevole di me stesso quando mi sto occupando dei pazienti, che cercano sempre il risultato migliore dal medico curante?’ in risposta a questo ho scritto:

Qualunque lavoro possiamo fare non deve ostacolare la nostra pratica di ātma-vicāra, perché per quanto lavoro possiamo avere ancora troveremo il tempo per pensare a molti pensieri inutili, così se impieghiamo il tempo che normalmente usiamo dando attenzione a tali pensieri per dare piuttosto attenzione a noi stessi, questo sarà sufficiente. Qualunque pensiero possa esserti richiesto per compiere efficacemente il tuo lavoro sarà ovviamente necessario, così dovresti dare attenzione a quei pensieri come al solito, ma se impieghi tutto o la maggior parte del resto del tuo tempo cercando di essere auto-attentivo, scoprirai gradualmente che un grado sottile di auto-attentività può continuare anche mentre stai dando attenzione a tutti i necessari pensieri che il tuo lavoro comporta.

5. Il nostro ego si nutre e si sostiene dando attenzione ai pensieri

Nella stessa email il mio amico ha anche scritto, ‘Nisargadatta Maharaja e altri insegnanti spirituali hanno sempre consigliato di testimoniare o osservare tutti i pensieri e che se si fa questo, il pensiero si dissolve’, e ha aggiunto che tali insegnanti ‘mai consigliarono di reprimere o evitare i pensieri ma di accettarli e osservarli (testimoniarli) perché i pensieri non hanno un proprio potere. E’ la consapevolezza che è più potente dei pensieri e l’energia dei pensieri viene dissolta nell’energia della consapevolezza quando essi sono osservati piuttosto che ignorati, perché più li ignoriamo, più essi si imprimeranno nel subconscio o mente inconscia’, e quindi dovremmo ‘portare piuttosto tutti i pensieri nella nostra consapevolezza ed essere consapevoli pienamente di essi’.

Tuttavia, era d’accordo che questo non è ciò che Sri Ramana ci consiglia di fare, quindi ha chiesto: ‘Così quando ho pensieri, dovrei solo ignorarli o reprimerli? Sento che fare questo seppellirebbe quei pensieri nella mente inconscia e che essi in qualche momento uscirebbero con grande vendetta’, a cui ho risposto:

Riguardo al consiglio dato da persone come Nisargadatta di testimoniare i pensieri, secondo Sri Ramana questa non è una reale pratica spirituale, perché testimoniare i pensieri comporta semplicemente essere consapevoli di essi, e noi siamo comunque consapevoli dei nostri pensieri in ogni momento. Secondo Sri Ramana il nostro ego si nutre e si sostiene dando attenzione ai pensieri (cioè, a qualsiasi cosa diversa da noi stessi), così esso sprofonderà e si fonderà all’interno solo dando attenzione a se stesso (noi stessi) soltanto.

Quindi è sbagliato immaginare che i pensieri si dissolveranno automaticamente se diamo attenzione a essi. Al contrario, più diamo attenzione a essi (o li testimoniamo) più il nostro ego e il suo attaccamento ad essi sarà rafforzato. Se vogliamo che tutti i pensieri si dissolvano, il solo modo per farlo è cercare di dare attenzione soltanto a noi stessi, quindi ignorandoli.

La pratica di ātma-vicāra insegnata da Sri Ramana comporta il rivolgere la nostra attenzione verso noi stessi ogni volta che è distratta verso qualsiasi pensiero. Questo non è sopprimere i pensieri, ma semplicemente ignorarli. Dare attenzione ai pensieri è come innaffiare delle piante, mentre ignorarli dando attenzione solo a noi stessi è come privare le piante dell’acqua. Proprio come le piante private dell’acqua si seccheranno e moriranno, i pensieri privati della nostra attenzione si seccheranno e moriranno.

Dici che Nisargadatta e altri insegnanti affermano che poiché la consapevolezza è più potente dei pensieri, ‘l’energia dei pensieri verrà dissolta nell’energia della consapevolezza quando essi sono osservati’. Questo è contrario alla nostra esperienza. Noi stiamo costantemente ‘osservando’ e quindi siamo consapevoli dei nostri pensieri, ma con questo essi non sono ‘dissolti nell’energia della consapevolezza’. Al contrario, sono nutriti e sorretti dalla nostra consapevolezza di essi, così questa affermazione è chiaramente confutata dalla nostra esperienza.

Dici anche che essi affermano che ‘più li ignoriamo [i pensieri], più si imprimeranno nel subconscio o mente inconscia’. Il termine ‘il subconscio o mente inconscia’ sembra riferirsi a un concetto della moderna psicologia, ma presumo che in questo contesto ciò che è inteso dicendo ‘essi si imprimeranno nel subconscio o mente inconscia’ è che essi saranno depositati come vāsanā o propensioni a pensare ripetutamente lo stesso genere di pensieri. Tuttavia, questa dichiarazione è direttamente opposta a ciò che Sri Ramana ci ha insegnato riguardo la natura di vāsanā e pensieri.

Secondo lui, le vāsanā sono come semi ed i pensieri sono le piante che germogliano da esse, e più diamo attenzione a qualunque tipo di pensiero più moltiplicheremo e nutriremo le vāsanā da cui essi germogliano. Quindi il solo modo per indebolire ed infine distruggere tutte le nostre vāsanā è dare attenzione solo a noi stessi e ignorare qualsiasi pensiero possa germogliare da esse. Questo è chiaramente suggerito da Sri Ramana nei paragrafi dieci e undici di Nāṉ Yār? (Chi sono io?):
தொன்றுதொட்டு வருகின்ற விஷயவாசனைகள் அளவற்றனவாய்க் கடலலைகள் போற் றோன்றினும் அவையாவும் சொரூபத்யானம் கிளம்பக் கிளம்ப அழிந்துவிடும். அத்தனை வாசனைகளு மொடுங்கி, சொரூபமாத்திரமா யிருக்க முடியுமா வென்னும் சந்தேக நினைவுக்கு மிடங்கொடாமல், சொரூபத்யானத்தை விடாப்பிடியாய்ப் பிடிக்க வேண்டும். [...]

toṉḏṟutoṭṭu varugiṉḏṟa viṣaya-vāsaṉaigaḷ aḷavaṯṟaṉavāy-k kaḍal-alaigaḷ pōl tōṉḏṟiṉum avai-yāvum sorūpa-dhyāṉam kiḷamba-k kiḷamba aṙindu-viḍum. attaṉai vāsaṉaigaḷum oḍuṅgi, sorūpa-māttiram-āy irukka muḍiyumā v-eṉṉum sandēha niṉaivukkum iḍam koḍāmal, sorūpa-dhyāṉattai viḍā-p-piḍiyāy-p piḍikka vēṇḍum. [...]

Anche se viṣaya-vāsanās [inclinazioni, propensioni o desideri di sperimentare cose diverse da se stessi], che vengono da tempo immemorabile, sorgono [come pensieri] innumerevoli come onde dell’oceano, esse saranno tutte distrutte quando svarūpa-dhyāna [auto-attentività] aumenta e aumenta. Senza dare spazio neppure al pensiero dubbioso ‘E’ possibile dissolvere così tante vāsanās ed essere [o rimanere] solo come se stessi?’ è necessario aggrapparsi tenacemente all’auto-attenzione. […]

மனத்தின்கண் எதுவரையில் விஷயவாசனைக ளிருக்கின்றனவோ, அதுவரையில் நானா ரென்னும் விசாரணையும் வேண்டும். நினைவுகள் தோன்றத் தோன்ற அப்போதைக்கப்போதே அவைகளையெல்லாம் உற்பத்திஸ்தானத்திலேயே விசாரணையால் நசிப்பிக்க வேண்டும். [...]

maṉattiṉgaṇ edu-varaiyil viṣaya-vāsaṉaigaḷ irukkiṉḏṟaṉavō, adu-varaiyil nāṉ-ār eṉṉum vicāraṇai-y-um vēṇḍum. niṉaivugaḷ tōṉḏṟa-t tōṉḏṟa appōdaikkappōdē avaigaḷai-y-ellām uṯpatti-sthāṉattilēyē vicāraṇaiyāl naśippikka vēṇḍum. [...]

Fino a che viṣaya-vāsanās esistono nella mente, l'investigazione 'chi sono io' è necessaria. Come e quando i pensieri sorgono, in quel momento è necessario annientarli per mezzo di vicāraṇā [investigazione o vigilante auto-attenzione] proprio nel luogo dove essi sorgono. […]
Poiché i pensieri richiedono la nostra attenzione per sopravvivere, cercheranno di afferrare la nostra attenzione ogni volta cerchiamo di dare attenzione soltanto a noi stessi, ma se perseveriamo cercando di essere auto-attentivi, essi saranno gradualmente indeboliti ed infine perderanno il loro potere di distrarci.

6. Il pensiero distrae la nostra attenzione da noi stessi, così dovremmo cercare di dare attenzione soltanto a noi stessi

In risposta a questo il mio amico ha scritto un’altra email in cui ha detto che quando cerca di praticare ātma-vicāra i pensieri iniziano, a cui ho risposto:

Durante i nostri stati di veglia e di sogno formuliamo pensieri di qualunque genere, perché secondo Sri Ramana ogni cosa che sperimentiamo diversa da noi stessi, incluso questo intero mondo, non sono altro che i nostri pensieri o idee. Quindi i pensieri non iniziano solo quando cerchiamo di praticare ātma-vicāra, ma lo fanno ogni volta che la nostra mente sorge dal sonno, perché la natura della nostra mente è di pensare costantemente, Tuttavia, è solo quando cerchiamo di praticare ātma-vicāra – cioè, quando cerchiamo di sperimentare soltanto noi stessi – che i pensieri iniziano a preoccuparci, perché solo allora notiamo che la natura di ogni pensiero è quella di distrarre la nostra attenzione lontano da noi stessi.

Quando pratichiamo ātma-vicāra è naturale che i pensieri sorgano, perché essi sono il cibo con cui la nostra mente o ego vive, e il nostro ego non può stare neppure per un momento senza di essi. L’auto-attentività è dunque minare proprio il fondamento del nostro ego privandolo del nutrimento da cui dipende per sopravvivere, così quando cerchiamo di essere esclusivamente auto-attentivi, il nostro ego si ribella proiettando e cercando di aggrapparsi ai pensieri.

Ātma-vicāra è quindi una battaglia tra il nostro amore di sperimentare solo noi stessi (sat-vāsanā) e la nostra inclinazione a sperimentare altre cose (viṣaya-vāsanās). Per avere successo dobbiamo soltanto perseverare cercando di essere auto-attentivi il più possibile. Non c’è altro modo.


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