Om Namo Bhagavate Sri Arunachalaramanaya

mercoledì 2 settembre 2015

Cos’è la meditazione sul cuore?

Michael James

29 Agosto 2015
What is meditation on the heart?

In un commento a uno dei miei articoli recenti, Dando attenzione al nostro ego stiamo dando attenzione a noi stessi, un amico di nome Viswanathan ha citato il seguente brano dal capitolo 13 di Riflessioni sui Discorsi con Sri Ramana Maharshi di S.S. Cohen:
Ora ci rivolgiamo al lato positivo della domanda, se la meditazione sul Cuore è possibile. Bhagavan la dichiara possibile, ma non nella forma di investigazione, come è fatta quando l’‘io’ è il soggetto. La meditazione sul Cuore deve essere una meditazione speciale, a condizione che il meditatore prenda il Cuore come la pura consapevolezza e abbia almeno una conoscenza intuitiva di cos’è la pura consapevolezza. Ha successo solo quella meditazione che ha questa conoscenza intuitiva, ed è condotta con la più grande vigilanza, così che appena i pensieri cessano, la mente percepisce se stessa nella propria casa – il Cuore stesso. Questo è certamente più difficile da fare che l’investigare nella sorgente dell’‘io’, perché è un assalto diretto, un contatto assai diretto proprio con la sorgente stessa. E’ senza dubbio il metodo più veloce, ma esige la più grande vigilanza e l’attenzione più concentrata, denotando una più grande adhikara (maturità).
Questa è la metà successiva del commentario di Cohen sul seguente brano dalla sezione 131 di Discorsi con Sri Ramana Maharshi (edizione 2006, pagina 119):
D.: E’ detto che nel torace ci sono sei organi di differenti colori, dei quali il cuore è detto essere due dita alla destra della linea mediana. Ma il Cuore è anche senza forma. Dovremmo dunque immaginarlo con una forma e meditare su di essa?

M.: No. Solo la ricerca “Chi sono io?” è necessaria. Ciò che rimane per l’intera durata del sonno profondo e della veglia è lo stesso. Ma nella veglia c’è infelicità e lo sforzo per rimuoverla. Se ti viene chiesto chi si sveglia dal sonno tu dici ‘io’. Ora ti viene detto di tenerti saldo a questo ‘io’. Se ciò è fatto, l’Essere eterno rivelerà se stesso. Investigazione di ‘io’ è il punto e non la meditazione sul centro del cuore. Non c’è niente come dentro e fuori. Entrambi significano la stessa cosa o niente.

Naturalmente c’è anche la pratica della meditazione sul centro del cuore. E’ solo una pratica e non investigazione. Solo colui che medita sul cuore può rimanere consapevole quando la mente cessa di essere attiva e rimane immobile; mentre coloro che meditano su altri centri non possono essere così consapevoli ma deducono che la mente si è fermata solo dopo che è divenuta di nuovo attiva.
Cohen ha citato e commentato solo su un estratto ridotto da questo brano, ma qui io fornisco l’intero brano perchè per giudicare cos'è inteso e quanto accuratamente esso può essere stato registrato è necessario comprendere il contesto in cui Bhagavan si suppone che abbia dato questa risposta. La parte citata realmente da Cohen era:
“Il Cuore è senza forma. Dovremmo immaginarlo con una forma e meditare su di essa?”

Bhagavan: “No. Solo la ricerca ‘Chi sono io?’ è necessaria. L’investigazione di ‘io’ è il punto, e non la meditazione sul centro del Cuore. Non c’è niente come dentro o fuori. Entrambi significano la stessa cosa o niente.

“Naturalmente c’è anche la pratica della meditazione sul centro del Cuore. Ma è solo una pratica e non l’investigazione. Solo colui che medita sul Cuore può rimanere consapevole quando la mente cessa di essere attiva e rimane immobile.”
Preso in isolamento senza riferimento all’intero brano, il significato di ciò che è detto in questo estratto ridotto è significativamente meno chiaro di come lo è nel brano intero, perché in questo estratto ciò che è inteso esattamente dal termine ‘centro del Cuore’ non è affatto ovvio. L’uso della maiuscola nella ‘c’ di ‘cuore’ suggerisce che si riferisca al nostro sé reale, perché nei libri sugli insegnamenti di Bhagavan il termine ‘Cuore’ con la ‘c’ maiuscola generalmente indica il nostro centro più profondo o essenza, che è noi stessi come siamo realmente. Tuttavia, se questo è ciò che è inteso in questo contesto dal termine ‘Cuore’, perché è chiamato il ‘centro del Cuore’, quando il ‘Cuore’ (il nostro sé reale) è il solo centro reale che c’è? Se ‘Cuore’ si riferisce qui a questo centro reale, il termine ‘centro del Cuore’ dovrebbe significare il ‘centro del centro’, che sarebbe una tautologia.

Tuttavia, e ancora con più importanza, se in questo contesto il ‘centro del Cuore’ significava il nostro sé reale, meditare su esso avrebbe significato esattamente lo stessi di investigare ‘io’, allora perché Bhagavan avrebbe detto, ‘L’investigazione di ‘io’ è il punto, e non meditazione sul centro del Cuore’? Chiaramente il ‘centro del Cuore’ di cui egli sta parlando qui è qualcosa diversa da ‘io’, così dobbiamo dedurre che in questo contesto il termine ‘centro del Cuore’ non si riferisca al nostro sé reale. Tuttavia, omettendo gran parte del contesto e scrivendo in maiuscolo la ‘c’ di ‘cuore’ Cohen ha travisato ciò che è stato registrato in questo brano di Discorsi con Sri Ramana Maharshi e quindi ha creato spazio per fraintendere il significato di esso nel suo commentario, come vedremo che ha fatto quando considereremo il suo commentario in maggiore dettaglio.
  1. Possiamo dare un senso alla risposta finale di Bhagavan registrata nella sezione 131 dei Discorsi?
  2. L’interpretazione di Cohen di questa risposta finale registrata nella sezione 131 dei Discorsi
  3. Cosa intendeva Bhagavan con il termine ‘cuore’?
  4. Perché Bhagavan specificava il lato destro del petto come la posizione del cuore?
  5. Distinguere hṛdaya da hṛdaya-sthāna
  6. Meditare su hṛdaya-sthāna non è meditare su hṛdaya
  7. Solo essere attentivamente auto-consapevoli è meditazione su hṛdaya

1. Possiamo dare un senso alla risposta finale di Bhagavan registrata nella sezione 131 dei Discorsi?

Tuttavia, prima di considerare il suo commentario, consideriamo ciò che è stato realmente registrato in questo brano dei Discorsi. Il primo punto da notare è che nei Discorsi la ‘c’ iniziale di ‘centro del cuore’ non è stata scritta in maiuscolo, e un altro punto ancora più importante è che la formulazione della domanda, ‘E’ detto che nel torace ci sono sei organi di differenti colori, dei quali il cuore è detto essere due dita alla destra della linea mediana. Ma il Cuore è anche senza forma. Dovremo dunque immaginarlo con una forma e meditare su di essa?’, rende chiaro che ciò che Bhagavan intendeva con qualunque termine abbia usato e che è stato tradotto come ‘centro del cuore’ era la posizione nel petto ‘due dita a destra della linea mediana’, così in questo contesto ‘centro del cuore’ non si riferisce a noi stessi come siamo realmente.

Questa è la ragione per cui Bhagavan ha distinto la meditazione su questo ‘centro del cuore’ dall’investigazione di ‘io’, poiché la prima comporta l'attendere a un fenomeno oggettivo, qualcosa di diverso da noi stessi, mentre il secondo comporta l'attendere soltanto a noi stessi. In altre parole, tutti i termini ‘la ricerca “Chi sono io?”, ‘tenersi saldi a questo io’ e ‘investigazione di io’ significano attendere solo a noi stessi, il soggetto, mentre il termine ‘meditazione sul centro del cuore’ in questo contesto significa meditazione su un oggetto – qualcosa diversa da noi stessi – e quindi esso comporta il dirigere la nostra attenzione lontano da noi stessi, che è la direzione opposta a quella in cui dobbiamo dirigerla per investigare ‘io’.

Quindi, benché la registrazione di qualsiasi cosa disse Bhagavan nella maggior parte di questo brano sembra abbastanza chiara, il significato della frase finale, vale a dire ‘Solo colui che medita sul cuore può rimanere consapevole quando la mente cessa di essere attiva e rimane immobile; mentre coloro che meditano su altri centri non possono essere così consapevoli ma deducono che la mente si è fermata solo dopo che è divenuta di nuovo attiva’ è meno chiara. Prima di tutto, cosa si intende qui con ‘può rimanere consapevole’? Consapevole di cosa? Secondo Bhagavan l’auto-consapevolezza è la nostra vera natura, così non possiamo mai essere non consapevoli di noi stessi, anche se ora sembriamo essere non consapevoli di noi stessi come siamo realmente. Anche se sembriamo superficialmente inconsapevoli quando dormiamo, ciò di cui siamo realmente inconsapevoli in quel momento è qualcosa diversa da noi stessi.

Quindi, in questo contesto, cosa avrebbe potuto intendere con ‘rimanere consapevole’? Finché meditiamo su qualche punto nel nostro corpo, o il così detto ‘centro del cuore’ o ogni altro punto, dobbiamo essere consapevoli di qualunque punto su cui stiamo meditando. Tuttavia, se ci concentriamo in modo deciso su qualche punto per un periodo di tempo prolungato, la nostra mente prima o poi sprofonderà, a causa di esaurimento o di noia o di mancanza di interesse, e quando questo accade cesseremo di essere consapevoli di qualsiasi cosa su cui stiamo meditando e rimarremo invece per un po’ nel sonno o in uno stato di manōlaya simile al sonno. Quando questo accade non c’è differenza se stiamo meditando sul così detto ‘centro del cuore’, su qualche altro punto nel nostro corpo e su qualche altro fenomeno oggettivo, perché tutte queste cose sono diverse da noi stessi.

Per rimanere non solo auto-consapevoli ma attentivamente auto-consapevoli quando la nostra mente sprofonda (cioè, quando essa 'cessa di essere attiva e rimane immobile’), dobbiamo praticare solo l’essere attentivamente auto-consapevoli, che è tutto ciò che l’auto-investigazione (ātma-vicāra) realmente comporta. Così finché siamo consapevoli di qualsiasi cosa diversa da noi stessi soltanto, la nostra mente non è sprofondata completamente (cioè, non ha cessato completamente di essere attiva e non è divenuta immobile), così se Bhagavan ha detto realmente, ‘Solo colui che medita sul cuore può rimanere consapevole quando la mente cessa di essere attiva e rimane immobile’, ciò che deve aver inteso con ‘rimanere consapevole’ può solo essere stato ‘rimanere attentivamente auto-consapevole’, e quindi ciò che egli deve aver inteso con ‘colui che medita sul cuore’ può solo essere stato ‘colui che medita su se stesso’.

Quindi possiamo dare un senso a questo intero brano dei Discorsi solo se partiamo dal presupposto che i termini Tamil (o Telugu) che, chi ha registrato, ha tradotto qui come ‘cuore’ e ‘centro del cuore’ erano due termini chiaramente distinti. Per esempio, forse il termine che Bhagavan ha usato e che è stato tradotto qui come ‘cuore’ era hṛdaya, mentre il termine tradotto come ‘centro del cuore’ era hṛdaya-sthāna (perché hṛdaya-sthāna significa ‘luogo del cuore’ ed è un termine che egli qualche volta ha usato per riferirsi a un punto particolare nel lato destro del petto, come registrato, per esempio, nella sua risposta all’ottava domanda nel secondo capitolo di Upadēśa Mañjari). Se questo è il caso, allora possiamo prendere ‘cuore’ nel significato di noi stessi e ‘centro del cuore’ nel significato di luogo o punto nel nostro petto ‘due dita a destra della linea mediana’, che avrebbe senso perché la frase ‘Solo colui che medita sul cuore può rimanere consapevole quando la mente cessa di essere attiva e rimane immobile’ significherebbe allora che solo se meditiamo su noi stessi possiamo rimanere consapevoli quando la nostra mente sprofonda.

Tuttavia, benché questa interpretazione dia un senso a ciò che è registrato, non sono del tutto sicuro che ciò che è registrato sia una traduzione precisa di qualsiasi cosa Bhagavan ha detto realmente, e se non è una traduzione precisa, la mia interpretazione di esso può non essere pertinente a qualunque cosa abbia detto. Una ragione per cui dubito della precisione della registrazione in questo brano è che la formulazione della domanda indica che Subba Rao, colui che la chiese, confondeva ‘cuore’ nel senso del nostro sé senza forma come ‘cuore’ nel senso di questo punto nel proprio petto, così nella sua risposta Bhagavan non avrebbe usato ‘cuore’ per riferirsi a noi stessi senza distinguere chiaramente questo senso da quello in cui Subba Rao l’ha usato. Cioè, poiché Subba Rao ha usato il termine ‘cuore’ per riferirsi sia a questo punto nel proprio petto sia al nostro sé senza forma, presumibilmente in tale contesto Bhagavan non avrebbe deviato dal parlare della meditazione su questo luogo del corpo parlando della nostra meditazione su noi stessi senza rendere più chiaro che stava parlando di due tipi di meditazione completamente differenti, una su un fenomeno oggettivo (un punto particolare nel nostro corpo fisico) e l’altra soltanto su noi stessi. Poiché questo non è sufficientemente chiaro nella formulazione della registrazione del paragrafo finale di questo brano, credo che non abbiamo che dedurre che qualunque cosa abbia detto non è stata registrata in modo completo o preciso.

Questo è un problema in cui ci imbattiamo spesso se leggiamo attentamente Discorsi con Sri Ramana Maharshi. In molti punti troviamo brani come questo che contengono idee formulare ambiguamente o incoerenze intrinseche, o affermazioni attribuite a Bhagavan che sono incoerenti con i suoi reali insegnamenti da lui espressi nei suoi scritti come Uḷḷadu Nāṟpadu, Upadēśa Undiyār e Nāṉ Yār?, così che non abbiamo altra scelta che dedurre che tali ambiguità e incoerenze sono dovute principalmente all’imprecisione o almeno a non chiare registrazioni di qualunque cosa abbia realmente detto. Quindi benché possiamo trovare qualche idea utile espressa qui e lì nei Discorsi, nell’insieme essa non è affatto una registrazione precisa e affidabile dei suoi insegnamenti orali.

Tuttavia, poiché in questo caso questo brano dei Discorsi è la sola registrazione che ora abbiamo di qualunque cosa egli abbia risposto a questa domanda particolare chiesa da Subba Rao, dobbiamo interpretarla al meglio che possiamo, e il modo meno confondente per farlo sembra essere prendere ‘cuore’ nel significato di noi stessi e ‘centro del cuore’ nel significato di luogo nel nostro petto ‘due dita alla destra della linea mediana’. Quindi per mancanza di ogni altra opzione valida, sosteniamo sperimentalmente questa interpretazione.

Per riconsiderare ancora una volta ciò che possiamo dedurre dalla registrazione di questa domanda e risposta, è chiaro che l’interrogante stava confondendo due sensi diversi in cui è usato il termine ‘cuore’, e sebbene la risposta di Bhagavan non sia stata registrata in modo sufficientemente chiaro, sembra che egli stesse tracciando una distinzione tra quei due sensi, riferendosi a un senso (vale a dire la posizione nel nostro petto ‘due dita alla destra della linea mediana) come il ‘centro del cuore’ e all’altro senso (vale a dire il nostro sé senza forma) come il ‘cuore’. Quindi, poiché il ‘centro del cuore’ è un fenomeno oggettivo, egli ha distinto la meditazione su di esso dall’auto-investigazione, che comporta il tenersi saldi solo su ‘io’, noi stessi. Infine, nell’ultima frase di questo brano egli sembra intendere che meditare su qualsiasi centro nel corpo, incluso il ‘centro del cuore’, avrà come risultato lo sprofondare della mente in uno stato di manōlaya simile al sonno, in cui non si è attentivamente auto-consapevoli, mentre se si medita sul ‘cuore’ (cioè, soltanto su se stessi) si rimarrà attentivamente auto-consapevoli anche quando la propria mente cessa di essere attiva.

2. L’interpretazione di Cohen di questa risposta finale registrata nella sezione 131 dei Discorsi

Consideriamo ora il commentario di Cohen su questo brano. Ciò che ho citato all’inizio di questo articolo era solo la seconda parte, così il seguente è il commentario intero:
NOTA: - Sembra che nella seconda parte di questo testo Bhagavan ritratti l’affermazione fatta nella prima parte di non meditare sul centro del Cuore. Effettivamente egli non lo fa. Entrambe le affermazioni sono corrette nel proprio contesto. In primo luogo la domanda prevede l’uso dell’immaginazione per dare una forma al Cuore senza forma, che è assurdo. Dopo tutto il Cuore non è nient’altro che il Sé, che è rappresentato nella nostra comprensione dal principio ‘io’. Non sarebbe quindi più logico e più semplice afferrare questo principio e indagare in esso, piuttosto che creare un’immagine artificiale di esso – il senza immagine – e meditare su di essa? Questo dispone la domanda nella forma in cui è posta. (Vedi il testo 9 nel Capitolo X e il 23 in questo Capitolo).

Ora ci rivolgiamo al lato positivo della domanda, se la meditazione sul Cuore è possibile. Bhagavan la dichiara possibile, ma non nella forma di investigazione, come è fatta quando l’‘io’ è il soggetto. La meditazione sul Cuore deve essere una meditazione speciale, a condizione che il meditatore prenda il Cuore come la pura consapevolezza e abbia almeno una conoscenza intuitiva di cos’è la pura consapevolezza. Ha successo solo quella meditazione che ha questa conoscenza intuitiva, ed è condotta con la più grande vigilanza, così che appena i pensieri cessano, la mente percepisce se stessa nella propria casa – il Cuore stesso. Questo è certamente più difficile da fare che l’investigare nella sorgente dell’‘io’, perché è un assalto diretto, un contatto assai diretto con la vera sorgente di se stessi. E’ senza dubbio il metodo più veloce, ma esige la più grande vigilanza e l’attenzione più concentrata, denotando una più grande adhikara (maturità).
In questo commentario Cohen sembra non vedere completamente il fatto, chiaro nell’originale, che ciò che è inteso con il termine ‘centro del cuore’ non è il nostro sé reale (o ‘il Sé’, come Cohen si riferisce a noi stessi) ma solo una posizione oggettiva nel nostro corpo (uno dei ‘sei organi di differenti colori nel petto’), così quando egli dice ‘Dopo tutto il Cuore non è nient’altro che il Sé’ sta ovviamente confondendo due significati completamente differenti del termine ‘cuore’. Non suppongo che egli stesse fraintendendo deliberatamente ciò che è registrato in questo brano dei Discorsi, ma la sua comprensione di esso era certamente molto confusa.

Tranne che nell’ultimo paragrafo della risposta di Bhagavan come registrata in questo brano, che come abbiamo visto alla fine non è stata registrata in modo sufficientemente chiaro, non c’è niente in questo brano dei Discorsi che possa dare spazio alla deduzione che ciò che egli intendeva con ‘meditazione sul centro del cuore’ era meditazione su noi stessi (o ‘il Sé’). Quindi, poiché Cohen sembra averlo interpretato in questo significato, la maggior parte del suo commentario a questo brano non ha alcun rapporto con ciò che è stato realmente registrato in esso o che esso vuole dire.

Anche se ignoriamo il fatto che ciò che Cohen ha scritto qui era inteso come un commentario a questo brano, e cerchiamo solo di comprendere ciò che ha scritto isolandolo dal resto, sembra ancora molto confuso. Se ‘meditare sul cuore’ significa meditare su noi stessi, allora è solo un altro modo di descrivere la pratica di auto-investigazione, ma Cohen scrive che tale meditazione è ‘possibile, ma non nella forma di investigazione, come è fatta quando l’‘io’ è il soggetto’. Cosa intende con questo? Se non è auto-investigazione, ‘meditazione sul cuore’ deve intendere meditazione su qualcosa diversa da noi stessi, ma Cohen ha scritto all’inizio che ‘il Cuore non è nient’altro che il Sé’, così sembra contraddire se stesso e perciò legare in nodi il suo ragionamento contorto.

Se come Cohen scrive il termine ‘Cuore’ significa ‘nient’altro che il Sé’, ‘meditazione sul Cuore’ deve significare meditazione solo su noi stessi (il Sé), allora perché egli dovrebbe scrivere, ‘Meditazione sul Cuore deve essere una meditazione speciale, ammesso che il meditatore prenda il Cuore come pura consapevolezza e abbia almeno un una conoscenza intuitiva di ciò che è la pura consapevolezza’? Poiché ‘il Sé’ significa ciò che siamo realmente, e poiché ciò che siamo realmente è solo pura consapevolezza (cioè, pura auto-consapevolezza), se il Cuore non è nient’altro che il Sé questo deve significare che non è nient’altro che pura consapevolezza, e quindi quella meditazione sul Cuore non è nient’altro che meditazione sulla pura consapevolezza – cioè, sulla nostra pura auto-consapevolezza. Perché allora è necessario in questo contesto aggiungere la condizione ‘ammesso che il meditatore prenda il Cuore come pura consapevolezza’? Meditazione su qualsiasi cosa diversa dalla pura consapevolezza, che è noi stessi, non può essere meditazione sul Cuore.

Inoltre, poiché ‘meditazione sul Cuore’ significa meditazione solo su noi stessi, e poiché l’auto-investigazione (ātma-vicāra) comporta niente altro che meditazione solo su noi stessi, il termine ‘meditazione sul Cuore’ è solo un modo alternativo di descrivere la pratica di auto-investigazione. Cosa intende Cohen, allora, quando scrive che la meditazione sul Cuore è ‘possibile, ma non nella forma di investigazione’? Come può la reale meditazione sul Cuore essere qualcosa diversa dall’auto-investigazione? Possiamo investigare noi stessi solo meditando su o osservando attentivamente noi stessi, così se ‘il Cuore’ significa noi stessi, il termine ‘meditazione sul Cuore’ deve avere lo stesso significato del termine ‘auto-investigazione’.

Cohen continua affermando che la meditazione sul Cuore ‘è certamente più difficile da fare che investigare nella sorgente dell’‘io’, perché è un assalto diretto, un contatto assai diretto proprio con la sorgente stessa’. Poiché ‘il Cuore’ significa il nostro sé reale, esso stesso è la sorgente dell’‘io’ (il nostro ego), così come può il meditare sul Cuore essere in qualche modo differente dall’investigare la sorgente dell’‘io’? E perché Cohen dovrebbe credere che meditare su noi stessi (il Cuore) sia certamente più difficile di investigare noi stessi (la sorgente dell’‘io’)? Ciò che scrive implica che egli crede l’auto-investigazione o l’investigare la sorgente dell’‘io’ qualcosa diversa dal meditare semplicemente su noi stessi, ma in quale altro modo possiamo investigare noi stessi o la sorgente del nostro ego se non meditando su (o cercando di essere attentivamente consapevoli di) noi stessi?

Cohen scrive anche che la meditazione sul Cuore ‘è senza dubbio il metodo più veloce, ma esige la più grande vigilanza e l’attenzione più concentrata’, ma Bhagavan quando mai ha detto o anche inteso che qualche pratica può essere un metodo più veloce dell’auto-investigazione? Egli ha insegnato esplicitamente che l’auto-investigazione è il solo mezzo diretto con cui possiamo sperimentare noi stessi come siamo realmente, e questo è anche inteso chiaramente in tutto ciò che ha insegnato riguardo l’auto-investigazione, così come può qualche altra pratica essere un metodo più veloce di questo sentiero diretto di auto-investigazione? Se la meditazione sul Cuore fosse qualcosa diversa dall’auto-investigazione, al massimo sarebbe solo un mezzo indiretto, dunque non potrebbe essere un mezzo più veloce.

Ciò che Cohen sembra non aver compreso e certamente non ha messo in evidenza nel suo commentario su questo brano dei Discorsi è la distinzione cruciale tra meditare sul ‘centro del cuore’ (una posizione al lato destro del petto) e meditare sul ‘cuore’ (noi stessi). Se non riconosciamo questa distinzione, come sembra che Cohen non riesca a fare, è molto difficile dare un senso chiaro alla risposta di Bhagavan come è stata registrata in questo brano. Sebbene sembra che la sua risposta non sia stata registrata così chiaramente come avrebbe dovuto essere, e benché questo brano quindi dà spazio al fraintendimento, se la leggiamo attentamente e con discriminazione è sufficientemente chiaro che ciò che egli intendeva con ‘meditazione sul centro del cuore’ non era meditazione su noi stessi, il cuore reale, ma solo meditazione su una punto al lato destro del petto.

Tutto ciò che Cohen ha scritto (e anche ciò che non è riuscito a scrivere) nel suo commentario a questo brano dei Discorsi indica che la sua comprensione degli insegnamenti di Bhagavan in generale e particolarmente di ciò che si intende con ‘meditazione sul cuore’ (come opposto a ‘meditazione sul centro del cuore’) era molto confusa. Ho conosciuto Cohen abbastanza bene durante gli ultimi pochi anni della sua vita, e mi è sembrato una persona onesta e un devoto sincero, così non credo che egli intendesse interpretare male gli insegnamenti di Bhagavan o creare confusione riguardo ad essi, ma ciò che ha scritto in questo contesto mostra che la sua comprensione era così confusa che dovremmo essere molto cauti nel prendere qualsiasi cosa ha scritto come un’interpretazione affidabile dei suoi insegnamenti. Mettiamo dunque da parte la sua interpretazione e consideriamo più in generale il soggetto della meditazione sul cuore.

3. Cosa intendeva Bhagavan con il termine ‘cuore’?

In Tamil Bhagavan ha usato varie parole che significano ‘cuore’, ma tre che ha usato più frequentemente sono உள்ளம் (uḷḷam), அகம் (aham) e இதயம் (idayam). உள்ளம் (uḷḷam) è una parola di origine Tamil che deriva da உள் (uḷ), che significa interno, interiore o ciò che è privato, così உள்ளம் (uḷḷam) ha una gamma di significati, incluso cuore, mente, se stessi o coscienza. அகம் (aham) nel senso di ‘cuore’ è anche una parola di origine Tamil e il suo significato primario è ‘interno’, ma come உள்ளம் (uḷḷam) può anche significare cuore o mente, e per coincidenza è pronunciata come la forma Tamil del primo pronome personale Sanscrito अहम् (aham), che significa ‘io’, così Bhagavan spesso l’ha usata per intendere simultaneamente cuore e io, perché ciò che intendeva con il termine ‘cuore’ era generalmente solo noi stessi che è ciò a cui il pronome ‘io’ si riferisce. இதயம் (idayam) è una forma Tamil della parola Sanscrita हृदय (hṛdaya), che significa il cuore, centro, nucleo, essenza o interno di qualsiasi cosa, e che quindi usata nel senso del proprio cuore, anima o mente, e anche qualche volta nel senso di sede delle proprie emozioni e affetto. हृदय (hṛdaya) e இதயம் (idayam) sono anche usate meno frequentemente per intendere l’organo atto al pompaggio del sangue chiamato cuore, ma questo non era il senso in cui Bhagavan usava questi termini.

Nel senso in cui Bhagavan usava termini come உள்ளம் (uḷḷam), அகம் (aham) o இதயம் (idayam), essi significano primariamente cuore nel senso del centro più profondo o nucleo di noi stessi, e dunque intendono ciò che essenzialmente siamo, il nostro sé reale, come opposto all’ego che ora sembriamo essere. Quindi, ogni volta ci imbattiamo con la parola ‘cuore’ in ogni traduzione di qualcosa che egli ha scritto o detto, possiamo prendere come suo significato automatico il nostro sé reale. Ogni volta che ha usato qualcuna di queste parole in ogni altro senso dovrebbe essere chiaro dal contesto, ma generalmente le ha usate solo per intendere il nostro sé essenziale.

4. Perché Bhagavan specificava il lato destro del petto come la posizione del cuore?

Poiché Bhagavan ha reso chiaro in tante occasioni che ciò a cui si riferiva nei molti casi in cui ha usato qualche parola che significa ‘cuore’ era solo noi stessi come siamo realmente, perché qualche volta dice che la posizione del cuore è al lato destro del petto? Poiché il nostro sé reale è il tutto infinito, oltre al quale niente esiste, come può essere situato in un punto particolare del nostro limitato corpo fisico?

Nei suoi scritti originali e nelle prime registrazioni dei suoi insegnamenti orali non fa menzione ad alcuna posizione fisica del cuore, che suggerisce che questa non era una parte importante dei suoi insegnamenti, così cosa lo spinse per la prima volta a specificare una posizione fisica per il cuore? Swami Natananandar (che ha registrato e stilato il testo Upadēśa Mañjari, che è una delle opere in prosa incluse in Śrī Ramaṇa Nūṯṟiraṭṭu, la versione Tamil di ‘Opere complete di Sri Ramana’, e che è tradotto in Inglese con il titolo di ‘Istruzioni Spirituali’) una volta mi ha detto che quando ha chiesto a Bhagavan perché ha specificato questa posizione, egli ha spiegato che Kavyakantha Ganapati Sastri e i suoi seguaci gli avevano chiesto se il hṛdaya di cui egli parlava è la stessa cosa di anāhata-cakra (il quarto dei sette chakra, che è detto essere situato nel centro del petto), e quando egli disse che non è la stessa cosa, essi gli chiesero con insistenza dove è situato. Sebbene egli ha spiegato loro che ciò che intendeva con hṛdaya è solo ātman, che è infinito e quindi non confinato all’interno del corpo fisico, essi dedussero che poiché egli ha detto che hṛdaya è la sorgente di tutti i pensieri, e poiché i pensieri sorgono nel corpo, il hṛdaya deve avere una posizione nel corpo, così, per soddisfarli, infine egli ha detto che la sua posizione è nel lato destro del petto.

Sebbene essi erano molto eruditi, non avevano mai letto qualcosa riguardo a hṛdaya situato al lato destro del petto, così gli hanno chiesto perché la sua posizione non è citata da alcun testo spirituale, e quale giustificazione c’è per dire che è situato in quel punto. Egli allora ha spiegato loro che tutti indicano spontaneamente il lato destro del nostro petto quando ci riferiamo a noi stessi, e che quando sperimentiamo qualche shock, come al suono di un’esplosione, possiamo osservare una sensazione centrata in quel punto. Egli ha anche spiegato che il pensiero del corpo è solo una creazione della mente o ego e quindi non esiste fino a che l’ego sorge, una volta che l’ego è sorto sembra essere sorto da quel punto nel petto. Cioè, ora sperimentiamo noi stessi pervadere tutto il nostro corpo attuale, e con un’attenta osservazione possiamo vedere che il punto da cui noi (l’ego) sembriamo diffonderci in tutto il resto del corpo è il lato destro del petto.

La discussione riguardo il cuore e la sua posizione nel corpo ha avuto luogo durante diverse settimane nel 1917, e quella non fu la prima volta che Kavyakantha e i suoi seguaci gli avevano chiesto riguardo la sua posizione, ma in Śrī Ramaṇa Gītā ciò che egli ha risposto a tutte le loro domande connesse a questo è stato riassunto nel capitolo cinque, e le domande che essi gli chiesero non sono state incluse, così quel capitolo fa sembrare come se ciò che è registrato in esso fosse stato pronunciato da lui spontaneamente, mentre di fatto la maggior parte di esso sono solo estratti selezionati da ciò che egli ha detto in risposta alle loro domande insistenti. Fu durante questa discussione che egli ha citato per la prima volta il lato destro del petto come posizione del cuore, e la sua citazione di esso fu registrata da Kavyakantha nel verso 6 di quel capitolo.

Qualche tempo dopo che questa discussione ebbe luogo a Bhagavan accadde di imbattersi in alcuni versi che si riferiscono alla posizione del cuore al lato destro del petto in una traduzione Malayalam di Aṣṭāṅga Hṛdaya, che è uno dei principali testi classici nell’āyurvēda, così egli ha tradotto quei versi come due versi Tamil che sono ora inclusi in Uḷḷadu Nāṟpadu Anubandham come i versi 18 e 19:
இருமுலை நடுமார் படிவயி றிதன்மே
லிருமுப் பொருளுள நிறம்பல விவற்று
ளொருபொரு ளாம்பல ரும்பென வுள்ளே
யிருவிரல் வலத்தே யிருப்பது மிதயம்.

irumulai naḍumār baḍivayi ṟidaṉmē
lirumup poruḷuḷa niṟambala vivaṯṟu
ḷoruporu ḷāmbala rumbeṉa vuḷḷē
yiruviral valattē yiruppadu midayam
.

பதச்சேதம்: இரு முலை நடு, மார்பு அடி, வயிறு இதன் மேல், இரு முப் பொருள் உள; நிறம் பல. இவற்றுள் ஒரு பொருள் ஆம்பல் அரும்பு என உள்ளே இரு விரல் வலத்தே இருப்பதும் இதயம்.

Padacchēdam (separazione delle parole): iru mulai naḍu, mārbu aḍi, vayiṟu idaṉ mēl iru-mu-p poruḷ uḷa; niṟam pala. ivaṯṟuḷ oru poruḷ āmbal arumbu eṉa uḷḷē iru viral valattē iruppadum idayam.

Traduzione: Tra i due polmoni, sotto il petto e sopra lo stomaco ci sono sei cose; [i loro] colori sono vari. Tra questi, una cosa che assomiglia a un bocciolo di loto e che esiste all’interno, due dita a destra, è hṛdaya [il cuore].

அதன்முக மிகலுள தகமுள சிறுதுளை
யதனிலா சாதியொ டமர்ந்துள திருந்தம
மதனையா சிரித்துள வகிலமா நாடிக
ளதுவளி மனதொளி யவற்றின திருப்பிடம்.

adaṉmuka mihaluḷa dahamuḷa siṟuduḷai
yadaṉilā śādiyo ḍamarnduḷa dirundama
madaṉaiyā śirittuḷa vakhilamā nāḍiga
ḷaduvaḷi maṉadoḷi yavaṯṟiṉa diruppiḍam
.

பதச்சேதம்: அதன் முகம் இகல் உளது; அகம் உள சிறு துளை; அதனில் ஆசா ஆதி ஒடு அமர்ந்து உளது இரும் தமம்; அதனை ஆசரித்து உள அகில மா நாடிகள்; அது வளி, மனது, ஒளி அவற்றினது இருப்பிடம்.

Padacchēdam (separazione delle parole): adaṉ mukham ihal uḷadu; aham uḷa siṟu tuḷai adaṉil āśā ādi oḍu amarndu uḷadu irum tamam; adaṉai āśirittu uḷa akhila mā nāḍigaḷ; adu vaḷi, maṉadu, oḷi avaṯṟiṉadu iruppiḍam.

அன்வயம்: அதன் முகம் இகல் உளது; அகம் உள சிறு துளை; அதனில் ஆசா ஆதி ஒடு இரும் தமம் அமர்ந்து உளது; அகில மா நாடிகள் அதனை ஆசரித்து உள; வளி, மனது, ஒளி அவற்றினது இருப்பிடம் அது.

Anvayam (parole ridisposte in ordine naturale di prosa): adaṉ mukham ihal uḷadu; aham uḷa siṟu tuḷai; adaṉil āśā ādi oḍu irum tamam amarndu uḷadu; akhila mā nāḍigaḷ adaṉai āśirittu uḷa; vaḷi, maṉadu, oḷi avaṯṟiṉadu iruppiḍam adu.

Traduzione: La sua bocca è chiusa; all’interno vi è un piccolo buco; in esso risiede un denso tamas [oscurità di auto-ignoranza] insieme al desiderio e così via; tutte le maggiori nāḍi sono connesse ad esso; è la dimora del respiro, della mente e della luce [la luce della consapevolezza].
Quanto letteralmente dovremmo prendere il significato di questi due versi? Ovviamente la descrizione di questa ‘una cosa’ all’interno del petto è in qualche misura metaforica, ma non è del tutto così. Sebbene non ci sia organo fisico o oggetto che possa essere identificato come questa cosa, in un senso sottile e soggettivo una tale cosa esiste come il centro della nostra consapevolezza di noi stessi come questo corpo. Tuttavia, è tanto reale quanto lo è il nostro corpo, e come Bhagavan spesso ha detto, il nostro corpo è solo una creazione e proiezione della nostra mente o ego, che è esso stesso irreale, essendo solo un fantasma illusorio che svanirà se lo osserviamo in modo sufficientemente attento. Quindi è solo relativo al nostro ego illusorio che questo punto nel nostro corpo sembra essere il nostro cuore, il centro di noi stessi.

5. Distinguere hṛdaya da hṛdaya-sthāna

Benché quell’‘una cosa che assomiglia a un bocciolo di loto e esiste all’interno, due dita a destra’ è descritta nel verso 18 di Uḷḷadu Nāṟpadu Anubandham come ‘hṛdaya’ (il cuore), sarebbe più preciso descriverla come ‘hṛdaya-sthāna’ (il luogo del cuore), come Bhagavan l'ha chiamata nella sua risposta all’ottava domanda nel secondo capitolo di Upadēśa Mañjari, o come ‘hṛt-pīṭha’ (la sede del cuore, il trono del cuore, o la posizione del cuore), come è chiamat nel verso 6 del capitolo 5 di Śrī Ramaṇa Gītā, in cui è registrato che egli ha detto che hṛt-pīṭha è al lato destro del petto, non a sinistra, perché niente che sia confinato nei limiti di tempo e spazio può essere il vero hṛdaya, il cuore o centro di noi stessi.

La distinzione tra hṛdaya e hṛdaya-sthāna è resa chiara da lui nella sua risposta alla domanda successiva di Upadēśa Mañjari (capitolo 2, risposta 9,), in cui (dopo aver detto nella sua risposta precedente che il hṛdaya-sthāna è al lato destro del petto) dice 'Cos’è svarūpa [la ‘propria forma’ o vera natura] di hṛdaya?’:
ஹ்ருதயத்தைப் பற்றி வர்ணிக்கும் சுருதிகள்,
“இருமுலை நடுமார் படிவயி றிதன்மே
லிருமுப் பொருளுள நிறம்பல விவற்று
ளொருபொரு ளாம்ப லரும்பென வுள்ளே
யிருவிரல் வலத்தே யிருப்பது மிதயம்.

அதன்முக மிகலுள தகமுள சிறுதுளை
யதனிலா சாதியொ டமர்ந்துள திருந்தம
மதனையா சிரித்துள வகிலமா நாடிக
ளதுவளி மனதொளி யவற்றின திருப்பிடம்.”
            (உள்ளது நாற்பது, அனுபந்தம்)
எனக்கூறினும் பரமார்த்தத்தில் ஹ்ருதயமென்ற சொற்குப் பொருள் ஆன்மாவே. அது சத்து சித்து ஆனந்தம் நித்தியம் பூரணம் என்னு மிலக்கணங்களால் வ்யவஹரிக்கப்படுவதால், அதற்கு உள்வெளி, கீழ்மேல் என்பவாதிய பேதங்கள் கிடையா. சர்வ நினைவுகளும் எவ்விடத்தொடுங்குகின்றனவோ அந் நிச்சலமான இடமே ஆன்ம நிலை யெனப்படும். அதன் ஸ்வரூபத்தை உள்ளவாறு உணர்ந்துநிற்குங்கால் அது தேகத்திற்குள்ளிலோ பறம்பிலோ என்பதாதிய ஆராய்ச்சிகளுக்கு அங்கு இடமில்லை.
hrudayattai-p paṯṟi varṇikkum śurutigaḷ,

“irumulai naḍumār baḍivayi ṟidaṉmē
lirumup poruḷuḷa niṟambala vivaṯṟu
ḷoruporu ḷāmbala rumbeṉa vuḷḷē
yiruviral valattē yiruppadu midayam.

adaṉmuka mihaluḷa dahamuḷa siṟuduḷai
yadaṉilā śādiyo ḍamarnduḷa dirundama
madaṉaiyā śirittuḷa vakhilamā nāḍiga
ḷaduvaḷi maṉadoḷi yavaṯṟiṉa diruppiḍam.”
            (uḷḷadu nāṟpadu, aṉubandham)

eṉa-k-kūṟiṉum paramārtthattil hrudayam-eṉḏṟa soṯku-p poruḷ āṉmāvē. adu sattu cittu āṉandam nittiyam pūraṇam eṉṉum ilakkaṇaṅgaḷāl vyavaharikka-p-paḍuvadāl, adaṟku uḷ-veḷi, kīṙ-mēl eṉbavādiya bhēdaṅgaḷ kiḍaiyā. sarva niṉaivugaḷum e-vv-iḍattoḍuṅgugiṉḏṟaṉavō a-n-niścalam-āṉa iḍamē āṉma nilai y-eṉa-p-paḍum. adaṉ svarūpattai uḷḷavāṟu uṇarndu-niṟkuṅ-kāl adu dēhattiṟkuḷḷilō paṟambilō eṉbadādiya ārāyccigaḷukku aṅgu iḍam-illai..

Sebbene i testi che descrivono hṛdaya [il cuore] dicano,
Tra i due polmoni, sotto il petto e sopra lo stomaco ci sono sei cose; i [loro] colori sono vari. Tra questi, una cosa che assomiglia a un bocciolo di loto ed esistente all’interno, due dita a destra, è hṛdaya.

La sua bocca è chiusa; all’interno vi è un piccolo buco; in esso risiede una densa oscurità insieme con desiderio e così via; tutte le maggiori nāḍi sono connesse ad esso; è la dimora del respiro, della mente e della luce.
             (Uḷḷadu Nāṟpadu Anubandham [versi 18-19])
in paramārtha [realtà o verità suprema] il significato del termine hṛdaya è solo ātman [se stesso]. Poiché esso è contraddistinto dai lakṣaṇa [segni, caratteristiche o attributi] chiamati sat [esistenza], cit [consapevolezza], ānanda [felicità], nitya [eternità] e pūrṇa [pienezza, completezza, interezza o infinità], differenze come interno o esterno e sotto o sopra non appartengono ad esso. Il luogo in cui tutti i pensieri cessano, solo quel luogo immobile è chiamato lo stato di ātman [se stesso]. Quando uno dimora sperimentando la sua svarūpa [la sua ‘propria forma’ o vera natura] come è, lì non c’è spazio per investigare se essa è interna o esterna al corpo.
Poiché hṛdaya (il cuore) è il nostro sé reale (ātman), che è sat-cit-ānanda (esistenza-consapevolezza-beatitudine), l’unica realtà infinita, eterna e indivisibile, oltre alla quale niente esiste, è completamente privo di tutte le differenze (bhēdas), e quindi non può essere limitato in alcun modo o essere definito interno o esterno al corpo. Per sperimentarlo come è, dobbiamo cessare di sorgere come questo ego, che è il pensiero primario chiamato ‘io’ e la radice di tutti gli altri pensieri, e quindi dimorare come siamo realmente, come Bhagavan ci ha insegnato nel primo verso maṅgalam di Uḷḷadu Nāṟpadu:
உள்ளதல துள்ளவுணர் வுள்ளதோ வுள்ளபொரு
ளுள்ளலற வுள்ளத்தே யுள்ளதா — லுள்ளமெனு
முள்ளபொரு ளுள்ளலெவ னுள்ளத்தே யுள்ளபடி
யுள்ளதே யுள்ள லுணர்.

uḷḷadala duḷḷavuṇar vuḷḷadō vuḷḷaporu
ḷuḷḷalaṟa vuḷḷattē yuḷḷadā — luḷḷameṉu
muḷḷaporu ḷuḷḷaleva ṉuḷḷattē yuḷḷapaḍi
yuḷḷadē yuḷḷa luṇar
.

பதச்சேதம்: உள்ளது அலது உள்ள உணர்வு உள்ளதோ? உள்ள பொருள் உள்ளல் அற உள்ளத்தே உள்ளதால், உள்ளம் எனும் உள்ள பொருள் உள்ளல் எவன்? உள்ளத்தே உள்ளபடி உள்ளதே உள்ளல். உணர்.

Padacchēdam (separazione delle parole): uḷḷadu aladu uḷḷa-v-uṇarvu uḷḷadō? uḷḷa-poruḷ uḷḷal-aṟa uḷḷattē uḷḷadāl, uḷḷam eṉum uḷḷa-poruḷ uḷḷal evaṉ? uḷḷattē uḷḷapaḍi uḷḷadē uḷḷal. uṇar.

அன்வயம்: உள்ளது அலது உள்ள உணர்வு உள்ளதோ? உள்ள பொருள் உள்ளல் அற உள்ளத்தே உள்ளதால், உள்ளம் எனும் உள்ள பொருள் எவன் உள்ளல்? உள்ளத்தே உள்ளபடி உள்ளதே உள்ளல்; உணர்.

Anvayam (parole ridisposte in ordine naturale di prosa): uḷḷadu aladu uḷḷa-v-uṇarvu uḷḷadō? uḷḷa-poruḷ uḷḷal-aṟa uḷḷattē uḷḷadāl, uḷḷam eṉum uḷḷa-poruḷ evaṉ uḷḷal? uḷḷattē uḷḷapaḍi uḷḷadē uḷḷal; uṇar.

Traduzione: Tranne che uḷḷadu [ciò che è], esiste consapevolezza esistente? Poiché [questa] sostanza esistente è nel [proprio] cuore privo di pensiero, come [o chi può] pensare di [questa] sostanza esistente, che è chiamata ‘cuore’? Solo essere nel cuore come è [cioè, come pura auto-consapevolezza senza pensiero] è meditare [su di esso]. Sperimenta [questo].
Poiché il cuore è ciò che siamo essenzialmente, e ciò che solo esiste realmente, non possiamo meditare su di esso come un oggetto, ma possiamo meditare su di esso solo semplicemente essendolo. E poiché è completamente privo di tutti i pensieri (incluso il pensiero chiamato ‘io’, che è il nostro ego, il primo pensiero e la radice di tutti gli altri pensieri), possiamo essere come è solo evitando di sorgere come questo ego. Quindi, poiché sorgiamo come questo ego solo divenendo consapevoli di qualsiasi cosa diversa da noi stessi, è solo cercando di essere consapevoli soltanto di noi stessi che possiamo evitare di sorgere come questo ego e quindi possiamo sperimentare o meditare su noi stessi, il cuore (uḷḷam or hṛdaya).

Dal momento che la reale natura di hṛdaya è questa, l’idea che esso sia situato al lato destro del petto di questo corpo effimero sembra vera ovviamente solo dalla prospettiva di noi stessi come questo ego. Quindi se meditassimo sul lato destro del nostro petto credendo di star meditando su hṛdaya, staremo effettivamente perpetuando l’illusione di essere questo ego.

Il fatto che niente al lato destro del petto di questo corpo effimero può essere ciò che hṛdaya è realmente è anche indicato in alcuni versi successivi di Uḷḷadu Nāṟpadu Anubandham, vale a dire dal verso 21 al 24 (che Bhagavan ha tradotto dallo Yōga Vāsiṣṭha 5.78.32-8). La prima metà del verso 21 esprime una richiesta che Rama fece al suo guru, Vasistha, e la seconda parte di quel verso e di tutti i tre versi successivi contiene la risposta data da Vasistha. Nel verso 21 Bhagavan ha scritto:
எப்பெருங்கண் ணாடியின்கண் ணிவையாவு நிழலாக வெதிரே தோன்று
மிப்பிரபஞ் சத்துயிர்கட் கெல்லாமவ் விதயமென விசைப்ப தேதோ
செப்புதியென் றேவினவு மிராமனுக்கு வசிட்டமுனி செப்பு கின்றா
னிப்புவியி னுயிர்க்கெல்லா மிதயமிரு விதமாகு மெண்ணுங் காலே.

epperuṅgaṇ ṇāḍiyiṉgaṇ ṇivaiyāvu niṙalāha vedirē tōṉḏṟu
mippirapañ cattuyirkaṭ kellāmav vidayameṉa visaippa dēdō
ceppudiyeṉ ḏṟēviṉavu mirāmaṉukku vasiṭṭamuṉi ceppu giṉḏṟā
ṉibbhuviyi ṉuyirkkellā midayamiru vidhamāhu meṇṇuṅ gālē
.

பதச்சேதம்: ‘எப் பெரும் கண்ணாடியின் கண் இவை யாவும் நிழலாக எதிரே தோன்றும், இப் பிரபஞ்சத்து உயிர்கட்கு எல்லாம் அவ் இதயம் என இசைப்பது ஏதோ, செப்புதி’ என்றே வினவும் இராமனுக்கு வசிட்ட முனி செப்புகின்றான்: இப் புவியின் உயிர்க்கு எல்லாம் இதயம் இருவிதம் ஆகும், எண்ணுங்காலே.

Padacchēdam (separazione delle parole): ‘e-p-perum kaṇṇāḍiyiṉ-gaṇ ivai yāvum niṙalāha edirē tōṉḏṟum, i-p-pirapañcattu uyirgaṭku ellām a-vv-idayam eṉa isaippadu ēdō, seppudi’ eṉḏṟē viṉavum irāmaṉukku vasiṭṭa muṉi seppugiṉḏṟāṉ: i-b-bhuviyiṉ uyirkku ellām idayam iru vidham āhum, eṇṇum kālē.

அன்வயம்: ‘எப் பெரும் கண்ணாடியின் கண் இவை யாவும் நிழலாக எதிரே தோன்றும், இப் பிரபஞ்சத்து உயிர்கட்கு எல்லாம் அவ் இதயம் என இசைப்பது ஏதோ, செப்புதி’ என்றே வினவும் இராமனுக்கு வசிட்ட முனி செப்புகின்றான்: எண்ணுங்காலே, இப் புவியின் உயிர்க்கு எல்லாம் இதயம் இருவிதம் ஆகும்.

Anvayam (parole ridisposte secondo ordine naturale di prosa): ‘e-p-perum kaṇṇāḍiyiṉ-gaṇ ivai yāvum niṙal-āha edirē tōṉḏṟum, i-p-pirapañcattu uyirgaṭku ellām a-vv-idayam eṉa isaippadu ēdō, seppudi’ eṉḏṟē viṉavum irāmaṉukku vasiṭṭa muṉi seppugiṉḏṟāṉ: eṇṇum kālē, i-b-bhuviyiṉ uyirkku ellām idayam iru vidham āhum.

Traduzione: ‘Dimmi cos’è che è concordato essere, di tutti gli esseri viventi in questo mondo, il cuore, nel grande specchio del quale tutto questo appare di fronte come un’ombra [riflesso o immagine]’ – a Rama che chiese questo, Vasistha Muni disse: Quando considerato, il cuore di tutti gli esseri viventi di questo mondo è di due tipi.
La sintassi della richiesta di Rama espressa da Bhagavan in Tamil non è molto facile da esprimere in Inglese, ma la chiara implicazione in Tamil è che il cuore (hṛdaya) di cui Rama chiedeva è sia il cuore di tutti gli esseri viventi in questo mondo sia il grande specchio in cui questo intero universo appare come un’ombra, un riflesso o un’immagine. Vasistha poi inizia la sua risposta dicendo che ci sono due tipi di cuore, e nel verso successivo spiega le loro caratteristiche, dicendo che uno di essi deve essere rifiutato ed uno deve essere accettato, intendendo quindi che quello che deve essere accettato è quello riguardo al quale Rama stava chiedendo:
கொளத்தக்க துந்தள்ளத் தக்கதுமா மிவ்விரண்டின் கூறு கேளா
யளத்தற்கா முடம்பின்மார் பகத்தொரிடத் திதயமென வமைந்த வங்கந்
தளத்தக்க தோரறிவா காரவித யங்கொள்ளத் தக்க தாமென்
றுளத்துட்கொள் ளஃதுள்ளும் புறமுமுள துள்வெளியி லுள்ள தன்றாம்.

koḷattakka dundaḷḷat takkadumā mivviraṇḍiṉ kūṟu kēḷā
yaḷattaṯkā muḍambiṉmār bahattoriḍat tidayameṉa vamainda vaṅgan
taḷattakka dōraṟivā kāravida yaṅgoḷḷat takka dāmeṉ
ṟuḷattuṭkoḷ ḷaḵduḷḷum buṟamumuḷa duḷveḷiyi luḷḷa daṉḏṟām
.

பதச்சேதம்: கொள தக்கதும் தள்ள தக்கதும் ஆம் இவ் இரண்டின் கூறு கேளாய். அளத்தற்கு ஆம் உடம்பின் மார்பு அகத்து ஓர் இடத்து இதயம் என அமைந்த அங்கம் தள தக்கது. ஓர் அறிவு ஆகார இதயம் கொள்ள தக்கது ஆம் என்று உளத்துள் கொள். அஃது உள்ளும் புறமும் உளது; உள் வெளியில் உள்ளது அன்று ஆம்.

Padacchēdam (separazione delle parole): koḷa takkadum taḷḷa takkadum ām i-vv-iraṇḍiṉ kūṟu kēḷāy. aḷattaṟku ām uḍambiṉ mārbu ahattu ōr iḍattu idayam eṉa amainda aṅgam taḷa takkadu. ōr aṟivu-ākāra idayam koḷḷa takkadu ām eṉḏṟu uḷattuḷ koḷ. aḵdu uḷḷum puṟamum uḷadu; uḷ veḷiyil uḷḷadu aṉḏṟu ām.

Traduzione: Ascolta le caratteristiche di questi due, quello che è adatto ad essere accettato e quello che è adatto ad essere rifiutato. L’organo chiamato cuore situato in un luogo all’interno del petto del corpo limitato è quello adatto ad essere rifiutato. Accetta dentro il [tuo] cuore che il cuore nella forma dell’unica [singola, impareggiabile e insorpassata] consapevolezza è quello adatto ad essere accettato. Quello è ciò che esiste sia dentro che fuori; [sebbene] non è quello che esiste [solo] dentro o [solo] fuori.
L’implicazione in questo verso è che il cuore che deve essere rifiutato o non considerato è l’organo fisico con quel nome, atto a pompare il sangue, ma anche se questo è il significato primario della frase ‘அளத்தற்கு ஆம் உடம்பின் மார்பு அகத்து ஓர் இடத்து இதயம் என அமைந்த அங்கம்’ (aḷattaṟku ām uḍambiṉ mārbu ahattu ōr iḍattu idayam eṉa amainda aṅgam), ‘l’organo chiamato cuore situato in un luogo all’interno del petto del corpo limitato’, queste parole si applicano ugualmente bene al cuore più sottile che è situato al lato destro del petto. La differenza tra l’organo propulsore del sangue a sinistra e il cuore più sottile a destra è che il primo è un fenomeno fisico mentre il secondo è fenomeno mentale, ma poiché entrambi sono sperimentati da noi all’interno del petto di qualsiasi corpo attualmente sperimentiamo come noi stessi, essi sono confinati all’interno dei limiti di tempo e spazio, e quindi nessuno di essi può essere il cuore reale, che è l’unica pura consapevolezza in cui tempo, spazio e tutte le altre cose appaiono e scompaiono, e che quindi trascende tutte le differenze come interno ed esterno.

Nel verso 23 Vasistha continua parlando ancora del cuore reale, che solo è degno di considerazione o ‘adatto ad essere accettato’:
அதுவேமுக் கியவிதய மதன்கண்ணிவ் வகிலமுமே யமர்ந்தி ருக்கு
மதுவாடி யெப்பொருட்கு மெல்லாச்செல் வங்கட்கு மதுவே யில்ல
மதனாலே யனைத்துயிர்க்கு மறிவதுவே யிதயமென வறைய லாகுஞ்
சிதையாநிற் குங்கற்போற் சடவுடலி னவயவத்தோர் சிறுகூ றன்றால்.

aduvēmuk khiyavidaya madaṉgaṇṇiv vakhilamumē yamarndi rukku
maduvāḍi yepporuṭku mellāccel vaṅgaṭku maduvē yilla
madaṉālē yaṉaittuyirkku maṟivaduvē yidayameṉa vaṟaiya lāhuñ
cidaiyāniṯ kuṅgaṯpōṯ jaḍavuḍali ṉavayavattōr siṟukū ṟaṉḏṟāl
.

பதச்சேதம்: அதுவே முக்கிய இதயம். அதன் கண் இவ் அகிலமுமே அமர்ந்து இருக்கும். அது ஆடி எப் பொருட்கும். எல்லா செல்வங்கட்கும் அதுவே இல்லம். அதனாலே, அனைத்து உயிர்க்கும் அறிவு அதுவே இதயம் என அறையல் ஆகும். சிதையா நிற்கும் கல் போல் சட உடலின் அவயவத்து ஓர் சிறு கூறு அன்று; ஆல்.

Padacchēdam (separazione delle parole): aduvē mukkhiya idayam. adaṉ-gaṇ i-vv-akhilam-um-ē amarndu irukkum. adu āḍi e-p-poruṭkum. ellā selvaṅgaṭkum aduvē illam. adaṉālē, aṉaittu uyirkkum aṟivu aduvē idayam eṉa aṟaiyal āhum. sidaiyā niṟkum kal pōl jaḍa uḍaliṉ avayavattu ōr siṟu kūṟu aṉḏṟu; āl.

அன்வயம்: அதுவே முக்கிய இதயம். இவ் அகிலமுமே அதன் கண் அமர்ந்து இருக்கும். எப் பொருட்கும் ஆடி அது. எல்லா செல்வங்கட்கும் இல்லம் அதுவே. அதனாலே, அனைத்து உயிர்க்கும் அறிவு அதுவே இதயம் என அறையல் ஆகும். சிதையா நிற்கும் கல் போல் சட உடலின் அவயவத்து ஓர் சிறு கூறு அன்று; ஆல்.

Anvayam (parole ridisposte in ordine naturale di prosa): aduvē mukkhiya idayam. i-vv-akhilam-um-ē adaṉ-gaṇ amarndu irukkum. e-p-poruṭkum āḍi adu. ellā selvaṅgaṭkum illam aduvē. adaṉālē, aṉaittu uyirkkum aṟivu aduvē idayam eṉa aṟaiyal āhum. sidaiyā niṟkum kal pōl jaḍa uḍaliṉ avayavattu ōr siṟu kūṟu aṉḏṟu; āl.

Traduzione: Quello solo è il cuore principale. In esso risiede questo intero universo. E’ lo specchio di ogni cosa [lo specchio in cui ogni cosa appare]. Esso solo è la dimora di tutte le ricchezze [ogni cosa di reale valore]. Quindi esso, [che è] la consapevolezza di tutti gli esseri viventi, è ciò che è dichiarato come il cuore. Non è una piccola parte del corpo effimero, simile alla pietra e non cosciente.
Quando tradotta letteralmente, la terza frase di questo verso, ‘அது ஆடி எப் பொருட்கும்’ (adu āḍi e-p-poruṭkum), che significa ‘Esso è lo specchio di [o per] ogni cosa’, sembra implicare che altre cose esistono all’esterno di esso e sono viste riflesse in esso, ma questo non è ciò che è inteso. Bhagavan qualche volta ha spiegato che nei tempi antichi fu usata l’analogia di un’immagine vista in uno specchio perché in quei giorni non c’era analogia migliore che potesse essere usata per questo scopo, ma oggi l’analogia di un’immagine proiettata su uno schermo cinematografico illustra più chiaramente ciò che si voleva illustrare della vecchia analogia di un’immagine vista in uno specchio. Quindi in questo contesto lo ‘specchio di ogni cosa’ significa quello in cui tutte le cose appaiono e sembrano esistere. All’esterno di questo ‘specchio’ non c’è niente, o piuttosto non c’è un luogo come ‘all’esterno di questo specchio’, perché questo ‘specchio’ è il cuore, che è il tutto infinito, al di fuori del quale niente può esistere.

La frase finale di questo verso, ‘சிதையா நிற்கும் கல் போல் சட உடலின் அவயவத்து ஓர் சிறு கூறு அன்று’ (sidaiyā niṟkum kal pōl jaḍa uḍaliṉ avayavattu ōr siṟu kūṟu aṉḏṟu), che significa ‘Non è una piccola parte del corpo effimero, simile alla pietra e non cosciente’, enfatizza ancora una volta che poiché il nostro corpo è effimero e jaḍa (non cosciente), come una pietra, nessuna parte di esso e niente situato all’interno di esso può essere il nostro cuore reale, che è il tutto infinito, all’interno del quale questo intero universo è contenuto come un’immagine in uno specchio o un’immagine su uno schermo cinematografico.

Nel verso 24 Vasistha conclude la sua risposta dicendo ciò che risulterà se meditiamo con persistenza su questo cuore, che è la nostra pura auto-consapevolezza:
ஆதலினா லறிவுமய மாஞ்சுத்த விதயத்தே யகத்தைச் சேர்க்குஞ்
சாதனையால் வாதனைக ளொடுவாயு வொடுக்கமுமே சாருந் தானே.

ādaliṉā laṟivumaya māñśuddha vidayattē yahattaic cērkkuñ
sādhaṉaiyāl vādaṉaiga ḷoḍuvāyu voḍukkamumē sārun tāṉē
.

பதச்சேதம்: ஆதலினால், அறிவுமயம் ஆம் சுத்த இதயத்தே அகத்தை சேர்க்கும் சாதனையால், வாதனைகளோடு வாயு ஒடுக்கமுமே சாரும் தானே.

Padacchēdam (separazione delle parole): ādaliṉāl, aṟivumayam ām śuddha idayattē ahattai sērkkum sādhaṉaiyāl, vādaṉaigaḷoḍu vāyu oḍukkamumē sārum tāṉē.

அன்வயம்: ஆதலினால், அறிவுமயம் ஆம் சுத்த இதயத்தே அகத்தை சேர்க்கும் சாதனையால், வாதனைகளோடு வாயு ஒடுக்கமுமே தானே சாரும்.

Anvayam (parole ridisposte in ordine naturale di prosa): ādaliṉāl, aṟivumayam ām śuddha idayattē ahattai sērkkum sādhaṉaiyāl, vādaṉaigaḷoḍu vāyu oḍukkamumē tāṉē sārum.

Traduzione: Quindi per mezzo della pratica persistente di fissare la mente nel puro cuore, che è composto di consapevolezza, la dissoluzione di vāyu [respiro di vita] insieme con le vāsanā [propensioni, impulsi o inclinazioni mentali] sarà raggiunto automaticamente.
Ciò che si intende in questo verso con la pratica (sādhana) di unire o fissare la mente (aham) nel puro cuore (śuddha hṛdaya), che è composto di consapevolezza, è fissare la nostra intera attenzione solo su noi stessi, di cui la natura essenziale è solo pura auto-consapevolezza. In altre parole, meditare sul nostro cuore reale comporta solo essere attentivamente consapevoli soltanto di noi stessi, perché in questo contesto il termine ‘cuore’ significa solo noi stessi.

Se pratichiamo con persistenza cercando di fissare la nostra attenzione su noi stessi in questo modo, ciò che risulterà è la dissoluzione sia delle nostre vāsanā (propensioni, impulsi o inclinazioni mentali) sia del nostro vāyu. Il termine vāyu significa letteralmente vento, ed è spesso usato più generalmente per riferirsi al nostro respiro o al nostro prāṇa (la nostra forza vitale o processi fisiologici), ma in questo contesto possiamo prenderlo in un senso metaforico per intendere proprio la vita del nostro ego, perché le nostre vāsanā possono essere dissolte completamente solo quando la loro radice, il nostro ego, è esso stesso dissolto. Quindi questo verso implica che con la pratica persistente di fissare la nostra attenzione su noi stessi, il cuore reale, determineremo il completo dissolvimento del nostro ego insieme con tutte le sue vāsanā.

6. Meditare su hṛdaya-sthāna non è meditare su hṛdaya

Sebbene Bhagavan ha reso molto chiaro che ciò che intendeva con il termine hṛdaya o ogni altro termine che significa ‘cuore’ era solo noi stessi come siamo realmente, e che questo cuore reale è quindi del tutto distinto da qualsiasi cosa all’interno del nostro corpo fisico che può essere chiamato ‘cuore’, molti dei suoi devoti ora e nel passato hanno tratto deduzioni non corrette dal fatto che egli ha detto che il hṛdaya-sthāna o luogo del cuore relativo al nostro corpo è in un certo senso al lato destro del nostro petto. Una tale deduzione sbagliata è che se meditiamo sul lato destro del nostro petto stiamo meditando sul nostro cuore reale.

Il fatto che questa deduzione non è corretta è stato spesso chiarito da Bhagavan. Per esempio, nella sezione 273 di Discorsi con Sri Ramana Maharshi (edizione 2006, pagina 239) è registrato che una volta quando un devoto di nome Dr. Syed gli chiese, ‘Dovrei meditare sul lato destro per meditare sul Cuore?’ egli ha risposto:
Il Cuore non è fisico. La meditazione non dovrebbe essere sul lato destro o sinistro. La meditazione dovrebbe essere sul Sé. Tutti sanno ‘io sono’. Chi è l’‘io’? Esso sarà né interno né esterno, né a destra né a sinistra. ‘Io sonò – questo è tutto.

Il Cuore è il centro dal quale ogni cosa appare. Poiché tu vedi il mondo, il corpo e così via, è detto che c’è un centro per questi, che è chiamato il Cuore. Quando tu sei nel Cuore, il Cuore è conosciuto essere né il centro né la circonferenza. Non c’è niente altro. Di chi potrebbe essere il centro?
Come Bhagavan intende qui, il cuore reale è solo noi stessi, così per meditare sul cuore dobbiamo meditare solo su noi stessi, ‘io sono’. Quindi meditare sul hṛdaya-sthāna al lato destro del proprio petto non è meditare sul cuore reale o hṛdaya.

Qualunque corpo possiamo sperimentare come noi stessi è effettivamente qualcosa diversa da noi stessi, perché se fosse realmente noi stessi saremmo consapevoli di esso in tutti i tempi e in tutti gli stati, poiché siamo sempre consapevoli di noi stessi. Sebbene sperimentiamo il nostro corpo attuale come noi stessi nel nostro stato attuale, che sembra essere uno stato di veglia ma che secondo Bhagavan è effettivamente solo un altro sogno, in ogni altro sogno sperimentiamo qualche altro corpo come noi stessi, e quando dormiamo siamo consapevoli di noi stessi senza essere affatto consapevoli di ogni altro corpo, così non possiamo essere ogni corpo che confondiamo come noi stessi. Quindi poiché ogni corpo che sperimentiamo come noi stessi è solo un fenomeno temporaneo che appare e scompare nella nostra esperienza, come può il nostro cuore reale o sé essenziale essere confinato all’interno di questi corpi?

Quindi qualsiasi luogo nel nostro corpo attuale possiamo sperimentare come se fosse il centro di noi stessi, come il punto due dita a destra dal centro del nostro petto, sembra essere il nostro hṛdaya-sthāna o ‘centro del cuore’ solo in relazione al nostro ego, che è la nostra esperienza illusoria ‘io sono questo corpo’. Quindi se meditiamo su questo hṛdaya-sthāna al lato destro del nostro petto nutriamo e perpetuiamo l’illusione di essere questo ego.

Secondo Bhagavan, sperimentare o attendere a qualsiasi cosa diversa da noi stessi alimenta e nutre il nostro ego, come egli intende chiaramente nel verso 25 di Uḷḷadu Nāṟpadu:
உருப்பற்றி யுண்டா முருப்பற்றி நிற்கு
முருப்பற்றி யுண்டுமிக வோங்கு — முருவிட்
டுருப்பற்றுந் தேடினா லோட்டம் பிடிக்கு
முருவற்ற பேயகந்தை யோர்.

uruppaṯṟi yuṇḍā muruppaṯṟi niṟku
muruppaṯṟi yuṇḍumiha vōṅgu — muruviṭ
ṭuruppaṯṟun tēḍiṉā lōṭṭam piḍikku
muruvaṯṟa pēyahandai yōr
.

பதச்சேதம்: உரு பற்றி உண்டாம்; உரு பற்றி நிற்கும்; உரு பற்றி உண்டு மிக ஓங்கும்; உரு விட்டு, உரு பற்றும்; தேடினால் ஓட்டம் பிடிக்கும், உரு அற்ற பேய் அகந்தை. ஓர்.

Padacchēdam (separazione delle parole): uru paṯṟi uṇḍām; uru paṯṟi niṟkum; uru paṯṟi uṇḍu miha ōṅgum; uru viṭṭu, uru paṯṟum; tēḍiṉāl ōṭṭam piḍikkum, uru aṯṟa pēy ahandai. ōr.

அன்வயம்: உரு அற்ற பேய் அகந்தை உரு பற்றி உண்டாம்; உரு பற்றி நிற்கும்; உரு பற்றி உண்டு மிக ஓங்கும்; உரு விட்டு, உரு பற்றும்; தேடினால் ஓட்டம் பிடிக்கும். ஓர்.

Anvayam (parole ridisposte in ordine naturale di prosa): uru aṯṟa pēy ahandai uru paṯṟi uṇḍām; uru paṯṟi niṟkum; uru paṯṟi uṇḍu miha ōṅgum; uru viṭṭu, uru paṯṟum; tēḍiṉāl ōṭṭam piḍikkum. ōr.

Traduzione: Afferrando la forma, l’ego-fantasma senza forma ha origine; afferrando la forma si regge; afferrando e nutrendosi di forma cresce [o fiorisce] abbondantemente; lasciando [una] forma, esso afferra [un’altra] forma. Se cercato [esaminato o investigato], esso prenderà il volo. Investiga [o conosci di conseguenza].
Quindi, poiché il nostro corpo è una forma – qualcosa diversa da noi stessi – meditare su di esso o su ogni parte di esso è ‘afferrare la forma’, e quindi facendo questo staremo alimentando e nutrendo il nostro ego. Poiché questo ego è un’esperienza erronea di noi stessi, per sperimentare noi stessi come siamo realmente dobbiamo cessare di sorgere come questo ego, e poiché sorgiamo come questo ego solo afferrando qualsiasi cosa diversa da noi stessi, possiamo cessare di sorgere come questo ego solo cercando di afferrare o attendere soltanto a noi stessi. Questo è ciò che Bhagavan intende quando dice in questo verso, ‘தேடினால் ஓட்டம் பிடிக்கும்’ (tēḍiṉāl ōṭṭam piḍikkum), che significa ‘Se cercato [esaminato o investigato], esso [questo ego] prenderà il volo’.

Quindi è solo cercando di attendere a o di essere consapevoli soltanto di noi stessi che possiamo cessare di sorgere come questo ego e quindi sperimentare noi stessi come siamo realmente. Quindi, poiché il termine ‘cuore’ o hṛdaya significa solo noi stessi come siamo realmente, per sperimentare il cuore dobbiamo meditare solo su noi stessi.

7. Solo essere attentivamente auto-consapevoli è meditazione su hṛdaya

Se invece di meditare su noi stessi meditiamo sul nostro corpo o su qualsiasi parte di esso, come il lato destro del nostro petto, stiamo dirigendo la nostra attenzione lontano da noi stessi e quindi impediamo a noi stessi di sperimentare il nostro cuore reale. Poiché diveniamo consapevoli del nostro corpo e di ogni altra cosa solo quando sorgiamo come questo ego, non possiamo meditare sul nostro cuore reale finché permettiamo a noi stessi di essere consapevoli del nostro corpo o di ogni altra cosa diversa da noi stessi soltanto.

Questo è il motivo per cui Bhagavan ci ha insegnato, nel primo verso maṅgalam di Uḷḷadu Nāṟpadu (che ho citato all’inizio di questo articolo), che il solo mezzo con cui possiamo meditare su ‘உள்ளம் எனும் உள்ள பொருள்’ (uḷḷam eṉum uḷḷa-poruḷ), la ‘sostanza esistente chiamata cuore’, è ‘உள்ளத்தே உள்ளபடி உள்ளதே’ (uḷḷattē uḷḷapaḍi uḷḷadē), che significa ‘solo essere nel cuore come è’ o ‘solo essere nel cuore come noi siamo’. Per essere nel cuore come è o come siamo realmente dobbiamo cessare di sorgere come questo ego, e per cessare di sorgere come questo ego dobbiamo cercare di essere consapevoli soltanto di noi stessi. In altre parole, cercare di essere attentivamente auto-consapevoli è il solo mezzo con cui possiamo sperimentare e meditare sul cuore reale o hṛdaya.

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